N. 128 ORDINANZA 22 - 30 aprile 2009

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Esecuzione penale - Sospensione condizionale della pena - Concessione
  in  relazione  ad  una  sentenza  nella  quale  l'applicazione  del
  beneficio sia stata negata per l'esistenza di  precedente  condanna
  poi revocata per violazione del  divieto  del  ne  bis  in  idem  -
  Mancata previsione - Denunciata disparita' di trattamento  rispetto
  ad ipotesi analoghe - Insussistenza - Manifesta infondatezza  della
  questione. 
- Cod. proc. pen., art. 669. 
- Costituzione, art. 3. 
(GU n.18 del 6-5-2009 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
  QUARANTA, Franco GALLO, Gaetano SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Maria
  Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe
  FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
                              Ordinanza 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 669 del  codice
di procedura penale,  promosso  dal  Tribunale  di  Palermo,  sezione
distaccata di Monreale, nel procedimento penale a carico di L.S., con
ordinanza del 12 settembre 2007, iscritta  al  n.  853  del  registro
ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 5, 1ª serie speciale, dell'anno 2008; 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio del 1°  aprile  2009  il  giudice
relatore Giuseppe Frigo; 
    Ritenuto che, con ordinanza del 12 settembre 2007,  il  Tribunale
di  Palermo,  sezione  distaccata  di  Monreale,  ha  sollevato,   in
riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 669 del codice di  procedura  penale,  nella
parte in cui  «non  prevede  che  il  giudice  dell'esecuzione  possa
concedere la sospensione condizionale della pena in relazione  a  una
sentenza nella quale  l'applicazione  di  tale  beneficio  sia  stata
negata [...] esclusivamente a causa dell'esistenza di una  precedente
sentenza di condanna poi revocata per violazione del divieto del  bis
in idem»; 
        che il  rimettente  riferisce  di  essere  investito  di  una
istanza formulata ai sensi dell'art. 669 cod. proc. pen.,  avente  ad
oggetto, da un lato, la revoca della sentenza emessa  il  19  ottobre
2004  dalla  quinta  sezione  penale  del  Tribunale  di  Palermo  in
composizione monocratica (divenuta irrevocabile il 13 gennaio  2005),
e, dall'altro, l'esecuzione della sentenza emessa il 21 ottobre  2004
dalla  sezione  distaccata  di  Monreale   del   medesimo   Tribunale
(integralmente confermata  dalla  Corte  d'appello  di  Palermo,  con
sentenza divenuta irrevocabile il 1° aprile 2006), con  richiesta  di
contestuale concessione all'interessato, «in riforma  della  sentenza
di appello», del beneficio della sospensione condizionale della pena; 
        che con la prima delle  due  sentenze,  l'istante  era  stato
condannato alla  pena,  condizionalmente  sospesa,  di  mesi  tre  di
reclusione  ed  euro  200  di  multa,  per  la  ricettazione  di   un
contrassegno  e  di  un   certificato   di   assicurazione   per   la
responsabilita' civile automobilistica, frutto di contraffazione; 
        che con la seconda sentenza, la medesima  persona  era  stata
condannata, per i reati, unificati dal vincolo  della  continuazione,
di ricettazione e di falsita' in scrittura privata, alla pena  -  non
sospesa - di mesi quattro di reclusione ed euro 350 di multa, di  cui
mesi tre di reclusione  e  l'intera  pena  pecuniaria  riferiti  alla
ricettazione, quale reato piu' grave; 
        che, nell'occasione, l'interessato era stato accusato di aver
acquistato o comunque ricevuto, a fine di profitto, un contrassegno e
un  certificato  di   assicurazione,   compendio   del   delitto   di
appropriazione indebita di cosa smarrita; 
        che, alla luce della motivazione delle due sentenze, appariva
indubitabile che esse concernevano - quanto alla  ricettazione  -  un
identico fatto,  discutendosi,  in  entrambi  i  casi,  dello  stesso
documento di provenienza delittuosa: identita' che  non  veniva  meno
per la diversita' del contestato reato presupposto; 
        che, dunque, l'interessato era stato condannato due volte per
il  medesimo  fatto,  considerato,  nella  seconda  sentenza,   quale
episodio di un reato continuato: ipotesi,  quest'ultima,  prevista  e
regolata dall'art. 669, comma 6, cod. proc. pen.; 
        che, ai sensi del comma 1 del citato art. 669, in tal caso va
revocata la condanna piu' grave e  ordinata  l'esecuzione  di  quella
meno grave, individuata sulla base dei criteri indicati nei commi 3 e
4 dello stesso articolo, a meno che l'interessato -  considerato  dal
legislatore il miglior giudice dei propri  interessi  -  eserciti  la
facolta', espressamente attribuitagli dal comma  2,  di  indicare  la
sentenza che deve essere eseguita; 
        che, nella specie,  l'interessato  si  era  avvalso  di  tale
facolta', chiedendo che venisse eseguita la  sentenza  emessa  il  21
ottobre 2004 dalla sezione distaccata di Monreale  del  Tribunale  di
Palermo, che pure risultava «in astratto» piu' grave dell'altra,  sia
perche', a parita'  di  pena  detentiva,  aveva  irrogato  una  multa
maggiore; sia perche' non aveva concesso la sospensione  condizionale
della pena; 
        che, non essendo  -  secondo  il  rimettente  -  tale  scelta
sindacabile dal giudice,  e  dovendosi,  quindi,  revocare  la  prima
sentenza e ordinare l'esecuzione della  seconda,  andrebbe  esaminata
l'istanza di concessione del beneficio di cui all'art. 163 cod. pen.; 
        che  il  diniego  in   sede   cognitiva   della   sospensione
condizionale,  motivato  solo  dalla  sentenza  di   secondo   grado,
risultava basato sull'unico rilievo che l'imputato aveva goduto  gia'
due volte del beneficio; 
        che, tuttavia, come emergeva dal certificato  del  casellario
giudiziale, la seconda delle due precedenti condanne a pena  sospesa,
considerate ostative, era costituita dalla revocanda sentenza  emessa
il 19 ottobre 2004 dalla quinta sezione  del  Tribunale  di  Palermo:
sicche', in pratica, la sospensione condizionale della pena, disposta
da  quest'ultima  sentenza  in  relazione  alla  ricettazione  dianzi
descritta,  aveva  impedito  la   concessione   del   beneficio   con
riferimento al medesimo fatto; 
        che, tanto premesso, il rimettente osserva che,  in  base  al
«diritto vivente», la sospensione condizionale della pena puo' essere
concessa  in  sede  esecutiva  solo  ove  cio'  sia  espressamente  o
implicitamente previsto dalla legge, come accade - rispettivamente  -
nell'art. 671, comma 3 (in caso di applicazione, da parte del giudice
dell'esecuzione, della disciplina del concorso formale  o  del  reato
continuato) e nell'art. 673, comma 1, cod. proc.  pen.  (in  caso  di
revoca della sentenza per abolizione del reato); 
        che,   nel   risolvere   il   contrasto   di   giurisprudenza
manifestatosi in rapporto a quest'ultima ipotesi,  le  sezioni  unite
della Corte di cassazione (viene citata la sentenza 20 dicembre 2005,
n. 4687) hanno infatti affermato che la concessione della sospensione
condizionale, nell'ipotesi di  revoca  della  condanna  per  abolitio
criminis,  e'  resa  possibile   esclusivamente   dalla   previsione,
contenuta nell'art. 673, comma 1, cod. proc.  pen.,  in  forza  della
quale  il  giudice  dell'esecuzione  adotta  tutti  «i  provvedimenti
conseguenti» alla revoca stessa: previsione da collegare al principio
di cui all'art. 2, secondo comma, cod. pen., in  tema  di  cessazione
degli effetti penali della  condanna,  tra  i  quali  rientra  quello
impeditivo   di   una   ulteriore   concessione   della   sospensione
condizionale della pena; 
        che, nella citata sentenza, le sezioni unite della  Corte  di
cassazione hanno, di contro, espressamente  escluso  che  a  siffatta
conclusione possa pervenirsi sulla base di una applicazione analogica
dell'art.  671,  comma  3,  cod.  proc.  pen.,  sia  pure  «in   nome
dell'interpretazione secundum Constitutionem»; 
        che una simile operazione  ermeneutica  risulterebbe  infatti
impedita dalla natura eccezionale di detta norma, la quale deroga  al
principio generale secondo cui il giudizio prognostico  sulla  futura
condotta del reo - costituente  il  presupposto  per  la  concessione
della sospensione  condizionale  -  e'  ordinariamente  riservato  al
giudice della cognizione, che ha  accertato  la  responsabilita'  del
soggetto per il fatto cui il beneficio andrebbe applicato; 
        che nessuna  previsione,  esplicita  o  implicita,  circa  la
concedibilita'  della  sospensione  condizionale   risulta   peraltro
rinvenibile nell'art. 669 cod. proc. pen., con  riguardo  all'ipotesi
di revoca di una delle sentenze  di  condanna  emesse  nei  confronti
della stessa persona per il medesimo fatto; 
        che,   conseguentemente,   non    sarebbe    possibile    una
interpretazione «costituzionalmente orientata» della  norma:  e  cio'
nemmeno quando - come nel caso di specie -  il  beneficio  sia  stato
negato, in sede di cognizione, esclusivamente a causa della  condanna
poi revocata; 
        che ne deriverebbe, tuttavia - ad avviso del rimettente - una
irragionevole disparita' di trattamento, lesiva  dell'art.  3  Cost.,
tra l'ipotesi considerata e quelle regolate  dai  citati  artt.  671,
comma 3, e 673, comma 1, cod. proc. pen.; 
        che apparirebbe, infatti, manifestamente illogico un  sistema
che, da un lato, permetta di concedere  la  sospensione  condizionale
nel caso di revoca - per abolitio criminis - della condanna che aveva
impedito la concessione di tale beneficio rispetto ad altra condanna;
e, dall'altro lato, non lo consenta nel caso di revoca di  un'omologa
condanna  per  violazione  del  divieto  del  bis  in  idem:  con  la
conseguenza che tale condanna continuerebbe a produrre il descritto e
pregiudizievole effetto preclusivo; 
        che   l'irrazionalita'   della   denunciata   disparita'   di
trattamento risulterebbe ancor piu' evidente nel caso di  specie,  in
cui la concessione del beneficio resterebbe preclusa  dalla  sentenza
di condanna, poi revocata, per il medesimo fatto: sentenza che aveva,
tuttavia, applicato il beneficio alla pena irrogata proprio per  tale
fatto; 
        che  la  questione  sarebbe,   da   ultimo,   rilevante   nel
procedimento a quo, giacche' l'interessato apparirebbe meritevole del
beneficio,  attualmente  precluso,  invece,   dall'unica   plausibile
interpretazione dell'art. 669 cod. proc. pen.; 
        che nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, il  quale  ha  chiesto  che  la
questione sia dichiarata inammissibile o infondata. 
    Considerato che il Tribunale di Palermo,  sezione  distaccata  di
Monreale, dubita, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, della
legittimita' costituzionale dell'art. 669  del  codice  di  procedura
penale,  nella  parte  in   cui   «non   prevede   che   il   giudice
dell'esecuzione possa concedere  la  sospensione  condizionale  della
pena in relazione a una sentenza nella quale l'applicazione  di  tale
beneficio   sia   stata   negata   [...]   esclusivamente   a   causa
dell'esistenza di una precedente sentenza di  condanna  poi  revocata
per violazione del divieto del bis in idem»; 
        che, con riguardo alla fattispecie  oggetto  del  giudizio  a
quo, tale dubbio  di  costituzionalita'  si  presenta  manifestamente
privo di fondamento; 
        che, in proposito, va infatti rilevato come l'art.  669  cod.
proc. pen. miri a porre rimedio ad una situazione nella quale non  e'
stato in concreto osservato il divieto del bis in idem (art. 649 cod.
proc. pen.), stabilendo quale fra le  plurime  sentenze  irrevocabili
emesse nei confronti della stessa persona per il medesimo fatto debba
essere eseguita, con correlata revoca delle altre; 
        che, in teoria,  la  sentenza  da  eseguire  dovrebbe  essere
sempre quella divenuta irrevocabile  per  prima:  sono,  infatti,  le
successive che - intervenendo dopo  la  formazione  del  giudicato  -
risultano emesse in violazione del ne bis in idem; 
        che  il  legislatore  privilegia,  tuttavia,  il  favor  rei,
stabilendo, per quanto in questa sede interessa, che  quando  per  lo
stesso fatto sono state pronunciate piu' sentenze di  condanna,  vada
eseguita, non la prima sentenza, ma  quella  che  ha  pronunciato  la
condanna meno grave (art. 669, comma 1, cod. proc. pen.), individuata
sulla base degli analitici criteri dettati dai  commi  3  e  4  dello
stesso articolo; 
        che tali criteri hanno, peraltro, una valenza solo suppletiva
rispetto alla facolta', attribuita all'interessato dal  comma  2,  di
indicare lui stesso, ove le pene siano diverse, quale  sentenza  deve
essere eseguita: e cio' - come si legge nella relazione  al  progetto
preliminare del codice di rito - in base alla considerazione  che,  a
fronte dell'ampia gamma di combinazioni che  possono  presentarsi  in
concreto,   la   quale   rischia   di   rendere    arbitraria    ogni
predeterminazione normativa, deve presumersi che  il  pluricondannato
sia il miglior giudice dei propri interessi; 
        che la disciplina ora ricordata risulta espressamente  estesa
dal comma 6 dell'art. 669 cod.  proc.  pen.  all'ipotesi  in  cui  il
medesimo fatto sia stato  giudicato  quale  «episodio»  del  concorso
formale o del reato continuato, come e' avvenuto nella specie, quanto
alla seconda delle due sentenze; 
        che, cio' posto, nel caso oggetto del giudizio a quo  -  alla
luce di quanto si riferisce nell'ordinanza di rimessione - si  e'  al
cospetto di una  evenienza  patologica,  giacche'  il  condannato  ha
operato una scelta, a tutta prima,  contraria  ai  propri  interessi:
avendo chiesto che, tra le anzidette sentenze, venga eseguita  quella
non solo divenuta irrevocabile per ultima e che ha inflitto una  pena
piu' severa, ma che per giunta ha negato la sospensione condizionale; 
        che - a  prescindere  dalla  logica  che  puo'  aver  guidato
siffatta opzione (estendere la sospensione  condizionale  anche  alla
pena inflitta per il reato di falso giudicato nella seconda  sentenza
in  continuazione  con  la  ricettazione)  e  dalla  possibilita'  di
conseguire,  eventualmente,  il  risultato  sperato  per  altra   via
(chiedendo, cioe', la revoca parziale della seconda condanna,  quanto
alla  ricettazione,  e  il   riconoscimento   in   executivis   della
continuazione tra il falso e la ricettazione giudicata con  la  prima
condanna, con conseguente estensione della  sospensione  condizionale
al falso ai sensi dell'art. 671, comma 3, cod. proc. pen.) -  occorre
comunque ribadire che  la  seconda  condanna  e',  di  per  se',  una
sentenza emessa illegittimamente, in contrasto col ne bis in idem; 
        che l'interessato puo' sceglierla, ai  sensi  dell'art.  669,
comma 2, cod. proc. pen., se la ritiene in concreto piu' vantaggiosa:
ma non puo' pretendere di sceglierla e, al tempo stesso, di emendarla
- in deroga al principio di intangibilita'  del  giudicato  -  da  un
errore, in punto di concessione di  benefici,  connesso  alla  stessa
violazione del ne bis in idem (in  specie,  l'aver  considerato  come
precedente ostativo altra condanna  per  il  medesimo  fatto  che,  a
seguito della scelta operata, dovrebbe essere revocata); 
        che,   infatti,   l'interessato   puo'   evitare    l'effetto
pregiudizievole ora indicato semplicemente optando  per  la  condanna
piu' remota - che e', poi, quella emessasecundum ius  -  in  rapporto
alla quale non puo' logicamente mai  configurarsi  un  diniego  della
sospensione  condizionale  della  pena   basato   sulla   preclusione
derivante da altra condanna per il medesimo fatto; 
        che, con riferimento alla fattispecie in  discussione,  manca
pertanto lo stesso presupposto affinche' possa ipotizzarsi l'esigenza
costituzionale di un intervento volto  a  riequilibrare  la  relativa
disciplina rispetto a quella stabilita  per  le  ipotesi  contemplate
dagli artt. 671, comma 3, e 673, comma 1, cod.  proc.  pen.,  evocati
dal rimettente come tertia comparationis (ex plurimis, nel senso  che
l'eventuale funzionamento patologico della norma non possa costituire
presupposto per farne valere una illegittimita' riferita alla lesione
del principio di eguaglianza, sentenze n. 86 del 2008 e  n.  417  del
1996; ordinanza n. 385 del 2008); 
        che la  questione  va  dichiarata,  pertanto,  manifestamente
infondata. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 669  del  codice  di  procedura
penale, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione,  dal
Tribunale di Palermo, sezione distaccata di Monreale, con l'ordinanza
indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 aprile 2009. 
                       Il Presidente: Amirante 
                         Il redattore: Frigo 
                      Il cancelliere: Di Paola 
    Depositata in cancelleria il 30 aprile 2009. 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola