N. 161 SENTENZA 7 - 20 maggio 2008

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Amministrazione  pubblica  -  Spoils  system  - Incarichi di funzioni
  dirigenziali  «non  apicali» conferiti a personale non appartenente
  ai ruoli di cui all'art. 23 del decreto legislativo n. 165 del 2001
  -  Prevista  cessazione automatica «decorsi novanta giorni dal voto
  sulla  fiducia al Governo» - Denunciato contrasto con i principi di
  imparzialita'  e di buon andamento della pubblica amministrazione -
  Inapplicabilita'  nel giudizio a quo della disposizione censurata -
  Difetto di rilevanza - Inammissibilita' della questione.
- D.L.   3   ottobre  2006,  n. 262,  (convertito  con  modificazioni
  dall'art.  1,  comma 1, della legge 24 novembre 2006, n. 286), art.
  2,  comma  159  [modificativo  dell'art. 19, comma 8, del d.lgs. 30
  marzo 2001, n. 165].
- Costituzione, artt. 97 e 98.
Amministrazione  pubblica  -  Spoils  system - Incarichi dirigenziali
  conferiti  prima del 17 maggio 2006 a personale non appartenente ai
  ruoli di cui all'art. 23 del decreto legislativo n. 165 del 2001 ma
  dipendente da altre amministrazioni pubbliche - Prevista cessazione
  ove  non  confermati entro sessanta giorni dalla data di entrata in
  vigore   del   decreto   legge  n. 262  del  2006  -  Questione  di
  costituzionalita' sollevata nell'ambito di procedimento cautelare -
  Non  avvenuto esaurimento della potestas iudicandi del rimettente -
  Sussistenza   della  legittimazione  -  Rigetto  dell'eccezione  di
  inammissibilita' formulata dalla Avvocatura dello Stato.
- D.L.   3   ottobre  2006,  n. 262,  (convertito  con  modificazioni
  dall'art.  1,  comma 1, della legge 24 novembre 2006, n. 286), art.
  2, comma 161.
- Costituzione, artt. 97 e 98.
Amministrazione  pubblica  -  Spoils  system - Incarichi dirigenziali
  «esterni»  conferiti  prima  del  17  maggio  2006  a personale non
  appartenente  ai  ruoli  di cui all'art. 23 del decreto legislativo
  n. 165  del 2001 ma dipendente da altre amministrazioni pubbliche -
  Prevista  cessazione ove non confermati entro sessanta giorni dalla
  data  di  entrata  in  vigore  del  decreto legge n. 262 del 2006 -
  Violazione  dei  principi  di  imparzialita' e buon andamento, e in
  particolare  del  principio  (strettamente correlato al secondo) di
  continuita' dell'azione amministrativa - Carenza delle garanzie del
  giusto procedimento - Illegittimita' costituzionale parziale.
- D.L.   3   ottobre  2006,  n. 262,  (convertito  con  modificazioni
  dall'art.  1,  comma 1, della legge 24 novembre 2006, n. 286), art.
  2, comma 161.
- Costituzione, artt. 97 e 98.
(GU n.23 del 28-5-2008 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Franco BILE;
Giudici:  Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
   Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso  QUARANTA,  Franco
   GALLO,  Luigi  MAZZELLA,  Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria
   Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente
                              Sentenza
nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 159 e
161,  del  decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti
in  materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni,
dalla  legge  24  novembre 2006, n. 286, promosso con ordinanza del 9
luglio  2007  dal Tribunale ordinario di Roma nel procedimento civile
vertente  tra  B.G.  e  il  Ministero delle comunicazioni iscritta al
n. 773  del  registro  ordinanze  2007  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 46, 1ª serie speciale, dell'anno 2007.
   Visti  l'atto di costituzione di B.G. nonche' l'atto di intervento
del Presidente del Consiglio dei ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 15 aprile 2008 il giudice relatore
Alfonso Quaranta;
   Uditi  gli  avvocati  Massimo  Coccia  e  Luca  Pardo  per  B.G. e
l'avvocato  dello Stato Aldo Linguiti per il Presidente del Consiglio
dei ministri.
                          Ritenuto in fatto
   1.  - Con  ordinanza  del  Tribunale  ordinario di Roma, in data 9
luglio 2007, nell'ambito di un giudizio di lavoro diretto ad ottenere
«l'immediata   reintegra   (...)  nell'incarico  di  direttore  della
Direzione  generale  per  i servizi di comunicazione elettronica e di
radiodiffusione   del   Ministero   delle  comunicazioni»,  e'  stata
sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi
159  e  161,  del  decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni
urgenti   in  materia  tributaria  e  finanziaria),  convertito,  con
modificazioni,  dall'art.  1,  comma 1, della legge 24 novembre 2006,
n. 286,   per   asserita   violazione  degli  artt.  97  e  98  della
Costituzione.
   Il  rimettente premette che il ricorrente nel giudizio a quo e' un
dirigente  viceprefetto  aggiunto  all'interno dell'unitaria carriera
prefettizia ai sensi degli artt. 1, 2 e 34 del decreto legislativo 19
maggio  2000,  n. 139 (Disposizioni in materia di rapporto di impiego
del  personale  della  carriera prefettizia, a norma dell'articolo 10
della  legge  28  luglio  1999,  n. 266),  il  quale ha ottenuto, con
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3775/2005 del 25
novembre  2005, sulla base di quanto previsto dall'art. 19, commi 4 e
5-bis,  del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali
sull'ordinamento  del  lavoro  alle  dipendenze delle amministrazioni
pubbliche),   il   conferimento   dell'incarico  di  direttore  della
Direzione  generale  per  i servizi di comunicazione elettronica e di
radiodiffusione  del  Ministero  delle comunicazioni per la durata di
cinque anni.
   Ricevuto   tale   incarico,  il  ricorrente  e'  stato  posto  «in
aspettativa  senza  assegni  con  riconoscimento  dell'anzianita'  di
servizio»  con  decreto  del  capo  del  Dipartimento  per gli affari
interni e territoriali 8 maggio 2006.
   Con   comunicazione   del  segretario  generale  4  dicembre  2006
l'incarico in esame e' stato anticipatamente revocato «con decorrenza
immediata»,  in applicazione dell'art. 2, commi 159 e 161, del citato
decreto-legge n. 262 del 2006.
   Cio'  premesso, il giudice a quo riferisce che l'art. 19, comma 8,
del  d.lgs.  n. 165 del 2001, come modificato dall'art. 2, comma 159,
del  decreto-legge  n. 262  del  2006,  prevede che «gli incarichi di
direzione  degli  uffici  dirigenziali di cui al comma 3» (cosiddetti
incarichi  apicali),  «al comma 5-bis, limitatamente al personale non
appartenente ai ruoli di cui all'articolo 23» (cosiddetto ruolo unico
della  dirigenza  statale),  «e  al  comma 6, cessano decorsi novanta
giorni dal voto di fiducia al Governo».
   Inoltre,  l'art.  2,  comma 161, stabilisce che, «in sede di prima
applicazione  dell'articolo  19,  comma 8, del decreto legislativo 30
marzo 2001, n. 165, (...) gli incarichi ivi previsti, conferiti prima
del  17 maggio 2006, cessano ove non confermati entro sessanta giorni
dalla data di entrata in vigore del presente decreto».
   Infine,  si richiama il contenuto dell'art. 3, comma 1, del d.lgs.
n. 165  del 2001, secondo cui il personale appartenente alla carriera
prefettizia resta disciplinato dal proprio ordinamento pubblicistico,
in  deroga  alle  disposizione  sulla privatizzazione del rapporto di
lavoro.
   Alla   luce   di  tale  norma,  il  giudice  a  quo  ritiene  che,
contrariamente  a  quanto  sostenuto  nel  ricorso  introduttivo  del
giudizio,   il  ricorrente  non  possa  considerarsi  far  parte  del
«personale  (...)  appartenente  ai  ruoli  di  cui  all'art. 23» del
predetto  d.lgs.  n. 165 del 2001 ai fini dell'esclusione dall'ambito
di  applicazione  dell'art. 2, commi 159 e 161, riguardando tale art.
23  unicamente  i  dirigenti  contrattualizzati ed appartenendo egli,
viceversa,  alla  diversa  categoria  dei  dirigenti  della  unitaria
carriera     prefettizia     che,    pur    rientrando    nell'ambito
dell'Amministrazione  dell'interno,  e'  autonoma rispetto a questa e
«si   articola   nelle   qualifiche   di   prefetto,  viceprefetto  e
viceprefetto  aggiunto»  (sono  citati  l'art. 2, comma 1, del d.lgs.
n. 139  del  2000,  nonche', per la disciplina transitoria, l'art. 34
del  medesimo  decreto),  con  conseguente  applicazione  del proprio
ordinamento  pubblicistico  (art.  3,  comma 1, del d.lgs. n. 165 del
2001).
   A  conferma  di  quanto  esposto,  viene  richiamato l'art. 15 del
d.lgs. n. 165 del 2001, il quale, nel prevedere l'articolazione della
dirigenza  contrattualizzata  nelle  due  fasce  del  ruolo unico, ha
espressamente  previsto  la  salvezza  delle particolari disposizioni
relative, tra l'altro, alla carriera prefettizia.
   Ne  consegue,  ad avviso del rimettente, che, «anche ove sia stato
chiamato  a  ricoprire  -  come  nella specie - un incarico nei ruoli
della dirigenza contrattualizzata ai sensi dell'art. 19, comma 5-bis,
del  d.lgs.  n. 165 del 2001, il dirigente della carriera prefettizia
mantenga  sempre il proprio particolare status pubblicistico (...) il
che  gli  impedisce  (...)  di  ottenere l'equiparazione ai dirigenti
contrattualizzati  ai  fini  della inapplicabilita' del meccanismo di
spoils system».
   Nondimeno, il rimettente assume che l'art. 2, commi 159 e 161, del
decreto-legge n. 262 del 2006, «modificando il disposto dell'art. 19,
comma  8,  del  d.lgs.  165  del  2001 ed introducendo, anche per gli
incarichi  di  funzioni  dirigenziali  di  cui al comma 5-bis (che in
questa   sede   occupa)   un   meccanismo   di  decadenza  automatica
dall'incarico  dirigenziale (analogo a quello introdotto dall'art. 3,
comma 7, della legge 15 luglio 2002, n. 145 recante «Disposizioni per
il  riordino  della  dirigenza  statale  e per favorire lo scambio di
esperienze   e  l'interazione  tra  pubblico  e  privato»),  per  gli
incarichi  di funzioni dirigenziali di livello generale», si porrebbe
in  contrasto con l'art. 21 del medesimo decreto, secondo il quale la
revoca dell'incarico puo' avvenire soltanto all'esito di una apposita
procedura di accertamento della responsabilita' dirigenziale.
   Sul punto si richiama quanto affermato dalla Corte costituzionale,
con  la  sentenza  n. 313  del  1996:  la  contrattualizzazione della
dirigenza  non  consente  alla  pubblica  amministrazione di recedere
liberamente dal rapporto instaurato con un dirigente non generale, in
quanto  cio'  impedirebbe  al  dirigente  stesso  di svolgere in modo
autonomo ed imparziale la propria attivita' gestoria.
   Tale  affermazione  si  puo'  estendere, secondo il giudice a quo,
anche al rapporto instaurato tra pubblica amministrazione e dirigente
«cui  sia  stato  affidato, come nella specie, un incarico di livello
immediatamente superiore».
   Il  rimettente  fa  riferimento,  inoltre, a quanto statuito dalla
Corte  costituzionale  con  la  sentenza n. 103 del 2007, mettendo in
evidenza il passo della motivazione in cui si afferma che il rapporto
di  ufficio  deve  essere connotato in modo da assicurare continuita'
dell'azione amministrativa e che la anticipata cessazione ex lege del
rapporto  in  corso  impedisce  che  l'attivita'  del dirigente possa
espletarsi  in  conformita'  al  canone  dell'efficienza  dell'azione
amministrativa.
   Ne  consegue,  alla  luce  dei  suddetti  principi,  che  le norme
censurate,  determinando  una interruzione automatica del rapporto di
ufficio ancora in corso prima dello spirare del termine stabilito, si
pongono in contrasto con gli artt. 97 e 98 Cost.
   La  questione  sollevata sarebbe anche rilevante, in quanto «se da
un lato, la norma stessa dovrebbe necessariamente essere applicata al
caso  di  specie (non rientrando il ricorrente tra i dirigenti di cui
all'art.   23   del   d.lgs.   n. 165   del   2001)  e  precluderebbe
l'accoglimento  della  domanda  in  questa  sede  proposta  in via di
urgenza    di    condanna    dell'amministrazione    reclamata   alla
reintegrazione  del ricorrente nell'incarico dirigenziale a suo tempo
conferitogli,   dall'altro   lato,   l'eventuale   dichiarazione   di
incostituzionalita'  della  norma  stessa (nella parte in cui dispone
per  legge  la  cessazione  anticipata  ed  automatica  dell'incarico
dirigenziale)  renderebbe  illegittimo  il  provvedimento  di  revoca
dell'incarico,  facendo  sorgere  in capo al ricorrente il diritto al
ripristino dello stesso sino alla sua naturale scadenza».
   Il   rimettente   assume,   inoltre,  che  non  sarebbe  possibile
prospettare   interpretazioni   costituzionalmente   orientate,   ne'
estendere  il  contenuto  delle  sentenze  della Corte costituzionale
n. 103 e n. 104 del 2007 alla presente fattispecie.
   Infine,  si  deduce, da un lato, che sussisterebbe il periculum in
mora, dall'altro, la circostanza che il giudizio sia stato introdotto
con ricorso d'urgenza e non con ricorso a cognizione piena.
   2.  -  Si  e'  costituito  in  giudizio il ricorrente del giudizio
principale,  chiedendo  che  le  norme  denunciate vengano dichiarate
illegittime.
   In  particolare,  egli  osserva che l'art. 2, commi 159 e 161, del
decreto-legge  n. 262 del 2006, avrebbe un contenuto analogo all'art.
3,   comma   7,   della   legge  n. 145  del  2002,  gia'  dichiarato
costituzionalmente  illegittimo  dalla  Corte  costituzionale  con la
sentenza n. 103 del 2007.
   Infatti, «la norma che viene in rilievo nel presente giudizio lega
testualmente la cessazione automatica dei detti incarichi non apicali
al   voto  sulla  fiducia  al  Governo,  ovvero,  in  sede  di  prima
applicazione,  alla formazione dell'attuale Governo (17 maggio 2006),
con  cio'  rendendo  palese  la  volonta'  di  instaurare  un preciso
collegamento tra livello politico e livello burocratico».
   Nel  prosieguo  delle  argomentazioni, la parte privata richiama i
principi  affermati dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 313
del 1996, n. 193 del 2002 e, soprattutto, n. 103 del 2007.
   3.  -  E'  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  eccependo, innanzitutto, la inammissibilita' della questione,
perche' prospettata nell'ambito di un procedimento cautelare.
   Nel  merito,  si  deduce la non fondatezza della questione, atteso
che   i   principi  posti  dagli  artt.  95  e  97  Cost.  riguardano
esclusivamente  le  funzioni dirigenziali di soggetti appartenenti ai
ruoli dell'amministrazione.
   Secondo la difesa erariale, la norma in esame e' volta, inoltre, a
conseguire  risparmi  di  spesa,  atteso  che  «il conferimento degli
incarichi  predetti a dirigenti estranei all'amministrazione centrale
comporta  un  aggravio  economico  sul  bilancio  della  stessa».  Si
aggiunge,  inoltre, che le disposizioni censurate si sforzerebbero di
«trovare  il giusto contemperamento tra lo svolgimento della funzione
dirigenziale,   fondato   sulla   natura   squisitamente   fiduciaria
dell'incarico  tanto  piu'  quando,  come  nel caso contemplato dalla
norma   l'incarico   e'   stato   conferito   a   soggetti   estranei
all'amministrazione    o   comunque   non   appartenenti   ai   ruoli
dell'amministrazione centrale, e la necessita' di evitare un aggravio
all'erario  pubblico  consistente  nella  retribuzione  del  predetto
dirigente  allorquando  sia venuta meno la compagine politica che gli
aveva effettivamente conferito l'incarico».
   Si  sottolinea,  inoltre, come il fatto che la revoca faccia salvi
gli  effetti  economici  dell'incarico  dimostrerebbe  la  natura non
sanzionatoria  della decadenza, aggiungendosi che una tale previsione
non  sarebbe  necessaria  per  i  dipendenti  pubblici  incaricati di
funzioni  dirigenziali non appartenenti ai ruoli centrali, perche' la
cessazione  dell'incarico  dirigenziale  non  avrebbe  per loro alcun
effetto  negativo  sulla retribuzione adeguata e sufficiente, essendo
essi ricollocati nei ruoli di provenienza.
   Infine,  la  difesa  erariale  osserva  che non potrebbero trovare
applicazione   i   principi   di   cui   alle  sentenze  della  Corte
costituzionale   n. 103  e  n. 104  del  2007,  in  quanto  la  prima
concerneva  una  ipotesi  di  «mera decadenza automatica», la seconda
riguardava i direttori generali delle ASL.
                       Considerato in diritto
   1.  -  Il  Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del
lavoro,   ha   sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art.  2,  commi  159  e  161,  del decreto-legge 3 ottobre 2006,
n. 262  (Disposizioni  urgenti  in materia tributaria e finanziaria),
convertito,  con  modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 24
novembre  2006,  n. 286,  per  violazione  degli  artt. 97 e 98 della
Costituzione.
   In particolare, il comma 159 - modificando il comma 8 dell'art. 19
del  decreto  legislativo  30  marzo  2001,  n. 165  (Norme  generali
sull'ordinamento  del  lavoro  alle  dipendenze delle amministrazioni
pubbliche)  -  prevede,  tra  l'altro,  che gli incarichi di funzioni
dirigenziali  conferiti a personale «non appartenente ai ruoli di cui
all'articolo  23»  cessano  «decorsi  novanta  giorni  dal voto sulla
fiducia al Governo».
   Il comma 161 stabilisce, invece, che i suddetti incarichi, in sede
di  prima  applicazione della nuova normativa, conferiti prima del 17
maggio  2006, «cessano ove non confermati entro sessanta giorni dalla
data  di  entrata  in  vigore»  dello stesso decreto-legge n. 262 del
2006.
   2.  -  In  via  preliminare,  anche  ai  fini  della delimitazione
dell'attuale   thema  decidendum,  appare  opportuno  ricostruire  la
vicenda oggetto del giudizio a quo.
   Al  ricorrente,  nella  sua  qualita'  di viceprefetto aggiunto e,
dunque,  di  «dirigente  di  seconda  fascia  del ruolo del Ministero
dell'interno», appartenente, come tale, alla categoria del «personale
in  regime  di  diritto  pubblico» sottratto alla privatizzazione del
pubblico  impiego  (art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001), con
decreto  del Presidente del Consiglio dei ministri 25 novembre 2005 e
con   contratto   in  pari  data  stipulato  con  il  Ministro  delle
comunicazioni,  e'  stato  conferito  presso  quest'ultimo  Ministero
l'«incarico  di  direttore  della Direzione generale per i servizi di
comunicazione  elettronica e di radiodiffusione», ai sensi «dell'art.
19, commi 4 e 5-bis» del d.lgs. n. 165 del 2001.
   Successivamente,  con  atto  del  4  dicembre  2006, il Segretario
generale  del  medesimo  Ministero  ha  comunicato  al  ricorrente la
decadenza   dal   predetto   incarico,  non  essendo  intervenuto  il
provvedimento di conferma dello stesso.
   Alla luce di quanto sopra, appare evidente che la cessazione della
suddetta   funzione   dirigenziale   «non  apicale»  e'  avvenuta  in
applicazione  del  comma 161 dell'art. 2 del decreto-legge n. 262 del
2006.
   Da  cio' deve trarsi la prima conclusione secondo cui il comma 159
del medesimo art. 2, pure oggetto di censura da parte del rimettente,
non  trova  applicazione  nel giudizio a quo, sicche' la questione di
costituzionalita'  avente  ad  oggetto  anche detta disposizione deve
essere dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza.
   L'esame  di  merito,  pertanto,  deve riguardare esclusivamente il
comma  161,  in  relazione  al  quale priva di fondamento si presenta
l'eccezione  dell'Avvocatura generale dello Stato di inammissibilita'
della  questione,  perche'  sollevata  nell'ambito di un procedimento
cautelare.  E',  infatti,  sufficiente  osservare  che,  essendo tale
procedimento  ancora  in  corso,  il giudice a quo non ha esaurito la
propria   potestas  iudicandi,  per  cui  e'  incontestabile  la  sua
legittimazione   a   sollevare   in   detta   fase  la  questione  di
costituzionalita'  della  disposizione  di  cui  e'  chiamato  a fare
applicazione.
   3.  -  Cio'  premesso,  va  osservato come il Tribunale rimettente
censuri il predetto comma 161, assumendo che esso, nel prevedere, con
norma   transitoria,  che  gli  incarichi  di  funzioni  dirigenziali
conferiti  al  personale non appartenente ai ruoli di cui all'art. 23
del d.lgs. n. 165 del 2001 «cessano ove non confermati entro sessanta
giorni  dalla  data  di entrata in vigore» del predetto decreto-legge
n. 262 del 2006, si pone in contrasto con gli artt. 97 e 98 Cost., in
quanto  determina  in modo automatico la interruzione del rapporto di
lavoro prima dello spirare del termine stabilito per la sua durata.
   3.1. - La questione e' fondata.
   Preliminarmente  e'  opportuno,  allo scopo di chiarire la portata
della  norma  denunciata,  sul presupposto che vengano qui in rilievo
incarichi  «non  apicali»,  fare cenno alle modalita' di conferimento
degli incarichi di dirigenza generale dello Stato, con riferimento ai
soggetti che ne possono essere investiti.
   Innanzitutto,  i  predetti  incarichi  possono essere attribuiti a
personale  inserito  nel  cosiddetto «ruolo dei dirigenti», istituito
presso  ciascuna  amministrazione  statale  e articolato in due fasce
(art. 23 del d.lgs. n. 165 del 2001).
   In   secondo   luogo,  le  funzioni  dirigenziali  possono  essere
conferite,  entro il limite del 10 per cento della dotazione organica
dei  dirigenti  appartenenti  alla  prima  fascia  dei  ruoli  di cui
all'art.  23, e del 5 per cento della dotazione organica di quelli di
seconda  fascia, «anche ai dirigenti non appartenenti ai ruoli di cui
al   medesimo   articolo   23»,   purche'   dipendenti   da   «altre»
amministrazioni  pubbliche  (art.  19, comma 5-bis, del citato d.lgs.
n. 165  del 2001), vale a dire da amministrazioni dello Stato diverse
da quelle nel cui ambito e' collocato il posto da conferire.
   Infine,  e'  prevista la possibilita' che ciascuna amministrazione
attribuisca  la  titolarita'  di  tali  uffici  dirigenziali, a tempo
determinato,  a  «persone  di particolare e comprovata qualificazione
professionale», in possesso dei requisiti specificamente previsti dal
comma  6  dello  stesso  art. 19, cioe' a soggetti estranei, all'atto
della nomina, alle amministrazioni statali.
   In  questa sede vengono in rilievo soltanto gli incarichi relativi
alla  seconda  delle  tipologie  indicate  e  dunque  quelli  esterni
conferiti   a   personale   dipendente   da  «altre»  amministrazioni
pubbliche:  il  ricorrente, infatti, essendo un dirigente «di seconda
fascia»  appartenente  al  personale  della  carriera  prefettizia, e
quindi al «personale in regime di diritto pubblico» (art. 3, comma 1,
del  d.lgs.  n. 165  del  2001),  non rientra nel novero dei soggetti
inseriti  nei «ruoli di cui all'art. 23», ne' puo' essere considerato
gia'   facente   parte,   all'atto   del  conferimento  dell'incarico
dirigenziale,  di  nessuna  amministrazione  pubblica  e  tuttavia in
possesso di particolare e comprovata qualificazione professionale.
   3.2.  - In tale contesto si inserisce la disposizione censurata la
quale,  stabilendo,  con  norma  transitoria,  che  gli  incarichi di
funzioni  dirigenziali  in  esame  «cessano  ove non confermati entro
sessanta  giorni  dalla  data di entrata in vigore» del decreto-legge
n. 262  del 2006, contempla un meccanismo di spoils system automatico
e una tantum.
   Sul punto, deve rilevarsi che questa Corte, con la sentenza n. 103
del 2007, ha dichiarato la illegittimita' costituzionale dell'art. 3,
comma  7,  della  legge  15  luglio 2002, n. 145 (Disposizioni per il
riordino  della  dirigenza  statale  e  per  favorire  lo  scambio di
esperienze   e  l'interazione  tra  pubblico  e  privato),  il  quale
prevedeva  la  cessazione  automatica, ex lege e generalizzata, degli
incarichi  dirigenziali  interni di livello generale al momento dello
spirare  del  termine di sessanta giorni dall'entrata in vigore della
stessa legge n. 145 del 2002.
   La  disposizione  ora  censurata  prevede una ipotesi di decadenza
che, rispetto alla fattispecie gia' scrutinata da questa Corte con la
citata  sentenza  n. 103 del 2007, si connota per avere stabilito, da
un  lato, la cessazione anticipata dall'incarico di dirigenti esterni
dipendenti da «altre» amministrazioni; dall'altro, per l'attribuzione
all'organo  politico  del  potere  di conferma nel predefinito spazio
temporale  di  sessanta giorni delle funzioni dirigenziali di livello
generale in corso di espletamento.
   Ai  fini  della  risoluzione  della  questione  sollevata, occorre
verificare  se la sussistenza delle suddette differenze sia idonea ad
incidere   sulla   legittimita'   costituzionale  del  meccanismo  di
decadenza   contemplato  dalla  disposizione  censurata  e  dunque  a
diversificare  la  presente  fattispecie  da quella scrutinata con la
citata sentenza n. 103 del 2007.
   A  tale  proposito,  in  relazione al primo profilo afferente alla
natura  del  soggetto  al  quale l'incarico sia stato conferito, deve
rilevarsi  che  il  rapporto di lavoro che l'amministrazione instaura
con  soggetti inseriti nei ruoli di cui all'art. 23 del d.lgs. n. 165
del  2001,  vale  a  dire  con personale gia' dipendente dalla stessa
amministrazione  conferente,  rispetto  al  contratto  stipulato  con
personale esterno dipendente da «altre» amministrazioni pubbliche, si
caratterizza   esclusivamente  per  il  peculiare  atteggiarsi  della
relazione esistente tra rapporto di servizio e rapporto di ufficio.
   Nel  primo  caso, infatti, l'atto di conferimento dell'incarico ai
dirigenti  di  ruolo  e  il  contratto individuale cui esso accede si
innestano,  con funzione integrativa, su un rapporto di servizio gia'
esistente con l'amministrazione statale.
   Nella  seconda  fattispecie, invece, l'atto di attribuzione di una
determinata   funzione   dirigenziale   e   il   correlato  contratto
individuale,   avente  ad  oggetto  la  definizione  del  trattamento
economico,  hanno una loro autonomia, atteso che il personale esterno
dipendente  da  «altre»  amministrazioni  statali mantiene la propria
specifica fonte di regolazione del rapporto base.
   E' evidente come le descritte diversita' strutturali relative alle
modalita'  di  conferimento dei suddetti incarichi non siano idonee a
determinare,  contrariamente  a  quanto  sostenuto dalla difesa dello
Stato,  l'applicazione  di principi diversi, sul piano funzionale, in
relazione    alla    distinzione    tra    attivita'   di   indirizzo
politico-amministrativo e compiti gestori dei dirigenti.
   Anche per i dirigenti esterni il rapporto di lavoro instaurato con
l'amministrazione  che  attribuisce  l'incarico  deve  essere -  come
questa  Corte  ha gia' avuto modo di affermare con la citata sentenza
n. 103  del  2007 -  «connotato  da  specifiche  garanzie,  le  quali
presuppongono  che  esso  sia  regolato in modo tale da assicurare la
tendenziale  continuita'  dell'azione  amministrativa  e  una  chiara
distinzione     funzionale     tra    i    compiti    di    indirizzo
politico-amministrativo  e  quelli  di  gestione».  Nella  specie, il
rapporto  di  lavoro dirigenziale in corso, che avrebbe dovuto avere,
per   contratto,   una   durata  quinquennale,  e'  stato  interrotto
automaticamente  dopo soltanto poco piu' di un anno dal suo effettivo
inizio.
   Deve, pertanto, ribadirsi che il rispetto dei suddetti principi e'
necessario  al  fine  di  garantire  che «il dirigente generale possa
espletare  la  propria attivita - nel corso e nei limiti della durata
predeterminata   dell'incarico -   in   conformita'  ai  principi  di
imparzialita' e di buon andamento dell'azione amministrativa (art. 97
Cost.)».  Tali  principi  stanno  «alla base della stessa distinzione
funzionale  dei compiti tra organi politici e burocratici e cioe' tra
l'azione  di governo - che e' normalmente legata alle impostazioni di
una  parte  politica,  espressione  delle  forze  di  maggioranza - e
l'azione     dell'amministrazione,    la    quale,    nell'attuazione
dell'indirizzo  politico  della maggioranza, e' vincolata, invece, ad
agire  senza  distinzioni  di  parti  politiche e dunque al "servizio
esclusivo  della  Nazione" (art. 98 Cost.), al fine del perseguimento
delle  finalita'  pubbliche  obiettivate  dall'ordinamento» (sentenza
n. 103 del 2007).
   In   definitiva,  dunque,  la  natura  esterna  dell'incarico  non
costituisce un elemento in grado di diversificare in senso fiduciario
il rapporto di lavoro dirigenziale, che deve rimanere caratterizzato,
sul piano funzionale, da una netta e chiara separazione tra attivita'
di indirizzo politico-amministrativo e funzioni gestorie.
   La  seconda  differenza, rispetto alla fattispecie gia' scrutinata
da  questa  Corte  con la sentenza n. 103 del 2007, e' costituita dal
fatto   che  nella  vicenda  ora  in  esame  l'organo  politico  puo'
esercitare  il  potere  di conferma entro sessanta giorni. Anche tale
differenza non e', pero', idonea, di per se', contrariamente a quanto
sostenuto  dall'Avvocatura  generale  dello Stato, a diversificare le
fattispecie in esame e conseguentemente il relativo regime giuridico.
Il  potere  ministeriale  di  conferma  non  attribuisce, infatti, al
rapporto   dirigenziale   in   corso  alcuna  garanzia  di  autonomia
funzionale, atteso che dalla mancata conferma la legge fa derivare la
decadenza   automatica   senza   alcuna   possibilita'  di  controllo
giurisdizionale.
   Ne'  puo'  essere  seguita  la tesi prospettata dalla difesa dello
Stato,  ripresa  nel  corso  della  udienza  pubblica di discussione,
secondo   cui   la   disposizione   contenuta   nel   comma   161  si
caratterizzerebbe in modo peculiare rispetto a quella gia' oggetto di
esame  da  parte  di  questa  Corte, in quanto rinverrebbe la propria
giustificazione  nell'esigenza  di  contenimento della spesa pubblica
che  permea  l'intera  legge finanziaria, nella quale la disposizione
ora censurata risulta inserita.
   A  tale  proposito, deve rilevarsi come il solo fatto che la norma
censurata   si   trovi  collocata  in  un  provvedimento  legislativo
incidente  in  ambito  finanziario  non  comporta necessariamente che
scopo  della nuova disciplina sia quello del contenimento della spesa
pubblica,  quando  - come nel caso in esame - tale finalizzazione non
emerga dal testo della disposizione oggetto di censura.
   3.3.  -  Alla  luce  delle  considerazioni  sin qui esposte, deve,
pertanto,  ritenersi che la norma denunciata, prevedendo la immediata
cessazione  del  rapporto dirigenziale alla scadenza del sessantesimo
giorno  dall'entrata  in vigore del decreto-legge n. 262 del 2006, in
mancanza   di  riconferma,  violi,  in  carenza  di  idonee  garanzie
procedimentali,   i  principi  costituzionali  di  buon  andamento  e
imparzialita'   e,  in  particolare,  «il  principio  di  continuita'
dell'azione  amministrativa che e' strettamente correlato a quello di
buon andamento dell'azione stessa» (sentenza n. 103 del 2007).
   Cio'  in quanto la previsione di una anticipata cessazione ex lege
del  rapporto  in corso - in assenza di una accertata responsabilita'
dirigenziale -   impedisce   che   l'attivita'  del  dirigente  possa
espletarsi  in  conformita'  ad  un  nuovo  modello  di  azione della
pubblica amministrazione, disegnato dalle recenti leggi riforma della
pubblica   amministrazione,   che   misura  l'osservanza  del  canone
dell'efficacia  e  dell'efficienza  «alla  luce  dei risultati che il
dirigente  deve  perseguire,  nel  rispetto degli indirizzi posti dal
vertice politico, avendo a disposizione un periodo di tempo adeguato,
modulato  in  ragione  della  peculiarita'  della  singola  posizione
dirigenziale e del contesto complessivo in cui la stessa e' inserita»
(sentenza n. 103 del 2007).
   E'  necessario,  pertanto,  garantire  «la  presenza di un momento
procedimentale  di confronto dialettico tra le parti, nell'ambito del
quale,  da  un  lato, l'amministrazione esterni le ragioni - connesse
alle  pregresse  modalita'  di  svolgimento  del  rapporto  anche  in
relazione   agli   obiettivi   programmati   dalla   nuova  compagine
governativa - per le quali ritenga di non consentirne la prosecuzione
sino   alla   scadenza   contrattualmente  prevista;  dall'altro,  al
dirigente  sia assicurata la possibilita' di far valere il diritto di
difesa,  prospettando  i  risultati delle proprie prestazioni e delle
competenze  organizzative  esercitate  per  il  raggiungimento  degli
obiettivi  posti  dall'organo  politico  e  individuati, appunto, nel
contratto a suo tempo stipulato» (sentenza n. 103 del 2007).
   L'esistenza di una preventiva fase valutativa, ha puntualizzato la
Corte  con  la  suindicata  sentenza,  risulta  «essenziale anche per
assicurare,  specie  dopo  l'entrata  in  vigore della legge 7 agosto
1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e
di  diritto  di accesso ai documenti amministrativi), come modificata
dalla  legge  11  febbraio  2005, n. 15, il rispetto dei principi del
giusto  procedimento,  all'esito  del quale dovra' essere adottato un
atto  motivato  che,  a  prescindere  dalla  sua natura giuridica, di
diritto pubblico o di diritto privato, consenta comunque un controllo
giurisdizionale.  Cio'  anche  al  fine  di garantire - attraverso la
esternazione  delle ragioni che stanno alla base della determinazione
assunta  dall'organo politico - scelte trasparenti e verificabili, in
grado  di  consentire  la  prosecuzione  dell'attivita'  gestoria  in
ossequio  al  precetto costituzionale della imparzialita' dell'azione
amministrativa».
   3.3.   -  Deve,  pertanto,  essere  dichiarata  la  illegittimita'
costituzionale  dell'art.  2, comma 161, del decreto-legge n. 262 del
2006,  per  violazione  degli artt. 97 e 98 della Costituzione, nella
parte  in  cui  dispone  che gli incarichi conferiti al personale non
appartenente  ai  ruoli di cui all'art. 23 del d.lgs. n. 165 del 2001
«conferiti prima del 17 maggio 2006, cessano ove non confermati entro
sessanta  giorni  dalla  data  di  entrata  in  vigore  del  presente
decreto».
              Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 2, comma 161,
del  decreto-legge  3  ottobre  2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in
materia  tributaria  e  finanziaria),  convertito, con modificazioni,
dall'art.  1,  comma  1,  della legge 24 novembre 2006, n. 286, nella
parte  in  cui  dispone  che gli incarichi conferiti al personale non
appartenente  ai  ruoli di cui all'art. 23 del decreto legislativo 30
marzo  2001,  n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle
dipendenze  delle amministrazioni pubbliche), «conferiti prima del 17
maggio  2006,  cessano ove non confermati entro sessanta giorni dalla
data di entrata in vigore del presente decreto»;
   Dichiara  la  inammissibilita'  della  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  2,  comma  159, del predetto decreto-legge
n. 262 del 2006, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,
della  legge  n. 286  del 2006, sollevata, dal Tribunale ordinario di
Roma,  in  riferimento  agli  artt.  97  e 98 della Costituzione, con
l'ordinanza indicata in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 maggio 2008.
                         Il Presidente: Bile
                       Il redattore: Quaranta
                      Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 20 maggio 2008.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola