N. 68 ORDINANZA 25 febbraio - 5 marzo 2009

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo penale - Disposizioni sulla competenza penale del giudice di
  pace - Connessione tra procedimenti di competenza  del  giudice  di
  pace e procedimenti  di  competenza  di  altro  giudice  -  Mancata
  inclusione dell'ipotesi di reati commessi da piu' persone in  danno
  reciproco le une delle altre - Denunciata irragionevolezza  nonche'
  violazione  dei  principi  di  eguaglianza,  del  giudice  naturale
  precostituito per legge e della parita' delle parti nel processo  -
  Esclusione - Manifesta infondatezza della questione. 
- D.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 6, comma 1. 
- Costituzione, artt. 3, 25 e 111. 
(GU n.10 del 11-3-2009 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino
  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe   TESAURO,   Paolo   Maria
  NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO; 
ha pronunciato la seguente 
                              Ordinanza 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 1, del
decreto legislativo  28  agosto  2000,  n.  274  (Disposizioni  sulla
competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della
legge 24 novembre 1999,  n.  468),  promosso  con  ordinanza  del  22
gennaio 2008 dal Giudice di pace di Viterbo nel procedimento penale a
carico di L.P., iscritta al n. 123  del  registro  ordinanze  2008  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, 1ª  serie
speciale, dell'anno 2008. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio dell'11 febbraio 2009 il  giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
    Ritenuto che, con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Giudice di
pace di Viterbo ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25  e  111
della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 6, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n.  274
(Disposizioni sulla competenza penale del giudice di  pace,  a  norma
dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468),  nella  parte
in cui non prevede, fra le ipotesi di connessione tra procedimenti di
competenza del giudice di pace e procedimenti di competenza di  altro
giudice, quella dei reati commessi da piu' persone in danno reciproco
le une delle altre; 
        che  il  giudice  a  quo  premette  che,  a  seguito  di  una
colluttazione avvenuta all'uscita da una discoteca,  due  persone  si
erano procurate reciprocamente lesioni personali, giudicate guaribili
in cinque giorni, quanto ad uno dei contendenti, e in trenta  giorni,
quanto all'altro; 
        che dal fatto erano quindi scaturiti due procedimenti penali:
il primo davanti al rimettente Giudice di  pace,  competente  per  il
reato di lesioni personali di durata inferiore ai  venti  giorni;  il
secondo davanti al Tribunale di Viterbo, competente per le lesioni di
durata superiore; 
        che   il   rimettente   riferisce,    altresi',    di    aver
preliminarmente respinto l'istanza  del  difensore  dell'imputato  di
riunione del processo con quello pendente  davanti  al  Tribunale  di
Viterbo, sul rilievo che l'art. 6, comma 1, del  d.lgs.  n.  274  del
2000 non contempla tra  le  ipotesi  di  «riunione  per  connessione»
quella dei reati commessi da piu' persone in danno reciproco  le  une
delle altre; e che, a fronte di cio',  il  difensore  aveva  eccepito
l'illegittimita' costituzionale della norma  per  contrasto  con  gli
artt. 3, 25, primo comma, e 111, primo comma, Cost.; 
        che  la  questione -  a  parere  del  rimettente  -   sarebbe
rilevante, in quanto, nel caso di suo accoglimento, la competenza per
il reato oggetto del giudizio a quo si sposterebbe presso il  giudice
superiore; 
        che  quanto,  poi,  alla  non  manifesta   infondatezza,   il
rimettente assume che la norma censurata, escludendo che nell'ipotesi
de qua si  abbia  connessione  tra  procedimenti  di  competenza  del
giudice di pace e procedimenti di competenza di altro giudice,  violi
l'art.  3  Cost.,  determinando  una  ingiustificata  disparita'   di
trattamento sia in rapporto ad altre previsioni dello  stesso  d.lgs.
n. 274  del  2000,  sia  in  relazione  a  corrispondenti  previsioni
generali contenute nel codice di rito; 
        che la  commissione  dei  reati  da  piu'  persone  in  danno
reciproco -  a  dimostrazione  dell'importanza  di  un   accertamento
«unitario e  contestuale» -  e'  presa,  difatti,  in  considerazione
dall'art. 9, comma 2, del d.lgs. n. 274 del 2000,  che  consente,  in
tale caso, la riunione dei processi per i diversi reati  che  pendano
tutti davanti al giudice di pace; 
        che, a  sua  volta,  l'art.  17,  comma  1,  lettera  c),  in
riferimento  all'art.  371,  comma  2,  lettera  b),  del  codice  di
procedura penale, prevede, nella stessa situazione - con disposizione
a carattere generale - la riunione dei  processi  che  pendano  nello
stesso stato e grado davanti al medesimo giudice; 
        che ne deriverebbe, quindi, che lo stesso imputato, a seconda
che sia giudicato dal tribunale o dalla corte  d'assise,  ovvero  dal
giudice di pace, si troverebbe  soggetto  ad  un  regime  processuale
irragionevolmente differenziato; 
        che la scelta operata dal legislatore con la norma  impugnata
risulterebbe priva, infatti, di valida giustificazione,  giacche'  la
celebrazione separata, davanti al tribunale e al giudice di pace, dei
processi per i reati commessi da  piu'  persone  in  danno  reciproco
potrebbe condurre a ricostruzioni diverse del  medesimo  episodio  e,
dunque, ad un contrasto di giudicati: contrasto  non  emendabile  con
gli ordinari mezzi di impugnazione, giacche' gli stessi  seguirebbero
percorsi distinti  (la  corte  d'appello  giudicherebbe  sull'appello
avverso  la  sentenza  del  tribunale,   il   tribunale   monocratico
sull'appello avverso la sentenza del giudice di pace); 
        che la disposizione denunciata violerebbe,  altresi',  l'art.
111,  primo  (recte:   secondo)   comma,   Cost.,   in   quanto   non
assicurerebbe, per le ragioni dianzi  esposte,  che  il  processo  si
svolga «in condizioni di parita»; nonche' l'art. 25 Cost., in  quanto
distoglierebbe l'imputato  dal  giudice  naturale  precostituito  per
legge,  il  quale -  nel  caso  di  lesioni  reciproche  -   andrebbe
individuato nel giudice superiore, alla luce  dei  citati  artt.  17,
comma 1, lettera c), e 371, comma 2, lettera b), cod. proc. pen.; 
        che nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione  sia
dichiarata non fondata. 
    Considerato che il  Giudice  di  pace  di  Viterbo  dubita  della
legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3,  25  e  111
della Costituzione, dell'art. 6, comma 1, del decreto legislativo  28
agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice
di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24  novembre  1999,  n.
468), nella parte in cui non annovera, fra le ipotesi di  connessione
tra procedimenti di competenza del giudice di pace e procedimenti  di
competenza di altro  giudice,  quella  dei  reati  commessi  da  piu'
persone in danno reciproco le une delle altre; 
        che,  nel  formulare  le  censure  di  costituzionalita',  il
giudice rimettente opera una  impropria  commistione  tra  l'istituto
della competenza per connessione e quello della riunione dei processi
(si veda, con riferimento ad analoga questione relativa  all'art.  17
del codice di procedura penale, l'ordinanza n. 247 del 1998); 
        che il primo  istituto  e'  un  meccanismo  che  comporta  lo
spostamento della competenza, rispetto alle  ordinarie  regole  sulla
competenza per materia o per territorio; il secondo e',  invece,  uno
strumento destinato ad operare, a fini di migliore organizzazione del
lavoro, solo quando i  processi  siano  gia'  pendenti  davanti  allo
stesso giudice: e cio' sul presupposto che essi rientrino tutti nella
sua competenza (vuoi in base alle regole in tema  di  competenza  per
materia  o  per  territorio,  vuoi  per  effetto   della   disciplina
derogatoria dettata in tema di connessione); 
        che l'ipotesi dei reati commessi da  piu'  persone  in  danno
reciproco non rientra tra i casi  di  connessione  previsti,  in  via
generale, dall'art. 12 cod. proc. pen.: essa e' annoverata,  invece -
tanto  dal  codice  di  rito  (art.  17,  comma  1,  lettera  c),  in
riferimento all'art. 371, comma 2, lettera b) che dal d.lgs.  n.  274
del 2000 (art. 9, comma 2) - tra le fattispecie  che  legittimano  la
riunione dei processi pendenti nello stesso stato e grado davanti  al
medesimo giudice, sempre che ricorrano le  ulteriori  condizioni  ivi
stabilite (rispettivamente: che la riunione «non determini un ritardo
nella definizione del  processo»,  e  che  «giovi  alla  celerita'  e
completezza dell'accertamento»); 
        che il giudice a quo vorrebbe, per converso,  trasformare  la
fattispecie in questione in una  ipotesi  di  connessione  cosiddetta
eterogenea  (atta  a  determinare,  cioe',  uno   spostamento   della
competenza per materia dal giudice di  pace  al  giudice  superiore):
operazione che non puo' ritenersi in alcun modo imposta dai parametri
costituzionali evocati; 
        che  del  tutto  insussistente  risulta,  cosi',  la  dedotta
violazione dell'art. 3 Cost., sotto il profilo  della  ingiustificata
disparita' di trattamento fra gli imputati; 
        che, infatti, ne' davanti al giudice di pace, ne' davanti  ai
giudici superiori e'  prevista  la  possibilita'  di  procedere  alla
riunione di processi relativi a reati commessi  da  piu'  persone  in
danno reciproco, in deroga alle ordinarie regole sulla competenza per
materia o per territorio; 
        che inconferente si presenta, poi, il richiamo  al  principio
di parita' delle parti  processuali,  sancito  dall'art.  111  Cost.:
parita' che non risulta in alcun modo alterata dalla norma censurata,
la quale spiega i suoi effetti, alla stessa maniera, nei confronti di
ognuna delle parti; 
        che priva di consistenza si rivela,  infine,  la  censura  di
violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge
(art. 25 Cost.): principio che,  parimenti,  non  e'  affatto  inciso
dalla  mancata  configurazione  della  fattispecie  considerata  come
ipotesi di competenza per connessione; 
        che per costante giurisprudenza di questa Corte, infatti,  la
garanzia del giudice naturale  e'  rispettata  quando  la  regola  di
competenza sia prefissata rispetto all'insorgere della  controversia,
e non e' invece utilizzabile per sindacare la scelta del  legislatore
che si esprime  nella  fissazione  di  quella  regola  (ex  plurimis,
ordinanze n. 138 del 2008, n. 193 del 2003 e n. 417 del 2002); 
        che la  questione  va  dichiarata,  pertanto,  manifestamente
infondata. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  6,  comma  1,  del   decreto
legislativo 28 agosto 2000, n.  274  (Disposizioni  sulla  competenza
penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della  legge  24
novembre 1999, n. 468), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 25  e
111  della  Costituzione,  dal  Giudice  di  pace  di   Viterbo   con
l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 2009. 
                       Il Presidente: Amirante 
                         Il redattore: Frigo 
                      Il cancelliere: Fruscella 
    Depositata in cancelleria il 5 marzo 2009. 
                      Il cancelliere: Fruscella