N. 114 ORDINANZA 14 - 24 aprile 2008

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Processo  penale  - Procedimento dinanzi al giudice di pace - Ricorso
  immediato  della persona offesa - Obbligo del pubblico ministero di
  formulare l'imputazione anche nel caso in cui abbia espresso parere
  contrario   alla   citazione  -  Mancata  previsione  -  Denunciata
  irragionevolezza,  nonche'  violazione  del diritto di difesa e del
  principio  di  ragionevole  durata  del  processo  -  Eccezione  di
  inammissibilita'  per  non  avere  il rimettente utilizzato tutti i
  poteri interpretativi che gli competono - Reiezione.
- D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 25, comma 2.
- Costituzione, artt. 3, 24, comma secondo, e 111, comma secondo.
Processo  penale  - Procedimento dinanzi al giudice di pace - Ricorso
  immediato  della persona offesa - Obbligo del pubblico ministero di
  formulare l'imputazione anche nel caso in cui abbia espresso parere
  contrario   alla   citazione  -  Mancata  previsione  -  Denunciata
  irragionevolezza,  nonche'  violazione  del diritto di difesa e del
  principio  di  ragionevole  durata  del  processo  -  Esclusione  -
  Manifesta infondatezza della questione.
- D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 25, comma 2.
- Costituzione, artt. 3, 24, comma secondo, e 111, comma secondo.
(GU n.19 del 30-4-2008 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta  dai  signori:  Presidente:  Franco  BILE; Giudici: Giovanni
Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Alfio FINOCCHIARO,
Alfonso  QUARANTA,  Franco  GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI,
Sabino  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe TESAURO, Paolo Maria
NAPOLITANO; ha pronunciato la seguente
                              Ordinanza
nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 25, comma 2,
del  decreto  legislativo  28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla
competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della
legge   24  novembre  1999,  n. 468),  promosso,  nell'ambito  di  un
procedimento  penale,  dal  Giudice di pace di Chioggia con ordinanza
del  17 luglio 2006, iscritta al n. 172 del registro ordinanze 2007 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, 1ª serie
speciale, dell'anno 2007.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
ministri;
   Udito  nella  Camera  di consiglio del 27 febbraio 2008 il giudice
relatore Giuseppe Tesauro.
   Ritenuto  che il Giudice di pace di Chioggia, con ordinanza del 17
luglio  2006,  ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo
comma,  e  111,  secondo  comma,  della  Costituzione,  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  25,  comma  2,  del  decreto
legislativo  28  agosto  2000,  n. 274 (Disposizioni sulla competenza
penale  del  giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24
novembre 1999, n. 468), nella parte in cui non prevede che, a seguito
del  ricorso  immediato della persona offesa, «il pubblico ministero,
anche quando esprime parere contrario alla citazione, debba formulare
l'imputazione»;
     che  il  rimettente,  adito  con ricorso della persona offesa ai
sensi  dell'art.  21  del  d.lgs.  n. 274  del  2000, si duole che al
giudice  di  pace  non  sia  consentito  un «compiuto esercizio delle
proprie  prerogative»  nei  casi,  come  quello di specie, in cui non
condivida  il  parere  contrario  espresso  dal pubblico ministero in
ordine  alla  citazione  a  giudizio  della  persona alla quale viene
attribuito il reato;
     che,  infatti,  l'art.  25, comma 2, del d.lgs. n. 274 del 2000,
riconoscendo  al  rappresentante  della  pubblica  accusa  un  vaglio
preventivo  in  ordine  all'ammissibilita'  ed  alla  fondatezza  del
ricorso  della  persona offesa, si limita a stabilire che il pubblico
ministero  formula l'imputazione solo se non esprime parere contrario
alla citazione, mentre, in base agli artt. 26 e 27 del citato decreto
delegato,   il   giudice   di   pace,  ove  non  ritenga  il  ricorso
inammissibile o manifestamente infondato o presentato per un reato di
competenza  di  altro giudice, deve convocare le parti in udienza con
un   decreto,   che   contiene   necessariamente   la   «trascrizione
dell'imputazione»;
     che  il  rimettente,  pur  dissentendo  dal  parere del pubblico
ministero,  ritiene  di  non  poter emettere ugualmente il decreto di
convocazione, ostandovi la lettera dell'art. 27 del d.lgs. n. 274 del
2000,   che   sanziona  con  la  nullita'  la  mancata  «trascrizione
dell'imputazione»;
     che,  per  far  fronte  alla paralisi del procedimento, egli non
potrebbe  ordinare  al pubblico ministero di formulare l'imputazione,
in  analogia  con  quanto  previsto dall'art. 17, comma 4, del d.lgs.
n. 274  del  2000  e  dall'art. 409, comma 5, del codice di procedura
penale,  poiche' tali disposizioni disciplinano situazioni diverse da
quella  in  esame,  nelle  quali il giudice che dispone la cosiddetta
imputazione  coatta  non  si  identifica  con il giudice competente a
conoscere del merito del procedimento;
     che  neppure  potrebbe  riportare  nel  decreto  di convocazione
l'addebito  contenuto  nel  ricorso immediato, dato che, in base alla
lettera  dell'art.  27,  comma  3,  lettera d), del d.lgs. n. 274 del
2000,   il   contenuto   della   trascrizione   deve  necessariamente
«preesistere  in  un  testo», e che, comunque, avallando tale opzione
ermeneutica,   «si  ammetterebbe  il  pieno  ed  esclusivo  esercizio
dell'azione  penale  in  capo al ricorrente, sottraendolo al pubblico
ministero», in contrasto con l'art. 112 della Costituzione;
     che,  escluse le soluzioni della cosiddetta imputazione coatta e
della trascrizione dell'addebito formulato dal ricorrente, al giudice
di  pace  non  resterebbe  che disporre la restituzione degli atti al
pubblico ministero, onde consentire a quest'ultimo di procedere nelle
forme  ordinarie,  ma  anche  tale  soluzione  non pare al rimettente
esente  da  censure,  poiche',  con  essa, si attribuisce al pubblico
ministero «una sorta di potere di veto sulla procedura del ricorso»;
     che,   pertanto,   il   giudice   a  quo  solleva  questione  di
costituzionalita'  dell'art. 25, comma 2, del d.lgs. n. 274 del 2000,
il  quale,  non  prevedendo  che «il pubblico ministero, anche quando
esprime    parere   contrario   alla   citazione,   debba   formulare
l'imputazione», si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 24, secondo
comma, e 111, secondo comma, della Costituzione;
     che  la denunciata norma violerebbe innanzitutto il principio di
ragionevolezza,  in  quanto obbligherebbe il giudice a restituire gli
atti  al pubblico ministero, «contrariamente all'ipotesi, inversa, in
cui l'avvenuta formulazione dell'imputazione non impedisce al giudice
di  ritenere,  nel  pieno  esercizio  delle  proprie  prerogative, il
ricorso  inammissibile,  infondato  ovvero  presentato  dinanzi  a un
giudice incompetente»;
     che,  inoltre, la disposizione censurata lederebbe il diritto di
difesa  del  ricorrente,  il quale, con la restituzione degli atti al
pubblico  ministero,  «verrebbe  privato  di  un importante strumento
processuale riconosciutogli dal legislatore», per di piu' per ragioni
non condivise dal giudice;
     che, infine, il citato art. 25, comma 2, violerebbe il principio
della  ragionevole durata del processo, poiche', una volta restituiti
gli  atti  al  pubblico  ministero, il procedimento seguirebbe l'iter
ordinario,  con  tempi  notevolmente  piu'  lunghi  rispetto a quelli
stabiliti  per il ricorso immediato, che consente l'instaurazione del
giudizio senza la fase delle indagini preliminari;
     che  nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  di  dichiarare la questione inammissibile, per non
avere  il  rimettente utilizzato tutti i poteri interpretativi che la
legge gli riconosce, o infondata;
     che,  a  sostegno  della  ragionevolezza  della previsione della
restituzione  degli  atti  al  pubblico  ministero che abbia espresso
parere  contrario  alla  citazione, la difesa erariale osserva che di
norma  spetta  proprio  al  pubblico ministero «scegliere la forma di
esercizio  dell'azione  penale»,  mentre,  secondo  uno schema che si
ripete  in  altri casi, il giudice puo' rilevare che il rito speciale
«e' stato promosso fuori dei presupposti di legge».
   Considerato  che  il  Giudice  di  pace  di  Chioggia  dubita,  in
riferimento  agli  artt.  3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma,
della  Costituzione,  della legittimita' costituzionale dell'art. 25,
comma 2, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni
sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14
della legge 24 novembre 1999, n. 468), nella parte in cui non prevede
che,  a  seguito  del  ricorso  immediato  della  persona offesa, «il
pubblico  ministero,  anche  quando  esprime  parere  contrario  alla
citazione, debba formulare l'imputazione»;
     che  il  ricorso  immediato  della  persona  offesa  deve essere
previamente  comunicato  al  pubblico ministero e questi, entro dieci
giorni,  ai  sensi dell'art. 25, comma 2, del d.lgs. n. 274 del 2000,
se  ritiene  il  ricorso  inammissibile  o  manifestamente infondato,
esprime   parere   contrario   alla   citazione   altrimenti  formula
l'imputazione,  confermando  o  modificando  l'addebito contenuto nel
ricorso;
     che,  a  norma  dell'art.  26  del  citato  decreto delegato, il
giudice  di  pace,  anche  se  il pubblico ministero non ha formulato
richieste,  ove  ritenga  il  ricorso  inammissibile o manifestamente
infondato,  ne  dispone  la  trasmissione  all'organo  della pubblica
accusa per l'ulteriore corso del procedimento, mentre, secondo l'art.
27  del  d.lgs.  n. 274  del  2000,  «se non deve provvedere ai sensi
dell'articolo  26»,  convoca  le  parti in udienza con un decreto, il
quale deve contenere la trascrizione dell'imputazione;
     che  il  rimettente si duole che, sulla base di tale disciplina,
il  giudice  di  pace  sia costretto a disporre la trasmissione degli
atti  al  pubblico  ministero,  anche qualora non condivida il parere
negativo  da  questi espresso sul ricorso, ostando alla emissione del
decreto di convocazione delle parti la mancanza di una imputazione da
trascrivervi;
     che,  a  suo  avviso,  l'art. 25, comma 2, del d.lgs. n. 274 del
2000,  la' dove non prevede che il pubblico ministero debba formulare
l'imputazione  anche  se  esprime  parere  contrario  alla citazione,
viola:  l'art.  3  della  Costituzione, per l'irragionevolezza di una
disciplina  che,  obbligando il giudice alla trasmissione degli atti,
attribuisce  efficacia  vincolante  al parere del pubblico ministero,
diversamente  da  quanto accade nel caso della «avvenuta formulazione
dell'imputazione»,  in  cui  il  giudice  ben  puo'  disattendere  la
richiesta  del  rappresentante  della  pubblica  accusa;  l'art.  24,
secondo  comma,  della  Costituzione,  in quanto, con la trasmissione
degli  atti al pubblico ministero, il ricorrente viene privato «di un
importante  strumento  processuale  riconosciutogli dal legislatore»;
l'art.  111,  secondo  comma,  della Costituzione, perche', una volta
trasmessi  gli  atti  al  pubblico  ministero,  il procedimento segue
l'iter  ordinario,  con  tempi  notevolmente  piu'  lunghi rispetto a
quelli stabiliti per il ricorso immediato;
     che   l'eccezione   d'inammissibilita'  sollevata  dalla  difesa
erariale  non  e'  fondata,  poiche'  il  rimettente ha adeguatamente
esplorato le diverse opzioni ermeneutiche offerte dal dato normativo,
censurando  infine l'interpretazione oramai fatta propria dal giudice
di  legittimita',  secondo  la quale al parere contrario del pubblico
ministero consegue necessariamente la trasmissione degli atti;
     che,  nel  merito,  questa  Corte ha gia' avuto modo di rilevare
come, nel procedimento introdotto dal ricorso immediato della persona
offesa,  il  pubblico  ministero sia tenuto a formulare l'imputazione
solo in presenza di una richiesta di citazione che egli consideri non
inammissibile  e  non  manifestamente infondata (ordinanza n. 381 del
2005);
     che  nella  denunciata  disciplina trova coerente espressione la
scelta  del  legislatore  delegato  di  riconoscere esclusivamente al
pubblico ministero la titolarita' dell'iniziativa penale in ordine ai
reati di competenza del giudice di pace perseguibili a querela;
     che,  infatti,  la portata preclusiva del parere sfavorevole del
rappresentante   della   pubblica  accusa  deriva  quale  conseguenza
necessitata  della  configurazione  del  nuovo  istituto  del ricorso
immediato  della  persona  offesa  come  atto  meramente propositivo,
rispetto al quale e' rimesso al pubblico ministero di aderire o meno,
nell'esercizio delle funzioni connesse all'anzidetta prerogativa;
     che  la  previsione dell'art. 26 del d.lgs. n. 274 del 2000, che
consente  al  giudice  di  trasmettere gli atti al pubblico ministero
anche  se questi abbia formulato l'imputazione, lungi dal dimostrare,
come  vorrebbe  il rimettente, l'esistenza di un'aporia nell'impianto
delineato  dal decreto delegato, costituisce attuazione del principio
per  cui,  nel sistema processuale penale, le iniziative del pubblico
ministero  devono  ritenersi  normalmente  soggette  al controllo del
giudice competente;
     che  la trasmissione degli atti non inibisce la prosecuzione del
procedimento  nelle  forme  ordinarie,  con  la  possibilita'  per il
giudice di pace di disporre la cosiddetta imputazione coatta ai sensi
dell'art.  17,  comma  4, del d.lgs. n. 274 del 2000, ove il pubblico
ministero,  all'esito  di  ulteriori  indagini,  avanzi  richiesta di
archiviazione (ordinanze n. 43 del 2007, n. 381 e n. 361 del 2005);
     che, stante il disposto dell'art. 21, comma 5, del d.lgs. n. 274
del 2000, secondo cui la presentazione del ricorso produce gli stessi
effetti  della  presentazione  della querela, deve poi escludersi che
dalla  trasmissione  degli  atti  al  pubblico  ministero  derivi una
irrazionale  compressione  del  diritto  di difesa del ricorrente, le
ragioni  del  quale possono adeguatamente farsi valere nell'ulteriore
corso  di un procedimento che, peraltro, resta connotato dal costante
coinvolgimento della persona offesa, in correlazione con la finalita'
conciliativa   della   giurisdizione   penale  del  giudice  di  pace
(ordinanza n. 28 del 2007);
     che,  infine, il principio della ragionevole durata del processo
non  risulta  leso  da una disciplina che deve considerarsi frutto di
coerenti  scelte  normative  in ordine alla conformazione dei diversi
moduli   introduttivi   del  giudizio  innanzi  al  giudice  di  pace
(ordinanze n. 67 del 2007, n. 225 del 2003);
     che,   in  conclusione,  la  questione  deve  essere  dichiarata
manifestamente infondata.
   Visti  gli  artt.  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
              Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimita'
costituzionale  dell'art.  25,  comma  2,  del decreto legislativo 28
agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice
di  pace,  a  norma  dell'articolo  14  della legge 24 novembre 1999,
n. 468), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e
111,  secondo  comma,  della  Costituzione,  dal  Giudice  di pace di
Chioggia.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 aprile 2008.
                         Il Presidente: Bile
                        Il redattore: Tesauro
                      Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 24 aprile 2008.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola