N. 64 SENTENZA 25 febbraio - 5 marzo 2009

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo penale - Disposizioni sulla competenza penale del giudice di
  pace - Casi di connessione tra procedimenti tutti di competenza del
  giudice di  pace  -  Mancata  previsione  dell'ipotesi  di  persona
  imputata di piu'  reati  commessi  con  piu'  azioni  od  omissioni
  esecutive di un medesimo disegno criminoso - Dedotta disparita'  di
  trattamento tra il concorso formale di reati  e  la  continuazione,
  nonche' violazione del principio  di  ragionevolezza  -  Denunciata
  lesione del diritto di difesa e  dei  principi  di  buon  andamento
  della pubblica amministrazione e del giusto processo -  Difetto  di
  rilevanza - Manifesta inammissibilita'. 
- D.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 7. 
- Costituzione, artt. 3, 24, 97 e 111. 
Processo penale - Disposizioni sulla competenza penale del giudice di
  pace - Connessione tra procedimenti di competenza  del  giudice  di
  pace e procedimenti  di  competenza  di  altro  giudice  -  Mancata
  previsione dell'ipotesi di persona imputata dei reati commessi  con
  piu' azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso
  - Dedotta disparita' di trattamento  tra  il  concorso  formale  di
  reati e la  continuazione,  nonche'  violazione  del  principio  di
  ragionevolezza - Denunciata lesione del diritto  di  difesa  e  del
  principio  di  buon  andamento  della  pubblica  amministrazione  -
  Infondatezza delle questioni. 
- D.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 6, comma 1. 
- Costituzione, artt. 3, 24 e 97. 
Processo penale - Disposizioni sulla competenza penale del giudice di
  pace - Connessione tra procedimenti di competenza  del  giudice  di
  pace e procedimenti  di  competenza  di  altro  giudice  -  Mancata
  previsione dell'ipotesi di persona imputata dei reati commessi  con
  piu' azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso
  - Denunciata lesione del principio del  giusto  processo  -  Omessa
  motivazione   sulla   rilevanza   della   questione   -   Manifesta
  inammissibilita'. 
- D.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 6, comma 1. 
- Costituzione, art. 111. 
Processo penale - Disposizioni sulla competenza penale del giudice di
  pace - Connessione tra procedimenti di competenza  del  giudice  di
  pace e procedimenti  di  competenza  di  altro  giudice  -  Mancata
  previsione dell'ipotesi di persona imputata dei reati commessi  con
  piu' azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso
  - Dedotta  violazione  del  principio  di  ragionevole  durata  del
  processo - Infondatezza della questione. 
- D.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 6, comma 1. 
- Costituzione, art. 111, comma secondo. 
(GU n.10 del 11-3-2009 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO Giudice, Paolo MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,
  Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,
  Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe  TESAURO,  Paolo  Maria
  NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO; 
ha pronunciato la seguente 
                              Sentenza 
nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 6, comma 1,  e
7 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni  sulla
competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della
legge 24 novembre 1999,  n.  468),  promossi  con  ordinanze  del  19
ottobre 2006 dal Tribunale di Velletri, sezione distaccata di  Albano
Laziale, e del 14 dicembre 2006 dal Tribunale  di  Montepulciano  nei
procedimenti penali a carico di G.S. e di R.M. ed altro  iscritte  ai
nn. 339 e 486 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica nn. 19 e 26, 1ª serie speciale,  dell'anno
2007. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  R.M.  nonche'  gli  atti  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Udito nell'udienza pubblica del 10 febbraio 2009 e  nella  Camera
di consiglio dell'11  febbraio  2009  il  giudice  relatore  Giuseppe
Frigo; 
    Uditi l'avvocato Renato Borzone per R.M. e l'avvocato dello Stato
Maria Letizia Guida per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
                          Ritenuto in fatto 
    1.1. - Con ordinanza emessa il 14 dicembre 2006, nel corso di  un
processo penale nei confronti di due persone  imputate  di  reati  di
lesioni personali e di  minaccia  commessi  in  danno  reciproco,  il
Tribunale di Montepulciano in composizione monocratica ha  sollevato,
in riferimento agli  artt.  3,  24,  97  e  111  della  Costituzione,
questioni di legittimita' costituzionale: 
        a) dell'art. 6, comma 1, del decreto  legislativo  28  agosto
2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza  penale  del  giudice  di
pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468),
nella parte in cui non prevede che tra procedimenti di competenza del
giudice di pace e procedimenti di  competenza  di  altro  giudice  si
abbia connessione anche quando una persona e' imputata di piu'  reati
commessi con piu'  azioni  od  omissioni  esecutive  di  un  medesimo
disegno criminoso; 
        b) dell'art. 7 del medesimo d.lgs. n.  274  del  2000,  nella
parte in cui non prevede che, davanti al giudice di  pace,  si  abbia
connessione di procedimenti anche quando una persona e'  imputata  di
piu' reati commessi con piu' azioni  od  omissioni  esecutive  di  un
medesimo disegno criminoso. 
    Il giudice a quo osserva come, in deroga alla disciplina generale
dettata dall'art.  12  del  codice  di  procedura  penale,  le  norme
impugnate regolino in senso fortemente limitativo la  competenza  per
connessione: stabilendo, in specie - quanto all'art. 6 del d.lgs.  n.
274 del 2000 - che tra procedimenti di competenza del giudice di pace
e procedimenti di competenza di altro giudice si ha connessione  solo
se una persona e' imputata di piu' reati commessi con una sola azione
od omissione (ossia unicamente nell'ipotesi di concorso formale); e -
quanto al successivo art. 7 - che davanti al giudice di  pace  si  ha
connessione solo in caso di concorso formale di  reati  o  quando  il
reato per cui si  procede  e'  stato  commesso  da  piu'  persone  in
concorso o cooperazione tra loro. 
    Recependo  l'eccezione  formulata  dal  difensore  di  uno  degli
imputati, il rimettente assume che dette disposizioni  si  porrebbero
in contrasto con plurimi precetti costituzionali, nella parte in  cui
non prevedono - diversamente dall'art. 12, comma 1, lettera b),  cod.
proc. pen. - che la connessione operi anche quando  una  persona  sia
imputata  di  piu'  reati  commessi  con  piu'  azioni  od  omissioni
esecutive di un medesimo disegno criminoso, vale a dire, nel caso  di
reato continuato. 
    Le norme  denunciate  violerebbero,  in  specie,  i  principi  di
eguaglianza  e  di  ragionevolezza  (art.  3  Cost.),   giacche'   la
distinzione  -  pur  esistente  sul  piano  naturalistico  -  tra  le
fattispecie del concorso formale di reati e della  continuazione  non
giustificherebbe  un  loro  diverso  trattamento  sotto  il   profilo
considerato, tenuto  conto  delle  identiche  conseguenze  giuridiche
previste per entrambe  dall'art.  81  del  codice  penale  sul  piano
sanzionatorio con il cosiddetto cumulo giuridico delle  pene.  Questa
unitarieta' di effetti  -  implicante,  secondo  il  rimettente,  una
uguale  disciplina  quanto  alla  connessione  dei   procedimenti   -
risulterebbe  confermata  dalla  legge  5  dicembre  2005,   n.   251
(Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n.  354,  in
materia  di  attenuanti  generiche,  di  recidiva,  di  giudizio   di
comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di
prescrizione), la quale, aggiungendo un comma all'art. 81 cod.  pen.,
l'attuale quarto comma, ha previsto un uguale aumento minimo di  pena
per i recidivi reiterati, tanto in  rapporto  ai  reati  in  concorso
formale quanto a quelli in continuazione. 
    La  disparita'  di   trattamento   censurata   si   risolverebbe,
d'altronde, in un «danno sostanziale» per l'imputato, il  quale,  nel
caso in cui la continuazione includa anche reati  di  competenza  del
giudice di  pace,  si  troverebbe  costretto  ad  affrontare  plurimi
processi di fronte a  giudici  diversi,  con  conseguenti  rischi  di
giudicati contrastanti e di applicazione di pene piu' severe; mentre,
ove la continuazione stessa attenga a reati tutti di  competenza  del
tribunale, o addirittura del tribunale e della corte  d'assise,  egli
avrebbe «diritto ad un unico giudizio». 
    Le  norme  impugnate  violerebbero,  inoltre,  l'art.  24  Cost.,
giacche' la moltiplicazione dei processi implicherebbe  un  «aggravio
ingiustificato   nell'esercizio   del   diritto   di   difesa»,   con
maggiorazione dei costi per colui  che  e'  costretto  ad  affrontare
plurimi giudizi; nonche' l'art. 97 Cost.,  per  l'«evidente  sperpero
delle gia' scarse risorse collettive disponibili», in  contrasto  con
il principio di buon andamento della pubblica amministrazione. 
    Risulterebbe compromesso, da ultimo, l'art. 111 Cost., in  quanto
lo svolgimento separato di procedimenti suscettibili  di  trattazione
unitaria non contribuirebbe alla realizzazione del «giusto processo»,
secondo quanto stabilito da tale norma costituzionale. 
    A parere del giudice a quo, l'aggiunta del reato continuato  alle
ipotesi di connessione tra reati di competenza del giudice di pace  e
reati di competenza di altro giudice non  troverebbe  ostacolo  nella
circostanza che per i primi il d.lgs. n. 274 del 2000 preveda pene di
tipo diverso da quelle contemplate nel codice  penale.  Da  un  lato,
infatti,  alla  luce  dell'attuale  dato   normativo,   l'«esclusione
pratica»  della  continuazione  tra  le  due   categorie   di   reati
risulterebbe  circoscritta  alla  fase  della   cognizione,   potendo
l'istituto essere comunque applicato in  sede  esecutiva.  Dall'altro
lato, la giurisprudenza sarebbe in  grado  di  elaborare  criteri  di
ragguaglio al fine di  determinare  la  pena  applicabile  ai  «reati
satellite» puniti con pene di specie o genere diverso da  quella  del
reato  principale,  come  e'  gia'  avvenuto  per   le   ipotesi   di
continuazione tra delitti e contravvenzioni o tra delitti puniti  con
sola pena detentiva e delitti puniti con sola pena pecuniaria. 
    La questione risulterebbe altresi' rilevante nel processo a  quo,
giacche' il pubblico  ministero  ha  tratto  a  giudizio  davanti  al
rimettente due persone, contestando ad una di esse  due  reati  uniti
dal vincolo della continuazione: il primo (delitto  di  lesioni,  con
malattia di durata superiore  ai  venti  giorni)  di  competenza  del
tribunale; l'altro (delitto di minaccia semplice) di  competenza  del
giudice di pace. Situazione, questa, nella quale il giudice a quo  si
troverebbe  costretto,  alla  stregua  della  disciplina  vigente,  a
dichiarare anche ex officio la  propria  incompetenza  in  ordine  al
secondo reato. 
    1.2. - Si e' costituito nel giudizio di costituzionalita' M.  R.,
imputato e persona offesa nel processo a  quo,  il  quale  ha  svolto
argomenti  adesivi  alle  prospettazioni  del   giudice   rimettente,
chiedendo  l'accoglimento  delle   questioni   di   costituzionalita'
sollevate. 
    Nell'udienza pubblica la parte privata ha ricordato che la scelta
normativa censurata, relativa  al  trattamento  differente,  ai  fini
della connessione, tra procedimenti per reati in concorso  formale  e
procedimenti per reati in continuazione, e' stata compiuta in sede di
elaborazione della legge delegata (e in  attuazione  della  direttiva
espressa  dall'art.  17,  comma  1,  lettera  i),  della   legge   di
delegazione 24 novembre 1999 n. 468), dopo che in un primo tempo  per
entrambe  le  fattispecie  era  stata  esclusa  l'operativita'  della
connessione,  cosi'  riconoscendo  la  necessita'  di   un   identico
trattamento. 
    La stessa parte privata ha chiesto, inoltre,  che  la  Corte,  ai
sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiari in  via
consequenziale  l'illegittimita'  costituzionale  della  disposizione
combinata degli artt. 6, 7 e 9 del d.lgs.  n.  274  del  2000,  nella
parte in cui non consente la riunione dei  processi,  pendenti  nella
stessa fase, davanti al giudice superiore, nel caso di reati commessi
da piu' persone in danno reciproco  le  une  delle  altre,  allorche'
taluno dei reati sia di  competenza  del  giudice  di  pace;  nonche'
dell'art. 4 del medesimo decreto  legislativo,  nella  parte  in  cui
attribuisce al giudice di pace una limitata competenza per i reati di
lesioni personali dolose e colpose  (artt.  582  e  590  cod.  pen.),
basata su elemento incerto, quale la durata della malattia,  anziche'
lasciare per intero la cognizione di tali reati al tribunale. 
    Ad avviso della  parte  privata,  infatti,  le  disposizioni  ora
indicate - rilevanti in rapporto alla vicenda oggetto del giudizio  a
quo  -  sarebbero  anch'esse  idonee   a   provocare   ingiustificate
moltiplicazioni di procedimenti, lesive dei parametri  costituzionali
evocati. 
    1.3.  - E'  intervenuto  nel  giudizio  di  costituzionalita'  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello  Stato,  chiedendo  che  le  questioni
siano dichiarate non fondate. 
    In   via    preliminare,    la    difesa    erariale    eccepisce
l'inammissibilita', per difetto  di  rilevanza,  della  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 7 del d.lgs. n. 274  del  2000,
che regola le ipotesi di  connessione  dei  procedimenti  davanti  al
giudice  di  pace.  Tale  disposizione   non   verrebbe   invero   in
considerazione  nel  giudizio  a  quo,  in  cui  si   discute   della
connessione  tra  procedimenti  di  competenza  di  giudici   diversi
(tribunale e giudice di pace). 
    Quanto, poi, alla questione relativa all'art. 6 del d.lgs. n. 274
del  2000,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  osserva   come   la
disciplina dettata dalla norma impugnata  rifletta  la  volonta'  del
legislatore di attribuire al giudice di pace  la  cognizione  di  una
categoria  di  reati  di  minore  rilevanza  sociale,  al   fine   di
decongestionare i carichi di lavoro dei giudici  superiori.  In  tale
prospettiva,  si  e'  ritenuto  di  dare  rilievo  alla  connessione,
comportante la competenza del giudice superiore, nella  sola  ipotesi
del concorso  formale,  caratterizzata  dall'unicita'  dell'azione  o
dell'omissione, per l'impossibilita' di demandare a  giudici  diversi
la cognizione del medesimo fatto riconducibile  a  plurimi  paradigmi
punitivi. Per contro, nel caso del  concorso  materiale,  in  cui  le
condotte e gli eventi criminosi restano distinti, pur in presenza del
vincolo  della  continuazione,  si  e'  preferito  evitare   che   la
competenza  del  giudice  di  pace,  stabilita   per   taluna   delle
fattispecie, possa venir meno in conseguenza della connessione. 
    Tale scelta non sarebbe irragionevole, giacche',  per  un  verso,
risulterebbe conforme al principio del  giudice  naturale,  stabilito
dall'art. 25, primo comma, Cost.; e, per altro verso, sarebbe  frutto
di  valutazioni  discrezionali  del  legislatore   in   ordine   alla
distribuzione dei carichi giudiziari, ai fini di una piu'  efficiente
amministrazione della giustizia. 
    Infondata sarebbe, poi, la denuncia di violazione  del  principio
di eguaglianza, essendo del  tutto  diverse,  sia  sotto  il  profilo
sostanziale che sotto quello processuale, le due ipotesi del concorso
formale e materiale,  poste  a  confronto  dal  giudice  a  quo.  Ne'
sussisterebbe alcuna lesione dell'art. 24 Cost., poiche' la  pendenza
di piu' processi per reati diversi dinanzi  a  giudici  distinti  non
limita in nessun  modo  il  diritto  di  difesa,  che  e'  egualmente
garantito in entrambe le sedi. Analogamente, non  potrebbe  ritenersi
violato l'art. 97 Cost., giacche' l'attribuzione di determinati reati
di minore gravita' al giudice  di  pace  e'  finalizzata  proprio  ad
accrescere la celerita'  e  l'efficienza  dell'amministrazione  della
giustizia. 
    Quanto, infine, alla censura di violazione dell'art.  111  Cost.,
la stessa sarebbe inammissibile, risultando  fondata  su  valutazioni
soggettive del giudice a quo  in  ordine  alla  ragionevolezza  delle
scelte operate dal legislatore in tema di competenza. 
    2.1. - Con ordinanza emessa il 19 ottobre 2006, nell'ambito di un
processo penale nei confronti di  persona  imputata  dei  delitti  di
lesioni volontarie, minaccia, danneggiamento e  di  altro  reato,  il
Tribunale di Velletri,  sezione  distaccata  di  Albano  Laziale,  ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo  comma,  Cost.,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6,  comma  1,  del
d.lgs. n. 274 del 2000, nella parte  in  cui  esclude  che  si  abbia
connessione tra procedimenti di competenza  del  giudice  di  pace  e
procedimenti di competenza di altro giudice  quando  una  persona  e'
imputata  di  piu'  reati  commessi  con  piu'  azioni  od  omissioni
esecutive di un medesimo disegno criminoso. 
    Il  rimettente  osserva  come  la  norma  denunciata  limiti   la
connessione tra procedimenti di competenza  del  giudice  di  pace  e
procedimenti di competenza di altro giudice al solo caso del concorso
formale di reati, negando, con cio', rilievo  all'ipotesi  del  reato
continuato. Di conseguenza, il giudice a quo dovrebbe  dichiarare  la
propria incompetenza per materia in ordine  al  contestato  reato  di
«lesioni  volontarie  lievissime»  -  devoluto  alla  cognizione  del
giudice di pace -  dovendosi  escludere  che  tale  reato  sia  stato
commesso in concorso formale con alcuno degli  altri  reati  ascritti
all'imputato. 
    Le   implicazioni   di   tale   declaratoria   di    incompetenza
risulterebbero, peraltro, irragionevoli, avuto riguardo  segnatamente
all'ipotesi di consecutive  sentenze  di  condanna,  emesse  dai  due
diversi giudici competenti per i due processi. Tanto ove la  sentenza
di condanna fosse emessa prima dal tribunale e  poi  dal  giudice  di
pace, quanto nel  caso  inverso,  il  giudice  che  si  accingesse  a
pronunciare la seconda sentenza non potrebbe ignorare che il reato, o
i reati, oggetto della prima decisione sono uniti dal  vincolo  della
continuazione con quelli oggetto del proprio giudizio, e non potrebbe
dunque  astenersi  dal  determinare  la  pena  in  conformita'  della
disciplina relativa. Ma al riguardo si dovrebbe  considerare  che  il
giudice di pace non  puo'  infliggere  le  pene  della  reclusione  o
dell'arresto, onde sarebbe «sommamente dubbio» che possa applicare un
aumento della pena  inflitta  dal  tribunale:  e  lo  stesso  rilievo
varrebbe, mutatis mutandis, nel caso in cui la sentenza del tribunale
intervenisse dopo quella del giudice onorario. 
    E' ben vero che l'ostacolo sarebbe superabile,  essendo  comunque
possibile provvedere in sede di esecuzione  ai  sensi  dell'art.  671
cod.  proc.  pen.,  ma  cio'   darebbe   luogo   ad   una   «gratuita
complicazione»,  con  innegabile  ritardo   nella   definizione   del
processo. 
    Di qui la ritenuta non manifesta infondatezza della questione, la
quale  sarebbe  altresi'  rilevante,  in  quanto,  allo   stato,   il
rimettente dovrebbe dichiararsi incompetente per materia in ordine ad
uno  dei  reati  contestati,  ancorche'  esso  risulti  evidentemente
commesso in esecuzione del  medesimo  criminoso  sotteso  agli  altri
reati (o, quantomeno, a quelli di minaccia e danneggiamento). 
    2.2. -  E'  intervenuto  nel  giudizio  di  costituzionalita'  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, il  quale  ha  chiesto  che  la
questione sia dichiarata non fondata sulla base di argomenti analoghi
a quelli svolti in riferimento alla  questione  di  costituzionalita'
del medesimo art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 274 del  2000,  sollevata
dal Tribunale di Montepulciano. 
                       Considerato in diritto 
    1. - Il Tribunale  di  Montepulciano  dubita  della  legittimita'
costituzionale degli artt. 6, comma 1, e 7 del decreto legislativo 28
agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice
di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24  novembre  1999,  n.
468), nella parte in cui  non  prevedono,  rispettivamente,  che  tra
procedimenti di competenza del giudice  di  pace  e  procedimenti  di
competenza di  altro  giudice,  nonche'  tra  procedimenti  tutti  di
competenza del giudice di pace si abbia connessione anche quando  una
persona e' imputata  di  piu'  reati  commessi  con  piu'  azioni  od
omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso. 
    Ad avviso del rimettente, le disposizioni denunciate violerebbero
l'art.  3  della  Costituzione,   determinando   una   ingiustificata
disparita' di trattamento fra la fattispecie del concorso formale  di
reati  -  che  ai  sensi  delle  disposizioni  stesse  da'  luogo   a
connessione - e quella del reato continuato, quantunque l'art. 81 del
codice penale riconnetta ad entrambe identiche conseguenze sul  piano
sanzionatorio. 
    L'art. 3 Cost. risulterebbe compromesso anche  sotto  l'ulteriore
profilo della irragionevole  sperequazione  tra  l'imputato  di  piu'
reati uniti dal vincolo della  continuazione,  taluno  dei  quali  di
competenza del giudice di pace, che si trova costretto ad  affrontare
plurimi processi davanti a giudici diversi, col rischio di  giudicati
contrastanti e di applicazione di pene piu' severe, e  l'imputato  di
piu' reati,  pure  unificati  dal  vincolo  della  continuazione,  di
competenza del tribunale o del tribunale e della corte  d'assise,  il
quale avrebbe invece diritto, ai sensi dall'art. 12, comma 1, lettera
b), del codice di procedura penale, ad un unico giudizio. 
    Le norme  impugnate  violerebbero,  altresi',  l'art.  24  Cost.,
giacche' la trattazione separata e, quindi,  la  moltiplicazione  dei
processi  per   reati   uniti   dal   vincolo   della   continuazione
determinerebbe un ingiustificato aggravio nell'esercizio del  diritto
di difesa, con maggiorazione dei relativi costi;  nonche'  l'art.  97
Cost.,  per  lo  sperpero  di  risorse   collettive   indotto   dalla
celebrazione di plurimi giudizi, in contrasto  con  il  principio  di
buon andamento della pubblica amministrazione. 
    Risulterebbe  leso,  infine,  l'art.  111  Cost.,  in  quanto  lo
svolgimento in  via  autonoma  di  procedimenti  che  pure  sarebbero
suscettibili  di  trattazione  unitaria   non   contribuirebbe   alla
realizzazione del «giusto processo». 
    2. - L'art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 274 del 2000 e'  sottoposto
a scrutinio, nella parte in cui non annovera la continuazione fra  le
ipotesi di connessione, anche  dal  Tribunale  di  Velletri,  sezione
distaccata di Albano Laziale. 
    Ad avviso del giudice a quo, la norma denunciata lederebbe l'art.
3 Cost., in quanto lo svolgimento separato  dei  processi  renderebbe
inutilmente piu' complessa, o addirittura impedirebbe  l'applicazione
in sede cognitiva del regime della continuazione. 
    Verrebbe vulnerato, inoltre, l'art. 111,  secondo  comma,  Cost.,
giacche'  la  conseguente  esigenza  di  far   ricorso   al   giudice
dell'esecuzione al fine di ottenere l'applicazione  della  disciplina
recata per la continuazione dall'art. 81 cod. pen. si risolverebbe in
una «gratuita complicazione», produttiva di ritardo nella definizione
del processo. 
    3. - Le ordinanze di  rimessione  sollevano  questioni  analoghe,
attinenti, in parte, alla medesima norma, sicche' i relativi  giudizi
vanno riuniti per essere definiti con unica decisione. 
    4. - La questione di costituzionalita' dell'art. 7 del d.lgs.  n.
274 del 2000, sollevata  dal  solo  Tribunale  di  Montepulciano,  e'
manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza. 
    L'indicata norma  regola,  infatti,  la  connessione  davanti  al
giudice di pace: ossia tra procedimenti tutti di competenza,  ratione
materiae,  dello  stesso  (connessione  cosiddetta   omogenea).   Nel
giudizio a quo viene in rilievo, per contro, unicamente la disciplina
della connessione eterogenea,  dettata  dall'art.  6,  comma  1,  del
medesimo  decreto  legislativo:  discutendosi,   in   specie,   della
possibilita' di ravvisare il rapporto  connettivo  tra  un  reato  di
competenza del tribunale (lesioni volontarie con malattia  di  durata
superiore a venti giorni) e altro reato di competenza del giudice  di
pace  (minaccia  semplice),  unito  al  primo   dal   vincolo   della
continuazione. 
    5. - La questione di costituzionalita' dell'art. 6, comma 1,  del
d.lgs. n. 274 del 2000, sollevata da entrambi i giudici a quibus, non
e' fondata. 
    5.1. - Questa Corte ha  gia'  avuto  modo  di  affermare  che  la
disciplina della competenza per  connessione  -  e,  in  particolare,
l'identificazione dei casi e dei limiti in cui la connessione  stessa
opera  -   appartiene,   nell'ambito   della   ragionevolezza,   alla
discrezionalita' del legislatore, senza che possa ritenersi  imposto,
a pena di illegittimita' costituzionale,  alcun  criterio  prefissato
(sentenza n. 73 del 1980). Il principio fu  enunciato  nella  vigenza
del codice di procedura penale anteriore, in cui la  connessione  non
era disciplinata, come ora, quale criterio  autonomo  attributivo  di
competenza  e  consentiva  maggiori   margini   di   discrezionalita'
giudiziale. A maggior ragione esso va riaffermato. 
    Come  attestano  le   ampie   oscillazioni   che   caratterizzano
l'evoluzione storica dell'istituto, la  disciplina  della  competenza
per connessione e' infatti espressiva del contemperamento di esigenze
contrapposte, suscettibili di valutazioni mutevoli nel tempo.  Da  un
lato, essa tende a favorire, creandone uno dei possibili presupposti,
un simultaneus processus che  consenta  -  a  fronte  di  imputazioni
collegate da vincoli piu' o meno intensi - di  acquisire  e  valutare
unitariamente  le  prove,  di  applicare  pene  proporzionate  e   di
prevenire giudicati contraddittori (sentenza  n.  130  del  1963),  o
comunque, pur nel caso di processi  separati,  di  far  permanere  la
competenza in capo allo stesso giudice. Dall'altro,  occorre  evitare
che l'accumulo delle regiudicande  in  un'unica  sede  si  ripercuota
negativamente  sull'efficacia  e   sulla   durata   dell'accertamento
processuale, ovvero comprometta interessi che l'ordinamento considera
preminenti (al riguardo, si vedano le sentenze n. 222 del 1983  e  n.
139 del 1971), e segnatamente l'interesse a preservare la  competenza
del giudice normalmente ritenuto piu' idoneo a risolvere  determinate
specie di controversie (sentenza n. 73 del 1980). 
    Nella specie, la scelta sensibilmente limitativa delle ipotesi di
connessione, operata dal legislatore con il d.lgs. n. 274  del  2000,
rinviene per l'appunto la propria ratio -  come  emerge  anche  dalla
relazione governativa al decreto -  nell'intento  di  valorizzare  le
peculiarita' della giurisdizione penale del giudice di pace, la quale
si connota - oltre che  per  la  presenza  di  un  autonomo  apparato
sanzionatorio - anche e soprattutto per le accentuate  particolarita'
del rito, che,  nei  loro  tratti  di  semplificazione  e  snellezza,
esaltano  la  funzione  conciliativa  del  giudice  onorario  tramite
strumenti processuali volti a favorire la riparazione del danno e  la
conciliazione tra autore e vittima del reato. E cio', in correlazione
alla natura delle fattispecie criminose devolute alla  cognizione  di
tale giudice, di ridotta gravita' ed  espressive,  per  lo  piu',  di
conflitti a carattere interpersonale. 
    In questa prospettiva, si e' ritenuta  preminente  l'esigenza  di
evitare il possibile svuotamento delle funzioni del giudice di  pace,
che sarebbe potuto derivare dall'attrazione delle  competenze  presso
il giudice superiore per effetto della connessione. 
    Nel dare attuazione al criterio di delega  legislativa  enunciato
all'art. 17, lettera i), della citata  legge  n.  468  del  1999,  il
legislatore delegato  -  superando  l'impostazione  originaria  dello
schema preliminare del decreto legislativo, che escludeva addirittura
in  radice  l'operativita'  della  connessione  eterogenea  -  ha  in
particolare valutato che l'interesse a preservare la  competenza  del
giudice non togato debba cedere, di fronte al contrapposto  interesse
al simultaneus processus, unicamente nel caso di concorso formale  di
reati. E cio' - come pure si  legge  nella  relazione  governativa  -
perche' tale ipotesi «e'  quella  in  cui,  attesa  l'unicita'  della
condotta, e' effettivamente piu'  elevato  il  rischio  di  giudicati
contrastanti in caso di processi separati». 
    Al tempo stesso, peraltro, si  e'  stabilito  -  in  deroga  alla
disciplina generale del codice di rito e proprio  per  preservare  le
peculiarita' del processo avanti al giudice di pace, in linea con  le
indicazioni della ricordata direttiva della legge  delega  -  che  la
connessione  eterogenea  non  opera  (oltre  che   in   rapporto   ai
procedimenti di competenza  di  giudici  speciali)  qualora  non  sia
comunque possibile la riunione dei processi (art.  6,  comma  3,  del
d.lgs.  n.  274  del  2000):  limitando,  cosi',  lo  spostamento  di
competenza ai soli  casi  in  cui  esso  consenta  effettivamente  di
impedire la moltiplicazione dei giudizi  e  facendo  salvo,  in  caso
contrario, il regime di separazione, al quale il legislatore  accorda
la preferenza. 
    5.2. - Scendendo, sulla scorta di tali premesse, all'esame  delle
singole  censure  di  costituzionalita',  si  rivela   insussistente,
anzitutto, la lesione dell'art. 3 Cost., lamentata dal  Tribunale  di
Montepulciano sotto il profilo  della  ingiustificata  disparita'  di
trattamento tra il concorso formale di reati e la continuazione. 
    L'identita'  delle  conseguenze  giuridiche  annesse   alle   due
fattispecie, quanto al trattamento sanzionatorio, dall'art.  81  cod.
pen. non esclude, infatti,  che  -  come  lo  stesso  giudice  a  quo
riconosce  -  esse  descrivano  fenomeni  differenziati   sul   piano
naturalistico. Nel caso della continuazione  si  e'  al  cospetto  di
fatti di reato  distinti,  benche'  esecutivi  del  medesimo  disegno
criminoso, i quali - al di la'  delle  connotazioni  contingenti  del
caso concreto oggetto del giudizio a quo - possono essere  realizzati
anche in ambiti spazio-temporali sensibilmente divaricati. 
    Il tertium comparationis  evocato  dal  rimettente  e',  percio',
eterogeneo: quel che giustifica, nella prospettiva  del  legislatore,
la fattispecie di connessione descritta dall'art.  6,  comma  1,  del
d.lgs. n. 274 del 2000 e' proprio l'unicita' della condotta sotto  il
profilo naturalistico, tipica del  concorso  formale  di  reati,  ben
diversa  dalla  unicita'  del  disegno  criminoso  che   connota   la
continuazione e lascia integri  oggettivamente  e  soggettivamente  i
singoli fatti.  Sul  piano  della  disciplina  penale  sostanziale  -
secondo quanto di recente affermato dalle sezioni unite  della  Corte
di   cassazione   -   definitivamente    superata    la    concezione
dell'unitarieta' del reato  continuato,  questo  va  considerato,  in
linea di principio, come  una  pluralita'  di  illeciti  (Cassazione,
sezioni unite, 27 novembre 2008, n. 3286). 
    Al riguardo, non e' del resto priva di significato la circostanza
che anche l'art. 12, comma 1, lettera b),  del  codice  di  procedura
penale nella sua formula originaria - in una prospettiva di  energico
contenimento delle ipotesi di  connessione  rispetto  al  regime  del
codice previgente - la prevedesse solo nel caso del concorso  formale
di reati e non  anche  in  quello  della  continuazione:  essendo  il
riferimento alla seconda comparso, nel testo di tale articolo, solo a
seguito delle modifiche operate dal decreto-legge 20  novembre  1991,
n. 367 (Coordinamento delle indagini nei procedimenti  per  reati  di
criminalita' organizzata), convertito, con modificazioni, dalla legge
20 gennaio 1992, n. 8. 
    5.3. -  La  disposizione  impugnata  non  puo'  ritenersi  lesiva
dell'art. 3 Cost. neppure sotto  l'ulteriore  profilo  -  oggetto  di
denuncia da parte dallo stesso Tribunale  di  Montepulciano  -  della
disparita' di trattamento fra il soggetto che, imputato di piu' reati
in continuazione, di competenza in parte del giudice  di  pace  e  in
parte di altro giudice,  sarebbe  costretto  ad  affrontare  processi
separati davanti a giudici  diversi;  e  l'imputato  di  piu'  reati,
egualmente esecutivi del medesimo disegno criminoso, ma di competenza
del tribunale, o del tribunale e della corte  d'assise,  cui  sarebbe
viceversa garantito - alla  luce  dell'attuale  testo  dell'art.  12,
comma 1, lettera b), cod. proc.  pen.  -  il  «diritto  ad  un  unico
giudizio». 
    Innanzi tutto, parlare, nel secondo caso, di «diritto ad un unico
giudizio» e' improprio. La sussistenza di un'ipotesi  di  connessione
non comporta automaticamente il simultaneus  processus:  la  riunione
dei processi connessi, persino quando pendano nello  stesso  stato  e
grado davanti al medesimo giudice, puo' essere  disposta  o  meno  in
base ad una valutazione discrezionale, che tiene conto del  possibile
pregiudizio che ne potrebbe derivare alla sollecita definizione (art.
17 cod. proc. pen.). Peraltro, resta dirimente la considerazione  che
la disparita' di trattamento censurata non puo'  ritenersi  priva  di
giustificazione. Essa trova, infatti, la sua ratio -  secondo  quanto
in precedenza  rilevato  -  nelle  peculiarita'  della  giurisdizione
penale del  giudice  di  pace,  che  il  favor  separationis  mira  a
preservare e che - per costante giurisprudenza di questa Corte  -  si
esprime in un modulo processuale improntato a finalita' di snellezza,
semplificazione e rapidita', tali da renderlo non comparabile con  il
procedimento  davanti  al  tribunale  e  da  giustificare,  comunque,
sensibili deviazioni rispetto  al  modello  ordinario  (ex  plurimis,
sentenze n. 426 e n. 298 del 2008; ordinanze n. 28 del 2007, n. 415 e
n. 85 del 2005). 
    5.4. - Un vulnus dell'art. 3 Cost.  non  discende  neppure  dalla
circostanza che l'art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 274 del  2000  possa
rendere  problematica   o   addirittura   precludere   l'applicazione
dell'istituto della continuazione in sede cognitiva. 
    Il  diritto  dell'imputato  di   fruire   del   piu'   favorevole
trattamento  previsto  dall'art.  81  cod.   pen.   resta,   infatti,
salvaguardato dalla possibilita' di richiedere  l'applicazione  della
disciplina della continuazione al giudice dell'esecuzione,  ai  sensi
dell'art. 671 cod.  proc.  pen.,  con  conseguente  assenza  di  ogni
pregiudizio sostanziale (sentenza n. 52  del  1995,  con  riferimento
alla fattispecie di esclusione della connessione  prevista  dall'art.
14, comma 2, cod. proc. pen.). 
    Ne' si puo' definire detto intervento in  sede  di  esecuzione  -
come opina il Tribunale di Velletri - una  complicazione  «gratuita»,
ossia priva di logica: trattandosi del naturale  riflesso  del  favor
separationis che ispira la norma impugnata, ed in rapporto  al  quale
valgono, dunque, le medesime ragioni che sorreggono detto favor.  Del
resto, su un piano generale e di equilibrio del sistema processuale a
tendenza  accusatoria,  si  deve  osservare,  da  un  lato,  che   la
continuazione ben puo' essere riconosciuta nei congrui casi anche  in
sede di cognizione a  prescindere  dalla  riunione  dei  processi  e,
dall'altro, che proprio le previsioni dell'art. 671 cod.  proc.  pen.
rendono palese e attuano l'intenzione del  legislatore  di  agevolare
senza pregiudizio alcuno, specie per le garanzie difensive,  processi
separati, quando la riunione potrebbe ritardarne  la  definizione;  e
cio', in conformita' con il precetto costituzionale di assicurarne la
ragionevole durata (art. 111, secondo comma, Cost.). 
    5.5. - Va escluso, altresi', che - contrariamente a quanto assume
il Tribunale di Montepulciano  -  la  norma  impugnata  si  ponga  in
contrasto  con  l'art.  24  Cost.,   avuto   riguardo   all'«aggravio
ingiustificato del diritto di difesa», con maggiorazione dei relativi
costi, che deriverebbe dalla celebrazione di processi separati per  i
reati in continuazione. 
    Come  questa  Corte  ha  piu'  volte  affermato,   infatti,   una
compromissione costituzionalmente rilevante del diritto di difesa  e'
ravvisabile  solo  quando  vengano  imposti  alla   parte   oneri   o
adempimenti tali da renderne  impossibile  o  estremamente  difficile
l'esercizio, onde non basta, per dimostrare la compromissione stessa,
allegare mere difficolta' di fatto o generici incrementi delle  spese
difensive conseguenti, in assunto, a determinate  scelte  legislative
in tema di disciplina degli istituti processuali  (ordinanze  n.  386
del 2004 e n. 193 del 2003). 
    Nella specie,  il  diritto  di  difesa  non  appare  compromesso,
potendo l'imputato esplicarlo, con pienezza di garanzie, in tutte  le
diverse sedi  processuali  nelle  quali  vengono  esaminati  i  reati
esecutivi del medesimo  disegno  criminoso  (in  senso  analogo,  con
riferimento alla  disciplina  della  connessione,  si  veda  gia'  la
sentenza n. 198 del 1972). 
    5.6. - Quanto, poi, alla lesione dell'art. 97 Cost., dedotta  dal
medesimo Tribunale, il parametro evocato e' inconferente. 
    Secondo  la  consolidata  giurisprudenza  di  questa  Corte,   il
principio  di  buon  andamento  dei  pubblici  uffici  e'  riferibile
all'amministrazione  della  giustizia   solo   per   quanto   attiene
all'organizzazione e al funzionamento degli uffici giudiziari, ma non
anche in rapporto all'attivita' giurisdizionale in senso stretto  (ex
plurimis, sentenze n. 272 del 2008 e n. 117 del 2007; ordinanze n. 27
del 2007 e n.  455  del  2006;  e,  con  specifico  riferimento  alla
disciplina della connessione nel processo civile,  ordinanza  n.  398
del 2000). 
    5.7. - La censura  relativa  all'art.  111  Cost.  formulata  dal
Tribunale di Montepulciano e' manifestamente inammissibile, in quanto
sostanzialmente priva di motivazione. 
    Nel sintetizzare  l'eccezione  di  incostituzionalita'  sollevata
dalla difesa, che dichiara di far propria, il rimettente  si  limita,
difatti, ad affermare  apoditticamente  che  la  moltiplicazione  dei
procedimenti suscettibili di trattazione unitaria non  contribuirebbe
alla realizzazione dei principi del «giusto processo»: ma non  spiega
affatto sotto quale specifico profilo ne' per quale ragione. 
    E' pacifico, nella giurisprudenza costituzionale, che l'ordinanza
di rimessione non possa essere motivata tramite il  mero  riferimento
per relationem ad atti di parte, dovendo il  giudice  a  quo  esporre
compiutamente   i   motivi   del    proprio    convincimento    circa
l'incostituzionalita' della norma denunciata (ex plurimis,  ordinanze
n. 423 e n. 125 del  2005).  In  questa  prospettiva,  deve  altresi'
escludersi che l'originario difetto di  motivazione,  in  parte  qua,
dell'ordinanza del Tribunale di Montepulciano possa essere sanato,  a
posteriori, dalle deduzioni  svolte,  con  riferimento  al  parametro
costituzionale in discorso, dalla parte privata costituita. 
    5.8. - Non ravvisabile e', infine, la violazione del principio di
ragionevole durata del processo (art.  111,  secondo  comma,  Cost.),
denunciata dal Tribunale di Velletri sul rilievo  che  l'esigenza  di
far  ricorso  al  giudice  dell'esecuzione,  al  fine   di   ottenere
l'applicazione  della  disciplina   della   continuazione   -   quale
conseguenza dell'impossibilita' di provvedervi in sede di cognizione,
stante il regime di separazione prefigurato dalla norma  impugnata  -
procrastinerebbe la definizione del processo. 
    E' ben vero  che  l'opzione  normativa  censurata  incrementa  la
possibilita' di innesto di un segmento procedimentale successivo alla
formazione dei giudicati sui reati in continuazione (quello affidato,
appunto, al giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 671 cod. proc.
pen.). E' altrettanto  vero,  tuttavia,  che  cio'  consegue  ad  una
valutazione comparativa - di per se', non  irragionevole  -  compiuta
dal legislatore tra i costi, indotti dalla ampliata esigenza  di  far
ricorso al procedimento in sede esecutiva previsto  dal  citato  art.
671 cod. proc. pen., e i benefici connessi alla esclusione del cumulo
delle imputazioni davanti al giudice professionale. 
    Da un lato, questa esclusione riduce tendenzialmente i  tempi  di
definizione del  processo  davanti  a  tale  giudice,  deflazionando,
altresi', in una prospettiva  d'assieme,  i  carichi  di  lavoro  dei
giudici togati. Dall'altro, per  le  imputazioni  di  competenza  del
giudice di pace, e' mantenuta la  speciale  procedura,  improntata  a
marcata snellezza e semplicita' di forme, prefigurata dal  d.lgs.  n.
274 del 2000. Questa Corte ha gia'  rilevato  (sentenza  n.  298  del
2008)  che  non  e'  configurabile  violazione   del   principio   di
ragionevole  durata  del  processo  ove  l'allungamento   dei   tempi
processuali,  eventualmente  indotto   dalla   norma   sottoposta   a
scrutinio, sia compensato dal risparmio di attivita'  processuali  su
altri versanti. 
    6. - Quanto precede non esclude, naturalmente, che  la  soluzione
adottata dal legislatore del d.lgs. n. 274 del 2000 e innescata dalla
citata direttiva della legge  delega  (peraltro,  non  evocata  dalle
ordinanze di rimessione), nel segno di una riduzione delle ipotesi di
connessione nel procedimento avanti il giudice di pace  e  del  favor
separationis, possa presentare margini  di  opinabilita',  in  quanto
idonea a dar luogo in qualche caso a moltiplicazioni di  procedimenti
presso  giudici  diversi  tali,  specie  in  rapporto  a  determinate
vicende, da apparire discutibili nella prospettiva  di  un  eventuale
diverso equilibrio degli interessi in gioco. 
    Tuttavia, simili valutazioni - che i  rimettenti  pongono,  nella
sostanza, alla base delle loro denunce  -  restano  sul  piano  delle
critiche di politica criminale e giudiziaria, estranee  all'area  del
sindacato della Corte, senza poter debordare  in  autentici  vizi  di
costituzionalita'. 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
    Riuniti i giudizi: 
        1)  dichiara  non  fondate  le  questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 6,  comma  1,  del  decreto  legislativo  28
agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice
di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24  novembre  1999,  n.
468),  sollevate,  in  riferimento  agli  artt.  3,  24  e  97  della
Costituzione, dal Tribunale di Montepulciano, e in  riferimento  agli
artt. 3 e 111, secondo comma, della Costituzione,  dal  Tribunale  di
Velletri, sezione distaccata di  Albano  Laziale,  con  le  ordinanze
indicate in epigrafe; 
        2) dichiara la manifesta inammissibilita' della questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  6,  comma  1,  del   decreto
legislativo n. 274 del 2000, sollevata, in riferimento  all'art.  111
della Costituzione, dal Tribunale di  Montepulciano  con  l'ordinanza
indicata in epigrafe; 
        3) dichiara la manifesta inammissibilita' della questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 7 del  decreto  legislativo  n.
274 del 2000, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24,  97  e  111
della Costituzione, dal Tribunale di  Montepulciano  con  l'ordinanza
indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 2009. 
                       Il Presidente: Amirante 
                         Il redattore: Frigo 
                      Il cancelliere: Fruscella 
    Depositata in cancelleria il 5 marzo 2009. 
                      Il cancelliere: Fruscella