N. 35 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 settembre 2008

Ordinanza del 18 settembre 2008 emessa dal Tribunale di Pinerolo  nel
procedimento penale a carico di Caria Novello ed altro. 
 
Processo penale - Dibattimento - Nuove contestazioni -  Contestazione
  di un reato concorrente gia' desumibile dagli atti  di  indagine  -
  Facolta' per  l'imputato  di  chiedere  il  giudizio  abbreviato  -
  Mancata previsione - Lesione del diritto di difesa - Disparita'  di
  trattamento tra imputati a seconda che il pubblico ministero  abbia
  contestato o meno tutti i  reati  ipotizzabili,  sulla  base  degli
  elementi acquisiti,  sin  dal  momento  dell'esercizio  dell'azione
  penale - Violazione del principio di ragionevolezza per la  diversa
  disciplina, risultante dalle sentenze  della  Corte  costituzionale
  nn. 265/1994 e 530/1995, prevista in analoga situazione per  taluni
  riti speciali (patteggiamento e oblazione). 
- Codice di procedura penale, art. 517. 
- Costituzione, artt. 3 e 24, comma secondo. 
(GU n.7 del 18-2-2009 )
                            IL TRIBUNALE 
    Alla pubblica udienza del 18  settembre  2008  ha  pronunziato  e
pubblicato mediante lettura integrale del provvedimento  la  seguente
ordinanza nel procedimento penale n. 1691/2006  R.G.N.R.  aperto  nei
confronti di Caria Novello, nato a Bauladu (Oristano) il 1°  novembre
1957, residente in Torino,  corso  Moncalieri  n.  498  elettivamente
domiciliato in  Torino,  via  Barbaroux  n.  39  c/o  l'avv.  Luciano
Paciello, libero presente, con l'assistenza  e  la  difesa  dell'avv.
Luciano Paciello del Foro  di  Torino  (con  studio  in  Torino,  via
Barbaroux n. 39) - di fiducia; 
    Friquet Alberto, nato a Pinerolo il 3 aprile 1973,  residente  in
Pragelato -  Frazione  Plan  -  Via  del  Beth  n.  7,  elettivamente
domiciliato  in  Pinerolo,  via  Virginio  n.  2  c/o  l'avv.   Elisa
Debernardi, libero presente, con l'assistenza e la  difesa  dell'avv.
Elisa Debernardi del Foro di Pinerolo (con studio  in  Pinerolo,  via
Virginio n. 2) - di fiducia, imputati  in  ordine  al  reato  di  cui
all'art. 181, d.lgs. n. 42/2004, perche', il Caria quale responsabile
della proprieta' e della struttura «Casa Alpina Padri Somaschi», sita
in Pragelato in area distinta al catasto al  fg.  82,  mapp.  64,  il
Friquet  quale  esecutore  materiale  dei  lavori   edili   dappresso
menzionati,   realizzavano   senza   le   prescritte   autorizzazioni
paesaggistiche  ed  in  zona  con   vincolo   a   tutela   ambientale
inedificabile ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004 in  quanto  posta  a
quota 1850 mt. sul livello del mare, un riempimento con terra e massi
derivati da scavo al  fine  di  ampliare  un  preesistente  piazzale,
Accertato in Pragelato il 10 agosto 2006. 
    Gli imputati sono stati originariamente tratti a giudizio  avanti
a questo Tribunale in composizione monocratica,  per  rispondere,  in
relazione ai lavori  edili  descritti  nell'imputazione  in  epigrafe
riportata, del solo reato di cui all'art.  44,  lett.  c),  d.P.R.  6
giugno 2001, n. 380, trattandosi di lavori eseguiti senza permesso di
costruire  in  zona  sottoposta  a  vincolo  paesistico.  Nel   corso
dell'istruttoria - all'udienza del 14 giugno 2007, all'esito e  sulla
base delle dichiarazioni rese da un testimone escusso -  il  pubblico
ministero procedeva a contestazione suppletiva ai sensi dell'art. 517
c.p.p., elevando a carico dei prevenuti anche l'accusa in  ordine  al
reato - connesso - di cui all'art. 181 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.
Su richiesta  degli  imputati,  il  giudice,  ritenuta  legittima  la
contestazione suppletiva, sospendeva quindi il dibattimento ai  sensi
dell'art. 519, comma 2, c.p.p.,  concedendo  il  previsto  termine  a
difesa. Successivamente - fatta espressamente salva la facolta' degli
imputati di effettuare richiesta di definizione del processo con riti
alternativi  -  accogliendo  l'istanza  avanzata  dai  difensori,  il
giudice prorogava la sospensione del  processo  (ed  il  corso  della
prescrizione, ex art. 1 59, comma 1 , c.p.) dal 18 ottobre 2007 al 17
luglio 2008 allo scopo di attendere la  definizione,  imminente,  del
procedimento amministrativo avviato  per  ottenere  il  rilascio  del
permesso di costruire in sanatoria. All'udienza del  17  luglio  2008
riprendeva  il  processo,  era  prodotto  il  permesso  di  costruire
rilasciato in sanatoria  e  i  difensori  degli  imputati  chiedevano
l'immediata pronuncia di sentenza ex art. 129 c.p.p. in  ordine  alla
contravvenzione  urbanistica,  mentre  gli   imputati   personalmente
avanzavano istanza di  definizione  del  procedimento  per  il  reato
paesaggistico con il giudizio abbreviato. Ritenendo che per il  reato
di  cui  all'art.  44  d.P.R.   n.   380/2001   il   processo   fosse
immediatamente definibile - dovendo invece proseguire  in  ordine  al
reato  paesaggistico  contestato  in  via  suppletiva  -  il  giudice
disponeva quindi la separazione dei procedimenti ai  sensi  dell'art.
18, primo  comma,  lett.  e),  c.p.p.  e  con  riguardo  all'illecito
urbanistico  pronunciava  sentenza  di  non  doversi  procedere   nei
confronti degli imputati, essendo il reato  estinto  per  intervenuta
sanatoria. 
    Quanto alla richiesta  di  giudizio  abbreviato  formulata  dagli
imputati con riguardo al reato di  cui  all'imputazione  in  epigrafe
trascritta, trattandosi di richieste condizionate all'acquisizione di
documenti contestualmente esibiti, il giudice, esaminato il fascicolo
delle indagini preliminari esibito dal pubblico ministero e  ritenute
le richieste ammissibili ai sensi dell'art.  438,  comma  5,  c.p.p.,
rilevava tuttavia come la vigente legge processuale  non  consentisse
la definizione con giudizio  abbreviato  del  reato  supplettivamente
contestato in dibattimento ai sensi dell'art. 517 c.p.p. e  che  tale
preclusione poteva sollevare dubbi  di  legittimita'  costituzionale.
All'odierna udienza, appositamente fissata per consentire alle  parti
di svolgere difese ed osservazioni sul punto, il  pubblico  ministero
ha chiesto di respingere  le  istanze  di  giudizio  abbreviato  e  i
procuratori hanno insistito per  il  loro  accoglimento,  qualora  il
giudice non ritenesse di dover disporre la restituzione degli atti al
pubblico ministero, essendo venuta veno la ragione di connessione che
giustificava la  contestazione  suppletiva  con  la  definizione  del
procedimento relativo al reato urbanistico. 
    In relazione al problema da ultimo menzionato - sollevato ex novo
all'odierna udienza dai difensori  -  reputa  il  tribunale  che  non
potrebbe  in  alcun  modo   configurarsi,   a   questo   stadio   del
procedimento, una restituzione degli atti al  pubblico  ministero  in
relazione al reato ancora sub  iudice,  per  il  solo  fatto  che  il
procedimento relativo al reato originariamente  contestato  e'  stato
definito. Si tratterebbe, di  fatti,  di  un  atto  abnorme,  perche'
determinerebbe  la  regressione  del  procedimento  alla  fase  delle
indagini preliminari in un caso assolutamente non previsto dal codice
di rito. Ed invero, la legittimita' della contestazione suppletiva  -
da questo giudice a suo tempo gia' affermata e che in questa sede  si
conferma - va valutata nel  momento  in  cui  sorgono  i  presupposti
previsti  dalla  legge,  sicche',   con   specifico   riguardo   alla
sussistenza della connessione tra il reato oggetto di procedimento  e
il reato concorrente ai sensi dell'art. 517 c.p.p., la stessa deve  e
puo' essere apprezzata soltanto  quando  la  nuova  contestazione  e'
mossa, cio' che e' avvenuto all'udienza del 14 giugno  2007.  Restano
invece del tutto ininfluenti sulla legittimita' dell'avvenuta rituale
contestazione   gli   sviluppi   che   il   procedimento   cumulativo
successivamente abbia, sviluppi che sono quelli consentiti e previsti
dal codice di  rito,  ivi  compresa  la  successiva  separazione  dei
procedimenti ai sensi dell'art. 18 c.p.p. (con eventuale  definizione
di uno di essi). 
    Venendo alla decisione sulla richiesta avanzata dagli imputati  -
e nella quale i difensori hanno comunque insistito -  di  definizione
con  giudizio  abbreviato  dell'intero   processo,   oramai   ridotto
all'unica  imputazione  relativa  al  reato  concorrente  oggetto  di
contestazione suppletiva, osserva il tribunale che, come  piu'  sopra
si e' accennato, essa dovrebbe essere accolta, essendo l'integrazione
probatoria  indicata  (acquisizione  di   documenti   contestualmente
esibiti) necessaria ai fini della  decisione  e  compatibile  con  le
finalita' di economia processuale proprie  del  procedimento,  tenuto
conto degli atti gia' acquisiti e utilizzabili, ed essendo  stata  la
richiesta avanzata subito dopo la sospensione del  processo  disposta
ai sensi dell'art. 519, comma 2, c.p.p. (e poi  prorogata  per  altra
causa). All'accoglimento dell'istanza, tuttavia, osta la  preclusione
ricavabile dal combinato disposto degli artt. 555,  comma  2,  c.p.p.
(che, per consolidata giurisprudenza,  prevede  l'esercizio  di  tale
facolta', a pena di decadenza, prima della dichiarazione di  apertura
del dibattimento) e 517 c.p.p. (che non prevede  una  «rimessione  in
termini» per poter effettuare la richiesta del giudizio  speciale  in
parola nel caso in  cui  intervenga  la  contestazione  di  un  reato
concorrente). Nel caso  di  specie,  i  fatti  su  cui  si  fonda  la
contestazione suppletiva  erano  stati  compiutamente  accertati  sin
dalla  fase  delle  indagini   preliminari,   essendo   la   modifica
dell'imputazione  avvenuta  a  seguito  dell'esame  testimoniale  del
sovrintendente del Corpo Forestale dello Stato Bortolo Marco, che  si
e' limitato a riferire  a  dibattimento  degli  accertamenti  da  lui
effettuati in fase di indagini circa lavori completamente abusivi  in
zona soggetta a vincolo paesistico, lavori per i quali non era  stato
neppure   avviato   alcun   iter   amministrativo    urbanistico    o
paesaggistico.  Cio'  premesso  sulla  rilevanza   della   proponenda
questione, ad avviso del  Tribunale,  la  normativa  processuale  che
preclude il ricorso al giudizio abbreviato in relazione  al  processo
relativo  al  reato  concorrente,  normativa  non   suscettibile   di
contraria  interpretazione  secondo   un   consolidato   orientamento
giurisprudenziale,   solleva   fondati    dubbi    di    legittimita'
costituzionale per violazione del diritto di difesa (art. 24, secondo
comma, Cost.), nonche' del principio  di  eguaglianza  dei  cittadini
davanti alla legge e del principio di ragionevolezza in rapporto alla
differente disciplina  processuale  riservata  ad  eguali  situazioni
(art. 3 Cost.). 
    E' doveroso rammentare che la giurisprudenza elaborata in materia
dalla  Corte  costituzionale  ha  preso  le  mosse  dall'affermazione
secondo cui,  a  dibattimento  iniziato,  nel  caso  di  un'eventuale
modifica  dell'imputazione  l'impossibilita'   di   beneficiare   dei
vantaggi connessi all'adozione dei riti  abbreviati  fa  parte  delle
«regole del gioco», note alle parti processuali, le  cui  conseguenze
sfavorevoli potevano e dovevano essere previste ex  ante  e  di  cui,
dunque, non ci si puo' ex post dolere, poiche'  l'imputato  il  quale
non abbia optato nei termini per i riti abbreviati  «non  ha  che  da
addebitare a se' medesimo le conseguenze della propria scelta» (Corte
cost., sent.  n.  316/1992,  che  ha  dichiarato  l'infondatezza,  in
relazione  all'art.  3  cost.,  della   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 519 c.p.p., nella parte in cui, in  caso  di
contestazioni suppletive a norma dell'art. 517 c.p.p.,  non  consente
all'imputato di avvalersi del giudizio abbreviato). La casistica via,
via  emersa  ha  pero'  mostrato  come  la  rigida  applicazione  del
principio comportasse, talora, conseguenze  inaccettabili  sul  piano
della ragionevolezza e della  tutela  del  diritto  dell'imputato  ad
operare liberamente e senza condizionamenti od  ostacoli  le  proprie
scelte di strategia difensiva.  Di  qui  le  correzioni  all'impianto
normativo originario apportate ad opera della Corte in una  decisione
successiva, relativa all'erroneita' od incompletezza dell'imputazione
formulata rispetto agli elementi gia' acquisiti  in  sede  d'indagine
preliminare, con una rivalutazione, a sorpresa, degli stessi elementi
nel corso del dibattimento e la conseguente contestazione di un fatto
diverso o di un reato concorrente. 
    Nell'esaminare tale ipotesi la Corte costituzionale ha  insegnato
che non puo' «parlarsi, in simili vicende, di una  libera  assunzione
del rischio del dibattimento da parte dell'imputato» (Corte  cost.  ,
sent. n. 265/1994) . E poiche' «le valutazioni dell'imputato circa la
convenienza del rito speciale vengono  a  dipendere  anzitutto  dalla
concreta impostazione data al processo dal pubblico ministero  [...],
quando, in presenza di una  evenienza  patologica  del  procedimento,
quale e' quella derivante dall'errore sulla individuazione del  fatto
e del titolo del reato in  cui  e'  incorso  il  pubblico  ministero,
l'imputazione subisce una variazione sostanziale, risulta lesivo  del
diritto di difesa precludere all'imputato l'accesso ai riti speciali»
(Corte cost., sent. n. 265/1994;  cfr.,  per  analoghe  affermazioni,
Corte. cost., sentt. n.  76/1993  e  n.  214/1993).  Con  riferimento
all'istituto  del  patteggiamento,   e'   stata   dunque   dichiarata
l'«illegittimita' costituzionale degli artt. 516 e 517  c.p.p.  nella
parte in cui non prevedono la facolta' dell'imputato di richiedere al
giudice del dibattimento l'applicazione di pena a norma dell'art. 444
c.p.p.,  relativamente  al  fatto  diverso  o  al  reato  concorrente
contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un
fatto  che  gia'  risultava  dagli  atti  di  indagine   al   momento
dell'esercizio  dell'azione  penale  ovvero  quando   l'imputato   ha
tempestivamente e ritualmente proposto la richiesta  di  applicazione
di pena in ordine alle originarie imputazioni» (Corte.  cost.,  sent.
n. 265/1994). Nel caso  d'estensione  dell'imputazione  ad  un  reato
concorrente, la possibilita' di richiedere l'applicazione della  pena
a dibattimento iniziato vale - ha precisato la Corte - «se  del  caso
previa separazione dei procedimenti»,  soltanto  «relativamente  alla
nuova contestazione» (Corte cost., sent. n. 265/1994). 
    Un ulteriore, e  piu'  ampio,  profilo  d'irragionevolezza  della
disciplina  in  parola   e'   poi   stato   ravvisato   dalla   Corte
costituzionale nella successiva sentenza  n.  530/1995,  con  cui  e'
stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale degli  artt.  516  e
517 c.p.p., per violazione degli artt. 3 e 24 cost., nella  parte  in
cui non prevedono la facolta' dell'imputato di  proporre  domanda  di
oblazione in relazione  al  fatto  diverso  o  al  reato  concorrente
contestati in dibattimento, senza peraltro distinguere (come fatto in
relazione all'analogo problema del patteggiamento) tra ipotesi in cui
sia  ravvisabile  un  iniziale  errore  del  pubblico  ministero  nel
contestare  l'accusa  rispetto  agli  elementi  acquisiti   in   fase
d'indagine preliminare e ipotesi in cui la necessita' della  modifica
dell'imputazione  emerga,  per  la   prima   volta,   nell'istruzione
dibattimentale. 
    Quanto al rito abbreviato, la  giurisprudenza  costituzionale  al
proposito formatasi consta soltanto  di  pronunce  d'inammissibilita'
(da ultimo, con ord. n. 413/2005 e n. 67/2008), anche se da tempo  e'
stato sollecitato l'intervento del  legislatore  per  correggere  una
legislazione  evidentemente  ritenuta  non   conforme   ai   precetti
costituzionali. Ed invero, nella sent. Corte cost.  n.  129/1993  (la
successiva sent. n. 265/1994, anche in virtu' della mancanza di nuovi
argomenti nelle ordinanze di remissione, si  e'  infatti  limitata  a
ribadire, a questo proposito, quanto gia' affermato nella  precedente
decisione),  chiamata  a  pronunciarsi  nell'ambito  di  un  processo
celebrato avanti ad un tribunale, nel corso del quale era avvenuta la
contestazione suppletiva di  un  reato  concorrente  -  dopo  che  la
richiesta di definizione  con  giudizio  abbreviato,  tempestivamente
presentata, era stata respinta dal giudice delle indagini preliminari
con decisione ritenuta ingiustificata dal giudice dibattimentale - la
Corte ha dovuto prendere atto che l'imputato si era venuto a  trovare
in una situazione processualmente  deteriore  non  per  fatto  a  lui
addebitabile,  ma  per  un  errore   del   giudice   delle   indagini
preliminari, giacche' se  questi  avesse  accolto  (come  doveva)  la
richiesta di definizione  con  il  rito  speciale,  la  contestazione
suppletiva  non  avrebbe  potuto  aver  luogo  in  quel  procedimento
(semmai, si sarebbe poi avviato un  nuovo  procedimento,  nel  quale,
pero', sarebbe stato possibile optare per la  definizione  anticipata
con i vantaggiosi riti semplificati). La questione e' stata  tuttavia
giudicata inammissibile per essere stata prospettata in modo ancipite
dal giudice a quo, con espresso auspicio  che  «il  legislatore,  nel
rispetto dei principi posti a base della sentenza  n.  23  del  1992,
opportunamente realizzi, per ipotesi quale quella qui considerata, un
appropriato congegno  normativo  che  componga  le  interferenze  tra
giudizio abbreviato e giudizio dibattimentale»  (Corte  cost.,  sent.
129/1993). 
    Pur a  distanza  di  15  anni  il  legislatore  non  e'  tuttavia
intervenuto e, anche in  relazione  alle  innovazioni  medio  tempore
registrate nella disciplina dell'istituto  del  giudizio  abbreviato,
ritiene questo tribunale che la  questione  possa  essere  nuovamente
sottoposta  allo  scrutinio  di   costituzionalita'.   Se   il   caso
dell'ingiustificato dissenso del pubblico ministero rispetto  ad  una
tempestiva richiesta di definizione con il  rito  abbreviato  per  le
originarie imputazioni poi modificate nel corso del dibattimento  non
e' piu' attuale, a seguito delle modifiche apportate dalla c.d. legge
Carotti, un problema analogo a quello affrontato  nella  sent.  Corte
cost. n. 129/1993 sorge per la contestazione  suppletiva  concernente
fatti  che  gia'  erano  noti  all'organo  dell'accusa   al   momento
dell'esercizio dell'azione penale e che, tuttavia,  non  erano  stati
considerati.  Sulla  base  delle  osservazioni   sopra   svolte,   la
preclusione a fruire dei vantaggi  connessi  al  giudizio  abbreviato
sembra qui tradursi: 
        in una compressione dei diritti di difesa  dell'imputato,  al
quale, in simili ipotesi, non puo'  certo  essere  addebitata  alcuna
colpevole inerzia, ne' possono  essergli  attribuite  le  conseguenze
negative di un «prevedibile» sviluppo dibattimentale il  cui  rischio
sia stato liberamente  assunto  (sospetta  violazione  dell'art.  24,
secondo comma, Cost.); 
        nella disparita' di trattamento tra imputati che  si  trovino
in situazioni eguali, a seconda  che,  in  identiche  situazioni,  il
pubblico ministero valorizzi integralmente - come dovrebbe fare  -  i
risultati delle indagini sin dal momento  dell'esercizio  dell'azione
penale contestando  tutti  i  reati  ipotizzabili  sulla  base  degli
elementi acquisiti (consentendo cosi' all'imputato di' esercitare  le
prerogative riconosciutegli dalla legge con riguardo  all'accesso  al
rito abbreviato), ovvero contesti inizialmente  soltanto  alcuno  dei
reati gia' ipotizzabili ampliando poi l'accusa a dibattimento con  la
suppletiva contestazione di un reato concorrente (sospetta violazione
dell'art. 3 Cost.); 
        nell'irragionevolezza di una disciplina processuale  che,  in
siffatte   situazioni   di   modifica   dell'imputazione,    consente
all'imputato  di  recuperare  i  vantaggi  connessi  ad  alcuni  riti
speciali (il patteggiamento e l'oblazione, sulla base della normativa
quale risultante dalle citate sentenze  «additive»  Corte  cost.  nn.
265/1994  e  530/1995,  normativa  da   utilizzarsi   quale   tertium
comparationis), impedendo invece  l'accesso  al  giudizio  abbreviato
(ulteriore profilo di sospetta violazione dell'art. 3 Cost.). 
    Qualora  questi  profili  d'illegittimita'  costituzionale  della
vigente  disciplina  processuale  fossero   ritenuti   fondati,   per
rimuovere il contrasto della  legge  ordinaria  con  la  Costituzione
basterebbe - ad avviso di questo Tribunale, e per quanto riguarda  il
caso di specie - dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art.
517 c.p.p. «nella parte in cui non prevede la facolta'  dell'imputato
di richiedere al giudice  del  dibattimento  il  giudizio  abbreviato
relativamente al processo concernente il reato concorrente contestato
in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto  che
gia' risultava dagli  atti  di  indagine  al  momento  dell'esercizio
dell'azione penale». Non occorrerebbe,  di  fatti,  alcuna  ulteriore
previsione per comporre le interferenze  tra  giudizio  abbreviato  e
dibattimento, posto che: 
        il giudizio abbreviato  riguarderebbe  soltanto  il  processo
relativo al reato oggetto della nuova  contestazione,  con  possibile
separazione dei procedimenti - come suggerito nella sent. Corte cost.
n. 265/1 994 - cio' che,  nel  caso  di  specie,  e'  gia'  avvenuto,
essendo stato addirittura concluso il procedimento relativo al  reato
urbanistico originariamente contestato, sicche' la conclusione  circa
l'ammissibilita'  del  rito  non  contrasterebbe  con   il   costante
orientamento  della  Corte  di  cassazione  secondo   cui   sarebbero
inammissibili richieste di giudizio abbreviato «parziali», effettuate
con riguardo ad alcune soltanto delle imputazioni  (del  resto,  tale
orientamento,  elaborato  con  riguardo  a  richieste   di   giudizio
abbreviato «tempestive» e sorretto da una precisa ratio  di  economia
processuale, ben potrebbe, ad  avviso  di  questo  tribunale,  essere
ragionevolmente modificato in relazione al diverso  caso  in  parola,
tenendo conto della specificita' della situazione); 
        in  epoca  recente,   l'ordinamento   processuale   ha   gia'
conosciuto,  sia  pur  soltanto  in  via  transitoria,   ipotesi   di
previsione della facolta' di richiedere  il  giudizio  abbreviato  in
corso di dibattimento e avanti al medesimo giudice dibattimentale (v.
art. 223, d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51; art. 4-ter, legge 5  giugno
2000, n. 144), cio' che dimostra come l'innesto del giudizio speciale
in   quello   ordinario   non   crei   interferenze   che   in    via
d'interpretazione non possano essere risolte (anche, se del caso, con
il richiamo in via analogica alle specifiche previsioni di  dettaglio
contenute in tali discipline, le  quali,  peraltro,  si  limitano  ad
esplicitare conclusioni che ragionevolmente potrebbero essere  tratte
dall'adattamento  della  disciplina   generale   dell'istituto   alla
particolare situazione); 
        queste  stesse  previsioni  rivelano,   peraltro,   come   la
definizione del procedimento con il rito abbreviato conservi, sia pur
a dibattimento iniziato,  una  apprezzabile  finalita'  di'  economia
processuale. 
                              P. Q. M. 
    Letto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dichiara, d'ufficio, rilevante e non manifestamente infondata  la
questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  517  c.p.p.,  in
relazione agli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost., nella parte in cui
non prevede la facolta' dell'imputato di richiedere  al  giudice  del
dibattimento  il  giudizio  abbreviato  relativamente   al   processo
concernente il reato concorrente contestato in  dibattimento,  quando
la nuova contestazione concerne un fatto  che  gia'  risultava  dagli
atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale; 
    Sospende il procedimento in corso; 
    Dispone che la presente ordinanza - letta alle parti nel pubblico
dibattimento  -  sia  notificata  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri e sia comunicata al Presidente del Senato  della  Repubblica
ed al Presidente della Camera dei deputati; 
    Ordina l'immediata trasmissione  degli  atti  del  processo  alla
Corte  costituzionale  con  la  prova  delle  avvenute  notifiche   e
comunicazioni di cui sopra. 
        Pinerolo addi', 18 settembre 2008 
                         Il giudice: Reynaud