N. 264 ORDINANZA 7 - 10 luglio 2008

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale  -  Appello - Modifiche normative - Impugnazione del
  pubblico   ministero   avverso   sentenze   di   proscioglimento  -
  Preclusione, salvo nelle ipotesi di cui all'art. 603, comma 2, cod.
  proc.  pen.,  se  la  nuova  prova e' decisiva - Applicazione della
  nuova  disciplina  anche  ai  procedimenti  in  corso  alla data di
  entrata  in  vigore  della  novella  - Sopravvenuta declaratoria di
  illegittimita' costituzionale delle norme censurate - Necessita' di
  una   nuova   valutazione   della   rilevanza   delle  questioni  -
  Restituzione degli atti al giudice rimettente.
- Cod.  proc. pen., art. 593, come sostituito dall'art. 1 della legge
  20 febbraio 2006, n. 46; legge 20 febbraio 2006, n. 46, art. 10.
- Costituzione, artt. 3 e 111.
(GU n.30 del 16-7-2008 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Franco BILE;
Giudici:  Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
   Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso  QUARANTA,  Franco
   GALLO,  Luigi  MAZZELLA,  Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria
   Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO ;
ha pronunciato la seguente
                              Ordinanza
nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 593 del codice
di  procedura  penale,  come  sostituito  dall'art.  1 della legge 20
febbraio  2006,  n. 46  (Modifiche  al codice di procedura penale, in
materia  di  inappellabilita'  delle  sentenze di proscioglimento), e
dell'art. 10 della stessa legge, promossi con ordinanze del 20 aprile
e   dell'8   agosto   2006  dalla  Corte  d'appello  di  Trieste  nei
procedimenti  penali a carico di A.A. e di L.A. ed altro, iscritte ai
nn.  138 del registro ordinanze 2007 e 30 del registro ordinanze 2008
e  pubblicate  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 13, 1ª
serie speciale, dell'anno 2007 e n. 9 prima serie speciale, dell'anno
2008;
   Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 21 maggio 2008 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick;
   Ritenuto  che, con due ordinanze sostanzialmente coincidenti nella
parte  motiva  (r.o.  n. 138  del 2007 e n. 30 del 2008), la Corte di
appello  di  Trieste  ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111
della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art.  593  del  codice  di  procedura  penale,  come  sostituito
dall'art.  1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice
di procedura penale, in materia di inappellabilita' delle sentenze di
proscioglimento),  nella  parte  in  cui  non  consente  al  pubblico
ministero di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento,
se  non  nel  caso previsto dall'art. 603, comma 2, cod. proc. pen. -
ossia quando sopravvengano o si scoprano nuove prove dopo il giudizio
di  primo  grado  e  sempre  che  tali  prove  risultino decisive - e
dell'art.  10  della  medesima  legge,  recante  il  relativo  regime
transitorio;
     che  la  Corte  rimettente premette, ai fini della rilevanza, di
essere investita degli appelli proposti dal pubblico ministero, prima
dell'entrata  in  vigore  della  legge  n. 46  del  2006, avverso due
sentenze  del  Tribunale  di  Udine,  rispettivamente  di non doversi
procedere  per  difetto  di  querela  (r.o.  n. 138  del  2007)  e di
assoluzione  con la formula perche' il fatto non sussiste (r.o. n. 30
del 2008);
     che  in  forza  dell'art. 10 della legge n. 46 del 2006 - il cui
art.  1,  sostituendo  l'art.  593  cod.  proc. pen., ha sottratto al
pubblico   ministero   il   potere   di   appellare  le  sentenze  di
proscioglimento  -  i  giudizi dovrebbe essere definiti con ordinanze
non impugnabili di inammissibilita';
     che,   nel  merito,  la  disciplina  censurata  si  porrebbe  in
contrasto  con  gli  artt. 3 e 111 Cost., per violazione dei principi
della parita' fra le parti e della ragionevole durata del processo;
     che,  quanto  al  primo  profilo,  la Corte d'appello rimettente
rileva   che,   secondo   la   costante  giurisprudenza  della  Corte
costituzionale, la previsione di limiti al potere di impugnazione del
pubblico  ministero - di per se' non in contrasto con la Costituzione
-  deve  trovare  una  «ragionevole  giustificazione» nella peculiare
posizione  istituzionale  del pubblico ministero, nella funzione allo
stesso   affidata   e   nelle   esigenze   connesse   alla   corretta
amministrazione della giustizia;
     che  il  giudice  a quo osserva che nei lavori preparatori della
legge,   e  segnatamente  nella  relazione  di  accompagnamento  alla
proposta   di   legge,  le  ragioni  dell'intervento  normativo  sono
ricondotte  esclusivamente  alla  necessita'  di  dare  attuazione al
principio  affermato dall'art. 2 del Protocollo addizionale n. 7 alla
Convenzione  europea per la salvaguardia dei diritti e delle liberta'
fondamentali,  adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984 ratificato e
reso  esecutivo  con  legge  9 aprile 1990, n. 98, con riferimento al
«diritto  al  doppio  grado  di  giurisdizione  in materia penale per
chiunque  venga  dichiarato  colpevole di una infrazione penale da un
tribunale»;
     che tali ragioni si paleserebbero, tuttavia, non solo estranee a
quelle   che,   secondo   la  giurisprudenza  richiamata,  potrebbero
legittimare  una  limitazione dei poteri di impugnazione del pubblico
ministero,  ma  anche  «del tutto prive di fondamento», atteso che la
Corte  costituzionale ha ripetutamente affermato che «il doppio grado
di   giurisdizione   di   merito   non   forma  oggetto  di  garanzia
costituzionale»  e  che  l'art. 2 sopra menzionato «non legittima una
interpretazione per cui il riesame ad opera di un tribunale superiore
debba coincidere con un giudizio di merito»;
     che  la  limitazione  del  potere  di  impugnazione del pubblico
ministero  non  sarebbe  giustificata  neppure  dalla circostanza che
l'appello  e'  formalmente  precluso anche all'imputato, «ben diverso
essendo  il  rispettivo interesse sostanziale a proporre impugnazione
avverso una sentenza di proscioglimento»;
     che,  pertanto, la disciplina censurata, in quanto introduce una
limitazione dei poteri del pubblico ministero priva di idonee ragioni
giustificative, si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 111 Cost.;
     che   sarebbe,   inoltre,  violato  il  principio  della  durata
ragionevole del processo sancito dall'art. 111, secondo comma, Cost.,
atteso  che  la legge n. 46 del 2006, eliminando l'appello avverso le
sentenze  di  proscioglimento  e  ampliando  i motivi del ricorso per
cassazione,  ha  determinato  un  aumento  dei gradi di giudizio, con
conseguente   allungamento   dei   tempi  processuali  e  rischio  di
prescrizione dei reati;
     che  cio'  risulterebbe  tanto  piu'  evidente in relazione alla
disciplina  transitoria  contenuta nell'art. 10 della legge n. 46 del
2006,  poiche'  la  previsione di una «indiscriminata declaratoria di
inammissibilita»  degli appelli proposti prima dell'entrata in vigore
della  legge,  «derogando al principio tempus regit actum che governa
la materia processuale, non solo sacrifica ineludibilmente un atto di
gravame tempestivamente proposto, costringendo la parte interessata a
presentarne  un  altro,  ma comporta l'inevitabile differimento della
presentazione  di  esso  all'eseguita  notifica  del provvedimento di
inammissibilita' e, pertanto, ad un termine futuro ed incerto».
   Considerato che il dubbio di costituzionalita' sottoposto a questa
Corte  ha  per oggetto la preclusione - conseguente alla sostituzione
dell'art.  593  del  codice  di procedura penale ad opera dell'art. 1
della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura
penale,   in   materia   di   inappellabilita'   delle   sentenze  di
proscioglimento)  -  dell'appello  delle  sentenze  dibattimentali di
proscioglimento   da  parte  del  pubblico  ministero  e  l'immediata
applicabilita'  di tale regime, in forza dell'art. 10 della legge, ai
procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima;
     che,  stante  l'identita'  delle  questioni proposte, i relativi
giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica pronuncia;
     che, successivamente alle ordinanze di rimessione, questa Corte,
con  la  sentenza  n. 26  del  2007,  ha  dichiarato l'illegittimita'
costituzionale  dell'art. 1 della citata legge n. 46 del 2006, «nella
parte  in cui, sostituendo l'art. 593 del codice di procedura penale,
esclude  che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze
di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste dall'art.
603,  comma 2, del medesimo codice, se la nuova prova e' decisiva», e
dell'art.  10,  comma  2,  della  stessa  legge,  «nella parte in cui
prevede che l'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento
dal  pubblico  ministero  prima della data di entrata in vigore della
medesima legge e' dichiarato inammissibile»;
     che,  alla  stregua  della richiamata pronuncia di questa Corte,
gli  atti devono pertanto essere restituiti ai giudici rimettenti per
un nuovo esame della rilevanza delle questioni.
              Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi,
   Ordina la restituzione degli atti alla Corte d'appello di Trieste.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2008.
                         Il Presidente: Bile
                         Il redattore: Flick
                      Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 10 luglio 2008.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola