N. 363 ORDINANZA 3 - 7 novembre 2008

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Contenzioso  tributario  -  Ricorso  avverso  cartella esattoriale ed
  iscrizione ipotecaria su immobili a garanzia di crediti tributari -
  Originario  difetto  di  giurisdizione  del  giudice  tributario  -
  Sopravvenienza  di  norma  attributiva  della giurisdizione a detto
  giudice  -  Ritenuta  inapplicabilita' ratione temporis della nuova
  disciplina  nel  giudizio  a  quo  - Asserita impossibilita' di una
  traslatio  iudicii  -  Immotivata  difformita' dell'interpretazione
  della   normativa  in  tema  di  perpetuatio  iurisdictionis  e  di
  traslatio iudicii rispetto al diritto vivente e alla Costituzione -
  Illogica     prospettazione    delle    questioni    -    Manifesta
  inammissibilita'.
- D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 3.
- Costituzione, artt. 24, 111 e 113.
(GU n.47 del 12-11-2008 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giovanni Maria FLICK;
Giudice:  Francesco  AMIRANTE,  Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio
   FINOCCHIARO,  Alfonso  QUARANTA,  Franco  GALLO,  Luigi  MAZZELLA,
   Gaetano  SILVESTRI,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe TESAURO, Paolo
   Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente
                              Ordinanza
nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 3 del decreto
legislativo  31  dicembre  1992,  n. 546  (Disposizioni  sul processo
tributario   in   attuazione   della   delega  al  Governo  contenuta
nell'articolo  30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), promosso con
ordinanza  del 4 luglio 2007 dalla Commissione tributaria provinciale
di  Roma  nel  giudizio vertente tra Sergio Santoro e l'Agenzia delle
entrate,  ufficio di Roma 1, iscritta al n. 90 del registro ordinanze
2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, 1ª
serie speciale, dell'anno 2008;
   Visti  l'atto  di  costituzione  di  Sergio  Santoro  e  l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
   Udito  nella  Camera di consiglio del 24 settembre 2008 il giudice
relatore Franco Gallo;
   Udito  l'avvocato  dello  Stato Gianni De Bellis per il Presidente
del Consiglio dei ministri;
   Ritenuto   che,   nel   corso  di  un  giudizio,  promosso  da  un
contribuente, avente ad oggetto l'impugnazione sia di una cartella di
pagamento  emessa  a  seguito  di  controllo  sulla dichiarazione dei
redditi  per  l'anno d'imposta 2000, sia della relativa iscrizione di
ipoteca  effettuata  ai sensi dell'art. 77 del decreto del Presidente
della  Repubblica  29  settembre  1973,  n. 602  (Disposizioni  sulla
riscossione  delle  imposte  sul  reddito), la Commissione tributaria
provinciale  di  Roma,  con ordinanza depositata il 4 luglio 2007, ha
sollevato  questioni  di  legittimita' costituzionale dell'art. 3 del
decreto  legislativo  31  dicembre  1992,  n. 546  (Disposizioni  sul
processo  tributario  in attuazione della delega al Governo contenuta
nell'articolo  30  della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte
in   cui   «non   consente  al  giudice  tributario  che  declini  la
giurisdizione  di disporre la continuazione del processo con salvezza
degli effetti sostanziali e processuali della domanda»;
     che  la Commissione rimettente premette, in punto di fatto, che:
a)  il  ricorrente  ha  impugnato la cartella di pagamento, sulla cui
base  era  stata  iscritta  dal  concessionario per la riscossione la
predetta   ipoteca,  allegando  l'inesistenza  della  notifica  della
cartella medesima e la decadenza dell'ufficio dal potere di procedere
alla   riscossione  in  relazione  all'anno  d'imposta  2000;  b)  il
ricorrente aveva avuto notizia di detta cartella solo a seguito della
ricezione  dell'avviso  di iscrizione dell'ipoteca di cui all'art. 77
del  d.P.R.  n. 602  del  1973,  in  quanto in detto avviso era fatta
menzione  della  cartella de qua; c) resistono in giudizio, chiedendo
la  reiezione  del  ricorso,  sia l'Agenzia delle entrate, ufficio di
Roma  1,  sia  il  concessionario  per  la  riscossione, quest'ultimo
eccependo anche il difetto di giurisdizione del giudice adito;
     che  il  giudice  a  quo premette altresi', in punto di diritto,
che:  a)  la  giurisdizione  del  giudice  tributario  in ordine alle
controversie  relative  all'iscrizione  delle  ipoteche  effettuate a
garanzia  di  crediti  tributari  e'  stata disposta, successivamente
all'instaurazione del giudizio, dall'art. 35, comma 26-quinquies, del
decreto-legge  4  luglio  2006,  n. 223  (Disposizioni urgenti per il
rilancio   economico   e   sociale,   per   il   contenimento   e  la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di  entrate  e  di  contrasto  all'evasione  fiscale), convertito con
modificazioni  dall'art.  1,  comma  1,  della  legge  4 agosto 2006,
n. 248, che ha a tal fine modificato, con effetto dal 12 agosto 2006,
l'art.  19  del  d.lgs. n. 546 del 1992; b) tale norma attributiva di
giurisdizione  non puo' trovare applicazione nel giudizio principale,
perche'  quest'ultimo  e'  stato  instaurato,  appunto, anteriormente
all'entrata in vigore della norma; c) in forza dell'art. 3 del d.lgs.
n. 546  del  1992,  la Commissione adita deve dunque limitarsi, nella
specie,  a  declinare  la  propria  giurisdizione,  senza disporre la
translatio   iudicii   della  causa  innanzi  al  giudice  dotato  di
giurisdizione   e,   di   conseguenza,  senza  «salvare  gli  effetti
sostanziali e processuali della domanda»;
     che,  quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni, il
rimettente  afferma  che  la disposizione denunciata - non prevedendo
che  il  giudice  tributario,  nel  dichiarare  il proprio difetto di
giurisdizione,  disponga  la  translatio  iudicii  innanzi al giudice
dotato  di  giurisdizione  -  viola  gli  artt.  24,  111 e 113 della
Costituzione;
     che,  quanto  alla  violazione  degli  artt.  24 e 113 Cost., il
giudice  a  quo  afferma  che  la mancata previsione della translatio
iudicii  nel caso di declinatoria della giurisdizione - escludendo la
conservazione  degli  effetti sostanziali e processuali della domanda
tempestivamente    proposta   davanti   al   giudice   tributario   -
comporterebbe  «di  fatto»,  in caso di successiva proposizione della
stessa  domanda innanzi al giudice giurisdizionalmente competente, il
decorso  medio  tempore  del  termine decadenziale di sessanta giorni
dalla  data di notificazione dell'atto impugnato fissato dall'art. 21
del  d.lgs.  n. 546 del 1992 per la proposizione del ricorso dinnanzi
al giudice tributario;
     che,  quanto  invece  alla  violazione  dell'art.  111 Cost., il
rimettente ritiene che la disposizione censurata - nella parte in cui
non  prevede  la  translatio  iudicii  -  viola  il  principio  della
ragionevole  durata del processo, perche' «vanificherebbe l'attivita'
processuale  svolta»  davanti  al  giudice  privo di giurisdizione e,
quindi,  risulterebbe  «collidente con il diritto costituzionale alla
durata  ragionevole  del processo che metta capo ad una pronuncia sul
merito»;
     che,  sulla  rilevanza  delle  sollevate  questioni,  il giudice
rimettente,  richiamando  le  proprie  premesse  in punto di diritto,
afferma di essere privo di giurisdizione, ratione temporis, in ordine
alla  controversia  sull'iscrizione  ipotecaria  oggetto del giudizio
principale e di non poter disporre la translatio iudicii;
     che  il  Presidente  del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso   dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,  e'  ritualmente
intervenuto  in giudizio, chiedendo che le questioni siano dichiarate
inammissibili o infondate;
     che,  secondo  la  difesa erariale, in primo luogo la rimettente
Commissione  tributaria  non  ha  considerato che, nella fattispecie,
essa  ha  giurisdizione  a  conoscere  della  causa,  alla  luce  del
prevalente  orientamento  di  legittimita'  secondo  cui l'art. 5 del
codice di procedura civile - nello stabilire in generale il principio
della   perpetuatio  iurisdictionis  -  non  si  applica  qualora  un
sopravvenuto  mutamento  legislativo  comporti  l'attribuzione  della
giurisdizione al giudice che, al momento della domanda, ne era privo;
     che  pertanto,  conclude la difesa erariale, tali questioni sono
inammissibili,   in   quanto   fondate   su  un  erroneo  presupposto
interpretativo;
     che,  in  secondo  luogo,  dette  questioni sono inammissibili -
sempre  secondo  l'Avvocatura  generale  - perche' il diritto vivente
gia'  riconosce  la  possibilita'  che,  a  seguito  della  pronuncia
declinatoria  della  giurisdizione,  le  parti  proseguano  la  causa
dinnanzi  al  giudice  fornito  di  giurisdizione  «con  salvezza dei
diritti  acquisiti»  e,  percio', il risultato perseguito dal giudice
rimettente e' gia' raggiungibile in via ermeneutica;
     che  infine,  per  la  difesa  erariale, un ulteriore profilo di
inammissibilita'  deriva  dal fatto che le questioni, come sollevate,
sono prive di rilevanza nel giudizio a quo, in quanto «la sede in cui
avrebbe  potuto  assumere  rilievo l'eventuale incostituzionalita' di
una  normativa  che  non  riconoscesse  la translatio iudicii sarebbe
soltanto il giudizio di prosecuzione»;
     che  il  contribuente  si  e'  costituito con un atto depositato
fuori termine.
   Considerato  che  la  Commissione  tributaria  provinciale di Roma
dubita,  in  riferimento agli artt. 24, 111 e 113 della Costituzione,
della  legittimita'  dell'art.  3 del decreto legislativo 31 dicembre
1992,  n. 546  (Disposizioni  sul  processo  tributario in attuazione
della  delega  al  Governo  contenuta  nell'art.  30  della  legge 30
dicembre  1991,  n. 413), nella parte in cui detta disposizione - nel
disporre   che   «Il   difetto  di  giurisdizione  delle  commissioni
tributarie  e'  rilevato,  anche d'ufficio, in ogni stato e grado del
processo»  (comma  1)  e che «E' ammesso il regolamento preventivo di
giurisdizione  previsto  dall'art.  41,  primo  comma,  del codice di
procedura civile» (comma 2) - «non consente al giudice tributario che
declini  la  giurisdizione  di disporre la continuazione del processo
con salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda»;
     che,  secondo  la  Commissione rimettente, la norma denunciata -
non  prevedendo,  nel  caso  di  declinatoria della giurisdizione, la
translatio iudicii innanzi al giudice giurisdizionalmente competente,
con  salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda -
viola:  a)  gli artt. 24 e 113 Cost., perche' determina «la decadenza
dal  diritto  di  proporre ricorso nel termine perentorio di sessanta
giorni  dalla  data di notificazione dell'atto impugnato, ex art. 21,
comma  primo  del citato d.lgs. n. 546 del 1992» e, conseguentemente,
«la   perdita  del  diritto  alla  tutela  delle  proprie  situazioni
giuridiche  soggettive»;  b)  l'art.  111  Cost., perche' «vanific[a]
l'attivita'   processuale   svolta»   davanti  al  giudice  privo  di
giurisdizione   e,   quindi,   risulta  «collidente  con  il  diritto
costituzionale alla durata ragionevole del processo che metta capo ad
una pronuncia sul merito»;
     che,  quanto  alla  rilevanza,  il giudice rimettente, dopo aver
riferito  che  il  giudizio  principale  ha  ad  oggetto  due diverse
controversie   -   riguardanti,   rispettivamente,  una  cartella  di
pagamento e l'iscrizione ipotecaria effettuata a garanzia dei crediti
indicati  nella  cartella  medesima  -,  afferma  di  essere privo di
giurisdizione,   ratione   temporis,   in  ordine  alla  controversia
sull'iscrizione   ipotecaria  e  di  dover  emettere,  pertanto,  una
pronuncia  di  declinatoria della giurisdizione, senza poter disporre
la translatio iudicii;
     che le questioni sollevate sono manifestamente inammissibili per
una pluralita' di motivi;
     che,  in  primo  luogo, il giudice rimettente fonda la rilevanza
delle sollevate questioni muovendo da interpretazioni della normativa
in  tema  di  perpetuatio  iurisdictionis e di translatio iudicii che
sono  non solo immotivatamente difformi da quelle accolte dal diritto
vivente, ma anche non conformi a Costituzione;
     che,  in  particolare,  il  rimettente  ritiene: a) in base agli
artt.  5 del codice di procedura civile, nonche' 2, 3 e 19 del d.lgs.
n. 546  del  1992,  di  non  aver giurisdizione, ratione temporis, in
ordine alla controversia - costituente uno degli oggetti del giudizio
principale   -  riguardante  l'iscrizione  di  ipoteca  effettuata  a
garanzia di crediti tributari; b) in base al citato art. 3 del d.lgs.
n. 546  del  1992,  di  non  poter  disporre  la translatio iudicii a
seguito della declinatoria della propria giurisdizione;
     che,  quanto  al  presupposto interpretativo sub a), il medesimo
giudice   correttamente   rileva   che   solo   successivamente  alla
proposizione  del  ricorso  e'  entrato  in  vigore  l'art. 35, comma
26-quinquies,  del  decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni
urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di  entrate  e  di  contrasto  all'evasione fiscale), convertito, con
modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,  della  legge 4 agosto 2006,
n. 248,  il  quale, modificando l'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992,
ha  attribuito  alla  giurisdizione del giudice tributario, a partire
dal  12  agosto  2006,  la  cognizione  delle  controversie  relative
all'iscrizione delle predette ipoteche;
     che  da tale corretto rilievo il giudice a quo giunge, tuttavia,
alla   non   consequenziale   conclusione   che   il  menzionato  ius
superveniens   costituito   dall'art.  35,  comma  26-quinquies,  del
decreto-legge  n. 223  del  2006  non  ha  l'effetto di attribuire la
giurisdizione   tributaria   anche   in   ordine  alle  controversie,
concernenti le iscrizioni ipotecarie effettuate a garanzia di crediti
tributari,  instaurate  davanti  al  giudice  tributario  (come nella
specie) anteriormente al 12 agosto 2006;
     che,  il rimettente, infatti, omette di considerare che, in base
al  diritto  vivente,  l'art.  5  cod.  proc.  civ. - secondo cui «La
giurisdizione  e la competenza si determinano con riguardo alla legge
vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione
della  domanda,  e  non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi
mutamenti  della  legge  o dello stato medesimo» - va interpretato in
conformita'  alla  sua  ratio,  che  e'  quella  di favorire e non di
impedire  la  perpetuatio  iurisdictionis,  con la conseguenza che il
giudice  originariamente  privo  di  giurisdizione (o competenza) non
puo',  per  ragioni  di  economia  processuale, dichiarare la propria
carenza  di  giurisdizione (o competenza), ove nel corso del giudizio
sia sopravvenuta una legge idonea ad attribuirgli la giurisdizione (o
competenza)  medesima  (ex  plurimis,  le  pronunce  della  Corte  di
cassazione,  sezioni  unite:  ordinanza  n. 857  del  2008;  sentenze
n. 16289  del 2007, n. 20322 del 2006, n. 18126 del 2005, n. 4820 del
2005, n. 3877 del 2004);
     che,   pertanto   -   in  base  alla  regola  della  «competenza
sopravvenuta»   desumibile   da   tale   consolidata  interpretazione
dell'art. 5 cod. proc. civ. -, il citato art. 35, comma 26-quinquies,
del  decreto-legge  n. 223  del  2006,  e'  idoneo  a radicare, nella
controversia  relativa all'iscrizione ipotecaria oggetto del giudizio
principale,  la  giurisdizione  del  giudice  tributario a quo, adito
anteriormente   al  12  agosto  2006,  quando  era  ancora  privo  di
giurisdizione al riguardo;
     che,  quanto  al presupposto interpretativo sub b) - per cui, in
base  alla  disposizione denunciata, il giudice non potrebbe disporre
la  translatio  iudicii  a  seguito  della declinatoria della propria
giurisdizione  -  il  rimettente  omette  di  considerare  sia che, a
seguito  della  pronuncia  di  questa Corte n. 77 del 2007 (anteriore
all'ordinanza   di   rimessione),   la   normativa  in  materia  deve
interpretarsi   nel   senso  che  va  «espunto  dall'ordinamento»  il
«principio  per  cui  la  declinatoria  della  giurisdizione comporta
l'esigenza  di  instaurare  ex novo il giudizio senza che gli effetti
sostanziali  e  processuali  prodotti  dalla  domanda originariamente
proposta  si  conservino nel nuovo giudizio»; sia che, ancor prima di
detta   pronuncia,   la   giurisprudenza   di  legittimita',  in  via
interpretativa,  aveva  ammesso  la  translatio  iudicii  tra giudici
speciali  e  giudice  ordinario  (Cassazione,  sezioni  unite civili,
sentenze n. 5431 del 2008 e n. 4109 del 2007);
     che,  dunque,  il  giudice  rimettente non ha neppure tentato di
attribuire  alle disposizioni in tema di perpetuatio iurisdictionis e
di  translatio  iudicii  interpretazioni  diverse  da  quelle  da lui
prospettate e tali da escludere l'illegittimita' costituzionale della
disposizione  denunciata:  tanto  piu'  che, nel caso di specie, tali
interpretazioni  conformi  alla Costituzione non solo sono possibili,
ma  sono  state  recepite  dalla  giurisprudenza di legittimita' o da
questa stessa Corte (con la citata sentenza n. 77 del 2007);
     che  la  mancata  utilizzazione dei poteri interpretativi che la
legge riconosce, in via esclusiva, al giudice rimettente e la mancata
esplorazione  di diverse soluzioni ermeneutiche al fine di far fronte
al dubbio di costituzionalita' ipotizzato integrano omissioni tali da
rendere   manifestamente  inammissibili  le  sollevate  questioni  di
legittimita'  costituzionale  (ex plurimis: ordinanze n. 85 del 2007;
n. 32 del 2007; n. 299 del 2006; n. 315 del 2002);
     che, in secondo luogo, le motivazioni addotte in ordine alla non
manifesta  infondatezza  delle  sollevate  questioni  si  pongono  in
insanabile   contrasto  con  le  stesse  premesse  da  cui  muove  il
rimettente,   con   conseguente   manifesta   inammissibilita'  delle
questioni medesime;
     che,  in particolare, il giudice a quo riferisce che il giudizio
principale,  ai  sensi del terzo periodo del comma 3 dell'art. 19 del
d.lgs. n. 546 del 1992 (secondo cui «la mancata notificazione di atti
autonomamente    impugnabili,   adottati   precedentemente   all'atto
notificato,  ne  consente l'impugnazione unitamente a quest'ultimo»),
ha  ad  oggetto  l'impugnazione:  a)  di  una  cartella  di pagamento
concernente   crediti   tributari,   in   relazione   alla  quale  il
contribuente  deduce  come  unico motivo di invalidita' l'inesistenza
della     sua     notificazione,     con     conseguente    decadenza
dell'amministrazione   finanziaria   dal  potere  di  procedere  alla
riscossione; b) dell'avviso, regolarmente notificato, dell'iscrizione
ipotecaria effettuata a garanzia dei crediti tributari indicati nella
suddetta cartella, in relazione al quale il contribuente deduce, come
unico   motivo  di  invalidita',  l'inesistenza  della  notificazione
dell'atto presupposto costituito dalla citata cartella;
     che,  pertanto, la definizione nel merito della controversia sub
a) (relativa alla omessa notificazione della cartella di pagamento ed
agli  effetti,  conseguenti a tale omissione, sul potere di procedere
alla   riscossione   del   credito   tributario)   e'  logicamente  e
giuridicamente  pregiudiziale  rispetto  alla  definizione nel merito
della  controversia sub b) (relativa alla invalidita' dell'iscrizione
ipotecaria,  derivante  dall'asserita inesistenza della notificazione
della  predetta cartella), nel senso che l'accoglimento od il rigetto
del   ricorso   relativo   alla   cartella   di   pagamento  comporta
necessariamente  l'accoglimento  od  il  rigetto del ricorso relativo
all'avviso   di   iscrizione  ipotecaria:  e  cio'  indipendentemente
dall'individuazione  dei  giudici  giurisdizionalmente  competenti  a
decidere ciascuna delle due controversie;
     che,  in  ordine  alla  menzionata controversia sub a), relativa
alla  cartella  di  pagamento,  lo  stesso  giudice  tributario a quo
esattamente  ritiene sussistere la propria giurisdizione in forza del
combinato disposto degli artt. 2, comma 1, e 19, comma 1, lettera d),
del citato d.lgs. n. 546 del 1992;
     che,  per  l'effetto, la sua decisione su detta controversia non
potrebbe  mai  comportare,  nella  specie,  la paventata «perdita del
diritto alla tutela delle [...] situazioni giuridiche soggettive» del
contribuente;  e  cio' neppure nel caso (peraltro insussistente, come
sopra   rilevato)   in   cui  il  giudice  tributario  difettasse  di
giurisdizione  in  ordine all'altra controversia oggetto del giudizio
principale,   relativa   all'iscrizione   ipotecaria,   e  non  fosse
consentita la translatio iudicii al giudice ordinario;
     che, infatti, il giudice tributario rimettente non si avvede che
la pronuncia che egli deve emettere sulla validita' della cartella di
pagamento (in esito ad una controversia in ordine alla quale non deve
declinare  la  giurisdizione)  non  risulterebbe affatto «vanificata»
dalla  pronuncia  di  declinatoria  di  giurisdizione  in ordine alla
diversa  e  consequenziale  controversia  sull'iscrizione ipotecaria,
perche'  il giudice ordinario - anche se adito ex novo (senza, cioe',
translatio  iudicii)  in ordine a tale ultima controversia - dovrebbe
comunque  sostanzialmente  conformarsi,  nel  merito,  al decisum del
giudice  tributario  sulla  controversia  pregiudiziale relativa alla
cartella  di  pagamento,  ne'  potrebbe  applicare, in quanto giudice
ordinario  (come  gia'  rilevato in precedenza), termini di decadenza
previsti dalla legge esclusivamente per il ricorso davanti al giudice
tributario;
     che   dunque,  anche  sotto  tale  profilo,  le  questioni  sono
manifestamente  inammissibili  per  illogicita',  perche'  le censure
prospettate  dal  giudice  a  quo  presuppongono  necessariamente  la
carenza  di giurisdizione del giudice tributario anche in ordine alla
controversia  sulla  cartella  di pagamento: carenza di giurisdizione
che, pero', e' negata dallo stesso giudice.
   Visti  gli  artt.  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
              Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara   la   manifesta   inammissibilita'  delle  questioni  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  3 del decreto legislativo 31
dicembre  1992,  n. 546  (Disposizioni  sul  processo  tributario  in
attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge
30  dicembre  1991, n. 413), sollevate, in riferimento agli artt. 24,
111   e   113   della   Costituzione,  dalla  Commissione  tributaria
provinciale di Roma con l'ordinanza indicata in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 novembre 2008.
                        Il Presidente: Flick
                         Il redattore: Gallo
                      Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 7 novembre 2008.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola