N. 20 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 2 marzo 2009

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il  9  marzo  2009  (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
Impiego pubblico - Sanita' pubblica - Norme della Regione Calabria  -
  Dirigenti medici negli istituti penitenziari, incaricati  ai  sensi
  della legge n. 740 del 1970 - Inquadramento nei ruoli del  Servizio
  sanitario  regionale  nella  corrispondente  categoria  e   profilo
  previsti per il personale delle  Aziende  sanitarie  provinciali  -
  Contrasto col principio fondamentale in  materia  di  coordinamento
  della finanza pubblica di cui alla legge finanziaria per  il  2008,
  che non prevede  l'inquadramento  ma  il  solo  trasferimento  alle
  Aziende sanitarie locali con la conservazione  della  disciplina  e
  della retribuzione di cui alla legge statale  -  Contrasto  con  il
  principio fondamentale in materia di tutela  della  salute  secondo
  cui l'accesso alla dirigenza sanitaria e' condizionato al  possesso
  non solo di laurea ma  anche  di  specializzazione  -  Ricorso  del
  Governo - Denunciata lesione della competenza statale nelle materie
  concorrenti del coordinamento della finanza pubblica e della tutela
  della salute. 
- Legge della Regione Calabria 31 dicembre 2008, n. 46, art. 1, comma
  2. 
- Costituzione, art. 117, comma terzo; legge  24  dicembre  2007,  n.
  244, art. 2, comma 283; d.P.C.m. 1° aprile 2008, artt. 3, comma  4,
  e 6, comma 4; d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 15;  d.P.R.  10
  dicembre 1997, n. 483, art. 24. 
(GU n.16 del 22-4-2009 )
    Ricorso del Presidente del  Consiglio  dei  ministri  in  carica,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i
cui uffici ha per legge domicilio in Roma, via dei Portoghesi n. 12; 
    Contro la Regione  Calabria,  in  persona  del  Presidente  della
Giunta regionale pro tempore per la  declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale e conseguente annullamento, della legge  regionale  n.
46 del 31 dicembre 2008, pubblicata sul Bollettino  ufficiale  n.  25
del 2 gennaio 2009, recante: «Disposizioni in materia sanitaria», con
specifico riguardo all'art. 1, comma 2, di detta legge regionale, per
contrasto con l'art. 117, terzo comma, e 127  della  Costituzione,  e
cio' a seguito ed in forza della delibera di impugnativa assunta  dal
Consiglio dei ministri nella seduta del 27 febbraio 2009. 
    Nel Bollettino ufficiale n. 25 del 2 gennaio 2009  della  Regione
Calabria e' stata pubblicata la legge regionale n. 46 del 31 dicembre
2008, con la quale la regione ha disposto, nell'art. 1, comma 2,  che
«il personale sanitario incaricato ai sensi  della  legge  9  ottobre
1970 n. 740 e' inquadrato con uguale numero di ore contrattualizzate,
nei ruoli  del  Servizio  sanitario  regionale  nella  corrispondente
categoria e profilo previsti per il personale delle Aziende sanitarie
provinciali. Tale disposizione non si applica  ai  rapporti  a  tempo
determinato instaurati ai sensi  della  stessa  legge.  Il  personale
incaricato ai sensi  della  legge  9  ottobre  1970,  n.  740  dovra'
eliminare  eventuali  situazioni  di  incompatibilita'   al   momento
dell'accettazione dell'inquadramento nei ruoli del Servizio sanitario
regionale». 
    Va subito rilevato che la disposizione qui censurata investe  due
diversi ambiti materiali. Da un lato,  essa  costituisce  espressione
della funzione di coordinamento della finanza  pubblica;  dall'altro,
afferisce alla tutela  della  salute,  materie  entrambe  oggetto  di
potesta'  legislativa  concorrente  di  Stato  e  regioni,  ai  sensi
dell'art. 117, terzo comma, Cost. Da cio' consegue che, vertendosi in
materie di legislazione concorrente, lo Stato e' legittimato a  porre
principi fondamentali, come tali vincolanti per le regioni e  per  le
province  autonome,  palesemente  disattesi  dalla  legge   regionale
impugnata. 
    L'art.  1,  comma  2,  della   legge   Regione   Calabria   viola
innanzitutto il principio fondamentale in  materia  di  coordinamento
della finanza pubblica contenuto nell'art. 3, comma 4,  del  d.P.C.m.
1° aprile 2008, adottato in attuazione dell'art. 2, comma 283,  della
legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria per  il  2008),  secondo  il
quale,  nell'ambito  del  trasferimento   del   personale   sanitario
penitenziario al Servizio sanitario regionale, i rapporti  di  lavoro
instaurati ai sensi della legge n. 740 del 1970 continuano ad  essere
disciplinati dalla stessa legge fino alla relativa scadenza.  Secondo
tale norma  finanziaria  statale,  infatti,  il  personale  sanitario
penitenziario «incaricato» ai sensi della menzionata legge n. 740 del
1970,   a   differenza   del   personale    dipendente    di    ruolo
dell'amministrazione penitenziaria, non e' inquadrato nei  ruoli  del
Servizio sanitario regionale, ma  e'  semplicemente  trasferito  alle
Aziende  sanitarie  locali  continuando  ad  essere  disciplinato   e
retribuito secondo quanto previsto dalla  citata  legge  statale.  La
disposizione  regionale  in  esame  pertanto,  che   comporta   oneri
aggiuntivi non  quantificati,  eccede  dalla  competenza  concorrente
attribuita alla regione in materia  di  coordinamento  della  finanza
pubbuca e viola l'art. 117, terzo comma, della Costituzione. 
    Per  meglio  comprendere  la  portata  della  predetta   censura,
potrebbe risultare utile effettuare una breve  disamina  delle  norme
che costituiscono il fondamento  dell'attivita'  dell'amministrazione
penitenziaria in materia di sanita' penitenziaria. 
    La presenza di personale sanitario  negli  istituti  penitenziari
venne originariamente prevista dal regolamento per  gli  istituti  di
prevenzione e pena del 1931. Detto regolamento ebbe  a  prevedere  la
presenza di un medico all'interno  di  ogni  istituto  penitenziario,
omettendo, tuttavia, di precisare la natura del  rapporto  di  lavoro
tra il professionista e il  Ministero  di  grazia  e  giustizia.  Non
esisteva in quel tempo un  unico  organismo  pubblico  preposto  alla
tutela del diritto alla salute dei cittadini. 
    Infatti,  enti  di  varia  natura  (previdenziali   e   di   tipo
mutualistico)  provvedevano  all'assistenza  sanitaria   di   singole
categorie  di  lavoratori  (commercianti,  artigiani,  ...)  in  modo
diverso qualitativamente  e  quantitativamente.  Il  Ministero  della
salute venne istituito solo nel 1958, quindi solo con il tempo si  e'
affermata una concezione unitaria dell'attivita' sanitaria. ln questo
quadro, la presenza di un servizio sanitario per detenuti gestito dal
Ministero  della  giustizia  risultava  coerente   con   la   realta'
dell'epoca. Al regolamento del 1931  ha  fatto  seguito  la  legge  9
ottobre 1970, n. 740 che ha disciplinato il  rapporto  di  lavoro  di
tutte le categorie di  personale  sanitario  che  svolgono  attivita'
lavorativa negli istituti penitenziari e non sono inseriti nei  ruoli
organici dell'amministrazione penitenziaria. 
    Detta legge ha, cosi', posto le basi  dell'organizzazione,  negli
istituti penitenziari, di un servizio sanitario volto  ad  assicurare
la continuita' assistenziale alle  persone  in  stato  di  privazione
della liberta' personale. Soltanto con la legge 26  luglio  1975,  n.
354, «Ordinamento penitenziario»  sono  state  introdotte  specifiche
norme in tema di organizzazione dei servizi sanitari  negli  istituti
penitenziari. In particolare ed innanzitutto, e' stato stabilito  che
detti servizi dovessero necessariamente corrispondere alle  effettive
esigenze sanitarie della popolazione detenuta. Inoltre, il  comma  10
dell'art. 11,  ha  attribuito  all'amministrazione  penitenziaria  la
facolta' di avvalersi per l'organizzazione  e  il  funzionamento  dei
servizi sanitari della collaborazione dei servizi  pubblici  sanitari
locali ospedalieri ed extra ospedalieri. Il  quadro  normativo  sulla
materia e', poi, stato completato dal successivo d.P.R. 431 del  1976
«Regolamento di esecuzione  della  legge  26  luglio  1975,  n.  354,
Ordinamento penitenziario», ora modificato con il d.P.R. 230/2000. 
    E' indubbio, quindi, che il Legislatore del 1975 ha previsto come
l'organizzazione  sanitaria  penitenziaria  fosse  rimessa,  in   via
esclusiva, alla amministrazione penitenziaria, con la  facolta',  per
quest'ultima,  di  richiedere  ai  servizi  sanitari   pubblici   del
territorio la collaborazione ritenuta utile, nel caso di specie.  Non
sembra che tale impostazione abbia subito  trasformazioni  a  seguito
della legge 833/1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, la
quale non fa menzione della sanita' penitenziaria. Il dibattito sorto
successivamente a tale normativa ha visto  due  fronti  contrapposti:
l'uno  costituito  dai  sostenitori  dell'autonomia   della   sanita'
penitenziaria, proprio in assenza di  norme  sul  punto,  nell'ambito
della legge n. 833/1978; l'altro costruito dai sostenitori della tesi
opposta, che vedeva la sanita' penitenziaria, oramai, riassorbita dal
servizio  sanitario  nazionale  proprio  perche'  non   espressamente
derogata da detta legge. La vicenda ha trovato composizione a seguito
dell'intervento del parere del Consiglio  di  Stato,  n.  305  del  7
luglio 1987, che si e' espresso confermando la  esclusiva  competenza
della amministrazione penitenziaria in materia di diritto alla salute
della popolazione detenuta,  confermando  la  tesi  favorevole  sulla
conservazione dell'assistenza sanitaria «tra i compiti riservati allo
Stato,  da  svolgere  con  le  preesistenti  strutture  del  servizio
sanitario penitenziario». 
    A partire tuttavia dalla  legge  n.  419  del  1998  («Delega  al
governo per la razionalizzazione  del  servizio  sanitario  nazionale
...») sino ad arrivare alla legge finanziaria per il  2008  e'  stato
avviato un progetto di riforma penitenziaria inteso a  razionalizzare
il costoso sistema sanitario  generale  del  Paese  e  soggetto  alla
regola generale che vieta «oneri aggiuntivi  per  il  bilancio  dello
Stato». 
    Con  le  risorse  disponibili  e'   stata   quindi   avviata   la
razionalizzazione del sistema sanitario generale, con l'obiettivo non
rinunciabile di «perseguire la piena realizzazione del  diritto  alla
salute», da assicurare con meccanismi idonei a completare il processo
di regionalizzazione ... nonche' a «razionalizzare le strutture e  le
attivita' connesse alle prestazioni di servizi sanitari, al  fine  di
eliminare sprechi e disfunzioni» (art. 2 della legge 419 del 1998). 
    Il comma 283 dell'art. 2 della legge 24  dicembre  2007,  n.  244
(legge finanziaria per il 2008), in  particolare,  ha  previsto,  tra
l'altro, che «sono definiti nell'ambito  dei  livelli  essenziali  di
assistenza  previsti  dalla  legislazione  vigente  e  delle  risorse
finanziarie (...) b)  le  modalita'  e  le  procedure  (...)  per  il
trasferimento al Servizio sanitario nazionale dei rapporti di  lavoro
in  essere  (...)  relativi  all'esercizio  di   funzioni   sanitarie
nell'ambito del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e del
Dipartimento della giustizia minorile del Ministero della  giustizia,
con contestuale riduzione  delle  dotazioni  organiche  dei  predetti
dipartimenti in misura corrispondente alle  unita'  di  personale  di
ruolo trasferite al Servizio sanitario nazionale». 
    Il d.P.C.m. 1° aprile 2008 summenzionato, che ha dato  attuazione
al suddetto comma, si e' preoccupato di  disciplinare  dal  punto  di
vista operativo (art. 1) «le modalita', i criteri e le procedure  per
il trasferimento  al  Servizio  sanitario  nazionale  delle  funzioni
sanitarie, delle risorse finanziarie, dei rapporti di  lavoro,  delle
attrezzature,  arredi  e  beni  strumentali  relativi  alla   sanita'
penitenziaria».  Il  provvedimento  prevede  quindi  che,   ai   fini
dell'esercizio  delle  funzioni  sanitarie  afferenti  alla  medicina
penitenziaria  da  parte  del  Sistema  sanitario  nazionale,   siano
trasferite allo stesso risorse finanziarie cosi' quantificate: 
        157,8 milioni di euro per l'anno 2008; 
        162,8 milioni di euro per l'anno 2009; 
        167,8 milioni di euro a decorrere dall'anno 2010. 
    La suddetta  disposizione  non  e'  assolutamente  estranea  alle
esigenze di coordinamento della finanza pubblica, in quanto  tende  a
contenere i costi del Servizio sanitario. L'art. 6, comma quarto, del
predetto decreto  stabilisce  infatti  espressamente  che  dalla  sua
applicazione «non  devono  derivare  oneri  a  carico  della  finanza
pubblica  superiori  all'ammontare  delle  risorse   complessivamente
trasferite al Servizio sanitario nazionale ai sensi del comma 1».  In
tale contesto, non e' peraltro senza significato che la  disposizione
- a conferma di quella che appare essere la sua  specifica  finalita'
(commisurare l'attuazione del  diritto  alla  salute  alle  effettive
disponibilita'  finanziarie  dell'ente  territoriale)  -  sia   stata
inserita  nelle  norme  attuative   attinenti   alla   programmazione
finanziaria. 
    Come codesta ecc.ma Corte ha avuto gia' modo di affermare in piu'
occasioni, non appare dubbio che nel sistema di assistenza  sanitaria
- delineato dal legislatore  nazionale  fin  dalla  emanazione  della
legge di riforma sanitaria 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione  del
Servizio  sanitario  nazionale)  -  l'esigenza   di   assicurare   la
universalita' e la completezza del sistema assistenziale  nel  nostro
Paese si e' scontrata,  e  si  scontra  ancora  attualmente,  con  la
limitatezza  delle  disponibilita'  finanziarie  che  annualmente  e'
possibile destinare, nel quadro di una programmazione generale  degli
interventi  di  carattere  assistenziale  e   sociale,   al   settore
sanitario. 
    Il legislatore regionale ha pertanto violato i confini entro  cui
sarebbe stato legittimo il suo intervento regolativo  della  materia,
avendo esso operato un incauto scollamento con la disciplina statale. 
    Posto, quindi, che, in forza del terzo comma dell'art. 117 Cost.,
il coordinamento della finanza pubblica e'  materia  di  legislazione
concorrente (come sarebbe confermato dal secondo comma dell'art.  119
Cost.), per  cui  allo  Stato  e'  riservata  la  determinazione  dei
principi fondamentali nell'ambito  e  nel  rispetto  dei  quali  puo'
legittimamente esplicarsi la potesta' legislativa delle  regioni,  la
legge regionale censurata si e'  profondamente  discostata  da  detti
principi,  prevedendo   l'inquadramento   del   personale   sanitario
incaricato ai sensi della legge n. 740/1970 nei  ruoli  del  Servizio
sanitario regionale. 
    L'art. 1, comma 2, della legge della Regione Calabria n.  46  del
31 dicembre 2008, comportando l'inquadramento nei ruoli del  Servizio
sanitario regionale dei  dirigenti  medici  che  sono  stati  ammessi
all'incarico di cui alla legge n.  740  del  1970  mediante  pubblico
concorso per titoli ed in possesso del  solo  diploma  di  laurea  in
medicina  e  chirurgia,   contrasta   altresi'   con   il   principio
fondamentale in materia di tutela della salute di cui all'art. 15 del
d.lgs. n. 502 del 1992 e all'art. 24 del  d.P.R.  n.  483  del  1997,
secondo i quali alla  dirigenza  sanitaria  si  accede  per  concorso
pubblico per titoli ed esami solo se in possesso della laurea e della
specializzazione nella disciplina oggetto del concorso. 
    La  disposizione  impugnata  appare,  quindi,  costituzionalmente
illegittima, perche' attribuirebbe il diritto al  conferimento  degli
incarichi dirigenziali in questione a soggetti  privi  dei  requisiti
stabiliti dalla  normativa  statale,  ovvero  della  specializzazione
nella  disciplina  oggetto  del   concorso.   Cosi'   disponendo   la
disposizione   regionale   eccede   dalla   competenza    legislativa
concorrente attribuita alla regione in materia di tutela della salute
e viola l'art. 117, terzo comma,  della  Costituzione.  Ne',  d'altra
parte, potrebbe  mettersi  in  dubbio  il  fatto  che  la  competenza
legislativa statale lesa si giustifica, nel caso di specie, «sotto il
profilo della tutela della salute» (materia «ripartita» tra  Stato  e
regioni). Rileva, infatti, la  stretta  inerenza  che  la  disciplina
dell'accesso alla dirigenza professionale dei Servizi sanitari locali
presenta con le condizioni per la fruizione  delle  prestazioni  rese
agli utenti,  essendo  queste  ultime  dipendenti,  sotto  molteplici
aspetti, dalla professionalita' e dall'impegno di  tutti  i  sanitari
addetti ai servizi,  e  segnatamente  di  coloro  che  rivestono  una
posizione apicale (sentenze n. 181 del 2006 e n. 449 del 2006). 
                              P. Q. M. 
    Il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  come  in  epigrafe
rappresentato e difeso, chiede che la Corte ecc.ma voglia  dichiarare
costituzionalmente illegittimo e quindi annullare l'art. 1, comma  2,
della legge  Regione  Calabria  n.  46  del  31  dicembre  2008,  per
contrasto con l'art. 117, terzo comma, e 127 della Costituzione. 
    Si  depositeranno,  con  l'originale  notificato   del   presente
ricorso: 
        1. Estratto della deliberazione del C.d.m.  del  27  febbraio
2009, con la richiamata relazione del Ministro per i rapporti con  le
regioni; 
        2. Copia della legge Regione Calabria n. 46 del  31  dicembre
2008. 
          Roma, addi' 2 marzo 2009 
           L'Avvocato dello Stato: Maria Gabriella Mangia