N. 134 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 ottobre 2007
Ordinanza del 22 ottobre 2007 emessa dal Corte d'appello di Torino nel procedimento civile promosso da Autostrade - Concessioni e Costruzioni Autostrade S.p.a. contro Ravizza Viviana ed altre Espropriazione per pubblica utilita' - Espropriazione di aree edificabili - Criterio di determinazione dell'indennizzo in misura ridotta rispetto al valore venale degli immobili - Applicabilita' dell'art. 5-bis del d.l. n. 333 del 1992 ai giudizi in corso al momento della sua entrata in vigore - Intervenuta pronuncia della Corte Europea dei diritti dell'uomo di accertamento della violazione dell'art. 1 del primo protocollo CEDU - Denunciata violazione degli obblighi internazionali derivanti dalla CEDU - Asserita lesione dei principi costituzionali del giusto processo fondato sulla parita' delle parti. - Decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, art. 5-bis, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359. - Costituzione, artt. 111, commi primo e secondo, e 117, primo comma; Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, art. 6; Protocollo n. 1 alla Convenzione europea per i diritti dell'uomo, art. 1.(GU n.20 del 7-5-2008 )
LA CORTE DI APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento civile RG. 540/01 avente ad oggetto: espropriazione, promossa da Autostrade concessioni e costruz. Autostrade S.P.A. e Autostrade per l'Italia S.P.A. (avv. Sarasso Carlo) appellanti; Contro Ravizza Viviana, Ravizza Giorgiana, Ravizza Alexandra o Alessandra, Ravizza Rugiada, Zanelli De Vescovi Linda (avv. Montanaro Riccardo) appellati. Udienza spedizione 4 maggio 2007. Letti gli atti e i documenti di causa; Premesso che con atto di citazione in riassunzione ex art. 392 c.p.c., notificato in data 3 marzo 2001, la Societa' Autostrade ha convenuto davanti a questa sezione della Corte di Appello di Torino Ravizza Viviana, Bedogni Cristiana, Ravizza Alexandra, Ravizza Giorgiana, Ravizza Rugiada, quali eredi di Ravizza Ugo, al fine di determinare l'indennita' di espropriazione e di occupazione dovuta ai predetti eredi sulla base del principio di diritto enunciato dalla cassazione con la sentenza n. 3712/2000, deliberata il 6 ottobre 1999, a seguito del ricorso della Societa' Autostrade; che le parti riassunte si sono costituite in giudizio e il contraddittorio e' stato regolarmente integrato nei confronti di un'altra erede, Linda Zanelli De Vescovi; essendo quest'ultima successivamente deceduta, il processo e' stato dichiarato interrotto e riassunto dalle altre parti riassunte, quali eredi della defunta; che, dovendo il presente giudizio di rinvio procedere al ricalcolo dell'indennita' di occupazione e di espropriazione spettanti, ricalcolo da effettuarsi sulla base di criteri fissati dall'art. 5-bis d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito in legge 8 agosto 1992 n. 359, le parti attualmente riassumenti, con il ricorso per la riassunzione, hanno sollevato questione di incostituzionalita' del citato art. 5-bis, ritenendo la questione di incostituzionalita' certamente rilevante nel presente giudizio e non manifestamente infondata, richiamando due analoghi recenti ordinanze della Corte di cassazione (la n. 12810 del 29 maggio 2006, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, serie speciale Corte cost., n. 42 del 18 ottobre 2006 a pagina 83 e seguenti, e la n. 22357 del 19 ottobre 2006, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, serie speciale Corte cost. n. 7 del 14 febbraio 2007 a pagina 75 e seguenti), che ha ritenuto il citato articolo 5-bis in contrasto con gli articoli 111 e 117 Cost., anche alla luce dell'articolo 6 e dell'articolo 1 Protocollo addizionale della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali; Ritenuto certamente rilevante nel presente giudizio di rinvio la questione di legittimita' costituzionale sollevata, in quanto occorre procedere a ricalcolo della indennita' di occupazione e di esproprio, ricalcolo da effettuarsi, proprio in base al principio di diritto stabilito dalla cassazione con la sentenza di rinvio, sulla base dei criteri fissati dall'articolo 5-bis (erroneamente la Societa' Autostrade Ritiene irrilevante la dedotta questione di incostituzionalita', sulla base che la cassazione avrebbe prescritto al giudice del rinvio di attenersi, nel calcolo dell'indennita' di occupazione temporanea riguardante i terreni agricoli, ai criteri dettati dall'articolo 20 legge n. 865/1971, non censurato di incostituzionalita': invero, la sentenza di rinvio dispone che l'indennita' di occupazione debba essere liquidata in misura corrispondente ad una percentuale dell'indennita' che sarebbe spettata per l'espropriazione dell'area occupata, e cio' determina la rilevanza delle fonti normative che prevedono le modalita' di calcolo dell'indennita' di espropriazione, cioe' l'articolo 5-bis); Ritiene di svolgere le seguenti osservazioni, del tutto aderenti a quelle gia' svolte dalle citate ordinanze della cassazione che hanno investito della questione di legittimita' la Corte costituzionale. O s s e r v a I dubbi di costituzionalita' dell'articolo 5-bis che inducono a investire la Corte costituzionale di un rinnovato esame rispetto a quelli, gia' compiuti, successivamente all'entrata in vigore di quella norma (principalmente Corte cost. 16 giugno 1993 n. 283), sono suggeriti dalla recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, che evidenziando elementi di inadeguatezza del sistema indennitario regolato dall'articolo 5-bis relativamente ai' suoli edificatori, ha inflitto condanne allo Stato italiano per violazione delle norme della Convenzione. Ci si riferisce alla sentenza 28 luglio 2004, nella causa Scordino contro Italia, alla quale e' poi seguita la pronuncia definitiva nella stessa controversia, resa dalla Grande Camera della stessa Corte sul ricorso del Governo italiano in data 29 marzo 2006. Con la pronuncia del 2006, in particolare, la Grande Camera della CEDU ha affermato (paragrafi 82 - 104) che l'articolo 5-bis viola il sistema della Convenzione sulla privazione della proprieta' individuale per pubblica utilita', come da essa reiteratamente interpretato nella relazione tra i due commi del citato articolo 1 del primo Protocollo addizionale, in ordine allo scopo di pubblica utilita' che consente l'acquisizione della proprieta' in danno dei titolari del diritto (primo comma) e al raffronto tra interesse generale e diritto individuale che con detta privazione si realizza (secondo comma). La normativa italiana, nel prevedere un'indennita' largamente inferiore rispetto al valore venale del bene espropriato e riducibile a circa un terzo del prezzo di questo in comune commercio, oltre al carico tributario, per ogni espropriazione, senza considerare la causa per la quale avviene il sacrificio individuale, rompe il giusto equilibrio tra interesse generale e diritto di proprieta' individuale tutelato dall'articolo 1 del primo Protocollo addizionale citato. Tale ultima norma impone, nelle espropriazione per pubblica utilita', un ristoro di regola corrispondente al valore di mercato dei beni ablati, anche se gli Stati convenzionati possono prevedere la corresponsione di un indennizzo inferiore a tale valore in rapporto ad alcuni scopi di pubblica utilita', che incidono su una pluralita' indistinta di cittadini in fattispecie eccezionali, nelle quali si persegue un interesse generale in un contesto di modifiche costituzionali o di sistema o di nazionalizzazioni, oppure di riforme economico-sociali o politiche, che giustifichino un ristoro non integrale per il proprietario espropriato (paragrafi 102 - 103 della sentenza citata CEDU del 2006). Di conseguenza, la riduzione dell'indennita' fino a circa il 30% del valore venale delle aree edificabili, come effetto dei criteri legali di liquidazione delle indennita' di espropriazione di cui all'articolo 5-bis, non consente un serio ristoro dei proprietari espropriati e viola il giusto equilibrio tra sacrificio del privato e interessi generali, per cui la citata norma interna e' in contrasto con l'articolo 1 del primo Protocollo addizionale e lo Stato italiano e' stato condannato a corrispondere l'equa riparazione per detta violazione della Convenzione. Analoga violazione della Convenzione opera l'articolo 5-bis (paragrafi 128-132 della sentenza del 2006) con la previsione dell'applicazione retroattiva di esso (comma 6) alle liquidazioni dell'indennita' gia' in corso in sede amministrativa e persino nel caso di giudizi pendenti, sull'accertamento di tale indennita' alla data di entrata in vigore della legge, cosi privando i proprietari dei terreni espropriati di una parte di quanto gia' loro spettante e da chiedere o chiesto in sede giurisdizionale, corrispondente al valore commerciale delle aree espropriate che, ai sensi della legge n. 2359 del 1865, era da applicare, prima della novella del 1992, alla fattispecie. Pertanto, nel caso di specie, analogo a quello oggetto della presente causa, si era avuta un'ingerenza del legislatore nella causa in corso per la determinazione dell'indennita' a favore di una delle parti, violandosi i principi «dello stato di diritto e la nozione di giusto processo» di cui all'articolo 6 della Convenzione (paragrafi 126 e 133 della sentenza Scordino del 2006), per non avere lo Stato italiano giustificato la rilevata retroattivita', con la particolare specialita' della pubblica utilita' nelle espropriazione per edilizia residenziale pubblica intervenuta nella fattispecie, non inserita in un contesto di grande rilievo socio-economico o di riforma istituzionale. Le richiamate sentenze della CEDU rilevano per l'ordinamento interno e sulla disciplina dei criteri legali di liquidazione dell'indennita' di espropriazione, anche perche' si e' esattamente affermato che le norme della Convenzione vanno interpretate dai giudici italiani uniformandosi all'ermeneutica di esse come data dal loro giudice naturale, che e' appunto la Corte di Strasburgo (S.U. 26 gennaio 2004 n. 1340, Cass. 28 maggio 2004 n. 10294, 16 marzo 2005 n. 5724, 29 settembre 2005 n. 19028, 4 novembre 2005 n. 21391 e, nello stesso senso CEDTJ (27 febbraio 2001, Luca' contro Italia). Onde rendere ammissibile la questione che si intende proporre, va esaminata la mancanza del potere per il giudice italiano di disapplicare l'articolo 5-bis per effetto della riscontrata violazione della norma interna della Convenzione, uniformandosi a quanto deciso dalla CEDU in varie sue pronunce. Un tale potere del giudice italiano di disapplicazione della legge interna sarebbe incompatibile con il nostro sistema costituzionale e in particolare con le norme che regolano l'abrogazione delle leggi (articolo 15 disposizioni preliminari codice civile e articolo 136 Costituzione). Del resto la stessa sentenza della CEDU del marzo 2006 rimette allo Stato italiano l'adozione delle misure «legislative, amministrative e finanziarie» (paragrafo 237) necessarie all'adeguamento del sistema alle norme sovranazionali, cosi' chiarendo che la sua pronuncia non puo' incidere con effetti abrogativi sulla legislazione interna italiana. Invero, sul carattere precettivo delle norme contenute nella Convenzione europea, occorre mantenere distinti i diritti da essa protetti, «riconosciuti» dagli Stati contraenti con l'articolo 1 come «fondamentali» anche nel diritto interno, con effetto immediato conseguente alla legge di ratifica, salvo per quelle posizioni soggettive gia' garantite in precedenza, dai mezzi e dalle modalita' di tutela di tali diritti rimessi ai singoli Stati aderenti e agli ordinamenti interni. L'articolo 13 della Convenzione prevede il ricorso alla magistratura interna di ciascuno Stato convenzionato, in caso di violazione dei diritti tutelati dalla Convenzione, anche se posta in essere da persone che agiscono nell'esercizio di' funzioni pubbliche, e cosi' dimostra che i mezzi normativi di tutela dei diritti fondamentali sono rimessi ai singoli Stati, salvo l'intervento sussidiario della CEDU sui ricorsi individuali di cui all'articolo 34 della Convenzione e la condanna degli Stati convenzionati all'equa riparazione di cui all'articolo 41. Nello stesso senso e' l'articolo 46 della Convenzione per il quale «le alte Parti contraenti s'impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte nelle controversie nelle quali sono parti» cosi' escludendo ogni effetto immediatamente abrogativo di norme interne delle sentenze della CEDU, alle quali consegue l'obbligo degli Stati di dar loro esecuzione (in Italia recentemente disciplinato con la legge 9 gennaio 2006 n. 12), che individua solo nel Governo e nel Parlamento gli organi cui trasmettere le sentenze della Corte di Strasburgo, unici legittimati a dare esecuzione alle decisioni sopranazionali. Appare chiara quindi in base alla stessa Convenzione la esclusione di ogni potere dei giudici italiani di «disapplicare» le norme legislative in contrasto con essa, riservando la Costituzione il potere di far venir meno le norme primarie al solo legislatore nazionale e regionale e alla Corte costituzionale ex articoli 70 ss., 117 e 136 della Costituzione; nel caso inoltre l'esigenza di copertura finanziaria della modifica normativa comporterebbe una violazione, dagli stessi giudici, dell'articolo 81 della Costituzione. Anche il richiamo, contenuto nell'articolo 6, paragrafo 2, del Trattato di Maastricht, al rispetto, da parte dell'Unione europea, dei «diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata Roma il 4 novembre 1950 e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comune», non esclude la diversita' degli organi giurisdizionali preposti alla tutela di tali diritti (Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo) da quelli cui e' invece demandata la interpretazione delle norme comunitarie, quale e' la Corte di giustizia del Lussemburgo, che ha negato una propria competenza in materia di diritti fondamentali (Cfr. Corte giustizia 29 maggio 1997 C -199-95 Kremzow). Le norme della Convenzione non sono quindi assimilabili ai regolamenti comunitari ne', come questi, si' applicano immediatamente nell'ordinamento interno. La Corte costituzionale che in passato, prima delle modifiche apportate alla Convenzione con il Protocollo n. 11 firmato a Strasburgo l'11 maggio 1994 e ratificato in Italia con legge 28 agosto 1997 n. 296, che ha modificato i citati articoli 46 e 56 della Convenzione, sembra avere avuto orientamenti non incompatibili con la diretta applicabilita' in Italia delle norme della Convenzione (v. Corte costituzionale 9 luglio 1992 n. 373 e 3 maggio 1993 n. 235, entrambe sul carattere pubblico delle udienze nel giusto processo), e' oggi orientata invece, dopo la novella degli articoli 111 e 117 della Costituzione, a dare rilievo indiretto alle norme convenzionali come fonte di obblighi cui l'Italia e' da tali norme costituzionali vincolata (Corte cost. 25 settembre 2002 n. 445 e ord. 6 aprile 2005 n. 139), cosi' negando implicitamente ogni abrogazione automatica e disapplicazione delle leggi ordinarie interne in contrasto con quelle della Convenzione europea da parte dei giudici nazionali. Il giudice italiano che eventualmente disapplichi la norma interna non avrebbe comunque il potere di imporre come giusto indennizzo il valore venale del bene espropriato, ritenuto piu' volte in sede sovranazionale l'unico di regola applicabile e che invece il Giudice delle leggi interno ha affermato essere non conforme alla Costituzione, per la quale un serio ristoro si e' sempre ritenuto compatibile con una riduzione del prezzo pieno del bene acquisito per pubblica utilita'. In conclusione, denegato il potere di disapplicazione delle norme in contrasto con la Convenzione, unico strumento per rilevare il loro contrasto con la Convenzione europea e provocare la loro espunzione dall'ordinamento e' quello di investire della questione relativa la Corte costituzionale. Neppure sembra sostenibile un ruolo di supplenza, da parte del giudice, nelle funzioni del legislatore, per lungo tempo inadempiente all'impegno autoimposto, di por mano ad una riforma in materia espropriativa (l'articolo 5-bis esordisce: «fino alla emanazione di un'organica disciplina per tutte le espropriazioni preordinate alla realizzazione di opere.»), tanto piu' che non piu' di inerzia si' tratta, ma ora di consapevole reiterazione del regime indennitario del 1992, definitivamente raccolto nell'articolo 37 d.P.R. n. 327 del 2001, in vigore dal 01 luglio 2003. L'organica disciplina e' stata emanata (con il d.P.R. n. 327 del 2001, testo unico in materia di espropriazioni), ma la regola della semisomma, di cui all'articolo 5-bis, e' rimasta intatta, migrando nell'articolo 37 dello stesso testo unico, nel quale, pero', si omette la formula di provvisorieta'. L'acquisita definitivita' della disciplina, dunque, ne rende evidente il contrasto con la Costituzione, e induce a rimettere gli atti alla Corte costituzionale per un rinnovato esame della norma, anche alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, che, come sopra spiegato, non consente di supplire alla funzione del legislatore mediante un coordinamento delle fonti nel senso di affermare la prevalenza di quella convenzionale su quella interna. La questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 5-bis del d.l. n. 333/1992, convertito in legge n. 359/1992, e' non manifestamente infondata. La Corte costituzionale, pur riconoscendo, a differenza della CEDU, il carattere di principi e norme fondamentali di riforma economica-sociale alla disciplina del richiamato articolo 5-bis, ha negato la illegittimita' costituzionale di tale norma, salvo che per la parte in cui essa non ha previsto, in violazione degli articoli 3 e 42 della Costituzione, per i procedimenti espropriativi in corso, cui la norma si applica, una nuova offerta della indennita' allo espropriato, la cui accettazione possa escludere la riduzione del 40% del ristoro di cui alla norma, gia' fortemente riduttivo rispetto al valore di mercato del bene espropriato (paragrafo 7.3 della sentenza n. 283/1993). La stessa sentenza del Giudice delle leggi, al successivo paragrafo 9, nega la illegittimita', per violazione dell'articolo 3 Costituzione, della retroattivita' della disciplina dell'articolo 5-bis per non essere l'ultrattivita' delle leggi (articolo 11 delle disposizioni preliminari) principio recepito dalla Costituzione, escludendo quindi la fondatezza della questione «nei termini cosi' puntualizzati». Appare pero' chiaro che l'articolo 111 della Costituzione, come novellato dalla legge costituzionale 23 novembre 1992 n. 2 ha garantito, tra l'altro, con il principio del giusto processo di cui al primo comma, anche quello delle «condizioni di parita» tra le parti. Occorre quindi accertare se, in rapporto a tale norma, la retroattivita' di cui al sesto comma dell'articolo 5 bis non incida sullo stesso giusto processo destinato a determinare l'indennita', in corso o addirittura ancora da iniziare, eliminando le condizioni di parita' delle parti del processo, con un intervento che ha sfavorito una sola di esse, riducendo fortemente quanto la stessa avrebbe potuto chiedere o aveva in concreto preteso al momento della domanda, non ottenendo poi quanto si sarebbe potuto aspettare di ricevere per la durata del procedimento amministrativo e/o per quella del processo. La retroattivita' dei criteri di liquidazione dell'indennita' ha inciso sulla indennita' nei procedimenti amministrativi in corso, anteriormente all'opposizione alla stima ancora non proponibile per ragioni imputabili all'espropriante (Corte costituzionale 22 febbraio 1990 n. 67) e, per tale profilo, ha determinato comunque una ingerenza del legislatore sul presente processo a sfavore dell'espropriato che, senza tale norma, avrebbe potuto pretendere e ottenere una maggiore somma, se i procedimenti amministrativi o giurisdizionali in corso fossero stati conclusi prima della data di entrata in vigore dell'articolo 5-bis. In effetti la CEDU, nella citata sentenza Scordino del 2006, Ritiene violato l'articolo 6 della Convenzione, per l'ingerenza del legislatore nei processi in corso a favore di una delle parti, anche in rapporto all'articolo 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione, proprio in quanto non risulta giustificata, con una rilevante causa di pubblica utilita', la perdita di una parte dell'indennita' retroattivamente stabilita mentre era gia' iniziato il procedimento espropriativo ed era ancora in corso il processo di' liquidazione dell'indennita' stessa (paragrafo 132). Nel caso in giudizio, l'opposizione alla stima era stata proposta prima dell'entrata in vigore dell'articolo 5-bis e quindi il diritto di proprieta' dei Ravizza e' stato inciso dal intervento normativo di cui all'articolo ora richiamato, che ha modificato in favore dell'espropriante i criteri di liquidazione del ristoro dovuto all'espropriato, riducendo di oltre il 50% la somma che tale parte avrebbe potuto ottenere in caso di tempestiva conclusione della procedura espropriativa e del conseguente processo. I contenuti dell'articolo 111 Costituzione, particolarmente nelle sue parti programmatiche (primo e secondo comma), sembra ancora in gran parte da esplorare. E' ancora da chiarire fino in fondo il rapporto di discendenza della nuova formulazione della norma costituzionale dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Se l'originario intento di costituzionalizzare l'articolo 6 della Convenzione pare modificato nel corso dei lavori parlamentari, giacche' nel risultato testuale dell'articolo 111 si ritrovano solo assonanze o similitudini rispetto alla formula internazionale, non di meno, sembra da avallare la tesi di riscontrare nella giurisprudenza della Corte dei diritti il materiale utile alla ricostruzione dei nuovi precetti costituzionali. La collocazione della Convenzione europea nella gerarchia delle fonti non e' mai stata chiarita appieno, giacche' la qualificazione di essa come fonte atipica (Corte cost. 19 gennaio 1993 n. 10) non risolve fino in fondo le non infrequenti ipotesi di conflitto, non solo con le norme di legge ordinaria, precedenti e successive, ma con le stesse norme costituzionali: e la concezione liberale del diritto di proprieta' che fa da sfondo all'interpretazione resa dalla Corte dei diritti sull'articolo 1 primo Protocollo addizionale (si veda, oltre le citate sentenze Scordino, anche l'altra sentenza, sempre in causa Scordino, del 15 luglio 2004, sulla reiterazione dei vincoli urbanistici) non appare perfettamente in linea con il disegno dell'Assemblea Costituente (nell'articolo 42, ma anche, piu' in generale, nell'articolo 41 Costituzione), di mediare le facolta' dominicali (e imprenditoriali) con l'utilita' pubblica. Cio' non toglie che alla ricerca del significato precettivo del parametro costituzionale possa utilmente ricorrersi all'interpretazione che dell'analoga disposizione dell'articolo 6 della Convenzione ha reso la Corte europea: il senso della pronuncia Scordino in materia di indennizzo espropriativo e' che la parita' delle parti davanti al giudice implichi la necessita' che il potere legislativo non si intrometta nell'amministrazione della giustizia allo scopo di influire sulla risoluzione della singola causa, o di una circoscritta e determinata categoria di controversie. L'articolo 5-bis si presta ulteriormente, alla luce della Convenzione dei diritti, come interpretato dalla Corte europea, alla censura di contrasto con l'articolo 117, primo comma, Costituzione, nella sua nuova formulazione derivante dall'articolo 3 della legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3. La CEDU con diverse sue pronunce, ha ormai definitivamente chiarito il contrasto con l'articolo 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione dei ristori indennitari e risarcitori previsti per le acquisizioni lecite e illecite connessi a procedimenti espropriativi (cfr. con le pronunce della CEDU sopra citate, le sentenze della stessa Corte 30 ottobre 2003 Belvedere Alberghiera contro Italia, 30 ottobre 2003 Carbonara e Ventura contro Italia, 11 dicembre 2003 Colacrai contro Italia,15 luglio 2005 Carletta contro Italia e Donati contro Italia,12 gennaio 2006 Sciarretta contro Italia - caso nel quale si e' decisa la ricevibilita' con il merito per essere ormai certa la contrarieta' della liquidazione della illecita privazione della proprieta' in Italia per causa di pubblica utilita' - e 23 febbraio 2006 Immobiliare Cerro contro Italia). E' indubbio che le norme costituzionali novellate, come gli articoli 111 e 117 della Costituzione, pur se hanno effetto con la entrata in vigore delle loro modifiche, incidono con queste non solo sulla normativa futura ma anche su quella previgente da dichiarare illegittima se con esse contrastante (cosi' Corte cost. 24 dicembre 2004 n. 425, in rapporto all'articolo 117 della Costituzione), anche se il legislatore ha poi provveduto a regolare l'adeguamento dell'ordinamento interno statale e regionale alla stessa con le leggi 5 giugno 2003 n. 131 e 4 febbraio 2005 n. 11. Si deve negare quanto affermato da parte della dottrina, sia pure minoritaria, che le norme costituzionali novellate in questi ultimi anni possano operare solo su quelle ordinarie successive per una sorta di ultrattivita' di esse, senza incidere sulla legittimita' di quelle gia' vigenti, che devono invece essere dichiarate illegittime ed abrogarsi per le parti in cui risultino in contrasto, anche sopravvenuto, con principi nuovi inseriti dalle novelle della Carta costituzionale. Nella fattispecie, puo' affermarsi che l'eventuale riscontrata violazione da norme italiane di quelle della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, gia' vigenti alla data di entrata in vigore del nuovo articolo 117 della Costituzione, ne comporta la sopravvenuta illegittimita' costituzionale che ovviamente, se dichiarata, retroagisce sin dalla data di entrata in vigore dell'articolo 5-bis ritenuto in contrasto con la norma modificata nella Carta fondamentale. La questione, comunque, non e' quella della conformazione dell'ordinamento interno alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, di cui all'articolo 10 della Costituzione (sul tema v. Corte cost. 11 febbraio 1993 n. 75), ma l'altra della incidenza delle norme convenzionali sovrannazionali sulla legislazione statale e regionale in materia di criteri di determinazione dell'indennita' di espropriazione, per i quali lo Stato italiano deve esercitare il proprio potere legislativo in conformita' alla Convenzione, con leggi statali anche quadro per quelle regionali, al fine di conformare le norme interne a quelle convenzionali. L'avere esercitato il proprio potere normativo in materia espropriativa in contrasto con l'articolo 1 del primo Protocollo addizionale della Convenzione europea, rende non manifestamente infondata la questione del contrasto sopravvenuto dell'articolo 5-bis all'articolo 117 della Costituzione. Conclusivamente, vanno dichiarate rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale riguardanti l'articolo 5-bis decreto-legge 11 luglio 1992 n. 333, convertito in legge 8 agosto 1992 n. 359: per contrasto con l'articolo 111, primo e secondo comma, Cost., anche alla luce dell'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, nella parte in cui, disponendo l'applicabilita' ai giudizi in corso delle regole di determinazione dell'indennita' di espropriazione in esso contenute, viola i principi del giusto processo, in particolare le condizioni di parita' delle parti davanti al giudice, che risultano lese dall'intromissione del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia allo scopo di influire sulla risoluzione di una circoscritta determinata categoria di controversie; per contrasto con l'articolo 117, primo comma, Costituzione, anche alla luce dell'articolo 6 e dell'articolo 1 del primo Protocollo addizionale della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, nella parte in cui, disponendo l'applicabilita' ai giudizi in corso delle regole di determinazione dell'indennita' di espropriazione in esso contenute, ed assicurando un trattamento indennitario lesivo del diritto di proprieta', viola i vincoli derivanti dagli obblighi internazionali. Ai sensi dell'articolo 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, alla dichiarazione di rilevanza nel giudizio e non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale, segue la sospensione del giudizio, e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
P. Q. M. Dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'articolo 5-bis del decreto-legge 11 luglio 1992 n. 333, convertito in legge 8 agosto 1992 n. 359, per contrasto con gli articoli 111 e 117 della Costituzione, anche in rapporto all'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e all'articolo 1 del Primo Protocollo addizionale a tale Convenzione; Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del giudizio; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Torino, nella Camera di consiglio della seconda sezione civile, il 5 maggio 2007. Il Presidente: Fuiano