N. 364 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 maggio 2008

del 26 maggio 2008 emessa dal Tribunale di Lecce - Sezione distaccata
di Nardo' nel procedimento penale a carico di Gaballo Luigi ed altro

Sicurezza  pubblica  -  Violazioni  nella  produzione,  importazione,
  distribuzione  e  installazione  di  apparecchi da gioco (art. 110,
  comma    nono,    regio    decreto   n. 773/1931)   -   Intervenuta
  depenalizzazione   -   Inapplicabilita'  alle  violazioni  commesse
  anteriormente  - Contrasto con il principio di retroattivita' della
  legge  piu'  favorevole  al  reo  -  Violazione  del  principio  di
  ragionevolezza    -    Lesione   del   principio   di   conformita'
  dell'ordinamento   giuridico   italiano   alle   norme  di  diritto
  internazionale generalmente riconosciute - Inosservanza dei vincoli
  derivanti    dall'ordinamento    comunitario   e   dagli   obblighi
  internazionali  -  Riproposizione  di  questione gia' oggetto della
  ord. n. 55/2008 della Corte costituzionale.
- Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 547.
- Costituzione  artt.  3,  10, primo comma, 25, comma secondo, e 117,
  primo  comma,  in  relazione  all'art.  15,  primo comma, del Patto
  internazionale dei diritti civili e politici adottato a New York il
  16 dicembre 1966.
(GU n.47 del 12-11-2008 )
                            IL TRIBUNALE
   Letti  gli  atti  del procedimento penale in epigrafe indicato nei
confronti  di:  1)  Gaballo Luigi, nato a Nardo' il 17 maggio 1959 ed
ivi  residente  alla c.da La Vecchia; 2) Merenda Dario, nato a Nardo'
il  5 gennaio 1960 ed ivi residente alla via Cimitero n. 19, entrambi
difesi  di  fiducia dall'avv. Salvatora De Lorenzis del foro di Lecce
imputati  del  reato  p.  e  p.  dall'art. 110, comma 7, lett. a) e 9
(TULPS),  come  richiamato dall'art. 1, comma 547, legge n. 266/2005,
perche',  Gabello  Luigi,  nella  veste  di legale rappresentante del
circolo  ricreativo  denominato  «La  Stevola»  corrente  in  Nardo',
Merenda  Dario,  quale gestore di fatto del circolo, installavano nel
predetto  circolo,  o  comunque  ne  consentivano  l'uso  a terzi, un
apparecchio  elettromeccanico, denominato Bingo, non rispondente alle
prescrizioni  di  cui  all'art.  110,  comma  7,  lett. a), TULPS, in
particolare Iapparecchiatura non consentiva al giocatore di esprimere
la  propria  abilita'  fisica,  mentale  o strategica e non risultava
abilitato  ad  erogare,  dopo  la  conclusione  della  partita, premi
consistenti  in  prodotti  di  piccola  oggettistica. In Nardo' il 15
ottobre 2005;
   Rilevato  che,  dopo  la  regolare  costituzione  delle  parti, il
processo pende ancora nella fase delle questioni preliminari, osserva
quanto segue.
   Con  ordinanza  emessa  nel corso dell'udienza del 22 gennaio 2007
questo  tribunale sollevava, su sollecitazione difensiva, ma anche di
ufficio,  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma
547   della   legge   n. 266/2005   nella   parte   in   cui  prevede
l'ultrattivita'  delle disposizioni penali di cui all'art. 110, comma
9 TULPS per violazione degli art. 3, 10 e 25, secondo comma, Cost.
   Con  ordinanza  n. 55  del  10  marzo 2008 la Corte costituzionale
dichiarava    la   manifesta   inammissibilita'   dell'incidente   di
costituzionalita' proposto poiche' questo tribunale, nel formulare il
giudizio  di  rilevanza,  ometteva  di  ricostruire  compiutamente il
quadro normativo di riferimento, non avendo argomentato, sia pure per
escludeme  l'incidenza,  in  merito alla nuova sostituzione dell'art.
110,  comma  9,  del r.d. n. 773/1931 ad opera dell'art. 1, comma 86,
della legge n. 296/2006 (legge finanziaria 2007).
   A  seguito  di  cio',  rifissato  il processo, deve prendersi atto
della  permanenza  della  rilevanza  della  questione di legittimita'
costituzionale  come  originariamente  prospettata,  anche  alla luce
delle modifiche normative segnalate dalla Corte costituzionale.
   Invero,  questo  giudice,  avendo  appreso di altre pronunce della
Corte  costituzionale  del medesimo tenore di quella su richiamata in
ordine  alla  medesima  questione di legittimita' costituzionale, con
sentenza  n. 304/07  R.G.Sent., emessa in altro procedimento a carico
di  tale  Pinto Antonio, assolveva l'imputato con la formula «perche'
il  fatto  non  e' piu' previsto dalla legge come reato», poiche', in
conseguenza  del secondo intervento normativo di depenalizzazione, il
comma  9  dell'art. 110 TULPS non era stato semplicemente modificato,
ma  radicalmente  sostituito,  e, sebbene, in concreto, le variazioni
apportate  in punto di sanzione risultavano marginali, formalmente ad
una  norma  era  stata  sostituita un'altra norma, con la conseguente
necessita' di individuare un nuovo regime transitorio. In definitiva,
rispetto  alla nuova formulazione del comma 9 dell'art. 110 TULPS non
era  piu'  applicabile  il  regime transitorio delineato dall'art. 1,
comma  547,  legge n. 266/2005, con riferimento alla prima, per cosi'
dire,  depenalizzazione,  bensi'  direttamente  l'art. 2 c.p., con il
consequenziale  venire  meno  della  rilevanza  penale  di ogni fatto
ncollegabile  al  citato  art.  110  TULPS,  anche di quelli commessi
anteriormente al 1 gennaio 2006.
   Questa  interpretazione,  che  avrebbe  tolto  ogni rilevanza alla
questione  di  legittimita'  costituzionale,  e' stata a piu' riprese
smentita  dalla Corte di cassazione, che, oramai, con un orientamento
assolutamente  grafitico, ha ritenuto sussistente la rilevanza penale
dei  fatti  ricollegabili  all'art.  110, comma 9, TULPS, se commessi
prima  del  1 gennaio 2006, anche a seguito delle modifiche apportate
al  detto  articolo  dall'art.  1  comma  86  della  legge  n. 296/06
(sentenze della sez. III, 20 marzo 2007, n. 15297 e n. 16599, nonche'
n. 17265  sempre  del  20 marzo 2007, quest'ultima interessante anche
perche'  in  motivazione  il  S.C.  ha  escluso che possa seguirsi il
percorso  ermeneutico  propugnato da questo giudice, che era stato in
quella  sede  proposto  dal  Procuratore Generale di udienza; piu' di
recente Cass. pen., sez. III, 18 ottobre 2007, n. 42380).
   La  Corte  di  cassazione  ha,  peraltro,  ritenuto manifestamente
infondate le varie questioni di legittimita' costituzionale che erano
state  prospettate  .  dalle  difese degli imputati in relazione agli
artt.  3,  25  e  10  cost.  (Cass.  pen.,  sez. III, 27 aprile 2006,
n. 24059 e Cass. Pen. sez. III, 20 marzo 2007, n. 17265).
   Alla luce di cio', non puo' questo giudice esimersi dal riproporre
la  questione  di legittimita' costituzionale nei medesimi termini di
quelli  gia'  evidenziati  con la precedente ordinanza del 22 gennaio
2007,   pena   il   porsi  in  aperto  e  palese  contrasto  rispetto
all'orientamento  consolidatosi  presso  la Corte di cassazione, alla
quale  spetta  tuttora la funzione nomofilattica, ed in tale senso si
riportano, per semplicita' espositiva, le medesime argomentazioni:
     «come  e'  noto,  ai sensi dell'art. 1, comma 543 della legge 23
dicembre  2005  n. 266  (c.d.  legge  finanziaria  2006)  il  comma 9
dell'art.  110,  r.d.  n. 773/31  (TULPS) e' stato sostituito con una
norma  che  attualmente  non  prevede piu' alcuna sanzione penale, ma
soltanto sanzioni amministrative pecuniarie.
   In   buona   sostanza,   per   effetto  dell'intervento  normativo
sostitutivo  predetto  il  reato  di  cui  all'art.  110 comma 9 R.D.
n. 773/31  e' stato depenalizzato in relazione a tutte le fattispecie
in precedenza previste.
   Sennonche',  ai  sensi  del  comma  547 dell'art. 1 della medesima
legge  n. 266/2005  «per  le violazioni di cui all'art. 110, comma 9,
del  testo  unico  di  cui  al regio decreto 18 giugno 1931 n. 773, e
successive  modificazioni,  commesse in data antecedente alla data di
entrata  in vigore della presente legge, si applicano le disposizioni
vigenti al tempo delle violazioni stesse».
   In  relazione  a  quest'ultima norma si solleva, su sollecitazione
difensiva, ma anche di ufficio in relazione alla violazione di alcune
disposizioni costituzionali, questione di legittimita' costituzionale
per  violazione  degli artt. 3, 10, primo comma, e 25, secondo comma,
cost.  nella  parte  in  cui  consente  iultrattivita' delle sanzioni
penali  previste dal previgente art. 110, comma 9, r.d. n. 773/1931 e
successive modficazioni nonostante la sopravvenuta depenalizzazione».
In punto di non manifesta infondatezza della questione.
   Il  comma  547, dell'art. 1 della legge n. 266/005 ha previsto una
«singolare  deroga»  (per  utilizzare  le  parole  di  uno  dei primi
commentatori:  cfr.  Pappalardo  A.,  «Piu'  diffusi  e controllati i
videogiochi»,  in  Guida al diritto dossier n. 2, febbraio 2006, pag.
159)  al  principio  della  irretroattivita'  della legge penale meno
favorevole,   che,   oltre   ad  essere  sancito  dall'art. 11  delle
disposizioni  sulle  legge  in  generale  e dall'art. 2, commi 1 e 2,
c.p.,   assurge   a   rango   costituzionale,  specie  nella  materia
penalistica,  per  effetto  dell'art.  25, secondo comma, Cost. (cfr.
Fiandaca-Musco, «Diritto Penale-parte generale», II ed. pag. 75).
   Orbene,  il  reato  di  cui all'art. 110, comma 9 TULPS appartiene
(rectius  apparteneva, tenuto conto che «sopravvive» solo per effetto
della  norma  censurata)  certamente alla categoria dei cc. dd. reati
finanziari  (secondo  1'ampia definizione datane dalla giurisprudenza
prevalente:  cfr.  ass.  pen.,  sez.  I, 5 dicembre 1995 - 29 gennaio
1996,  n. 6297,), atteso che agli apparecchi da gioco di cui all'art.
110  TULPS si applica un prelievo erariale unico fissato con apposito
regolamento  del  Ministro  dell'Economia e delle Finanze (cfr. comma
526   dell'art.  1  della  legge  n. 266/2006  e  art.  39  del  d.l.
n. 269/2003 conv. in legge n. 326/2003).
   E'  noto  che  in  passato  la  Corte  costituzionale,  chiamata a
decidere  se  l'art.  20  della  legge 7 gennaio 1929, n. 4 (la norma
paradigmatica  del  principio  della  c.d.  ultrattivita' della legge
penale  finanziaria),  nella  parte  in  cui  sanciva  la  cosiddetta
ultrattivita'  delle  disposizioni  penali  delle  leggi finanziarie,
fosse   in   contrasto   o   meno  con  il  principio  costituzionale
d'eguaglianza,  per  il  dubbio  che  la deroga apportata ai principi
comuni  in  tema  di  successione di leggi penali creasse irrazionali
disparita'  di  trattamento  tra  i  contravventori, aveva piu' volte
ritenuto  la  questione  priva  di  fondamento,  in  quanto  la norma
impugnata,   diretta   a   garantire   che   la   spinta  psicologica
all'osservanza  della  legge fiscale non fosse sminuita nemmeno dalla
speranza  di mutamenti di legislazione, appariva ispirata alla tutela
dell'interesse primario alla riscossione dei tributi (art. 53 Cost.),
che,  come  riconosciuto  piu'  volte  dalla  stessa  Corte,  era  da
ritenersi  costituzionalmente differenziato (sentenze n. 45 del 1963,
n. 91  del  1964,  n. 50 del 1965) ed esigeva una tutela particolare.
Ne',  peraltro,  secondo  il  Giudice  delle  leggi, sussisteva alcun
ostacolo  di  carattere  costituzionale,  giacche'  l'art.  25  della
Costituzione  vieta  la  retroattivita'  della  legge  penale, ma non
concerne  l'ultrattivita'  che  disciplinata  dall'art.  2 del codice
penale  (su  tutte  Corte  cost.  n. 164/1974 e piu' di recente Corte
cost. n. 80/1995).
   Non   puo'  negarsi,  pero',  che,  recentemente  il  legislatore,
nell'ambito  di  un  complessivo  intervento  di depenalizzazione, ha
inteso abrogare l'art. 20 della legge n. 4 del 1929 (cfr. art. 24 del
d.lgs.  n. 507/1999), in tale modo dimostrando di volere assoggettare
anche  la  normativa  finanziaria ai criteri generali che regolano la
successione  di  norme  nel tempo e, con particolare riferimento alle
norme penali finanziarie, all'art. 2 c.p.
   Orbene,  a  fronte  di  un  recente  intervento  normativo  che ha
parflcato  la norma penale finanziaria a quella ordinaria, eliminando
quella  disposizione  che  prevedeva  in generale, per tutte le norme
penali   finanziarie,   il   principio  della  ultrattivita',  appare
irragionevole  che  in materia di apparecchi da gioco di cui all'art.
110  TULPS  si  attribuisca  ultrattivita'  alle  norme vigenti prima
dell'entrata in vigore della legge n. 266/2005.
   Invero, un intervento «settoriale» cosi' limitato nella materia de
qua,  a  fronte  di  un  deciso  contrario  orientamento normativo di
carattere  generale  espresso  appena  pochi  anni  prima, non appare
giustificato neppure alla luce dell'art. 53 Cost.
   Infatti,  a  seguito del venire meno dell'art. 20 della legge n. 4
del  1929  la  giurisprudenza  ha  ritenuto pacificamente applicabile
1'art.  2  c.p.  in  materia di contrabbando di TLE (cfr. Cass. pen.,
sez.  I,  21 ottobre 2002, n. 35192, che in applicazione dell'art. 2,
c.p.  ha  ritenuto  piu' favorevole la norma di cui all'art. 2, legge
n. 50/1994,  abrogata  dall'art.  7,  comma 3 della legge n. 92/2001,
rispetto  a  quella  di  cui all'art. 291-bis, d.P.R. n. 43/1973 come
introdotta  dalla  citata  legge n. 92/2001; nello stesso senso Cass.
n. 14456/2003.  In  precedenza,  invece,  stante  la  natura di reati
finanziari  dei  delitti  in  materia  di contrabbando, sussisteva lo
sbarramento  dell'art. 20 legge n. 4/1929: cfr. sul punto Corte cost.
n. 80/1995).   Allo  stesso  modo  dicasi  in  relazione  alle  nuove
fattispecie  criminose  introdotte  dal  d.lgs.n.  74/2000 in tema di
disciplina  dei  reati in materia di imposte sui redditi e sul valore
aggiunto  (si  cfr.  per  taluni  esempi  Cass. sez. U., n. 35/2001 e
Cass., sez. U, n. 27/2000).
   Orbene, se poteva astrattamente avere senso giustificare, sotto il
profilo   costituzionale,  una  disposizione,  quale  quella  di  cui
all'art.  20,  legge  n. 4/1929,  di portata e carattere generale con
rferimento  a tutte le norme che reprimevano penalmente violazioni di
leggi  finanziarie,  le argomentazioni addotte in passato dal Giudice
delle  leggi  a  tale  fine  non  possono  sorreggere  un giudizio di
costituzionalita',  sotto  il  profilo  degli  artt.  3 e 25, secondo
comma,  Cost.,  della  norma  di  cui  all'art.  1  comma  547  legge
n. 266/2005,   che   ha   portata  e  carattere  settoriale,  la  cui
applicazione, fra l'altro, oltre ad essere palesemente irragionevole,
e'  foriera  di  disparita'  di trattamento rispetto a tutte le altre
leggi  che  reprimono  penalmente  comportamenti  che  violano  leggi
finanziarie,     sottoposte,     al     contrario,    al    principio
dell'irretroattivita' della legge penale piu' sfavorevole.
   Al   riguardo,   preme  rilevare  che  la  Consulta,  recentemente
(sentenza n. 393/2006), ribadendo il consolidato orientamento secondo
il   quale   il   regime  giuridico  riservato  alla  lex  mitior,  e
segnatamente  la  sua  retroattivita', non riceve nell'ordinamento la
tutela  privilegiata  di  cui  all'art.  25, secondo comma, cost., in
quanto    la   garanzia   costituzionale,   prevista   dalla   citata
disposizione,   concerne   soltanto   il   divieto   di  applicazione
retroattiva  della norma incriminatrice, nonche' di quella altrimenti
piu'  sfavorevole  per  il reo, ha affermato che eventuali deroghe al
principio  di  retroattivita'  della  lex mitior ai sensi dell'art. 3
cost.  possono  essere  disposte dalla legge ordinaria quando ricorre
una  sufficiente  ragione  giustificativa. Peraltro, 1'individuazione
dei   criteri   in  base  ai  quali  operare  questa  valutazione  di
ragionevolezza,  secondo il Giudice delle leggi, non puo' prescindere
dal  considerare  adeguatamente la circostanza che tale principio non
e'  affermato  soltanto, come criterio generale, dall'art. 2 c.p., ma
e'   stato  sancito  sia  a  livello  internazionale  sia  a  livello
comunitario,  e  cio'  incide  sul tipo di sindacato da effettuare in
relazione  ad  una  legge  che  vi deroghi. A tale proposito la Corte
citava  1'art.  15, primo comma, del Patto internazionale relativo ai
diritti  civili  e  politici adottato a New York il 16 dicembre 1966,
ratificato  e reso esecutivo con legge n. 881/1977, secondo il quale,
«se,  posteriormente  alla  commissione  del  reato, la legge prevede
l'applicazione   di   una   pena   piu'   lieve,  il  colpevole  deve
beneficiarne»,   norma   di   diritto   internazionale  convenzionale
incidente  sui diritti fondamentali della persona che, come ricordava
la   Consulta,   in   quanto   tale,   per   costante  giurisprudenza
costituzionale,  assume  una  particolare  forza  giuridica. La Corte
richiamava, altresi', il comma 2 dell'art. 6 del Trattato dell'Unione
europea - nel testo risultante dal Trattato sottoscritto ad Amsterdam
il  2  ottobre 1997, ratficato con legge n. 209/98 - secondo il quale
«L'unione  rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta'  fondamentali,  firmata  a  Roma  il 4 novembre 1950 e quali
risultano  dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri,
in  quanto  principi  generali del diritto comunitario», evidenziando
come,  secondo  la  costante  giurisprudenza della Corte di giustizia
delle  Comunita'  europee  ivi indicata, i diritti fondamentali della
persona  sono  parte  integrante dei principi generali del diritto e,
fra    questi,   e'   da   ricomprendersi   altresi'   il   principio
dell'applicazione retroattiva della pena piu' mite.
   La  Corte  concludeva  affermando:  «da  questi  dati  normativi e
giurisprudenziali  si ricava che per le leggi in esame 1'applicazione
retroattiva  e' la regola e che tale regola e' derogabile in presenza
di  esigenze  tali da prevalere su un principio il cui rilievo, si e'
gia' osservato, non si fonda soltanto su una norma, sia pure generale
e   di   principio,  del  codice  penale.  Il  livello  di  rilevanza
dell'interesse  preservato  dal principio di retroattivita' della lex
mitior  -  quale  emerge  dal  grado  di  protezione accordatogli dal
diritto interno, oltre che dal diritto internazionale convenzionale e
dal  diritto  comunitario  - impone di ritenere che il valore da esso
tutelato puo' esser sacrfiicato da una legge ordinaria solo in favore
di  interessi  di analogo rilievo (quali - a titolo esemplificativo -
quelli  dell'efficienza  del processo, della salvaguardia dei diritti
dei  soggetti  che,  in  vario  modo, sono destinatari della funzione
giurisdizionale,  e  quelli  che  coinvolgono  interessi  o  esigenze
dell'intera  collettivita' nazionale connessi a valori costituzionali
di  primario  rilievo  ...  con  la  conseguenza  che lo scrutinio di
costituzionalita'  ex  art.  3  Cost,  sulla  scelta di derogare alla
retroattivita'  di  una  norma  penale  piu'  favorevole  al reo deve
superare  una  vaglio  positivo di ragionevolezza, non essendo a tale
fine  sufficiente  che  la  norma  derogatoria non sia manifestamente
irragionevole» (Corte cost. 23 ottobre-23 novembre 2006, n. 393).
   Orbene, e' vero, si ribadisce, che in piu' occasioni (sentenze nn.
45/1963,  91/1964,  50/1965)  la Corte costituzionale ha affermato il
principio  secondo  il  quale il diritto dello Stato allo riscossione
dei  tributi  assume rilevanza costituzionale (art. 53 Cost.) tale da
porsi  sullo stesso piano di diritti individuali che pure allo stesso
possono  essere  sacrificati (art. 14, terzo comma Cost.), ma e' pure
vero  che,  alla  luce  della fondamentale rilevanza che il principio
della  lex  mitior ha assunto a livello internazionale e comunitario,
tanto   da   costituire   un   principio   generale  dell'ordinamento
comunitario  ed  internazionale,  il  sacrificio  di esso puo' essere
giustificato, al piu', soltanto a fronte dell'esigenza di tutelare il
diritto  impositivo,  fiscale  e  tributario,  dello  Stato a livello
generale.  Una norma che tutelasse tale pretesa statale nei confronti
soltanto  di  determinati  beni  o  soggetti,  come  si  verfica,  in
definitiva,  con  la  disposizione  che  si  censura, sacrificandola,
invece,  nei  confronti di altri beni o soggetti, non puo' affermarsi
che  assuma  un  valore  pari  o, addirittura, superiore al principio
della lex mitior.
   Sotto  questo profilo, la norma censurata non appare ragionevole e
non   appare   neppure   rispettosa  di  quei  principi  del  diritto
internazionale  e comunitario, nell'ambito dei quali quello della lex
mitior  e'  da  inserirsi a pieno titolo, rispetto ai quali, ai sensi
dell'art.  10, primo comma cost., l'ordinamento giuridico italiano e'
tenuto  a  conformarsi.  Invero, limitare 1'ultrattivita' della norma
penale soltanto in materia di apparecchi da gioco, mentre, invece, in
altre  rilevantissime  materie,  da  un  punto  di  vista  fiscale  e
tributario,  continua  ad operare il principio della irretroattivita'
della  legge  penale  piu'  sfavorevole, non appare fondarsi su alcun
valore o interesse di analogo rilievo a quello tutelato dal principio
generale,  anche dell'ordinamento internazionale e comunitario, della
lex mitior.
   Alla   luce   delle   considerazioni   su   esposte   appare   non
manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art.  1,  comma  547  della  legge n. 266/2005 in relazione agli
artt. 3, 10, primo comma, e 25, secondo comma, Cost.
In punto di rilevanza.
   Appare   intuitiva,  nel  presente  giudizio,  1'importanza  della
risoluzione    della    prospettata    questione    di   legittimita'
costituzionale.  Qualora la Corte dovesse dichiarare l'illegittimita'
costituzionale della norma censurata il processo dovrebbe concludersi
con  una  sentenza  di  assoluzione  degli  imputati  con la formula:
«perche'  il  fatto  non e' piu' previsto dalla legge come reato», da
pronunciarsi,  senza bisogno di alcuna istruzione, ai sensi dell'art.
129 c.p.p.
   Ai profili di illegittimita' su evidenziati questo giudice intende
aggiungere  quelli  relativi  all'art.  117, primo comma, Cost., che,
nella   prospettiva   del   controllo   del   rispetto   delle  norme
internazionali,  finanche  pattizie, da parte delle norme interne, ha
assunto  un  ruolo  decisamente rilevante, come esplicitato nelle ben
note sentenze nn. 348 e 349 del 2007 della Corte costituzionale.
   Sicche'  le  argomentazioni su esposte, in punto di rilevanza, con
riferimento  ai  profili  internazionali  della vicenda, si intendono
rese  anche  in relazione all'assenta violazione dell'art. 117, primo
comma, cost. della norma censurata per contrasto con l'art. 15, primo
comma, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici
adottato  a New York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo
con legge n. 881/1977.
                              P. Q. M.
   Visto l'art. 23 della legge n. 87/1953;
   Solleva,  di ufficio, questione di legittimita' costituzionale, in
relazione  agli  artt.  3, 10, 25, secondo comma, e 117, primo comma,
Cost.,  dell'art.  1, comma 547, della legge 23 dicembre 2005, n. 266
(c.d.  legge  finanziaria  2006)  nella  parte in cui consente per le
violazioni  di  cui  all'art. 110, comma 9, del testo unico di cui al
regio  decreto  18  giugno  1931  n. 773, e successive modificazioni,
commesse  in  data  antecedente  alla data di entrata in vigore della
medesima  legge,  l'applicazione  delle disposizioni vigenti al tempo
delle violazioni stesse.
   Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale e la sospensione del presente giudizio.
   Dispone   che   la  presente  ordinanza  sia  notificata  al  sig.
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri, nonche' comunicata al sig.
Presidente  della  Camera  dei  deputati  ed  al  sig. Presidente del
Senato.
   Manda alla cancelleria per gli adempimenti.
     Nardo', addi' 26 maggio 2008
                         Il giudice: Biondi