N. 16 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 8 novembre 2007- 25 marzo 2008

  Ricorso per conflitto
di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato  (merito)  depositato  in
cancelleria  il  25  marzo  2008  (della Commissione parlamentare per
  l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi)
   Radiotelevisione  e servizi radioelettrici - Richiesta e votazione
  nell'Assemblea   degli   azionisti   RAI   da  parte  del  Ministro
  dell'economia  e  delle  finanze  d'intesa  con  il  Presidente del
  Consiglio   dei   ministri   della   revoca   di   consigliere   di
  amministrazione  della  RAI - Ricorso per conflitto di attribuzione
  tra poteri dello Stato sollevato dalla Commissione parlamentare per
  l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi nei
  confronti   del  Ministro  dell'economia  e  delle  finanze  e  del
  Presidente del Consiglio dei ministri - Denunciata violazione della
  disciplina     costituzionale     dell'informazione     e     della
  «parlamentarizzazione»  della  RAI  -  Violazione  del principio di
  leale  collaborazione  -  Richiesta alla Corte di dichiarare la non
  spettanza al Ministro dell'economia e delle finanze, anche d'intesa
  con  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri, di richiedere e
  votare,   nell'Assemblea   degli   azionisti   RAI-Radiotelevisione
  italiana, la revoca di un consigliere di amministrazione in assenza
  di  conforme  deliberazione adottata dalla Commissione parlamentare
  per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi
  e  di annullamento della proposta di revoca presentata dal Ministro
  in  data  11  maggio  2007  e  di tutti gli atti ad essa connessi e
  conseguenti.
  -  Proposta  di  revoca  del Ministro dell'economia e delle finanze
  dell'11 maggio 2007.
  - Costituzione, art. 21.
(GU n.15 del 2-4-2008 )
   Ricorso  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato ai
sensi  dell'art.  134, comma 2, Cost., dell'art. 37 della legge n. 87
del  1953,  e  dell'art.  26 delle Norme integrative per i giudizi di
fronte  alla  Corte costituzionale recate con delibera 16 marzo 1956,
promosso dalla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la
vigilanza  dei servizi radiotelevisivi, in persona del suo Presidente
pro  tempore  on.  Mario Landolfi autorizzato con deliberazione della
Commissione   approvata   nella   seduta   del   26  settembre  2007,
rappresentata  e difesa, come da mandato a margine del presente atto,
dal  prof.  avv. Beniamino Caravita di Toritto e presso il suo studio
elettivamente domiciliata in Roma, via di Porta Pinciana, 6;
   Contro  il  Ministro  dell'economia  e  delle finanze pro tempore,
nonche'  contro  il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore
affinche'  dichiari  che non spetta al Ministro dell'economia e delle
finanze, anche d'intesa con il Presidente del Consiglio dei ministri,
richiedere  e votare nell'Assemblea degli azionisti della RAI - Radio
Televisione  Italiana  S.p.A.,  societa'  concessionaria del servizio
radiotelevisivo   pubblico,   la   revoca   di   un   consigliere  di
amministrazione  in  assenza di conforme deliberazione adottata dalla
Commissione  parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei
servizi  radiotelevisivi  e,  per  l'effetto,  annulli la proposta di
revoca  presentata  dal Ministro in data 11 maggio 2007 e, per quanto
occorrer possa, tutti gli atti ad essa connessi e conseguenti.
                              F a t t o
   Il conflitto di poteri qui sollevato trae origine dalla violazione
delle  attribuzioni  costituzionalmente  garantite  alla  Commissione
parlamentare   per   l'indirizzo   e   la   vigilanza   dei   servizi
radiotelevisivi.
   E'  indiscusso  che  la Commissione sia titolare di rilevantissimi
poteri  di  indirizzo  e  vigilanza  sui servizi radiotelevisivi, dal
momento  che  l'attivita'  radiotelevisiva  pubblica  non puo' essere
considerata  appannaggio  esclusivo  delle  scelte  della maggioranza
politica,  ma  deve  essere  svolta  in  modo  conforme all'indirizzo
politico  costituzionale, che fa della libera circolazione delle idee
e  del pluralismo culturale uno degli assi portanti dell'ordinamento.
Tali   funzioni  di  indirizzo  e  vigilanza  sono  state  attribuite
all'organo  parlamentare  -  organo  che,  proprio  in virtu' del suo
carattere,  si  pone  come  soggetto  rappresentativo della comunita'
nazionale   -  in  considerazione  dei  caratteri  di  imparzialita',
democraticita'  e  pluralismo  che  devono  informare  lo svolgimento
dell'attivita' del servizio pubblico radiotelevisivo.
   La lesione delle attribuzioni della Commissione di vigilanza si e'
verificata  in  occasione della revoca di un componente del Consiglio
di  amministrazione della RAI da parte dell'Assemblea degli azionisti
della RAI, effettuata su richiesta del Ministro dell'economia e delle
finanze  nella  sua  qualita'  di  azionista  di  maggioranza, revoca
avvenuta  in  mancanza  della  previa  necessaria deliberazione della
Commissione  parlamentare  di vigilanza, prevista dalla legge proprio
in  ragione  delle  prerogative  parlamentari  sul  servizio pubblico
radiotelevisivo.  Che  la Commissione di vigilanza debba essere parte
attiva  della  procedura  di revoca di un consigliere emerge con ogni
evidenza sia dalla lettera della legge, sia in ossequio ad un assetto
costituzionale  che,  cosi'  come  concretizzato e interpretato dalla
giurisprudenza della Corte costituzionale, ha sempre salvaguardato le
attribuzioni   dell'organo   parlamentare  nelle  scelte  strategiche
riguardanti la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo.
   Cio'  risulta  chiaramente  dall'art. 49, comma 8, del Testo unico
della  radiotelevisione,  ove  si  prevede che «il rappresentante del
Ministero  dell'economia  e  delle  finanze,  nelle  assemblee  della
societa'  concessionaria  convocate per l'assunzione di deliberazioni
di  revoca  o  che  comportino la revoca o la promozione di azione di
responsabilita'  nei  confronti degli amministratori, esprime il voto
in  conformita' alla deliberazione della Commissione parlamentare per
l'indirizzo  generale  e  la  vigilanza  dei  servizi radiotelevisivi
comunicata al Ministero medesimo».
   Del  resto,  questa e' soltanto una delle molteplici testimonianze
del  fatto  che  il  nostro  ordinamento si ispiri, ormai da oltre un
trentennio,  alla  ratio  -  sempre  confermata  dalla giurisprudenza
costituzionale  -  di  mantenere nell'ambito parlamentare le funzioni
inerenti   l'indirizzo   generale   e   la   vigilanza  del  servizio
radiotelevisivo  pubblico,  escludendo  nella  gestione  dello stesso
un'ingerenza diretta ed esclusiva dell'Esecutivo.
   Sin  dalla  nascita  del  servizio  pubblico radiotelevisivo si e'
infatti  sempre  inteso  scongiurare  il  rischio di una gestione «di
parte»    (quale   sarebbe   una   gestione   appannaggio   esclusivo
dell'Esecutivo)  che  desse  spazio  alle  posizioni e agli interessi
della  sola  «maggioranza»,  e  non  anche a tutte le altre posizioni
rappresentate nel Parlamento democraticamente eletto.
   Le  opposte argomentazioni presentate dal Ministro dell'economia e
delle  finanze,  emerse  gia'  da  documenti  ufficiali del Ministero
nonche'   in   occasione  di  diverse  audizioni  in  Commissione  di
vigilanza,   sono   palesemente  infondate,  cosi'  come  i  concreti
atteggiamenti  dello  stesso Ministro appaiono irrispettosi del ruolo
della Commissione parlamentare.
   E' allora anzitutto opportuno ripercorrere brevemente i principali
momenti di emersione del conflitto.
   E  invero,  gia' con lettera del 18 gennaio 2007 (prot. n. 237, v.
doc. n. 1), indirizzata al Ministro dell'economia e delle finanze, il
Presidente  della  Commissione  richiamava l'attenzione sull'esigenza
istituzionale  di  porre  in  essere  ogni  iniziativa  utile al piu'
corretto   esercizio  del  ruolo  attribuito  alla  Commissione,  non
riducibile  ad una generica funzione di vigilanza, ma necessariamente
esteso  all'indicazione  del voto che l'azionista di maggioranza deve
esprimere nel caso di assemblea sociale convocata per la revoca degli
amministratori  (secondo  quanto  previsto dall'art. 49, comma 8, del
Testo   unico   della   radiotelevisione).  Nella  medesima  nota  il
Presidente  dell'organo parlamentare rappresentava la convinzione che
spettasse alla Commissione la valutazione e la comparazione di quegli
interessi  pubblici  che  entrano  inevitabilmente in gioco quando si
presenta  la  necessita'  di  revocare  un  consigliere,  al  fine di
garantire  il  corretto  adempimento delle finalita' e degli obblighi
del servizio pubblico radiotelevisivo.
   A  fronte di un'ulteriore comunicazione del Presidente dell'organo
parlamentare,  inviata al Ministero in data 6 febbraio (prot. n. 292,
v.  doc.  n. 2),  che  ribadiva  quanto  precedentemente  espresso  e
sollecitava  una  risposta, il Ministro dell'economia e delle finanze
finalmente  rompeva  il  silenzio  e  palesava  la propria posizione,
riconoscendo  la  partecipazione  della  Commissione  parlamentare di
vigilanza  al  solo  procedimento di nomina, ma non anche a quello di
revoca o di responsabilita' degli amministratori.
   Il  presupposto  addotto  dal  Ministro  fa leva su un criterio di
interpretazione  letterale  del comma 10 dell'art. 49 del Testo unico
della  radiotelevisione,  che  rinvierebbe espressamente l'entrata in
vigore  delle  disposizioni  dei  precedenti  commi  1-9 del medesimo
articolo  al  «novantesimo  giorno  successivo  alla data di chiusura
della  prima  offerta  pubblica di vendita». La disposizione prosegue
precisando che «ove, anteriormente alla predetta data, sia necessario
procedere  alla  nomina del Consiglio di amministrazione (...) a cio'
si  provvede  secondo le procedure di cui ai commi 7 e 9». Secondo il
Ministro,  il  rinvio alle procedure dei soli commi 7 e 9 impedirebbe
di  applicare  le  previsioni recate dal comma 8, che richiedono, per
l'assunzione   di   deliberazioni   di   revoca,   che  il  voto  del
rappresentante   del  Ministero  sia  espresso  in  conformita'  alla
deliberazioni  adottata  sul punto dalla Commissione parlamentare (v.
doc.  n. 3,  prot.  n. 311).  Come vedremo ampiamente piu' avanti, si
tratta  di  una  interpretazione  formalistica e certamente contraria
alla   ratio   della   disciplina   recata   dal  Testo  unico  della
radiotelevisione,  palesemente  ispirata  allo  scopo di garantire le
prerogative  dell'organo  parlamentare  ogniqualvolta  si  presentino
occasioni che possano compromettere il pluralismo dell'informazione e
l'utilizzo   democratico   dello   strumento   radiotelevisivo,  come
chiaramente  riaffermato  dal Presidente della Commissione nella nota
del 9 febbraio indirizzata al Ministro (prot. n. 313, v. doc. n. 4).
   In  verita', non si tratta della sola non applicazione del comma 8
in materia di revoca: e' chiaro, infatti, che se l'intera serie delle
disposizioni  oggetto  del  differimento  di entrata in vigore (cioe'
commi  1-9  dell'art.  49  del T.U.) dovesse ritenersi al momento del
tutto    inefficace,   risulterebbero   inapplicabili   anche   altre
significative  norme  indispensabili  per  l'attivita' della societa'
concessionaria  del  servizio  pubblico radiotelevisivo (quale ad es.
quella   del   comma  1,  che  legittima  lo  stesso  rilascio  della
concessione).
   In  ogni  caso,  l'11  maggio  2007  il  Presidente del Consiglio,
sollecitato  da  una  lettera  del  Ministro  dell'economia  e  delle
finanze,  comunicava al Presidente della Commissione la necessita' di
sostituire   il   consigliere   di   amministrazione  RAI  di  nomina
ministeriale,  prof.  Angelo Maria Petroni, essendo ormai venuto meno
il  rapporto  fiduciario  posto  alla  base della sua designazione. A
sostegno   di  tale  iniziativa,  si  adduceva  l'esistenza  di  «una
condizione   di   grave  e  perdurante  criticita'  gestionale  della
Societa',  riconducibile a difficolta' di funzionamento del Consiglio
di  amministrazione e alla costante divaricazione tra il Consiglio di
amministrazione  stesso  e il direttore generale» (prot. n. 533, doc.
n. 6).
   Il  coinvolgimento  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
appare,  come  si  vedra',  di  particolare  rilievo,  anche sotto il
profilo processuale.
   Il  16  maggio  il  Consiglio  di  amministrazione  della  RAI, su
richiesta  formulata  dal  Ministero  dell'economia  e delle finanze,
convocava  l'Assemblea  degli  azionisti  per  il  4  giugno in prima
convocazione  e  per il 5 giugno in seconda, per deliberare in merito
alla revoca del consigliere e provvedere alla sua sostituzione.
   Il  29  maggio  il  Presidente  della  Commissione  comunicava  al
Ministro  la  propria  intenzione  di convocare quanto prima l'organo
parlamentare,  al fine di assumere la necessaria deliberazione per la
revoca, a norma del comma 8 dell'art. 49 del T.U. (prot. n. 571, doc.
n. 9).   Tuttavia,   l'iter  della  proposta  di  revoca  iniziava  e
proseguiva  con  la convocazione dell'Assemblea degli azionisti della
RAI  da  parte  del  Consiglio  di  amministrazione,  senza  che alla
Commissione ne fosse data comunicazione formale.
   Il   successivo   5  giugno  l'Assemblea  degli  azionisti  veniva
aggiornata  all'11  giugno  per  tener  conto di quanto sarebbe stato
deciso   dal  Tribunale  amministrativo  regionale  Lazio  in  ordine
all'istanza   cautelare  medio  tempore  presentata  dal  consigliere
Petroni.
   In  data 7 giugno 2007 il Tribunale amministrativo regionale Lazio
sospendeva  in via provvisoria e cautelare la convocazione. Tuttavia,
in  data  31  luglio  2007,  il Consiglio di Stato annullava, in sede
d'appello,  la  sospensione  della  procedura  di revoca disposta dal
T.a.r.
   Il   successivo   l°   agosto   il  Presidente  della  Commissione
interpellava  per  iscritto  (prot.  n. 679,  doc. n. 12) il Ministro
dell'economia  e  delle  finanze  per verificare la sua intenzione di
tener ferma la proposta di revoca.
   In  particolare il Presidente della Commissione comunicava che, in
ragione  del  considerevole  lasso  di  tempo  intercorso dall'ultima
audizione  del  Ministro dell'economia e delle finanze e degli eventi
nel  frattempo  verificatisi, la Commissione riteneva utile una nuova
audizione  del  Ministro  e  del  Presidente della Rai, allo scopo di
accertare la persistenza delle ragioni allora addotte per la revoca e
al  fine  di  consentire  alla  Commissione di assumere le necessarie
deliberazioni  previste  dall'art.  49, comma 8 del Testo unico della
radiotelevisione.   A  tal  fine,  in  considerazione  dell'imminente
sospensione   estiva   dei   lavori  parlamentari,  comunicava  piena
disponibilita' ad una convocazione della Commissione anche durante il
detto  periodo  di  sospensione estiva, tale lettera, pero', rimaneva
senza risposta.
   Il  2  agosto il Ministro inviava una nuova richiesta al Consiglio
di  amministrazione per la convocazione di un'assemblea per la revoca
del  consigliere  Petroni. Il Consiglio di amministrazione, convocato
l'8  agosto,  non  riusciva  tuttavia  a  deliberare  la convocazione
dell'assemblea per il mancato raggiungimento del quorum costitutivo.
   Anche  nel  successivo Consiglio di amministrazione; convocato per
il  20  agosto,  mancava  il  quorum  costitutivo.  Per  risolvere la
situazione   di  stallo,  il  collegio  sindacale,  agendo  ai  sensi
dell'art.   2367  del  Codice  civile,  convocava  l'Assemblea  degli
azionisti il 10 settembre, in prima convocazione, e l'11 settembre in
seconda.
   Dopo  aver  appreso,  soltanto  in  via informale, che l'Assemblea
degli azionisti della RAI era stata nuovamente convocata per i giorni
10 ed 11 settembre 2007, il Presidente della Commissione si adoperava
per  garantire l'esercizio delle funzioni dell'organo parlamentare. A
tale scopo, convocava la Commissione per i giorni 4, 5 e 6 settembre,
nel tentativo di richiamare l'attenzione del Governo sulla necessita'
di  rispettarne  le  attribuzioni costituzionalmente riconosciute. In
particolare,   la   seduta  del  5  settembre  veniva  convocata  per
l'audizione  del  Ministro,  tuttavia  non intervenuto. La successiva
seduta del 6 settembre, invece, veniva convocata per la deliberazione
sulla proposta di revoca, ma la Commissione non raggiungeva il numero
legale.  Circostanza comunque irrilevante, dal momento che il Governo
non  ha  mai  mostrato ripensamenti sulla propria posizione negativa,
non  ha  mai  informato  la  Commissione,  non  ha  mai messo in atto
comportamenti  idonei  a  manifestare  l'intenzione  di rispettare le
attribuzioni  della  Commissione  di  vigilanza  nel  procedimento di
revoca.   Tant'e'   vero   che,   pur  potendo  attendere  una  nuova
convocazione  dell'organo  parlamentare,  il  Ministro  ha  scelto di
portare  avanti  l'iter  procedurale, incurante della imprescindibile
necessita'  di  garantire  alla  Commissione di vigilanza l'esercizio
delle   sue   attribuzioni   (specie   in   occasione  di  un  evento
potenzialmente  idoneo  a compromettere le garanzie di democraticita'
ed  imparzialita'  dell'informazione  radiotelevisiva,  quale  e'  la
revoca   di   un   consigliere  di  amministrazione  per  unilaterale
iniziativa  dell'Esecutivo).  Nella giornata di lunedi' 10 settembre,
l'Assemblea degli azionisti della RAI procedeva cosi' alla revoca del
consigliere  prof.  Angelo Maria Petroni ed alla sua sostituzione con
il dott. Fabiano Fabiani.
   Il  complessivo  comportamento tenuto dal Ministro dell'economia e
delle   finanze   e,  per  quanto  rileva,  sia  sostanzialmente  che
processualmente,   dal   Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  -
comportamento  culminato  nel  provvedimento  di revoca assunto senza
attendere  la  deliberazione  della Commissione di vigilanza - appare
gravemente lesivo delle competenze costituzionalmente garantite della
Commissione  parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei
servizi radiotelevisivi per le seguenti ragioni di
                            D i r i t t o
1)   Il   parametro   costituzionale  del  conflitto:  la  disciplina
costituzionale  dell'informazione  e  la «parlamentarizzazione» della
RAI.
   Nel    settore    dell'informazione    in    generale,   il   fine
costituzionalmente  imposto  deve  individuarsi  nell'obiettivita' da
raggiungersi  attraverso  la  garanzia  del  pluralismo  delle  fonti
notiziali.  Come tradizionalmente osservato in dottrina, il principio
del   pluralismo  informativo  e'  quello  che  assume  un'importanza
preminente    dal    punto    di    vista    logico   e   sistematico
nell'interpretazione dell'art. 21 della Costituzione che, certamente,
costituisce  il primo fondamento costituzionale anche per l'attivita'
radiotelevisiva  (cfr. gia' A. Loiodice, Informazione (diritto alla),
ad vocem, Enc. del Diritto, Milano 1971).
   E,  d'altronde, e' stato sostenuto che nelle statuizioni sui mezzi
di  diffusione  del  pensiero, l'unico limite assoluto e' che non sia
riservato  l'uso  di un mezzo in generale solo a manifestazioni di un
determinato   contenuto   (cfr.   C.   Esposito,   La   liberta'   di
manifestazione del pensiero nell'ordinamento italiano, Milano 1958).
   E'   quindi   il   pluralismo  la  condizione  indispensabile  per
raggiungere l'obiettivita' dell'informazione.
   Un   siffatto   principio,   tradotto  nell'ambito  dell'attivita'
radiotelevisiva   pubblica   comporta   che   essa  non  puo'  essere
considerata  appannaggio  esclusivo  delle scelte di maggioranza (sia
pure  sotto  il  controllo  parlamentare),  ma  richiede  un adeguato
contemperamento   di   tutti   gli   interessi  in  gioco  alla  luce
dell'indirizzo politico costituzionale.
   E'  ben  noto  come,  a  livello legislativo, l'affermazione della
centralita'  del  Parlamento  nel governo del sistema radiotelevisivo
pubblico  sia  da  attribuire  alla  legge n. 103 del 1975, mentre la
giurisprudenza costituzionale, negli stessi anni, attribuiva un ruolo
primario  all'organo direttamente rappresentativo della collettivita'
nazionale,   a   garanzia   del   pluralismo   e   dell'imparzialita'
dell'informazione  diffusa  attraverso  i  mezzi  di comunicazione di
massa.
   Sul punto, nella storica sentenza n. 224 del 1975 si legge che «la
radiotelevisione  adempie  a  fondamentali  compiti  di informazione,
concorre  alla formazione culturale del paese, diffonde programmi che
in   vario  modo  incidono  sulla  pubblica  opinione  e  percio'  e'
necessario  che  essa  non divenga strumento di parte». Sulla base di
questa premessa, codesta ecc.ma Corte ha prescritto nei confronti del
legislatore  ordinario  una serie di «comandamenti» volti a garantire
un   servizio   radiotelevisivo   pubblico,  il  cui  «esercizio  sia
preordinato   a   due  fondamentali  obiettivi:  a  trasmissioni  che
rispondano  alla esigenza di offrire al pubblico una gamma di servizi
caratterizzata  da  obbiettivita'  e completezza di in formazione, da
ampia   apertura   a  tutte  le  correnti  culturali,  da  imparziale
rappresentazione  delle  idee  che  si  esprimono  nella  societa'; a
favorire,  a  rendere  effettivo ed a garantire il diritto di accesso
nella misura massima consentita dai mezzi tecnici». Cio' comporta che
«in  mancanza  di  una  disciplina legislativa che imponga queste due
linee direttive e che predisponga gli strumenti all'uopo adeguati, il
mezzo  radiotelevisivo,  posto  nella libera disponibilita' di chi lo
gestisce, rischia (...) di essere un poderoso strumento a servizio di
parte,  non  certo a vantaggio della collettivita'. In altri termini,
il   monopolio   pubblico,  una  volta  libero  da  ogni  regola  che
correttamente  ed efficientemente ne disciplini l'esercizio, potrebbe
tendere  a fini e portare a risultati diametralmente opposti a quelli
voluti  dalla  Costituzione».  Codesta  ecc.ma Corte, lungi dal voler
«esprimere  alcun giudizio sul modo col quale i mezzi radiotelevisivi
sono stati (...) gestiti», mossa invece dall'intenzione di «adempiere
al   suo  dovere  di  accertare  quali  siano  le  condizioni  minime
necessarie  perche'  il  monopolio  statale  possa essere considerato
conforme  ai principi costituzionali», ha individuato i cardini della
nuova  e  necessaria  disciplina  legislativa di riordino del sistema
radiotelevisivo nei seguenti principi informatori: a) «che gli organi
direttivi  dell'ente  gestore  (si  tratti  di  ente  pubblico  o  di
concessionario  privato  purche' appartenente alla mano pubblica) non
siano   costituiti   in   modo   da   rappresentare   direttamente  o
indirettamente  espressione,  esclusiva  o  preponderante, del potere
esecutivo   e   che   la   loro  struttura  sia  tale  da  garantirne
l'obiettivita»;  b)  «che vi siano direttive idonee a garantire che i
programmi di informazione siano ispirati a criteri di imparzialita' e
che i programmi culturali, nel rispetto dei valori fondamentali della
Costituzione,  rispecchino  la  ricchezza  e  la  molteplicita' delle
correnti  di  pensiero»;  c) «che per la concretizzazione di siffatte
direttive  e  per  il  relativo controllo siano riconosciuti adeguati
poteri  al  Parlamento,  che  istituzionalmente  rappresenta l'intera
collettivita' nazionale».
   E'  dunque nella sentenza n. 225 del 1974 che codesta ecc.ma Corte
ha  previsto,  in termini espliciti, l'attribuzione al Parlamento (o,
se  del caso, ad un suo organo interno) del compito di specificare le
direttive,  gia'  contenute  in  linea  generale dalla legge, volte a
garantire  la  imparzialita'  ed  il  pluralismo  e  di effettuare il
relativo controllo. Ma cio' che rende tale pronuncia determinante per
l'affermazione  della  essenzialita'  del  ruolo del Parlamento e' la
circostanza  che  la  Corte  non  si  e'  voluta  fermare  alla  mera
enunciazione  di  principio:  ammonita  dall'esperienza  delle  leggi
allora  in  vigore,  «palesemente  insufficienti  ad assicurare serie
direttive  in  ordine  ai  programmi  ed  a  consentire un efficiente
controllo   del   Parlamento»,  ha  richiesto  il  riconoscimento  di
«adeguati   poteri»   a   favore  dell'organo  rappresentativo  della
collettivita' nazionale.
   Questa   decisione,  nell'enunciare  la  stretta  connessione  tra
pluralismo dell'informazione ed indipendenza del servizio pubblico di
radiotelevisione  dall'Esecutivo, ha definitivamente aperto la strada
verso la «parlamentarizzazione» del sistema radiotelevisivo pubblico,
spostando  il  centro di determinazione delle scelte generali in tale
settore  a  favore  dell'organo  rappresentativo  della collettivita'
nazionale.
   In  tal  modo, secondo autorevole dottrina, la sentenza n. 225 del
1974 (unitamente alla successiva n. 226) ha impresso un'accelerazione
decisiva al dibattito parlamentare sulla riforma della disciplina del
monopolio pubblico radiotelevisivo (cfr. P. Caretti, Diritto pubblico
dell'informazione,  Bologna  1994), concretizzatasi nell'approvazione
della legge n. 103 del 1975. Tale provvedimento ha segnato, sul piano
normativo,  il  primo  e concreto tentativo di abbandonare la storica
ingerenza   dell'Esecutivo  in  materia  radiotelevisiva,  attraverso
l'attribuzione  di  una serie di competenze gestionali e di controllo
alla  Commissione  bicamerale  gia' attiva in questo settore dal 1947
(D.  lgs.  C.  P.  S. 3 aprile 1947, n. 428), che con la legge n. 103
assunse  la denominazione di Commissione parlamentare per l'indirizzo
generale  e  la  vigilanza  dei  servizi radiotelevisivi. La suddetta
Commissione  veniva  dunque  investita  di  significativi  poteri  di
influenza  (come  quelli di indirizzo generale, di determinazione del
tetto  pubblicitario,  etc.)  sull'unico  polo radiotelevisivo allora
riconosciuto  dall'ordinamento (quello pubblico operante in regime di
monopolio);  venivano cosi' attratti in area parlamentare i poteri di
nomina  di una parte rilevante del Consiglio di amministrazione della
Concessionaria pubblica.
   In definitiva, veniva acquisito il principio della centralita' del
Parlamento nell'area di quella vasta serie di scelte, determinazioni,
indirizzi,  controlli, che concorrono a vario titolo al «governo» del
sistema.
   Nella  giurisprudenza  costituzionale  successiva  torna spesso la
definizione  della  radiodiffusione  sonora  e  televisiva  su  scala
nazionale   come   «servizio  pubblico  essenziale  e  di  preminente
interesse  generale»  (sent. n. 202 del 1976, v. anche sent. n. 7 del
1995).  Ma  ancor di piu' e' sottolineata la necessita' di un sistema
imparziale  e  aperto  al  pluralismo. Nella sentenza n. 148 del 1981
codesta  ecc.ma  Corte  ha  affermato  che  «non  si puo' minimamente
dubitare  che,  nell'attuale  contesto  storico,  la radiotelevisione
soddisfi  un  bisogno essenziale della collettivita' e che, pertanto,
essa    debba   qualificarsi   un   servizio   pubblico   essenziale,
caratterizzato  da  quel  preminente  interesse generale che la norma
costituzionale  dell'art.  43  richiede  perche' legittimamente possa
esserne  disposta  la  riserva  allo  Stato,  senza per questo essere
incompatibile  con  l'art.  21  Costituzione,  dato  che il monopolio
pubblico  deve  essere inteso e configurato come necessario strumento
di   allargamento   dell'area   di   effettiva  manifestazione  della
pluralita'  delle  voci  esistenti  nella nostra societa». Richiamate
ancora una volte le precedenti sentt. n. 225 e 226 del 1975, la Corte
ha  invero approfondito la propria analisi al riguardo esplicitamente
affermando:  «1)  che  la  radiotelediffusione adempie a fondamentali
compiti  di  informazione;  2) che concorre alla formazione culturale
del paese; 3) che diffonde programmi che in vario modo incidono sulla
pubblica  opinione»;  ed  ha  concluso essere percio' necessario «che
essa non divenga strumento di parte».
   Il  termine  «parlamentarizzazione»  compare  espressamente  nella
successiva  sentenza  n. 194  del  1987,  dove si legge che «non puo'
negarsi  che  il  servizio radiotelevisivo (definito dalla legge come
servizio  pubblico  essenziale  a  carattere  di preminente interesse
generale in evidente riferimento alla problematica della legittimita'
della  riserva  statale  sotto  il  profilo di cui agli artt. 41 e 43
Cost.)  e'  un  servizio  sociale,  in  quanto diretto ad assicurare,
agevolando  la  circolazione  delle idee, l'effettivita' della libera
manifestazione  del pensiero e della libera informazione, considerate
come  due  aspetti  essenziali  ed  inscindibili  di  un unico valore
costituzionalmente  protetto  in  via  primaria  dall'art.  21  Cost.
[...]».  In  questa  circostanza la Corte ha inoltre affermato che il
servizio  radiotelevisivo,  qualificato  come  servizio  sociale,  si
connota  per  il  suo elevato grado di democraticita' rappresentativa
derivante   «dalla  sua  strutturazione  nell'orbita  del  Parlamento
("parlamentarizzazione")»,  e  ha  aggiunto che questo dato obiettivo
non  vale a «sottrarre il suo funzionamento ad ogni sindacato esterno
senza  danno  o  pericolo  per quel valore che il servizio e' volto a
promuovere  in  relazione  a  tutte  le manifestazioni del pluralismo
sociale  e  ideologico, ivi comprese, ed anzi particolarmente, quelle
minoritarie o addirittura non aventi voce in Parlamento».
   Ecco,  quindi, che la disciplina dei mass-media, ed in particolare
della  radiotelevisione,  deve  essere  funzionalizzata non solo alla
tutela  della  liberta'  di espressione, ma anche alla garanzia della
liberta'  di  informazione  e  al piu' ampio pluralismo. Si tratta di
condizioni  che  non  possono  che essere garantite dal Parlamento, e
dagli organi istituzionalmente chiamati ad esprimere la sua volonta',
quale   potere  rappresentativo  dei  diversi  e  numerosi  interessi
presenti nella societa' e incarnazione del principio democratico.
   Il   Parlamento,   in   quanto   espressione   e   sintesi   della
partecipazione   popolare   alla   politica,   costituisce   la  sede
istituzionale  naturale nella quale il principio pluralista, che deve
informare  l'intero  settore  radiotelevisivo  pubblico trova la piu'
efficace  garanzia,  sia con riferimento all'accesso delle formazioni
sociali  all'uso  dei  mezzi  radiotelevisivi,  sia  con  riguardo  a
meccanismi che garantiscano la presenza di una pluralita' di fonti di
informazione.   Proprio  tale  organo,  e  per  esso  la  Commissione
parlamentare   per   l'indirizzo   e   la   vigilanza   dei   servizi
radiotelevisivi,   viene   al   contrario   svalutato  ed  emarginato
dall'azione del Ministro dell'economia e delle finanze.
   La   «parlamentarizzazione»   del   servizio   radiotelevisivo   -
caratteristica in forza dalla quale, come ha affermato codesta ecc.ma
Corte,  tale  servizio  e' messo in condizione di connotarsi in senso
pienamente  democratico e rappresentativo del piu' ampio pluralismo -
implica  la  doverosa  vigilanza da parte dell'organo parlamentare su
tutte  le  vicende  relative  alla  RAI  da  cui  potrebbero derivare
conseguenze  negative per la libera manifestazione del pensiero e per
la  libera  informazione.  Vigilanza che non si limita ad un generico
controllo    sulle    modalita'   di   accesso   e   di   espressione
dell'informazione resa al pubblico, ma che si estende necessariamente
a qualunque attivita' suscettibile di interferire con i meccanismi di
funzionamento   dell'ente   incaricato   di   prestare   il  servizio
radiotelevisivo.
   E'  inutile  negare  che  l'avvento  delle  televisioni private ha
modificato  la  situazione:  oggi  il  pluralismo  da  garantire e da
difendere  non  e'  piu'  solo  quello  «interno»,  ma  anche  quello
«esterno».  E'  innegabile  che  le  regole dettate dalla Corte sulla
parlamentarizzazione  della  televisione  pubblica  rispondono ad una
insopprimibile esigenza di tutela del pluralismo interno, che appare,
oggi  come  ieri  e  anche  in  un assetto futuro, costituzionalmente
necessaria.
   Occorre ora soffermarsi sulla legittimazione a sollevare conflitto
di attribuzione tra poteri dello Stato della Commissione parlamentare
per  l'indirizzo  generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi
e, a seguire, sulla legittimazione passiva del Ministro dell'economia
e delle finanze e del Presidente del Consiglio dei ministri.
   2)  Legittimazione al conflitto della Commissione parlamentare per
l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.
   In  base  all'art.  37  della legge n. 87 del 1953 il conflitto di
attribuzione  tra  poteri  dello  Stato  puo'  insorgere  tra «organi
competenti  a  dichiarare  definitivamente la volonta' del potere cui
appartengono  e  per  la  delimitazione  della  sfera di attribuzioni
determinata per i vari poteri da norme costituzionali».
   In  realta', non e' possibile indicare un elenco finito dei poteri
dello  Stato,  che non costituiscono un numerus clausus, non solo per
la  costante evoluzione della giurisprudenza costituzionale, ma anche
in   ragione   dell'ampia   possibilita'  di  «frammentazione»  delle
attribuzioni  costituzionali,  utili  ad  individuare  un  potere  se
combinate  con  le  specifiche competenze e consuetudini pratiche che
concretamente caratterizzano le attivita' dei singoli organi.
   Il  concetto  di  «potere  dello  Stato»  ha  formato  oggetto  di
un'interpretazione  estensiva,  al  punto  che  un'ormai  consolidata
giurisprudenza costituzionale fa rientrare tra i soggetti legittimati
al  conflitto  di  attribuzione  tra  poteri dello Stato sia i cc.dd.
poteri-organo,  cioe' i poteri che si risolvono strutturalmente in un
solo   organo   e   che  non  sono  riconducibili  alla  tradizionale
tripartizione,  sia  i  cc.dd.  organi-poteri,  ovvero gli organi che
detengono  un  potere  diffuso  ovvero che, pur facendo parte di piu'
vasti  complessi  organizzatori,  si  configurano  come  poteri a se'
stanti  a  causa  di  una loro posizione sostanzialmente autonoma nel
sistema costituzionale.
   Infatti,  codesta  ecc.ma Corte ha precisato che «la cerchia degli
organi  competenti  a  dichiarare  definitivamente  la  volonta'  del
potere»  a  cui  appartengono  e'  piu'  ampia di quella degli organi
comunemente  indicate come «supremi» (cosi' nelle ordd. nn. 228 e 229
del  1975);  inoltre  nella  sentenza n. 231 del 1975, codesto ecc.mo
Giudice delle leggi ha rilevato come «l'art. 37 della legge n. 87 del
1953,  nel  definire i conflitti tra poteri la cui risoluzione spetta
alla Corte costituzionale, non muove dal criterio della definitivita'
degli  atti  che  ne  possono  essere  all'origine, che' anzi in tali
conflitti (...) un atto puo' addirittura mancare, essendo sufficiente
a  determinarli un mero comportamento, anche omissivo; ma designa gli
organi  legittimati  a  sollevarli  e a resistervi alla stregua della
loro  capacita'  di impegnare l'intero potere» ed ha precisato che la
norma, in tale ordine di idee, non fa riferimento «agli organi che in
concreto  abbiano  dichiarato definitivamente la volonta' del potere,
quanto  invece  agli  organi  a cio' "competenti", vale a dire che ne
abbiano l'astratta possibilita».
   Con  particolare riferimento al potere legislativo, codesta ecc.ma
Corte  ha riconosciuto la legittimazione al conflitto di attribuzione
tra  poteri  dello  Stato  ai singoli organi parlamentari, sempreche'
godano   di  autonomia  nell'esercizio  delle  proprie  funzioni.  Di
conseguenza   le  Commissioni  parlamentari  che  siano  titolari  di
specifiche   attribuzioni,   autonomamente   esercitate  sono  organi
legittimati  al  conflitto,  in quanto organi-potere che, pur facendo
parte   del  piu'  vasto  complesso  organizzatorio  del  Parlamento,
occupano  tuttavia  una  posizione  peculiare  e distinta nel sistema
costituzionale  e sono in grado di dichiarare la volonta' dell'organo
di cui sono promanazione.
   D'altra  parte,  in  settori differenti, ma pur sempre nell'ambito
parlamentare,  la  legittimazione al conflitto e' stata riconosciuta,
per  esempio,  alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno
della   mafia,   atteso   che   «alle  Commissioni  d'inchiesta  deve
riconoscersi,   (ed   e'  positivamente  riconosciuta)  un'amplissima
autonomia,  tanto piu' quando (...) siano istituite con legge e senza
prefissione  di  termini,  quindi destinate a durare oltre le singole
legislature» (sent. n. 231 del 1975).
   E'  ben vero che la legittimazione per le commissioni di inchiesta
trova copertura nei poteri previsti esplicitamente dall'art. 82 della
Costituzione; tuttavia sin dalla sua nascita, avvenuta come ricordato
con  d.lgs.  C.  P.  S.  3  aprile  1947, n. 428, alla Commissione di
vigilanza   sono   stati   attribuiti  incisivi  poteri  sul  sistema
radiotelevisivo   pubblico   ed   essa  ha  costituito  lo  strumento
istituzionale  attraverso  cui il Parlamento ha esercitato le proprie
prerogative  di  indirizzo  generale e di controllo nel settore della
radiotelevisione.  In  particolare, per la Commissione di vigilanza i
poteri sono definiti dall'art. 50 del T.U. della radiotelevisione.
   Per  quanto  qui  interessa,  codesta  ecc.ma  Corte ha gia' avuto
occasione  di  precisare  che  la Commissione di vigilanza e' «organo
competente  a dichiarare definitivamente la volonta' della Camera dei
deputati e del Senato della Repubblica in una materia che, come nella
specie, attiene direttamente all'informazione» (ord. n. 171 del 1997;
v.  anche la successiva ord. n. 137 del 2000). Del resto, gli atti di
indirizzo  della  Commissione parlamentare nei confronti del servizio
pubblico   radiotelevisivo   «sono  intesi  ad  assicurare,  in  tale
servizio,  la  realizzazione  del  principio  del  pluralismo  e sono
pertanto espressione di una attribuzione costituzionale» (sent. n. 49
del 1998).
   Tali  argomentazioni  consentono, dunque, di ritenere che nel caso
di  specie  la  legittimazione  ad  essere  parte  di un conflitto di
attribuzione  tra  poteri  dello Stato debba essere riconosciuta alla
Commissione  parlamentare  per l'indirizzo e la vigilanza dei servizi
radiotelevisivi.
   Sono  proprio  i poteri di indirizzo, di controllo, di vigilanza e
le  altre  competenze  direttamente connesse al valore costituzionale
del  pluralismo  a  giustificare  il  compiuto  riconoscimento  delle
attribuzioni di rilevanza costituzionale dell'organo bicamerale. Se a
cio'  si aggiunge, da un lato, l'ampio margine di discrezionalita' di
cui  la  Commissione  gode  nell'esercizio  delle sue attribuzioni e,
sotto   altro   profilo,   il  carattere  compiutamente  parlamentare
dell'organo  -  che gli attribuisce sicura competenza ad esprimere la
volonta' dell'organo supremo da cui promana - la legittimazione della
Commissione  stessa  quale  parte  del  conflitto  tra  poteri, nella
prospettiva  gia'  accolta  da codesta ecc.ma Corte, appare con tutta
evidenza.
   3)
   In  relazione  alla legittimazione all'interno di un conflitto tra
poteri dello Stato da parte del potere esecutivo, e' noto che codesta
ecc.ma  Corte  ha  tradizionalmente assunto un atteggiamento alquanto
rigoroso.  Di fronte, infatti, alla posizione complessiva del Governo
e  alla  vasta  gamma  di  poteri e funzioni da esso esercitate nelle
varie  situazioni,  la Corte ha spesso considerato tutte le attivita'
svolte  dal  Governo,  anche  singolarmente dai diversi organi che lo
compongono,  come  riconducibili  al  Governo  nella  sua  interezza.
Pertanto,  muovendo  dalla  considerazione  secondo  la  quale quello
esecutivo non costituirebbe un «potere diffuso» (v. ex plurimis, ord.
n. 123  del  1979),  ha riconosciuto a favore del solo Presidente del
Consiglio  dei  ministri,  in  qualita' di rappresentante dell'organo
nella  sua  unita',  la  capacita'  di  essere  parte  del  conflitto
costituzionale.
   Ma e' altrettanto vero che rispetto a questo principio, attorno al
quale  si  e' sviluppato un solido orientamento giurisprudenziale, e'
stata  proprio  codesta  ecc.ma  Corte  a riconoscere alcune deroghe,
attribuendo la legittimazione passiva al singolo Ministro.
   E  lo  ha  fatto,  da un lato, nei confronti di quelle fattispecie
all'interno  delle  quali  si discuteva di competenze direttamente ed
esclusivamente conferite al Ministro della giustizia dagli artt. 107,
secondo  comma, e 110 della Costituzione (cfr. sent. n. 420 del 1995;
ordd. nn. 38 del 1986, 216 del 1995); dall'altro, rispetto ad un caso
unico  ed  isolato sorto a seguito di un voto di sfiducia individuale
espresso  dal  Parlamento  nei confronti di un singolo Ministro (ord;
n. 470 del 1995 e sent. n. 7 del 1996).
   Ora,  a  ben  vedere,  al  di  la'  delle  indubbie differenze che
connotano  le  due  ipotesi  derogatorie,  non  puo' certo sfuggire a
codesta  ecc.ma  Corte come esse risultino al tempo stesso accomunate
dalla  peculiarita'  e  dalla  irripetibilita'  della posizione nella
quale si evenuto a trovare il Ministro.
   In  un  caso,  tale specificita' e' determinata direttamente dalla
Costituzione   che   attribuisce   al  Ministro  della  giustizia  un
particolare  «ruolo  istituzionale»  (cfr.  ord.  n. 354 del 2005) in
ragione  del  fatto  che  egli  e'  l'unico titolare delle competenze
determinate    dall'art.    110    della    Costituzione   «afferenti
all'organizzazione  e  al  funzionamento  dei  servizi  relativi alla
giustizia»  (cosi'  sent.  n. 380  del  2003).  L'essere  titolare di
siffatte  competenze  rende  il  Ministro della giustizia in un certo
senso  autonomo  e  indipendente  rispetto all'organo Governo nel suo
complesso  in  modo  tale da risultare idoneo ad esprimere in maniera
definitiva  la  volonta'  di un potere dello Stato e quindi ad essere
parte  di  un  conflitto.  Nell'altro  caso,  essa si e' realizzata a
seguito  di  una  fattispecie  peculiare  nella  quale si e' venuto a
trovare  un  singolo  Ministro  sfiduciato individualmente dal Senato
della Repubblica e rimosso dal Presidente del Consiglio dei ministri.
In  questa  occasione,  infatti, codesta ecc.ma Corte ha si' premesso
che «il contrasto che eventualmente insorga fra un potere dello Stato
ed  il  singolo  Ministro  si  profila come conflitto che interessa e
coinvolge  l'intero  Governo».  Ma  poi  ha  differenziato:  «diverso
discorso  va,  invece, fatto quando la posizione del singolo Ministro
sia  messa in discussione da una mozione di sfiducia individuale che,
investendone l'operato, lo distingua e lo isoli dalla responsabilita'
correlata  all'azione  politica  del Governo nella sua collegialita',
dando  luogo  non  solo ad una sua specifica legittimazione sul piano
del   conflitto   con  le  Camere,  ma  comportando  anche  peculiari
implicazioni sul piano della responsabilita' individuale» (sent. n. 7
del 1996).
   I  casi  menzionati  sono  la dimostrazione di come la Corte abbia
comunque  interpretato  l'art.  37 della legge n. 87 del 1953 in modo
rigoroso ma non tassativo, aprendo la legittimazione passiva anche ai
singoli  Ministri (per un'apertura in tal senso, si veda anche l'ord.
n. 131  del  1997 in riferimento al Ministero dell'interno, posto che
la  pronuncia  di  inammissibilita'  ha  riguardato  solo  i  profili
oggettivi)  nei  casi in cui questi abbiano assunto, per attribuzioni
conferite  direttamente  dalla Costituzione o per situazioni dovute a
particolari  rapporti  intervenuti  tra  organi  costituzionali,  una
posizione  di  assoluto  rilievo  costituzionale  tale  per  cui essi
potessero esprimere il potere indipendentemente dall'organo esecutivo
nel suo complesso.
   Quindi,  codesta  ecc.ma Corte ha gia' mostrato di voler intendere
la  competenza  ad  impegnare  definitivamente  il  potere  in  senso
potenziale,   non   occorrendo  il  carattere  superiore  dell'organo
rispetto  ad  altro  dello  stesso complesso organizzativo, bensi' la
capacita'  dello  stesso  organo,  il  rilievo  giuridico  per  poter
impegnare   il   potere:   il   requisito   indispensabile   per   la
legittimazione    sembra    dunque   essere   quello   dell'esercizio
indipendente di attribuzioni di natura costituzionale.
   Nel  caso  del  potere  esecutivo,  se  e'  vero  come  piu' volte
ricordato  da  codesta  ecc.ma  Corte, che non si tratta di un potere
diffuso,  e'  altrettanto vero che certamente si e' in presenza di un
potere  di natura complessa, caratterizzato da alcuni organi ciascuno
dei quali gode di autonome attribuzioni costituzionalmente protette e
come  tali,  costituenti  a  loro  volta poteri dello Stato ancorche'
operanti all'interno della piu' generale ed ampia funzione esecutiva.
   In  definitiva,  sussistono  valide  argomentazioni  per sostenere
l'estensione della legittimazione ad essere parte di un conflitto tra
poteri  dello  Stato.  E  tale  estensione investe necessariamente il
Ministero  dell'economia  e  delle  finanze  che,  quale azionista di
maggioranza  della  RAI  S.p.a., ricopre una funzione rappresentativa
del  Governo  ma comunque autonoma rispetto allo stesso organo inteso
nella sua interezza. Per i poteri del Ministro, dell'economia e delle
finanze,  si  vedano ancora i commi 7 e 8 dell'art. 49 del T.U. della
radiotelevisione.
   In  ogni  caso,  qualora  presso codesta ecc. ma Corte non dovesse
trovare  accoglienza  la suddetta tesi estensiva, volta a riconoscere
la  legittimazione  passiva al conflitto del Ministro dell'economia e
delle  finanze,  i  caratteri  del  conflitto  qui portato a giudizio
innanzi  a  codesta  ecc.ma Corte ben consentono di ritenere che tale
legittimazione  passiva  spetti  comunque al Presidente del Consiglio
dei  ministri,  in proprio e quale organo legittimato ad esprimere la
volonta'  dell'intero  organo Governo. Si tratta di un esito conforme
alla   struttura   desumibile   dal   1   comma  dell'art.  95  della
Costituzione,  in  forza  del  quale  il Presidente del Consiglio dei
ministri   dirige   la   politica   generale  del  Governo  e  ne  e'
responsabile,  mantenendo  altresi' l'unita' di indirizzo politico ed
amministrativo   e   coordinando   l'attivita'   dei   ministri   (in
particolare,  l'art.  11 del T.U. della radiotelevisione conferma che
rimangono   ferme   le  competenze  attribuite  alla  Presidenza  del
Consiglio dei ministri).
   Infatti   il   responsabile  dell'Esecutivo,  nella  riunione  del
Consiglio  dei  ministri  del  giorno  11  maggio  2007  informava  i
componenti   del  Governo  di  una  lettera  pervenuta  dal  Ministro
dell'economia  che  dava  notizia  della  situazione  gestionale e di
perdurante  crisi  della Rai e anticipava l'intenzione di trasmettere
tale  comunicazione  alla  Commissione  di vigilanza. Dando seguito a
quanto  preannunciato, con lettera dello stesso 11 maggio indirizzata
al  Presidente  della  Commissione  di  vigilanza,  il Presidente del
Consiglio  dei  ministri  ha  esplicitamente  affermato  di convenire
«pienamente  con  la  valutazione  del Ministro dell'economia e delle
finanze»  ed  ha  espresso  pieno  accordo  in  ordine  alla asserita
inderogabile necessita' di porre in essere «la sola iniziativa che il
Ministro  dell'economia  e delle finanze puo' efficacemente assumere»
individuando   la  stessa  «nella  sostituzione  del  consigliere  di
amministrazione  Rai»  e  mostrando  cosi'  di  non  tenere in alcuna
considerazione   le   prerogative   che  la  legge  attribuisce  alla
Commissione parlamentare nel procedimento di revoca.
   Il  Presidente  del  Consiglio dichiarava infine che avrebbe fatto
«immediatamente  seguito da parte dello stesso Ministero la richiesta
di  convocazione  dell'Assemblea  della RAI S.p.a. con all'ordine del
giorno  la  revoca  del  consigliere  di  amministrazione nominato su
indicazione  del  socio  di  maggioranza»,  non  mostrando la benche'
minima   considerazione  per  le  prerogative  della  Commissione  di
vigilanza  nel  procedimento di revoca. In tal modo il Presidente del
Consiglio dei ministri ha pienamente condiviso l'operato del Ministro
e   ha   cosi'   dato   pieno   avallo   governativo  all'illegittimo
comportamento qui contestato.
   4)
   Una volta che e' stata enunciata la vicenda da cui trae origine il
qui   presente   conflitto,   una   volta  individuato  il  parametro
costituzionale  espresso  dal  principio  della  parlamentarizzazione
della RAI, e una volta che e' stata dimostrata la legittimazione (sia
sotto il profilo attivo che sotto quello passivo), emerge in tutta la
sua nitidezza l'oggetto del conflitto stesso: il comportamento tenuto
dal  Ministro  dell'economia  si e' generato, sviluppato, protratto e
infine  concretizzato  (con  l'atto  di revoca) in totale ed assoluto
spregio   delle   attribuzioni   costituzionali   riconosciute   alla
Commissione  parlamentare  per l'indirizzo e la vigilanza dei servizi
radiotelevisivi.
   E'  noto a codesta ecc.ma Corte come l'oggetto di un conflitto tra
poteri   dello  Stato  non  debba  consistere  necessariamente  nella
rivendicazione, da parte di un organo, di un potere da altro usurpato
(c.d.  vindicatio  potestatis),  ma  ben  possa  concretizzarsi nella
contestazione,  non  della  titolarita'  di  un potere altrui, quanto
della  concreta  modalita'  di esercizio dello stesso quando siffatta
modalita'  impedisce, di fatto, all'altro organo il pieno svolgimento
di  competenze  costituzionalmente  assegnate (si tratta dell'ipotesi
del  conflitto  da  menomazione:  cfr. ex plurimis Corte cost., sent.
n. 204 del 1991 e la ivi richiamata sent. n. 110 del 1970).
   E nella fattispecie qui in questione, e' di tutta evidenza come il
Ministro  dell'economia  e  delle  finanze  abbia agito come se fosse
l'unico soggetto titolare di poteri nella determinazione della revoca
di  un  consigliere di amministrazione della RAI S.p.a., ignorando le
attribuzioni  di  natura  costituzionale  spettanti  alla  ricorrente
Commissione di vigilanza.
   Rispetto   ad  un  inconfutabile  quadro  costituzionale,  ad  una
uniforme  interpretazione  fornita  ripetutamente  da  codesta ecc.ma
Corte, ad una prassi consolidata negli anni e persino rispetto ad una
disposizione di legge inequivocabile (art. 49, comma 8 del T.U. della
radiotelevisione),  che  insieme hanno costruito il principio secondo
cui anche le scelte attinenti i profili gestionali della RAI, proprio
in  ragione  della  stretta connessione con la funzione del servizio,
devono  comunque  essere  riconducibili  all'ambito  parlamentare, il
Ministro  dell'economia  ha ritenuto di poter avviare e concludere il
procedimento   di   revoca   nei   confronti  di  un  consigliere  di
amministrazione della RAI senza la preventiva volonta' conforme della
commissione di vigilanza.
   Una  volonta'  che, al contrario, e' costituzionalmente necessaria
ed   imprescindibile   alla  luce  della  posizione  ricoperta  dalla
commissione quale organo parlamentare capace di manifestare nella sua
pienezza la volonta' del Parlamento nel settore radiotelevisivo.
   In tal modo, il Ministro ha illegittimamente ricollocato la stessa
RAI sotto il controllo esclusivo dell'Esecutivo.
   Ma  vi  e'  di  piu'.  Il comportamento del Ministro e' ancor piu'
grave,  e  quindi  lesivo  delle  attribuzioni  della  Commissione di
vigilanza, in quanto ha eluso in maniera evidente il rispetto di quel
principio  di  «ideale  collaborazione»  che  proprio  codesta ecc.ma
Corte,  mutuandolo dai rapporti tra Stato e regioni, ha espressamente
prescritto  anche  nei  rapporti  tra  organi  dello  Stato quando le
reciproche competenze vengono ad intrecciarsi tra loro.
   Ed  infatti,  nella sentenza n. 379 del 1992, codesta ecc.ma Corte
estata   chiamata  a  pronunciarsi  su  un  conflitto  sollevato  dal
Consiglio  superiore della magistratura nei confronti del Ministro di
grazia  e  giustizia  avente  ad oggetto la procedura di conferimento
degli  uffici  direttivi  che,  secondo quanto disposto dall'art. 11,
comma  3,  della  legge  n. 195  del  1958,  prevede  la delibera del
Consiglio   superiore   su   proposta  della  competente  commissione
formulata  di  concerto  con  il  Ministro.  Ebbene  rispetto  a tale
procedura  che  coinvolge piu' soggetti istituzionali, appartenenti a
poteri dello Stato diversi, codesta ecc.ma Corte, dopo aver precisato
che  per  concerto debba intendersi «non gia' con un atto sostanziale
di  assenso  o  divieto,  ma  (...)  un  attivita'  di  concertazione
finalizzata  alla  formulazione di una proposta comune», ha affermato
che  «sulla  base  di  un'interpretazione  dell'art. 11, terzo comma,
adeguata  ai  principi  costituzionali  la  commissione del Consiglio
superiore  competente  a  formulare le proposte di conferimento degli
incarichi  direttivi  non  puo'  inoltrare le proprie designazioni al
plenum  del  Consiglio  medesimo  se non dopo aver svolto una seria e
approfondita  opera  di concertazione diretta al fine sopra indicato.
E,  poiche'  tale attivita' inerisce a un procedimento comportante il
concorso di organi o soggetti distinti nell'esercizio di una funzione
pubblica  di  rilievo  costituzionale - i quali pertanto, come questa
Corte  ha  gia'  precisato  (v.  sent. n. 80 del 1989), sono tenuti a
comportarsi  secondo  i  principi della correttezza nei loro rapporti
reciproci  e  nel  rispetto  sostanziale  dell'altrui  autonomo ruolo
(...) -  il  modulo  procedimentale del concerto, previsto dal citato
art.  11,  comporta che la relativa attivita' debba essere svolta nel
pieno rispetto del principio costituzionale di leale cooperazione».
   E  nell'ambito  di  tale  leale  cooperazione,  la  Corte piu' che
stabilire  cio'  che gli organi devono fare, ha chiaramente precisato
cio'  che  non  devono  fare: «non possono dar luogo ad atteggiamenti
dilatori,   pretestuosi,   ambigui,  incongrui  o  insufficientemente
motivati,  di  modo  che  il  confronto  possa  avvenire  su  basi di
correttezza e di apertura alle altrui posizioni».
   In  definitiva  codesta  ecc.ma  Corte, nella fattispecie relativa
alla  preposizione  agli incarichi direttivi degli uffici giudiziari,
ha  ravvisato  l'interesse pubblico e l'esigenza costituzionale a che
l'esercizio  delle  relative  competenze  da parte dei diversi organi
coinvolti   avvenga   nel   rispetto   del   «dovere   di   reciproca
collaborazione»  che  deve  essere volta, per quanto possibile, a una
«convergenza  fra le parti». E tanto e' fondamentale tale convergenza
che  l'eventuale  «"rifiuto  del  concerto"  da  part.e  del Ministro
dev'essere  motivato,  non gia' da semplici divergenze, ma da gravi e
insuperabili  contrasti  sulla  proposta  da  formulare».  E'  ancora
opportuno  evidenziare come la Corte «al fine di verificare se si sia
effettivamente  svolta  ovvero  sia  mancata un'adeguata attivita' di
concertazione,  ispirata  al  principio della leale cooperazione», ha
reputato   necessario   «procedere  all'esame  dei  comportamenti  in
concreto tenuti dalle parti in sede di concerto».
   Questo  importante  precedente giurisprudenziale di codesta ecc.ma
Corte    offre   due   rilevanti   indicazioni:   in   primo   luogo,
l'indefettibile  necessita'  che  rispetto  a situazioni di interesse
pubblico  e  che rispondono ad esigenze costituzionali, gli eventuali
organi chiamati a regolarle, anche quando appartenenti a poteri dello
Stato  diversi,  esercitino  le  proprie competenze in conformita' al
principio  di leale collaborazione; in secondo luogo, che la verifica
della  rispondenza  a  tale  principio puo' essere svolta dalla Corte
costituzionale  in modo diretto sui singoli e specifici comportamenti
degli organi stessi.
   Ebbene,  nel  complesso  dei  comportamenti  tenuti  dal  Ministro
dell'economia, non solo e' impossibile rintracciare la benche' minima
apertura  verso  una  «leale collaborazione», ma vi e' addirittura un
totale disconoscimento del ruolo e delle competenze della Commissione
di  vigilanza.  Il  che  e' ancora piu' grave se si considera come la
legge  (art.  49,  comma  8  del  T.U.)  non  richiede al Ministro di
limitarsi  ad  agire  di concerto con la Commissione di vigilanza, ma
prescrive  che  il  voto  del  suo  rappresentante  sia  espresso  in
conformita'  alla  deliberazione  della Commissione parlamentare (ad.
49, comma 8 del T.U.).
   Ne'  vale  a  legittimare  l'azione  del Ministro l'argomentazione
dallo   stesso   fornita   in   merito  alla  inapplicabilita'  delle
disposizioni previste dall'art. 49, comma 8 del T.U. se non trascorsi
novanta giorni dalla data di chiusura della prima offerta pubblica di
vendita  (ex  comma  10  dell'art.  49).  Si  tratta, infatti, di una
conclusione che e' frutto di una mera e semplicistica interpretazione
letterale del testo normativo e che, per di piu', condurrebbe a esiti
incongruenti  nonche' paradossali: solo per fare un esempio, anche il
comma  1,  dell'art.  49,  infatti,  e cioe' quello che stabilisce la
durata  e  l'affidamento  della  concessione  del  servizio  pubblico
generale  radiotelevisivo,  dovrebbe  rimanere inapplicato, in attesa
del  verificarsi delle condizioni previste ex comma 9. Ma,e' ben noto
che cio' non corrisponde alla realta'. La realta', infatti, e' che il
sistema  si e' gia' orientato seguendo le indicazioni fornite proprio
dall'art.  49  del T.U. e che trovano nelle disposizioni del comma 8,
sul  ruolo  della Commissione di vigilanza nei procedimenti di revoca
di  un  consigliere,  il pieno riconoscimento del valore centrale del
Parlamento nei procedimenti de quibus.
   Ed  allora,  il  Ministro dell'economia ha voluto incidere in modo
unilaterale  sul  delicato  rapporto tra Esecutivo e Parlamento nella
gestione  della  RAI.  rapporto  che  proprio codesta ecc.ma Corte ha
lentamente  costruito  nel  tempo, con l'evidente intento di garanzia
delle liberta' fondamentali del popolo sovrano.
   Il comportamento tenuto dal Ministro si e' connotato con una serie
di   azioni   ed   omissioni   tutte   espressione  di  un'intenzione
inequivocabile e cioe' quella di svuotare la rilevanza costituzionale
delle attribuzioni della Commissione parlamentare nel procedimento di
revoca di un consigliere.
   Ma   svuotare   la   rilevanza  costituzionale  dei  poteri  della
Commissione  significa  esautorare  il  Parlamento  rispetto  ad  una
funzione   che   il   sistema   costituzionale  gli  ha  limpidamente
riconosciuto.  Una funzione che risponde ad esigenze fondamentali nel
settore   radiotelevisivo   pubblico.   L'insieme  dei  poteri  della
Commissione parlamentare di vigilanza e indirizzo sono espressione di
un'attivita' tipica parlamentare, consistente nel controllo ispettivo
e  nell'indirizzo  di carattere generale sul piano editoriale e sulla
conduzione  dell'azienda,  sulla base dei parametri indefettibili del
pluralismo,  dell'obiettivita',  della  completezza  ed imparzialita'
dell'informazione,  dell'apertura  alle  diverse  opinioni,  tendenze
politiche,  sociali  e culturali nel rispetto quindi delle liberta' e
dei diritti garantiti direttamente dalla Costituzione.
   Se questi sono gli indispensabili requisiti che devono qualificare
l'attivita'  del servizio pubblico radiotelevisivo, l'unico organo in
grado  di  garantire  la  loro  sussistenza e la loro effettivita' e'
l'organo parlamentare.
   L'operato  del Ministro dell'economia rispecchia, al contrario, la
nitida  volonta'  di  riassegnare  il  ruolo centrale nella gestione'
della  Concessionaria  del  servizio pubblico all'organo esecutivo, e
cioe'  ad un organo che per sua natura, non puo' che essere di parte.
Esso,  pertanto,  viola  palesemente le competenze costituzionalmente
riconosciute alla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e
la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.
                              P. Q. M.
   La   Commissione   parlamentare  per  l'indirizzo  generale  e  la
vigilanza  dei  servizi  radiotelevisivi,  come sopra rappresentata e
difesa,  chiede  che  codesta ecc.ma Corte, previa ammissibilita' del
ricorso  e  contraries  rejectis, voglia dichiarare che non spetta al
Ministro  dell'economia  e  delle  finanze,  anche  d'intesa  con  il
Presidente   del   Consiglio   dei   ministri,  richiedere  e  votare
nell'Assemblea degli azionisti della RAI - Radio Televisione Italiana
S.p.a.,   societa'   concessionaria   del   servizio  radiotelevisivo
pubblico,  la  revoca di un consigliere di amministrazione in assenza
di conforme deliberazione adottata dalla Commissione parlamentare per
l'indirizzo  generale  e  la vigilanza dei servizi radiotelevisivi e,
per l'effetto, annulli la proposta di revoca presentata dal Ministero
in  data  11 maggio 2007 e, per quanto occorrer possa, tutti gli atti
ad essa connessi e conseguenti.
     Roma, addi' 8 novembre 2007
                   Prof. Avv.: Caravita di Toritto
Avvertenza
   L'ammissibilita'  del  presente  conflitto  e'  stata  decisa  con
ordinanza  n. 61/2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, 1ª s.s.,
n. 13 del 19 marzo 2008.