N. 73 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 22 - 16 ottobre 2008

Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 22 ottobre 2008 (della Regione Umbria)

Edilizia  e  urbanistica  -  Demanio e patrimonio dello Stato e delle
  Regioni  -  Alienazione  degli  immobili degli IACP - Previsione di
  accordi,  in  sede  di  Conferenza Unificata, tra il Ministro delle
  infrastrutture  e  il  Ministro  per i rapporti con le regioni, con
  Regioni  ed  enti locali aventi ad oggetto la semplificazione delle
  procedure  di  alienazione predette - Individuazione dei criteri da
  recepire  negli  accordi,  al  fine  di  valorizzare  il patrimonio
  immobiliare  IACP, favorire l'acquisto in proprieta' da parte degli
  assegnatari,  acquisire  risorse  per  nuovi interventi di edilizia
  residenziale   pubblica  -  Lamentata  interferenza  statale  nella
  gestione   dei   beni   e  del  patrimonio  regionale,  vincolo  di
  destinazione all'uso delle risorse acquisite, asserita reiterazione
  di norme gia' dichiarate illegittime con la sentenza n. 94 del 2007
  -   Ricorso   della  Regione  Umbria  -  Denunciata  lesione  della
  competenza    legislativa   regionale   nella   materia   residuale
  dell'edilizia   residenziale  pubblica,  limitazione  all'autonomia
  finanziaria  di  spesa  della  Regione,  violazione  del  giudicato
  costituzionale.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni,  nella legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 13, commi 1
  e 2.
- Costituzione, artt. 117, comma quarto, 119, primo comma, e 136.
(GU n.51 del 10-12-2008 )
   Ricorso  della  Regione  Umbria,  in  persona del Presidente della
giunta  regionale  pro tempore Maria Rita Lorenzetti, autorizzata con
le deliberazioni della Giunta regionale n. 1278 del 29 settembre 2008
e  n. 1354 del 13 ottobre 2008 (docc. 1 e 2), rappresentata e difesa,
come  da  procura  speciale n. rep. 25447 del 14 ottobre 2008, rogata
dall'avv.  Marco Galletti notaio in Perugia (doc. 3), dall'avv. prof.
Giandomenico Falcon di Padova, con domicilio eletto in Roma presso lo
studio dell'avv. Luigi Manzi, in via Confalonieri, n. 5;
   Contro   il   Presidente   del   Consiglio  dei  ministri  per  la
dichiarazione  di illegittimita' costituzionale dell'art. 13, commi 1
e  2,  del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, Disposizioni urgenti
per  lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita', la
stabilizzazione  della finanza pubblica e la perequazione tributaria,
convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge 6 agosto 2008, n. 133,
pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale n. 195 del 21 agosto 2008; per
violazione  dell'art.  117,  quarto  comma, dell'art. 119, comma 1, e
dell'art. 136 della Costituzione, nei modi e per i profili di seguito
illustrati.
                              F a t t o
   Con  il  d.l.  n. 112/2008,  convertito,  con modificazioni, dalla
legge  6 agosto 2008, n. 133, sono state dettate Disposizioni urgenti
per  lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita', la
stabilizzazione  della finanza pubblica e la perequazione tributaria.
All'interno  dei  Titolo  II,  Sviluppo  economico, semplificazione e
competitivita'  e'  collocato  il Capo IV, Casa e infrastrutture, che
contiene  alcune  disposizioni  in  materia  di edilizia residenziale
pubblica.
   L'art.  13,  in  particolare,  dispone al comma 1 che, «al fine di
valorizzare gli immobili residenziali costituenti il patrimonio degli
Istituti  autonomi  per  le  case popolari, comunque denominati, e di
favorire  il soddisfacimento dei fabbisogni abitativi, entro sei mesi
dalla  data  di  entrata  in  vigore del presente decreto il Ministro
delle  infrastrutture  e  dei trasporti ed il Ministro per i rapporti
con  le  regioni  promuovono, in sede di Conferenza unificata, ... la
conclusione  di  accordi con regioni ed enti locali aventi ad oggetto
la  semplificazione  delle procedure di alienazione degli immobili di
proprieta' dei predetti Istituti».
   Il  comma 2 fissa i criteri di cui «si tiene conto» «ai fini della
conclusione  degli  accordi di cui al comma 1», nei seguenti termini:
«a)  determinazione del prezzo di vendita delle unita' immobiliari in
proporzione  al canone di locazione; b) riconoscimento del diritto di
opzione  all'acquisto,  purche'  i  soggetti  interessati  non  siano
proprietari  di  un'altra abitazione, in favore dell'assegnatario non
moroso  nel pagamento del canone di locazione o degli oneri accessori
unitamente al proprio coniuge, qualora risulti in regime di comunione
dei  beni, ovvero, in caso di rinunzia da parte dell'assegnatario, in
favore   del   coniuge   in   regime  di  separazione  dei  beni,  o,
gradatamente,  del convivente more uxorio, purche' la convivenza duri
da   almeno   cinque  anni,  dei  figli  conviventi,  dei  figli  non
conviventi;  c)  destinazione  dei  proventi  delle  alienazioni alla
realizzazione di interventi volti ad alleviare il disagio abitativo».
   Dunque,  l'art.  13,  commi 1 e 2, regola - sia dal punto di vista
procedurale  (attraverso il rinvio agli accordi in sede di Conferenza
unificata)   sia   dal  punto  di  vista  sostanziale  -  la  materia
dell'alienazione   degli  immobili  degli  «Iacp»,  con  il  fine  di
valorizzare   il   patrimonio  immobiliare  di  questi,  di  favorire
l'acquisto  in  proprieta'  da parte degli assegnatari e di acquisire
risorse  per  realizzare  nuovi  interventi  di edilizia residenziale
pubblica.
   Tali    norme,    pero',   risultano   lesive   delle   competenze
costituzionali della Regione Umbria per le seguenti ragioni di
                            D i r i t t o
1) Illegittimita' dell'art. 13, commi 1 e 2, per violazione dell'art.
117, quarto comma, della Costituzione.
   La   potesta'   legislativa   regionale  in  materia  di  edilizia
residenziale pubblica e' stata riconosciuta sin dagli anni '70 (v. ad
es.,  la  sent.  n. 140/1976  di  codesta  Corte), anche se e' con il
d.P.R.  n. 616/1977  che  e' stato attuato un rilevante trasferimento
alle  regioni  delle  competenze  in materia di edilizia residenziale
pubblica (v. gli artt. 87, 88, 93 e 94).
   In particolare, l'art. 93 di tale decreto trasferisce alle regioni
le    funzioni   concernenti   «la   programmazione   regionale,   la
localizzazione,   le  attivita'  di  costruzione  e  la  gestione  di
interventi di edilizia residenziale e abitativa pubblica, di edilizia
convenzionata,  di edilizia agevolata, di edilizia sociale nonche' le
funzioni connesse alle relative procedure di finanziamento». Inoltre,
l'art.  93  trasferisce  «le  funzioni statali relative agli I.A.C.P.
fermo restando il potere alle regioni di cui all'art. 13 di stabilire
soluzioni organizzative diverse».
   Di  particolare interesse, per la presente controversia, e' l'art.
94   che   trasferisce   «alle  regioni  le  funzioni  amministrative
esercitate  dall'amministrazione  centrale  e  periferica  dei lavori
pubblici,  in  base  al  regio  decreto  28 aprile 1938, n. 1165», e,
inoltre,  «la  funzione  relativa alla determinazione dei requisiti e
dei  prezzi  massimi  delle  abitazioni,  ai  sensi  dell'art.  8 del
decreto-legge  6  settembre  1965,  n. 1022, convertito nella legge 1
novembre 1965, n. 1179».
   Infatti,  il  r.d. n. 1165/1938 (ora abrogato proprio dall'art. 24
del  d.l.  n. 112/2008) concerneva - agli artt. 31, 34 e 35 - proprio
la  procedura di vendita delle case popolari, attribuendo al Ministro
per i lavori pubblici il potere di autorizzare gli IACP a vendere gli
immobili agli inquilini e regolando il relativo prezzo di vendita.
   Quanto al d.l. n. 1022/1965, l'art. 8, comma 3, di esso stabilisce
che  «il Ministro dei lavori pubblici stabilira' con proprio decreto,
con  riferimento alle situazioni locali, il prezzo massimo, per metro
quadrato  o per metro cubo, degli alloggi da costruire con i benefici
del  presente  decreto,  nonche'  l'incidenza massima del costo delle
aree» (i commi 4 e 5 regolano poi la vendita).
   Dunque,  sin  dal  1977 alle regioni sono attribuite le competenze
relative  all'alienazione  degli  immobili  degli  IACP, sia sotto il
profilo procedurale sia sotto quello del prezzo di vendita.
   A  seguito del d.P.R. n. 616/1977, codesta Corte ha specificato, a
proposito  dell'edilizia  residenziale pubblica, che «si verte in una
materia  attribuita  in  via  generale  alla  competenza  legislativa
regionale»  (sentenza  n. 217  del  1988).  Sempre con riferimento al
quadro  costituzionale  anteriore alla riforma del Titolo V, la Corte
ha  statuito  (sentenza  n. 727  del  1988)  che  «al  di fuori della
formulazione    dei   ''criteri   generali''   da   Osservare   nelle
assegnazioni,  e'  attribuita  alle  regioni  la  piu' ampia potesta'
legislativa  nella  materia,  e  quindi  la disciplina attinente alle
assegnazioni e alle successive vicende dei relativi rapporti» (fra le
quali,   la   trasformazione   della  locazione  in  proprieta').  La
competenza  legislativa regionale in materia di edilizia residenziale
pubblica  era  pertanto  «riconducibile  all'art.  117,  comma primo,
Costituzione»  e  gli  Istituti autonomi delle case popolari dovevano
essere «considerati come enti regionali» (sentenza n. 1115 del 1988).
   Gli  artt.  59  ss.  del  d.  lgs.  n. 112/1998  hanno  confermato
l'ampiezza   delle   competenze  regionali  in  materia  di  edilizia
residenziale pubblica.
   La  riforma  del Titolo V ha introdotto due importanti elementi di
novita': la «creazione» di una potesta' legislativa regionale piena e
l'attribuzione  allo Stato della competenza esclusiva di cui all'art.
117, secondo comma, lett. m). A seguito di cio', la Corte - come noto
-  ha puntualizzato in questo modo l'attuale assetto delle competenze
in   materia   di   edilizia   residenziale   pubblica:  «la  materia
dell'edilizia   residenziale  pubblica  si  estende  su  tre  livelli
normativi»,   il   primo   dei   quali  «riguarda  la  determinazione
dell'offerta minima di alloggi destinati a soddisfare le esigenze dei
ceti   meno   abbienti»  («in  tale  determinazione  -  che,  qualora
esercitata,  rientra  nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi
dell'art. 117, secondo comma, lettera m), Costituzione - si inserisce
la  fissazione  di principi che valgano a garantire l'uniformita' dei
criteri  di  assegnazione  su  tutto  il  territorio  nazionale»); il
secondo   livello   normativo   «riguarda   la  programmazione  degli
insediamenti  di  edilizia  residenziale  pubblica,  che ricade nella
materia   ''governo  del  territorio'',  ai  sensi  del  terzo  comma
dell'art.  117 Costituzione»; il terzo livello normativo, «rientrante
nel quarto comma dell'art. 117 Costituzione, riguarda la gestione del
patrimonio   immobiliare   di   edilizia   residenziale  pubblica  di
proprieta' degli Istituti autonomi per le case popolari o degli altri
enti  che  a questi sono stati sostituiti ad opera della legislazione
regionale» (cosi' la sent. n. 94/2007).
   La  sentenza  94  del  2007, appena citata, risulta importante non
solo  per la precisazione generale sul riparto delle competenze nella
materia  dell'edilizia  residenziale  pubblica  ma  anche  perche' ha
annullato due disposizioni del tutto simili a quelle qui impugnate.
   Infatti   il  comma  597  legge  n. 266/2005,  cioe'  della  legge
finanziaria per il 2006, prevedeva che, «ai fini della valorizzazione
degli  immobili costituenti il patrimonio degli Istituti autonomi per
le case popolari, comunque denominati», un decreto del Presidente del
Consiglio  dei  ministri  -  da  emanare previo accordo tra Governo e
regioni  -  semplificasse  le  norme  in materia di alienazione degli
immobili di proprieta' degli Istituti medesimi.
   Dunque, rispetto all'art. 13, comma 1, d.l. n. 112/2008, l'accordo
intercorreva  solo con le regioni (e non anche con gli enti locali) e
veniva recepito in un d.P.C.m.
   Il  comma 598 fissava i principi-guida per l'accordo tra Governo e
regioni,  praticamente  uguali  a quelli di cui all'art. 13, comma 2,
d.l.    n. 112/2008;    anzi,   quest'ultima   disposizione   risulta
peggiorativa perche' - a proposito della determinazione del prezzo di
vendita  -  non  fa  riferimento alle «vigenti leggi regionali» (come
faceva, invece, l'art. 1, comma 598, legge n. 266/2005).
   La Corte costituzionale ha annullato il comma 597 perche' «il fine
della  disposizione  in esame non e' quello di dettare una disciplina
generale   in   tema   di  assegnazione  degli  alloggi  di  edilizia
residenziale  pubblica,  di competenza dello Stato, ... bensi' quello
di  regolare le procedure amministrative e organizzative per arrivare
ad una piu' rapida e conveniente cessione degli immobili»: «si tratta
quindi - continuava la Corte - di un intervento normativo dello Stato
nella gestione degli alloggi di proprieta' degli I.A.C.P. (o di altri
enti  o  strutture  sostitutivi  di questi), che esplicitamente viene
motivato  dalla  legge  statale con finalita' di valorizzazione di un
patrimonio  immobiliare  non  appartenente  allo  Stato,  ma  ad enti
strumentali  delle  regioni».  La  conclusione della Corte e' che «si
profila,  pertanto,  una  ingerenza  nel  terzo livello di formazione
riguardante  l'edilizia residenziale pubblica, sicuramente ricompreso
nella  potesta'  legislativa  residuale  delle  regioni, ai sensi del
quarto comma dell'art. 117 Costituzione».
   Quanto  al  comma  598  (corrispondente,  come detto, all'art. 13,
comma  2), la Corte lo ha dichiarato illegittimo perche' esso «e' una
logica  conseguenza  del  comma  precedente,  giacche'  fissa  alcuni
obiettivi  al  decreto  del  Presidente del Consiglio dei ministri da
emanarsi   successivamente»;  esso  non  pone  «criteri  uniformi  di
assegnazione  degli  alloggi  di  edilizia  residenziale  pubblica in
relazione  alla soddisfazione del diritto sociale all'abitazione, ma.
indirizzi  e limiti» in un «ambito materiale riservato esclusivamente
alle regioni: non vengono in rilevo, infatti, profili programmatori o
progettuali idonei ad avere un qualsiasi impatto con il territorio».
   La  Corte  esclude  anche  che  la materia possa essere ricondotta
all'«ordinamento  civile», «poiche' si tratta di criteri destinati ad
incidere  sulle  procedure  amministrative  inerenti  all'alienazione
degli  immobili di proprieta' di enti regionali e non gia' a regolare
rapporti giuridici di natura privatistica».
   La  sentenza  n. 94/2007  conclude  ricordando  che «la competenza
regionale  in materia e' stata gia' riconosciuta dalla giurisprudenza
di  questa Corte (si veda, ad esempio, la sentenza n. 486 del 1995) e
non   v'e'  spazio,  pertanto,  per  una  normativa  statale  che  si
sostituisca  o  si  sovrapponga  a  quella  delle regioni, tuttora in
vigore».
   L'alienazione    degli    alloggi    deve    essere    considerata
«indissolubilmente connessa con l'assegnazione degli stessi»: dunque,
«se  la  ''disciplina  organica  dell'assegnazione  e  cessione degli
alloggi di edilizia residenziale pubblica [...] costituisce, in linea
di  principio, espressione della competenza spettante alla regione in
questa  materia''  (ordinanza  n. 104  del 2004), la disciplina delle
procedure   amministrative   tendenti   all'alienazione  non  rientra
nell'ordinamento  civile,  ma  deve  essere  ricondotta  al potere di
gestione  dei  propri  beni e del proprio patrimonio, appartenente in
via esclusiva alle regioni ed ai loro enti strumentali».
   I  passi  appena citati possono essere agevolmente addotti al fine
di  argomentare  l'illegittimita'  dei  commi 1 e 2 dell'art. 13 d.l.
n. 112/2008.  La  somiglianza  di tali norme con i commi 597 e 598 e'
gia'  stata  illustrata, ma e' opportuno sottolineare che la presenza
nel precedente testo di un regolamento governativo (cosi' la Corte ha
qualificato il d.P.C.m. di cui al comma 597) non vale a differenziare
il  comma  597  dall'art.  13,  comma  1:  quel  regolamento  infatti
presupponeva  necessariamente  l'accordo tra Governo e regioni, tanto
e'  vero  che  il  comma  598  fissava  i criteri che dovevano essere
rispettati  dall'accordo  stesso.  Dunque,  era  questo  il vero atto
regolatore  della  materia, mentre il d.P.C.m. aveva solo la funzione
di  recepire  il contenuto dell'accordo e di formalizzarlo in un atto
normativo tipico.
   Pertanto, l'unica differenza fra il comma 597 e l'art. 13, comma 1
(a  parte il coinvolgimento degli enti locali), sta nel fatto che nel
presente  giudizio  non  ha ragione di essere invocato come parametro
l'art.  117,  comma  6,  Costituzione, mancando un atto regolamentare
statale in materia regionale.
   Quanto  sopra  argomentato  non potrebbe essere contraddetto dalla
circostanza  che  la  disciplina  di  recepimento dei criteri fissati
dall'art.  13,  comma,  2,  avviene  (ai  sensi del comma 1) mediante
«accordi»,  da  stipulare  «in  sede  di  Conferenza  unificata», con
«regioni ed enti locali». Tali accordi, infatti, si porrebbero poi di
necessita'  come improprio condizionamento della potesta' legislativa
regionale,  da  parte  di un organismo e di un atto non legittimati a
produrre tale condizionamento.
   Si  noti  che il lesivo condizionamento si verificherebbe, persino
se si supponesse che gli «accordi» in questione, benche' da stipulare
in  sede  di Conferenza, intercorressero non con la Conferenza ma con
la  singola  regione:  dato  che  la  potesta' legislativa spetta per
Costituzione  ad  un  organo  diverso  da  quello  che  concluderebbe
l'accordo,  e  non  puo'  essere  vincolata  (come  vorrebbe la legge
statale)  a  previ  accordi  intercorsi  tra  soggetti  privi di tale
potesta'.
   Ancora   piu'   lesiva  sarebbe  poi  l'ipotesi  -  anch'essa  non
impensabile  sulla  base dell'ambiguo testo dell'art. 13, comma 1, di
un  accordo  stipulato direttamente tra uno o piu' Ministri e singoli
comuni:   dai   quali  risulterebbe  direttamente  lesa  la  potesta'
legislativa spettante alla regione.
   In  definitiva,  l'art. 13, commi 1 e 2, d.l. n. 112/2008, risulta
lesivo  della  competenza  legislativa  regionale in quanto regola la
materia   della  gestione  del  patrimonio  immobiliare  degli  IACP,
rientrante  nella  potesta'  regionale piena (art. 117, quarto comma,
Costituzione).
2) Illegittimita' dell'art. 13, commi 1 e 2, per violazione dell'art.
136 Costituzione.
   Inoltre,  il  fatto  che  lo  Stato  abbia  reiterato - in termini
pressoche' identici - una disciplina annullata a distanza di soli tre
anni  fa  si' che le norme impugnate siano illegittime, oltre che per
violazione dell'art. 117, comma 4, anche per violazione dell'art. 136
Costituizione,  cioe'  del giudicato costituzionale, in quanto l'art.
13,  commi 1 e 2, rida' efficacia a norme gia' dichiarate illegittime
dalla Corte costituzionale.
3)  Specifica ed autonoma illegittimita' dell'art. 13, comma 2, lett.
c) per violazione dell'autonomia finanziaria regionale.
   L'art. 13, comma 2, lett. c) prevede la «destinazione dei proventi
delle alienazioni alla realizzazione di interventi volti ad alleviare
il disagio abitativo». In questo modo, il legislatore statale pone un
vincolo  di  destinazione  all'uso delle risorse spettanti agli IACP,
cioe'  a  enti  para-regionali,  limitando l'autonomia finanziaria di
spesa garantita alle regioni dall'art. 119, comma 1, Costituzione. Di
qui  un'ulteriore  ragione  di  illegittimita' dell'art. 13, comma 2,
lett.  c),  che si aggiunge a quelle derivanti dalla violazione degli
artt. 117, quarto comma, e 136 Costituzione.
                              P. Q. M.
   La  regione  Umbria,  come  sopra  rappresentata  e difesa, chiede
voglia  codesta  ecc.ma  Corte  costituzionale accogliere il ricorso,
dichiarando  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 13, commi 1 e
2,   del  decreto-legge  25  giugno  2008,  n. 112,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.
     Padova, addi' 16 ottobre 2008
                   Prof. avv. Giandomenico Falcon
                                                             Allegati
   1)  Deliberazione  della Giunta regionale n. 1278 del 29 settembre
2008, concernente l'instaurazione del presente giudizo.
   2)  Deliberazione  della  Giunta  regionale n. 1354 del 13 ottobre
2008, modificativa della precedente.
   3)  Procura  speciale  n. rep.  25447  del 14 ottobre 2008, rogata
dall'avv. Marco Galletti notaio in Perugia.