N. 364 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 maggio 2008
del 26 maggio 2008 emessa dal Tribunale di Lecce - Sezione distaccata di Nardo' nel procedimento penale a carico di Gaballo Luigi ed altro Sicurezza pubblica - Violazioni nella produzione, importazione, distribuzione e installazione di apparecchi da gioco (art. 110, comma nono, regio decreto n. 773/1931) - Intervenuta depenalizzazione - Inapplicabilita' alle violazioni commesse anteriormente - Contrasto con il principio di retroattivita' della legge piu' favorevole al reo - Violazione del principio di ragionevolezza - Lesione del principio di conformita' dell'ordinamento giuridico italiano alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute - Inosservanza dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali - Riproposizione di questione gia' oggetto della ord. n. 55/2008 della Corte costituzionale. - Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 547. - Costituzione artt. 3, 10, primo comma, 25, comma secondo, e 117, primo comma, in relazione all'art. 15, primo comma, del Patto internazionale dei diritti civili e politici adottato a New York il 16 dicembre 1966.(GU n.47 del 12-11-2008 )
IL TRIBUNALE Letti gli atti del procedimento penale in epigrafe indicato nei confronti di: 1) Gaballo Luigi, nato a Nardo' il 17 maggio 1959 ed ivi residente alla c.da La Vecchia; 2) Merenda Dario, nato a Nardo' il 5 gennaio 1960 ed ivi residente alla via Cimitero n. 19, entrambi difesi di fiducia dall'avv. Salvatora De Lorenzis del foro di Lecce imputati del reato p. e p. dall'art. 110, comma 7, lett. a) e 9 (TULPS), come richiamato dall'art. 1, comma 547, legge n. 266/2005, perche', Gabello Luigi, nella veste di legale rappresentante del circolo ricreativo denominato «La Stevola» corrente in Nardo', Merenda Dario, quale gestore di fatto del circolo, installavano nel predetto circolo, o comunque ne consentivano l'uso a terzi, un apparecchio elettromeccanico, denominato Bingo, non rispondente alle prescrizioni di cui all'art. 110, comma 7, lett. a), TULPS, in particolare Iapparecchiatura non consentiva al giocatore di esprimere la propria abilita' fisica, mentale o strategica e non risultava abilitato ad erogare, dopo la conclusione della partita, premi consistenti in prodotti di piccola oggettistica. In Nardo' il 15 ottobre 2005; Rilevato che, dopo la regolare costituzione delle parti, il processo pende ancora nella fase delle questioni preliminari, osserva quanto segue. Con ordinanza emessa nel corso dell'udienza del 22 gennaio 2007 questo tribunale sollevava, su sollecitazione difensiva, ma anche di ufficio, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 547 della legge n. 266/2005 nella parte in cui prevede l'ultrattivita' delle disposizioni penali di cui all'art. 110, comma 9 TULPS per violazione degli art. 3, 10 e 25, secondo comma, Cost. Con ordinanza n. 55 del 10 marzo 2008 la Corte costituzionale dichiarava la manifesta inammissibilita' dell'incidente di costituzionalita' proposto poiche' questo tribunale, nel formulare il giudizio di rilevanza, ometteva di ricostruire compiutamente il quadro normativo di riferimento, non avendo argomentato, sia pure per escludeme l'incidenza, in merito alla nuova sostituzione dell'art. 110, comma 9, del r.d. n. 773/1931 ad opera dell'art. 1, comma 86, della legge n. 296/2006 (legge finanziaria 2007). A seguito di cio', rifissato il processo, deve prendersi atto della permanenza della rilevanza della questione di legittimita' costituzionale come originariamente prospettata, anche alla luce delle modifiche normative segnalate dalla Corte costituzionale. Invero, questo giudice, avendo appreso di altre pronunce della Corte costituzionale del medesimo tenore di quella su richiamata in ordine alla medesima questione di legittimita' costituzionale, con sentenza n. 304/07 R.G.Sent., emessa in altro procedimento a carico di tale Pinto Antonio, assolveva l'imputato con la formula «perche' il fatto non e' piu' previsto dalla legge come reato», poiche', in conseguenza del secondo intervento normativo di depenalizzazione, il comma 9 dell'art. 110 TULPS non era stato semplicemente modificato, ma radicalmente sostituito, e, sebbene, in concreto, le variazioni apportate in punto di sanzione risultavano marginali, formalmente ad una norma era stata sostituita un'altra norma, con la conseguente necessita' di individuare un nuovo regime transitorio. In definitiva, rispetto alla nuova formulazione del comma 9 dell'art. 110 TULPS non era piu' applicabile il regime transitorio delineato dall'art. 1, comma 547, legge n. 266/2005, con riferimento alla prima, per cosi' dire, depenalizzazione, bensi' direttamente l'art. 2 c.p., con il consequenziale venire meno della rilevanza penale di ogni fatto ncollegabile al citato art. 110 TULPS, anche di quelli commessi anteriormente al 1 gennaio 2006. Questa interpretazione, che avrebbe tolto ogni rilevanza alla questione di legittimita' costituzionale, e' stata a piu' riprese smentita dalla Corte di cassazione, che, oramai, con un orientamento assolutamente grafitico, ha ritenuto sussistente la rilevanza penale dei fatti ricollegabili all'art. 110, comma 9, TULPS, se commessi prima del 1 gennaio 2006, anche a seguito delle modifiche apportate al detto articolo dall'art. 1 comma 86 della legge n. 296/06 (sentenze della sez. III, 20 marzo 2007, n. 15297 e n. 16599, nonche' n. 17265 sempre del 20 marzo 2007, quest'ultima interessante anche perche' in motivazione il S.C. ha escluso che possa seguirsi il percorso ermeneutico propugnato da questo giudice, che era stato in quella sede proposto dal Procuratore Generale di udienza; piu' di recente Cass. pen., sez. III, 18 ottobre 2007, n. 42380). La Corte di cassazione ha, peraltro, ritenuto manifestamente infondate le varie questioni di legittimita' costituzionale che erano state prospettate . dalle difese degli imputati in relazione agli artt. 3, 25 e 10 cost. (Cass. pen., sez. III, 27 aprile 2006, n. 24059 e Cass. Pen. sez. III, 20 marzo 2007, n. 17265). Alla luce di cio', non puo' questo giudice esimersi dal riproporre la questione di legittimita' costituzionale nei medesimi termini di quelli gia' evidenziati con la precedente ordinanza del 22 gennaio 2007, pena il porsi in aperto e palese contrasto rispetto all'orientamento consolidatosi presso la Corte di cassazione, alla quale spetta tuttora la funzione nomofilattica, ed in tale senso si riportano, per semplicita' espositiva, le medesime argomentazioni: «come e' noto, ai sensi dell'art. 1, comma 543 della legge 23 dicembre 2005 n. 266 (c.d. legge finanziaria 2006) il comma 9 dell'art. 110, r.d. n. 773/31 (TULPS) e' stato sostituito con una norma che attualmente non prevede piu' alcuna sanzione penale, ma soltanto sanzioni amministrative pecuniarie. In buona sostanza, per effetto dell'intervento normativo sostitutivo predetto il reato di cui all'art. 110 comma 9 R.D. n. 773/31 e' stato depenalizzato in relazione a tutte le fattispecie in precedenza previste. Sennonche', ai sensi del comma 547 dell'art. 1 della medesima legge n. 266/2005 «per le violazioni di cui all'art. 110, comma 9, del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931 n. 773, e successive modificazioni, commesse in data antecedente alla data di entrata in vigore della presente legge, si applicano le disposizioni vigenti al tempo delle violazioni stesse». In relazione a quest'ultima norma si solleva, su sollecitazione difensiva, ma anche di ufficio in relazione alla violazione di alcune disposizioni costituzionali, questione di legittimita' costituzionale per violazione degli artt. 3, 10, primo comma, e 25, secondo comma, cost. nella parte in cui consente iultrattivita' delle sanzioni penali previste dal previgente art. 110, comma 9, r.d. n. 773/1931 e successive modficazioni nonostante la sopravvenuta depenalizzazione». In punto di non manifesta infondatezza della questione. Il comma 547, dell'art. 1 della legge n. 266/005 ha previsto una «singolare deroga» (per utilizzare le parole di uno dei primi commentatori: cfr. Pappalardo A., «Piu' diffusi e controllati i videogiochi», in Guida al diritto dossier n. 2, febbraio 2006, pag. 159) al principio della irretroattivita' della legge penale meno favorevole, che, oltre ad essere sancito dall'art. 11 delle disposizioni sulle legge in generale e dall'art. 2, commi 1 e 2, c.p., assurge a rango costituzionale, specie nella materia penalistica, per effetto dell'art. 25, secondo comma, Cost. (cfr. Fiandaca-Musco, «Diritto Penale-parte generale», II ed. pag. 75). Orbene, il reato di cui all'art. 110, comma 9 TULPS appartiene (rectius apparteneva, tenuto conto che «sopravvive» solo per effetto della norma censurata) certamente alla categoria dei cc. dd. reati finanziari (secondo 1'ampia definizione datane dalla giurisprudenza prevalente: cfr. ass. pen., sez. I, 5 dicembre 1995 - 29 gennaio 1996, n. 6297,), atteso che agli apparecchi da gioco di cui all'art. 110 TULPS si applica un prelievo erariale unico fissato con apposito regolamento del Ministro dell'Economia e delle Finanze (cfr. comma 526 dell'art. 1 della legge n. 266/2006 e art. 39 del d.l. n. 269/2003 conv. in legge n. 326/2003). E' noto che in passato la Corte costituzionale, chiamata a decidere se l'art. 20 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (la norma paradigmatica del principio della c.d. ultrattivita' della legge penale finanziaria), nella parte in cui sanciva la cosiddetta ultrattivita' delle disposizioni penali delle leggi finanziarie, fosse in contrasto o meno con il principio costituzionale d'eguaglianza, per il dubbio che la deroga apportata ai principi comuni in tema di successione di leggi penali creasse irrazionali disparita' di trattamento tra i contravventori, aveva piu' volte ritenuto la questione priva di fondamento, in quanto la norma impugnata, diretta a garantire che la spinta psicologica all'osservanza della legge fiscale non fosse sminuita nemmeno dalla speranza di mutamenti di legislazione, appariva ispirata alla tutela dell'interesse primario alla riscossione dei tributi (art. 53 Cost.), che, come riconosciuto piu' volte dalla stessa Corte, era da ritenersi costituzionalmente differenziato (sentenze n. 45 del 1963, n. 91 del 1964, n. 50 del 1965) ed esigeva una tutela particolare. Ne', peraltro, secondo il Giudice delle leggi, sussisteva alcun ostacolo di carattere costituzionale, giacche' l'art. 25 della Costituzione vieta la retroattivita' della legge penale, ma non concerne l'ultrattivita' che disciplinata dall'art. 2 del codice penale (su tutte Corte cost. n. 164/1974 e piu' di recente Corte cost. n. 80/1995). Non puo' negarsi, pero', che, recentemente il legislatore, nell'ambito di un complessivo intervento di depenalizzazione, ha inteso abrogare l'art. 20 della legge n. 4 del 1929 (cfr. art. 24 del d.lgs. n. 507/1999), in tale modo dimostrando di volere assoggettare anche la normativa finanziaria ai criteri generali che regolano la successione di norme nel tempo e, con particolare riferimento alle norme penali finanziarie, all'art. 2 c.p. Orbene, a fronte di un recente intervento normativo che ha parflcato la norma penale finanziaria a quella ordinaria, eliminando quella disposizione che prevedeva in generale, per tutte le norme penali finanziarie, il principio della ultrattivita', appare irragionevole che in materia di apparecchi da gioco di cui all'art. 110 TULPS si attribuisca ultrattivita' alle norme vigenti prima dell'entrata in vigore della legge n. 266/2005. Invero, un intervento «settoriale» cosi' limitato nella materia de qua, a fronte di un deciso contrario orientamento normativo di carattere generale espresso appena pochi anni prima, non appare giustificato neppure alla luce dell'art. 53 Cost. Infatti, a seguito del venire meno dell'art. 20 della legge n. 4 del 1929 la giurisprudenza ha ritenuto pacificamente applicabile 1'art. 2 c.p. in materia di contrabbando di TLE (cfr. Cass. pen., sez. I, 21 ottobre 2002, n. 35192, che in applicazione dell'art. 2, c.p. ha ritenuto piu' favorevole la norma di cui all'art. 2, legge n. 50/1994, abrogata dall'art. 7, comma 3 della legge n. 92/2001, rispetto a quella di cui all'art. 291-bis, d.P.R. n. 43/1973 come introdotta dalla citata legge n. 92/2001; nello stesso senso Cass. n. 14456/2003. In precedenza, invece, stante la natura di reati finanziari dei delitti in materia di contrabbando, sussisteva lo sbarramento dell'art. 20 legge n. 4/1929: cfr. sul punto Corte cost. n. 80/1995). Allo stesso modo dicasi in relazione alle nuove fattispecie criminose introdotte dal d.lgs.n. 74/2000 in tema di disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto (si cfr. per taluni esempi Cass. sez. U., n. 35/2001 e Cass., sez. U, n. 27/2000). Orbene, se poteva astrattamente avere senso giustificare, sotto il profilo costituzionale, una disposizione, quale quella di cui all'art. 20, legge n. 4/1929, di portata e carattere generale con rferimento a tutte le norme che reprimevano penalmente violazioni di leggi finanziarie, le argomentazioni addotte in passato dal Giudice delle leggi a tale fine non possono sorreggere un giudizio di costituzionalita', sotto il profilo degli artt. 3 e 25, secondo comma, Cost., della norma di cui all'art. 1 comma 547 legge n. 266/2005, che ha portata e carattere settoriale, la cui applicazione, fra l'altro, oltre ad essere palesemente irragionevole, e' foriera di disparita' di trattamento rispetto a tutte le altre leggi che reprimono penalmente comportamenti che violano leggi finanziarie, sottoposte, al contrario, al principio dell'irretroattivita' della legge penale piu' sfavorevole. Al riguardo, preme rilevare che la Consulta, recentemente (sentenza n. 393/2006), ribadendo il consolidato orientamento secondo il quale il regime giuridico riservato alla lex mitior, e segnatamente la sua retroattivita', non riceve nell'ordinamento la tutela privilegiata di cui all'art. 25, secondo comma, cost., in quanto la garanzia costituzionale, prevista dalla citata disposizione, concerne soltanto il divieto di applicazione retroattiva della norma incriminatrice, nonche' di quella altrimenti piu' sfavorevole per il reo, ha affermato che eventuali deroghe al principio di retroattivita' della lex mitior ai sensi dell'art. 3 cost. possono essere disposte dalla legge ordinaria quando ricorre una sufficiente ragione giustificativa. Peraltro, 1'individuazione dei criteri in base ai quali operare questa valutazione di ragionevolezza, secondo il Giudice delle leggi, non puo' prescindere dal considerare adeguatamente la circostanza che tale principio non e' affermato soltanto, come criterio generale, dall'art. 2 c.p., ma e' stato sancito sia a livello internazionale sia a livello comunitario, e cio' incide sul tipo di sindacato da effettuare in relazione ad una legge che vi deroghi. A tale proposito la Corte citava 1'art. 15, primo comma, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato a New York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con legge n. 881/1977, secondo il quale, «se, posteriormente alla commissione del reato, la legge prevede l'applicazione di una pena piu' lieve, il colpevole deve beneficiarne», norma di diritto internazionale convenzionale incidente sui diritti fondamentali della persona che, come ricordava la Consulta, in quanto tale, per costante giurisprudenza costituzionale, assume una particolare forza giuridica. La Corte richiamava, altresi', il comma 2 dell'art. 6 del Trattato dell'Unione europea - nel testo risultante dal Trattato sottoscritto ad Amsterdam il 2 ottobre 1997, ratficato con legge n. 209/98 - secondo il quale «L'unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario», evidenziando come, secondo la costante giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunita' europee ivi indicata, i diritti fondamentali della persona sono parte integrante dei principi generali del diritto e, fra questi, e' da ricomprendersi altresi' il principio dell'applicazione retroattiva della pena piu' mite. La Corte concludeva affermando: «da questi dati normativi e giurisprudenziali si ricava che per le leggi in esame 1'applicazione retroattiva e' la regola e che tale regola e' derogabile in presenza di esigenze tali da prevalere su un principio il cui rilievo, si e' gia' osservato, non si fonda soltanto su una norma, sia pure generale e di principio, del codice penale. Il livello di rilevanza dell'interesse preservato dal principio di retroattivita' della lex mitior - quale emerge dal grado di protezione accordatogli dal diritto interno, oltre che dal diritto internazionale convenzionale e dal diritto comunitario - impone di ritenere che il valore da esso tutelato puo' esser sacrfiicato da una legge ordinaria solo in favore di interessi di analogo rilievo (quali - a titolo esemplificativo - quelli dell'efficienza del processo, della salvaguardia dei diritti dei soggetti che, in vario modo, sono destinatari della funzione giurisdizionale, e quelli che coinvolgono interessi o esigenze dell'intera collettivita' nazionale connessi a valori costituzionali di primario rilievo ... con la conseguenza che lo scrutinio di costituzionalita' ex art. 3 Cost, sulla scelta di derogare alla retroattivita' di una norma penale piu' favorevole al reo deve superare una vaglio positivo di ragionevolezza, non essendo a tale fine sufficiente che la norma derogatoria non sia manifestamente irragionevole» (Corte cost. 23 ottobre-23 novembre 2006, n. 393). Orbene, e' vero, si ribadisce, che in piu' occasioni (sentenze nn. 45/1963, 91/1964, 50/1965) la Corte costituzionale ha affermato il principio secondo il quale il diritto dello Stato allo riscossione dei tributi assume rilevanza costituzionale (art. 53 Cost.) tale da porsi sullo stesso piano di diritti individuali che pure allo stesso possono essere sacrificati (art. 14, terzo comma Cost.), ma e' pure vero che, alla luce della fondamentale rilevanza che il principio della lex mitior ha assunto a livello internazionale e comunitario, tanto da costituire un principio generale dell'ordinamento comunitario ed internazionale, il sacrificio di esso puo' essere giustificato, al piu', soltanto a fronte dell'esigenza di tutelare il diritto impositivo, fiscale e tributario, dello Stato a livello generale. Una norma che tutelasse tale pretesa statale nei confronti soltanto di determinati beni o soggetti, come si verfica, in definitiva, con la disposizione che si censura, sacrificandola, invece, nei confronti di altri beni o soggetti, non puo' affermarsi che assuma un valore pari o, addirittura, superiore al principio della lex mitior. Sotto questo profilo, la norma censurata non appare ragionevole e non appare neppure rispettosa di quei principi del diritto internazionale e comunitario, nell'ambito dei quali quello della lex mitior e' da inserirsi a pieno titolo, rispetto ai quali, ai sensi dell'art. 10, primo comma cost., l'ordinamento giuridico italiano e' tenuto a conformarsi. Invero, limitare 1'ultrattivita' della norma penale soltanto in materia di apparecchi da gioco, mentre, invece, in altre rilevantissime materie, da un punto di vista fiscale e tributario, continua ad operare il principio della irretroattivita' della legge penale piu' sfavorevole, non appare fondarsi su alcun valore o interesse di analogo rilievo a quello tutelato dal principio generale, anche dell'ordinamento internazionale e comunitario, della lex mitior. Alla luce delle considerazioni su esposte appare non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 547 della legge n. 266/2005 in relazione agli artt. 3, 10, primo comma, e 25, secondo comma, Cost. In punto di rilevanza. Appare intuitiva, nel presente giudizio, 1'importanza della risoluzione della prospettata questione di legittimita' costituzionale. Qualora la Corte dovesse dichiarare l'illegittimita' costituzionale della norma censurata il processo dovrebbe concludersi con una sentenza di assoluzione degli imputati con la formula: «perche' il fatto non e' piu' previsto dalla legge come reato», da pronunciarsi, senza bisogno di alcuna istruzione, ai sensi dell'art. 129 c.p.p. Ai profili di illegittimita' su evidenziati questo giudice intende aggiungere quelli relativi all'art. 117, primo comma, Cost., che, nella prospettiva del controllo del rispetto delle norme internazionali, finanche pattizie, da parte delle norme interne, ha assunto un ruolo decisamente rilevante, come esplicitato nelle ben note sentenze nn. 348 e 349 del 2007 della Corte costituzionale. Sicche' le argomentazioni su esposte, in punto di rilevanza, con riferimento ai profili internazionali della vicenda, si intendono rese anche in relazione all'assenta violazione dell'art. 117, primo comma, cost. della norma censurata per contrasto con l'art. 15, primo comma, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato a New York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con legge n. 881/1977.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge n. 87/1953; Solleva, di ufficio, questione di legittimita' costituzionale, in relazione agli artt. 3, 10, 25, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., dell'art. 1, comma 547, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (c.d. legge finanziaria 2006) nella parte in cui consente per le violazioni di cui all'art. 110, comma 9, del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931 n. 773, e successive modificazioni, commesse in data antecedente alla data di entrata in vigore della medesima legge, l'applicazione delle disposizioni vigenti al tempo delle violazioni stesse. Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del presente giudizio. Dispone che la presente ordinanza sia notificata al sig. Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata al sig. Presidente della Camera dei deputati ed al sig. Presidente del Senato. Manda alla cancelleria per gli adempimenti. Nardo', addi' 26 maggio 2008 Il giudice: Biondi