N. 68 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 - 12 giugno 2008

Ordinanza  del 12 giugno 2008 emessa dal  Tribunale  di  Cosenza  nel
procedimento civile promosso da A.B. contro D.T.A. ed altri. 
 
Successione ereditaria - Successione legittima - Divisione - Concorso
  del coniuge, dei  figli  legittimi  e  di  una  figlia  naturale  -
  Attribuzione ai figli legittimi del potere di soddisfare in  denaro
  o in  beni  immobili  ereditari  la  porzione  spettante  ai  figli
  naturali, salva l'opposizione di questi  ultimi  e  la  conseguente
  decisione  dell'autorita'  giudiziaria  fondata  sulla  valutazione
  delle circostanze personali  e  patrimoniali  degli  interessati  -
  Denunciata  violazione  del  principio  di  uguaglianza,  sotto  il
  profilo dell'ingiustificata disparita' di trattamento riservata, in
  sede di divisione ereditaria, ai figli naturali - Asserita  lesione
  della  tutela  costituzionalmente  garantita,  nei   limiti   della
  compatibilita' con i diritti dei membri della  famiglia  legittima,
  ai figli nati fuori dal matrimonio. 
- Codice civile, art. 537, comma terzo. 
- Costituzione, artt. 3 e 30, comma terzo. 
(GU n.10 del 11-3-2009 )
                            IL TRIBUNALE 
    Nella causa iscritta al n. 1059 del R.G. per l'anno 2002 vertente
tra B. A. rappresentata e difesa dall'avv. Elena Pellegrini, attrice; 
    Contro D.T.A.,  D.T.S.,  e  D.T.M.,  in  giudizio  personalmente,
convenuti, nonche' D.E. e D.T.L., rappresentati e difesi  dagli  avv.
D.T.A., D.T.S. e D.T.M. Convenuti, nonche' pubblico ministero,  nella
persona  del  Procuratore  della  Repubblica  presso  il   tribunale;
interventore necessario. 
    Oggetto: divisione ereditaria. 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza. 
    Con atto di citazione notificato il 16 marzo 2002 B.A. citava  in
giudizio  gli  eredi  del  de   cuius   E.D.T.,   per   ottenere   il
riconoscimento di paternita' da E.D.T., con conseguente  attribuzione
del cognome, nonche' l'accertamento del suo diritto alla  eredita'  e
la conseguente divisione. 
    Con sentenza parziale  587/04  del  6  aprile  2004,  passata  in
giudicato, veniva accertata la paternita' e disposta la  prosecuzione
del giudizio di divisione. 
    Svolta  l'istruttoria,  sussisteva  contrasto  tra  i   beni   da
dividere, cosicche' si doveva procedere alla decisione  sul  punto  e
predisporre un progetto di divisione. 
    I convenuti chiedevano  l'applicazione  dell'art.  537,  comma  3
c.c., e quindi la possibilita' di liquidare  in  denaro  la  porzione
spettante alla figlia naturale. L'attrice si opponeva e  chiedeva  al
collegio di sollevare la questione di costituzionalita' della norma. 
    All'esito della discussione orale  ex  art.  275  c.p.c.  del  23
aprile 2008, la causa veniva trattenuta in decisione. 
    Osserva  il   collegio   che   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 537, comma 3 c.c. e' rilevante nel  presente
procedimento. 
    Difatti, in base al combinato disposto  degli  artt.  542  e  581
c.c., in caso di morte ab intestato, al padre succedono la moglie  ed
i figli naturali e legittimi, questi  ultimi  in  parti  uguali,  con
applicazione dell'art. 537, comma 3 c.c. 
    Il collegio, a seguito della  richiesta  di  autorizzazione  alla
liquidazione   in   denaro   proposta   dai   figli    legittimi    e
dell'opposizione della  figlia  naturale  riconosciuta  con  sentenza
passata in  giudicato,  dovrebbe  decidere  valutando  le  condizioni
patrimoniali e personali. 
    In assenza di tale norma,  invece,  di  fronte  al  dissenso  del
figlio naturale il giudice non potrebbe in alcun caso  consentire  la
commutazione in denaro della quota, trattandosi di eredita'  composta
da diversi beni immobili. 
    Il giudizio, quindi, non puo' essere  definito  indipendentemente
dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale. 
    La questione si presenta anche non manifestamente infondata. 
    La norma contenuta nell'art. 537 c.c. al  terzo  comma  e'  stata
introdotta dalla legge  di  riforma  del  diritto  di  famiglia,  che
abrogava  la  vecchia  disposizione  dell'art.  574  c.c.,  il  quale
stabiliva il diritto potestativo dei figli legittimi di sciogliere la
comunione ereditaria  con  i  figli  naturali,  commutando  la  quota
ereditaria in una somma di denaro, senza possibilita' di  opposizione
da parte del  figlio  naturale  e  di  valutazione  giudiziale  delle
circostanze del caso concreto. Con l'introduzione della  possibilita'
di opposizione, e del  conseguente  coinvolgimento  del  giudice,  si
volevano rendere le disposizioni in  tema  di  successione  di  figli
naturali piu' aderenti al dettato costituzionale. 
    L'art. 30, terzo comma della Costituzione, infatti,  prevede  che
la legge assicura ai figli nati  fuori  dal  matrimonio  ogni  tutela
giuridica e sociale, compatibile  con  i  diritti  dei  membri  della
famiglia legittima. 
    La disposizione dell'art.  537  c.c.  e'  tuttavia  in  possibile
contrasto con l'art. 30, terzo comma e l'art. 3  della  Costituzione.
La posizione del figlio naturale e' cambiata nel  corso  degli  anni,
proprio in seguito alla  introduzione  della  legge  sul  diritto  di
famiglia, e successivamente  delle  leggi  sulla  separazione  e  sul
divorzio.  La  ratio  sottesa  alla  preferenza  per  i  figli   nati
dall'unione  matrimoniale,  espressa  nella  necessita'  di   rendere
compatibile la tutela dei figli naturali con  i  diritti  dei  membri
della  famiglia  legittima,  derivava  dalla  situazione   di   fatto
esistente  all'epoca  della  introduzione   della   norma   e   dalla
considerazione sociale della famiglia legittima. La  possibilita'  di
commutare la quota ereditaria spettante ai figli naturali  in  denaro
consentiva che i «beni di famiglia»,  ad  esempio  i  gioielli  della
nonna o la casa avita, si tramandassero  ai  membri  legittimi  della
stessa, che  costituivano  pubblicamente  la  continuazione  naturale
della famiglia del de  cuius,  contrapponendosi  all'estraneo  figlio
naturale, ed il correttivo  della  possibilita'  di  opposizione  con
deferimento  della  decisione  al  giudice,  che  deve  valutare   le
circostanze del caso  concreto,  serviva  a  garantire  una  parziale
assimilazione di trattamento. 
    Attualmente, pero', la figura del figlio naturale,  oltre  a  non
destare alcun tipo di sensazione di «estraneita» dalla  famiglia,  e'
alquanto diffusa. Il numero delle separazioni e' molto alto e,  nella
maggior parte dei casi, uno o entrambi i coniugi iniziano  una  nuova
convivenza, con procreazione di  figli  necessariamente  naturali  (a
volte  riconosciuti  con  successivo  matrimonio).  In  questi  casi,
sostenere  che  il  figlio  legittimo  costituisce   il   «testimone»
dell'identita' familiare e' un anacronismo, visto che spesso  convive
con uno dei genitori ed il nuovo compagno, ed e' frequente il caso in
cui proprio il figlio naturale convivente con il de cuius si presenti
alla comunita' come erede. 
    Consentire che una valutazione del genere, in cui  in  base  alla
norma devono confluire anche gli elementi  patrimoniali  della  sfera
dei figli interessati, sia fatta dal giudice  e'  ingiustificatamente
discriminatorio  nei  confronti  del  figlio  naturale,  e   non   ne
garantisce i diritti. 
    Anche  rispetto  alle  norme  costituzionali  s'impone,  infatti,
un'interpretazione   evolutiva   che   tenga   conto   dei   principi
costituzionali come sono andati maturando nella coscienza sociale. 
    Tra questi, il principio che non deve  ammettere  riserve  e'  il
principio di eguaglianza. Il trattamento differente riservato in sede
di divisione ereditaria ai figli naturali,  non  giustificandosi  con
una necessita' di tutela dei diritti dei figli legittimi (che in ogni
caso non subirebbero lesioni in caso  di  abrogazione  della  norma),
contrasta con il divieto di  differenziazioni  basate  su  condizioni
personali e sociali. 
    L'eliminazione della norma dal nostro sistema giuridico,  invece,
non  comporterebbe  alcuna  incompatibilita'  con  la  tutela   della
famiglia legittima, posto che in caso di accordo  i  figli  legittimi
potrebbero sempre acconsentire alla liquidazione in denaro o in  beni
immobili della loro quota (cosi' come oggi  avviene  nella  comunione
tra piu' figli legittimi), ed in caso di disaccordo  non  vi  sarebbe
comunque lesione della quota di alcuno dei discendenti. 
    Per questi motivi la causa deve essere rimessa sul  ruolo  ed  il
giudizio  sospeso  nelle   more   della   delibazione   della   Corte
costituzionale. 
                              P. Q. M. 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 537, comma 3 c.c. in  relazione
agli artt. 3 e 30, terzo comma della Costituzione. 
    Rimette la causa sul ruolo e dispone la sospensione del  presente
giudizio. 
    Dispone che la presente ordinanza sia  notificata  al  Presidente
del Consiglio dei ministri e  comunicata  al  Presidente  del  Senato
della Repubblica e della Camera dei deputati, ed alle parti. 
    Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
    Cosi' deciso, nella Camera di consiglio dell'11 giugno 2008. 
                       Il Presidente: Di Pede