N. 177 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 aprile 2009

Ordinanza  del  3  aprile  emessa  dal  Tribunale  di   Venezia   nel
procedimento civile promosso da M. G. ed  altro  contro  Sindaco  del
Comune di Venezia. 
 
Matrimonio - Richiesta di pubblicazione di matrimonio resa da nubendi
  dello stesso sesso - Rifiuto  opposto  dall'ufficiale  dello  stato
  civile  in  virtu'  della  ritenuta   estraneita'   all'ordinamento
  giuridico italiano dell'istituto del matrimonio tra  persone  dello
  stesso  sesso  e  del  contrasto  della  rigettata  richiesta   con
  fondamentali principi di ordine pubblico  -  Ricorso  al  tribunale
  avverso il  rifiuto  di  procedere  alla  pubblicazione  -  Mancato
  riconoscimento  alle  persone  di  orientamento  omosessuale  della
  liberta' di contrarre matrimonio con persone dello stesso  sesso  -
  Ingiustificata  compromissione  dell'inviolabile   e   fondamentale
  diritto  dell'uomo  di   contrarre   matrimonio   -   Irragionevole
  disparita' di trattamento tra soggetti omosessuali  e  transessuali
  in relazione all'accesso all'istituto del matrimonio e al  rispetto
  dell'orientamento  psicosessuale   della   persona   -   Denunciato
  contrasto del divieto di matrimonio tra persone dello stesso  sesso
  con la tutela costituzionalmente  garantita  alla  famiglia,  quale
  societa' naturale fondata sul matrimonio - Asserita violazione  dei
  vincoli derivanti dall'ordinamento  comunitario  e  dagli  obblighi
  internazionali,  con  particolare  riferimento  alla  lesione   dei
  diritti al rispetto della vita privata e familiare, al  matrimonio,
  alla costituzione di  una  famiglia  e  alla  non  discriminazione,
  sanciti dalla Convenzione europea per la salvaguardia  dei  diritti
  dell'uomo e delle liberta' fondamentali e dalla Carta  dei  diritti
  fondamentali dell'Unione europea. 
- Codice civile, artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis e 156-bis. 
- Costituzione, artt. 2,  3,  29  e  117,  primo  comma;  Convenzione
  europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'
  fondamentali, artt. 8, 12 e  14;  Carta  dei  diritti  fondamentali
  dell'Unione europea, artt. 7, 9 e 21. 
(GU n.26 del 1-7-2009 )
                            IL TRIBUNALE 
    Ha pronunciato la  seguente  ordinanza  nel  procedimento  civile
iscritto al n. 2497/2008 R.G.V.G., promosso con ricorso depositato il
giorno 17 ottobre 2008 da G. M.  e  S.  G.,  rappresentati  e  difesi
dall'avv.  Francesco  Bilotta  del  foro  di  Trieste   e   dall'avv.
Margherita Salzer del foro di Venezia, con domicilio eletto presso lo
studio della seconda in Venezia-Mestre, ricorrenti; 
    Contro il sindaco di Venezia, nella sua qualita' di ufficiale  di
governo, rappresentato e difeso  dall'Avvocatura  distrettuale  dello
Stato  di  Venezia,   domiciliataria   ex   lege,   resistente,   con
l'intervento del pubblico ministero. 
    Oggetto:  ricorso  avverso  il  rifiuto   di   pubblicazioni   di
matrimonio artt. 98 c.c. e art. 7 del d.P.R. n. 396/2000. 
                        M o t i v a z i o n e 
    I ricorrenti hanno  proposto  ricorso  avverso  il  provvedimento
datato 3 luglio 2008 con il quale l'ufficiale dello stato civile  del
Comune di Venezia ha rifiutato di  procedere  alla  pubblicazione  di
matrimonio   dagli    stessi    richiesta,    ritenendo    l'assoluta
illegittimita' della pubblicazione «in forza del complesso  normativo
fondante  l'ordinamento  giuridico   italiano   e   la   contrarieta'
all'ordine pubblico costituito da principi fondamentali di rango  sia
costituzionale che ordinario» cosi' motivando il diniego: 
        «Considerato che la richiesta  pubblicazione  di  matrimonio,
intesa ad ottenere la celebrazione del matrimonio  civile  in  questo
comune, e' stata resa da due nubendi dello stesso sesso; 
        Considerato che il fine della pubblicazione e' quello di dare
pubblicita' al matrimonio per  consentire  eventuali  opposizioni  e,
soprattutto,  di  verificare  preventivamente  la  sussistenza  delle
condizioni richieste e la mancanza di impedimenti previsti dal codice
civile, al fine di  avere  garanzia  che  il  matrimonio,  una  volta
celebrato, sara' pienamente valido ed efficace; 
        Considerato che l'istituto del  matrimonio,  nell'ordinamento
giuridico italiano e' inequivocabilmente incentrato sulla  diversita'
di sesso dei coniugi, desumibile dall'insieme delle disposizioni  che
disciplinano l'istituto del matrimonio, tanto che tale diversita'  di
sesso costituisce presupposto indispensabile, requisito  fondamentale
per  la  fattispecie  del  matrimonio,  a  tal  punto  che  l'ipotesi
contraria, relativa a persone dello stesso sesso,  e'  giuridicamente
inesistente e certamente estranea alla  definizione  del  matrimonio,
almeno secondo l'insieme delle normative tuttora vigenti; 
        Richiamato il decreto 10 giugno 2005 del Tribunale di Latina,
relativo ad una richiesta di trascrizione  di  matrimonio,  contratto
all'estero,  tra  persone  dello  stesso  sesso,  nel   quale   viene
specificato  che:  "...Alla  luce  di  quanto  precede  deve   allora
concludersi che elemento essenziale per poter qualificare nel  nostro
ordinamento la fattispecie matrimonio e' la diversita' di  sesso  dei
nubendi ed in tal senso si e' pronunciata la Corte di cassazione  che
nel distinguere in subjecta materia la categoria dell'inesistenza  da
quella  della  nullita',   ha   precisato   che   ricorre   l'ipotesi
dell'inesistenza  quando  manchi  quella   realta'   fenomenica   che
costituisce la base naturalistica della fattispecie, individuandone i
requisiti  minimi  essenziali  nella   manifestazione   di   volonta'
matrimoniale resa da due persone  di  sesso  diverso  davanti  ad  un
ufficiale celebrante  (Cass.  n.  7877/2000;  1304/1990;  1808/1976).
D'altronde non e' senza ragione che, nel nostro  codice  civile,  tra
gli impedimenti al matrimonio (quali  eta',  capacita',  liberta'  di
stato, parentela, delitto, artt. 84, 86, 87, 88 c.c.) non e' prevista
la diversita' di sesso dei coniugi e cio' ovviamente non perche' tale
condizione sia irrilevante, bensi' perche'  essa,  a  differenza  dei
semplici  impedimenti,  incide  sulla  stessa  identificazione  della
fattispecie civile che, nel nostro  ordinamento,  possa  qualificarsi
matrimonio". Visto il parere del Ministero dell'interno espresso  con
nota del 28 luglio 2004,  prot.  04006451 -  15100/15952,  nel  quale
viene  specificato  che:  "...  in  merito   alla   possibilita'   di
trascrivere un atto di matrimonio contratto  all'estero  tra  persone
dello stesso sesso, si  precisa  che  in  Italia  tale  atto  non  e'
trascrivibile in quanto nel nostro ordinamento  non  e'  previsto  il
matrimonio tra  soggetti  dello  stesso  sesso  in  quanto  contrario
all'ordine pubblico, ai sensi dell'art. 18 del d.P.R.  n.  396/2000".
Visto la circolare del  Ministero  dell'interno  n.  55  in  data  18
ottobre  2007  prot.  n.  15100/397/0009861,  relativa  ai  matrimoni
contratti all'estero tra persone  dello  stesso  sesso,  nella  quale
viene affermato che  "...in  mancanza  di  modifiche  legislative  in
materia, il nostro ordinamento non ammette il matrimonio  omosessuale
e la richiesta di trascrizione di un simile atto compiuto  all'estero
deve essere rifiutata perche'  in  contrasto  con  l'ordine  pubblico
interno"  escludendo  categoricamente   qualsiasi   possibilita'   di
matrimonio tra persone dello stesso sesso; 
        Ritenuto,  pertanto,  che  la  sopraindicata   richiesta   di
pubblicazione  riguarda  ipotesi  giuridicamente  inesistente  e  non
assimilabile  all'istituto  del  matrimonio  secondo  la   disciplina
prevista dal nostro ordinamento» (doc. 1 del fascicolo attoreo). 
    A sostegno del ricorso sono state svolte ampie argomentazioni  in
diritto, con le quali si e' rilevato che nel nostro  ordinamento  non
esisterebbe una nozione di matrimonio, ne'  un  divieto  espresso  di
matrimonio tra persone dello stesso sesso - non essendo previsto  tra
i requisiti per contrarlo la disparita' sexus (ex art. 84 c.c.) - che
inoltre gli atti del Ministero degli interni citati nel provvedimento
si riferirebbero all'ordine pubblico internazionale e non  all'ordine
pubblico internazionale e non all'ordine pubblico interno (che invece
andrebbe richiamato nel caso  di  specie),  che  comunque  tali  atti
sarebbero contrari alla Costituzione e alla Carta di Nizza  e  quindi
da disapplicare, che in ogni caso l'interpretazione  letterale  delle
norme codicistiche posta a fondamento dell'atto di diniego  da  parte
del comune  sarebbe  contraria  alla  Costituzione  italiana,  ed  in
particolare agli artt. 2, 3, 10, secondo comma, 13, 29. 
    Sulla base di  tali  argomenti  i  ricorrenti  hanno  chiesto  al
tribunale, in via principale,  di  ordinare  all'ufficiale  di  stato
civile del Comune di Venezia  di  procedere  alla  pubblicazione  del
matrimonio rifiutata e, in via subordinata, di sollevare la questione
di legittimita' costituzionale - previa  positiva  valutazione  della
rilevanza e non manifesta infondatezza - 
    degli artt. 107, 108, 143, 143-bis e156-bis  c.c.  rispetto  agli
artt. 2, 3, 10, secondo comma, 13, 29 Cost., rimettendo gli atti alla
Corte costituzionale. 
    Con il ricorso in esame si chiede  quindi  che  il  Tribunale  si
pronunci in ordine al tema - assai dibattuto non solo fra i  giuristi
e non solo nel nostro Paese  -  relativo  alla  riconoscibilita'  del
diritto delle persone omosessuali di contrarre matrimonio con persone
del proprio sesso. 
    Nel nostro sistema il matrimonio tra persone dello  stesso  sesso
non e' ne' previsto, ne' vietato espressamente. E' certo tuttavia che
ne' il legislatore del 1942, ne' quello riformatore del 1975Legge  19
maggio 1975 n. 151 riforma del diritto di famiglia. si sono posti  la
questione del matrimonio omosessuale, all'epoca ancora non dibattuta,
almeno nel nostro Paese. 
    Pur non esistendo una norma definitoria espressa, l'istituto  del
matrimonio, cosi' come previsto nell'attuale ordinamento italiano, si
riferisce indiscutibilmente solo al matrimonio tra persone  di  sesso
diverso. Se e' vero che il codice civile non indica espressamente  la
differenza di sesso fra i requisiti per contrarre matrimonio, diverse
sue norme,  fra  cui  quelle  menzionate  nel  ricorso  e  sospettate
d'incostituzionalita', si riferiscono al marito e  alla  moglie  come
«attori» della celebrazione (107107. Forma  della  celebrazione.  Nel
giorno indicato dalle parti  l'ufficiale  dello  stato  civile,  alla
presenza  di  due  testimoni...riceve   da   ciascuna   delle   parti
personalmente, l'una dopo  l'altra,  la  dichiarazione  che  esse  si
vogliono prendere rispettivamente  in  marito  e  in  moglie...  108.
Inopponibilita' di termini e condizioni. La dichiarazione degli sposi
di prendersi rispettivamente in  marito  e  moglie  non  puo'  essere
sottoposta ne' a termine ne' a condizione. e 108),  protagonisti  del
rapporto coniugale (art. 143 e ss.143. Diritti e doveri reciproci dei
coniugi. Con il matrimonio il  marito  e  la  moglie  acquistano  gli
stessi diritti e assumono i medesimi doveri. 143-bis.  Cognome  della
moglie. La moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e  lo
conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a  nuove  nozze.
156-bis. Cognome della moglie. Il giudice puo'  vietare  alla  moglie
l'uso del cognome del marito, quando tale uso sia  a  lui  gravemente
pregiudizievole e puo' parimenti autorizzare la moglie a non usare il
cognome stesso, qualora dall'uso possa derivarle grave pregiudizio. e
autori della generazione (artt. 231 e ss.). Il marito e' il padre del
figlio concepito durante il matrimonio (231 c.c.); l'adulterio  della
1ª  moglie  o  l'impotenza  del   marito   consentono   l'azione   di
disconoscimento (art. 235 c.c.). 
    Reputa il tribunale che, proprio per il chiaro tenore delle norme
sopra indicate, non  sia  possibile  -  allo  stato  della  normativa
vigente - operare un'estensione dell'istituto del matrimonio anche  a
persone dello stesso sesso.  Si  tratterebbe  di  una  forzatura  non
consentita ai giudici (diversi da quello costituzionale), a fronte di
una consolidata e ultramillenaria nozione di matrimonio  come  unione
di un uomo e di una donna. 
    D'altra parte, non si puo' ignorare il rapido trasformarsi  della
societa' e dei costumi avvenuto negli ultimi decenni, nel  corso  dei
quali si e' assistito  al  superamento  del  monopolio  detenuto  dal
modello di famiglia normale, tradizionale e  al  contestuale  sorgere
spontaneo di forme diverse, seppur minoritarie,  di  convivenza,  che
chiedono protezione, si  ispirano  al  modello  tradizionale  e  come
quello mirano ad essere considerate e  disciplinate.  Nuovi  bisogni,
legati anche all'evoluzione della cultura e della civilta',  chiedono
tutela,   imponendo   un'attenta   meditazione   sulla    persistente
compatibilita'  dell'interpretazione  tradizionale  con  i   principi
costituzionali. 
    Il primo riferimento costituzionale con  il  quale  confrontarsi,
suggerito anche dai ricorrenti, e' sicuramente quello di cui all'art.
2  della  Costituzione,  nella  parte  in  cui  riconosce  i  diritti
inviolabili dell'uomo (diritti  gia'  proclamati  dalla  Costituzione
ovvero individuati dalla Corte costituzionale)  non  solo  nella  sua
sfera individuale ma anche, e  forse  soprattutto,  nella  sua  sfera
sociale, ossia, secondo la formula  della  norma,  «nelle  formazioni
sociali  ove  si  svolge  la   sua   personalita»,   fra   le   quali
indiscutibilmente la famiglia deve  essere  considerata  la  prima  e
fondamentale  espressione.  La  famiglia  e'  infatti  la  formazione
sociale   primaria   nella   quale   si   esplica   la   personalita'
dell'individuo e nella quale vengono quindi tutelati i  suoi  diritti
inviolabili, conferendogli uno status (quello di  persona  coniugata)
che assurge a segno caratteristico all'interno della societa'  e  che
conferisce un insieme di diritti e di doveri del  tutto  peculiari  e
non sostituibili tramite l'esercizio dell'autonomia negoziale. 
    Il diritto di sposarsi configura un  diritto  fondamentale  della
persona riconosciuto sia a livello  sovranazionale  (artt.  12  e  16
della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948,  artt.
8 e  12  CEDU  e  ora  all'artt.  7  e  9  della  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea proclamata a  Nizza  il  7  dicembre
2000), sia dall'art. 2 della Costituzione. E' un diritto  inteso  sia
nella sua accezione positiva di liberta' di contrarre matrimonio  con
la persona prescelta (cosi' anche Corte cost. n.  445/2002Con  questa
sentenza e' stata dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale  delle
disposizioni che ponevano tra i requisiti per reclutamento nel  corso
della Guardia di Finanza l'essere celibe o  nubile,  vedovo  o  senza
prole, ritenendo che le stesse incidessero «sul diritto di  contrarre
matrimonio, discendente  dagli  art.  2  e  29  della  Costituzione»,
spiegando che «L'uso della  discrezionalita'  del  legislatore  nella
determinazione dei requisiti per l'accesso ai  pubblici  uffici  deve
essere soggetto a scrutinio piu' stretto di costituzionalita'  quando
non e' in discussione solo la generica  ragionevolezza  delle  scelte
legislative,   in   relazione   ai   caratteri    dell'ufficio,    ma
l'ammissibilita' di un  requisito  la  cui  imposizione  si  traduce,
indirettamente,  in  una  limitazione   all'esercizio   dei   diritti
fondamentali, quali nella  specie,  oltre  al  diritto  di  contrarre
matrimonio, quello di non essere sottoposti ad interferenze  illecite
nella  vita  privata  (art.  12  della  Dichiarazione  universale   e
nell'art. 8 della Convenzione europea; e vedi  oggi  anche  l'art.  7
della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea».),  sia  in
quella negativa di liberta' di non  sposarsi  e  di  convivere  senza
formalizzare l'unione (cosi' Corte cost. 13 maggio 1998, n. 166). 
    La liberta' di sposarsi (o di non sposarsi)  e  di  scegliere  il
coniuge   autonomamente   riguarda   la   sfera   dell'autonomia    e
dell'individualita' ed e' quindi una scelta sulla quale lo Stato  non
puo' interferire, a  meno  che  non  vi  siano  interessi  prevalenti
incompatibili; ora, nell'ipotesi in cui una persona intenda contrarre
matrimonio con altra persona dello  stesso  sesso  il  tribunale  non
individua alcun pericolo di lesione ad interessi pubblici  o  privati
di rilevanza costituzionale, quali potrebbero essere la  sicurezza  o
la salute pubblica.Tra l'altro, dal 1973  l'omosessualita'  e'  stata
cancellata dal DSM  (Diagnostic  and  Statistical  Manual  of  Mental
Disorders),  il  manuale  che   classifica   i   disturbi   psichici,
trasformandosi da patologia a caratteristiche della personalita'. 
    L'unico importante diritto con il  quale  potrebbe  eventualmente
ipotizzarsi un contrasto e'  quello  dei  figli  di  crescere  in  un
ambiente familiare  idoneo,  diritto  che  corrisponde  anche  ad  un
indiscutibile interesse sociale. E'chiaro tuttavia che tale interesse
potrebbe incidere esclusivamente sul diritto delle coppie omosessuali
coniugate di avere figli adottivi, diritto che  e'  distinto,  e  non
necessariamente connesso, rispetto a quello di contrarre  matrimonio,
tanto che alcuni ordinamenti stranieri, come  si  specifichera'  piu'
avanti,  pur  introducendo  il  matrimonio  tra  omosessuali,   hanno
espressamente  escluso  il  diritto  di  adozione;  in   ogni   caso,
nell'attuale  ordinamento  italiano  ogni   adozione   di   minorenni
presuppone la valutazione  di  idoneita'  affettiva  e  di  capacita'
genitoriale  della  coppia  (si  veda  l'art.  6.2  della  legge   n.
184/1983), evidentemente funzionale alla  valutazione  dell'interesse
del minore adottando, essendo cosi' esclusa ogni automaticita' tra il
matrimonio, la richiesta di adozione e la decisione del tribunale per
i minorenni. 
    Il  secondo  parametro  di  riferimento  da  prendere  in  esame,
strettamente connesso al precedente, e'  quello  di  cui  all'art.  3
della Costituzione, che  vieta  ogni  discriminazione  irragionevole,
conferendo a tutti  i  cittadini  «...pari  dignita'  sociale,  senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di  opinioni
politiche, di condizioni personali e sociali», impegnando lo Stato  a
«rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale,  che  limitano
di fatto la liberta' e l'eguaglianza dei  cittadini,  impediscono  il
pieno sviluppo della persona umana...».  Essendo,  per  quanto  sopra
rilevato, il diritto di contrarre matrimonio un momento essenziale di
espressione della dignita' umana, si ritiene che  esso  debba  essere
garantito a tutti, senza discriminazioni derivanti dal sesso o  dalle
condizioni personali (quali l'orientamento sessuale), con conseguente
obbligo  dello   Stato   d'intervenire   in   caso   di   impedimenti
all'esercizio. 
    Ne consegue che se lo scopo del principio di cui all'art. 3 della
Costituzione e' vietare irragionevoli disparita' di  trattamento,  la
norma - implicita nel nostro sistema - che  esclude  gli  omosessuali
dal diritto di contrarre matrimonio con persone dello  stesso  sesso,
cosi' seguendo il proprio orientamento sessuale (ne' patologico,  ne'
illegale), non abbia alcuna giustificazione razionale, soprattutto se
raffrontata con l'analoga situazione delle persone transessuali, che,
ottenuta la rettificazione di attribuzione di sesso  in  applicazione
della legge 14 aprile 1982, n. 164, possono contrarre matrimonio  con
persone del proprio sesso di nascita. Al riguardo va  rammentato  che
la coerenza con la Costituzione della  legge  n.  164/1982  e'  stata
riconosciuta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 165 del  6
maggio 1985 e che le valutazioni espresse  dalla  Corte  sulla  norma
sospettata d'incostituzionalita' confortano la  tesi  qui  sostenuta,
essendo stata riconosciuta la legittimita' costituzionale  non  tanto
sulla base del fatto che i soggetti  abbiano  compiuto  e  portato  a
termine un trattamento  medico-chirurgico  e  che  vi  sia  stato  il
provvedimento del tribunale (che tramite una sorta  di  fictio  iuris
attribuisce il sesso opposto), ma sulla base di argomenti di ben piu'
ampio respiro. 
    In  particolare,  la  Corte  ha   definito   l'orientamento   del
transessuale come «naturale modo di essere» sostenendo che  la  legge
sospettata d'incostituzionalita', «si e' voluta dare carico di questi
"diversi" ponendo una normativa intesa  a  consentire  l'affermazione
della loro  personalita'  e  in  tal  modo  ad  aiutarli  a  superare
l'isolamento,  l'ostilita'  e  l'umiliazione  che  troppo  spesso  li
accompagnano nella  loro  esistenza  cosi'  operando  il  legislatore
italiano   si   e'   allineato   agli    orientamenti    legislativi,
amministrativi e giurisprudenziali, gia' affermati in numerosi Stati,
fatti propri, all'unanimita' dalla Commissione  della  Corte  europea
dei diritti dell'uomo (decisione  9  maggio  1978,  nel  caso  Daniel
OostenWijck Governo belga) e la  cui  adozione  in  tutti  gli  Stati
membri della Comunita' e'  stata  caldeggiata  con  una  proposta  di
risoluzione presentata al Parlamento europeo nel febbraio 1983  (...)
la legge n. 164 del  1982  si  colloca,  dunque,  nell'alveo  di  una
civilta' giuridica in evoluzione, sempre piu' attenta ai  valori,  di
liberta' e dignita', della persona umana». 
    In  tale   pronuncia   si   coglie   l'attenzione   della   Corte
nell'evidenziare le illegittime discriminazioni subite in  precedenza
dalle persone transessuali,  con  affermazioni  pienamente  mutuabili
anche per gli omosessuali. La Corte e' sembrata attenta a  rispettare
il principio secondo la quale il giudizio di  costituzionalita'  deve
essere ancora piu' pregnante ove il sospetto  riguardi  categorie  di
persone che storicamente abbiano subito illegittime discriminazioni e
che si debba presumere siano particolarmente suscettibili  di  subire
ulteriori    trattamenti     ingiustificatamente     sfavorevoliNella
giurisprudenza statunitense si  parla  in  questi  casi  di  «suspect
class» ossia di categoria in relazione  alla  quale  ogni  intervento
dello   Stato   che   operi   una    discriminazione    sulla    base
dell'appartenenza   ad   essa    deve    presumersi    sospetto,    e
incostituzionale fino a prova contraria. 
    Invero la legge  n.  164  del  1982  ha  profondamente  mutato  i
connotati  dell'istituto  del  matrimonio  civile  consentendone   la
celebrazione tra soggetti dello stesso sesso biologico di incapaci di
procreare,  valorizzando  cosi'  l'orientamento  psicosessuale  della
persona. Con riferimento all'assetto normativo sistematico  delineato
l'identita'  di  sesso  biologico  non  puo'  essere   legittimamente
invocata per escludere gli omosessuali dal matrimonio. 
    Se  e'  vero,  infatti,  che  fattore  meritevole  di  tutela  e'
l'orientamento psicosessuale della persona, non appare in alcun  modo
giustificata  la  discriminazione  tra  coloro  che  hanno   naturale
orientamento psichico che li spinge ad una unione omosessuale, e  non
vogliono  pertanto  effettuare  alcun   interevento   chirurgico   di
adattamento, ne' ottenere la rettificazione anagrafica per conseguire
un'attribuzione di sesso contraria al sesso biologico, - ai quali  e'
precluso il matrimonio -,  e  i  transessuali  che  sono  ammessi  al
matrimonio pur appartenendo allo stesso sesso  biologico  ed  essendo
incapaci di procreare. 
    D'altro canto,  le  opinioni  contrarie  al  riconoscimento  alla
liberta' matrimoniale tra persone dello stesso sesso,  fatte  proprie
dall'Avvocatura  dello  Stato   resistente,   per   giustificare   la
disparita'  di  trattamento  invocano  ragioni  etiche,  legate  alla
tradizione o  alla  natura.  Si  deve  tuttavia  obiettare  che  tali
argomenti non  sono  idonei  a  soddisfare  il  rigore  argomentativo
richiesto dal giudizio di legittimita', non solo perche', come si  e'
gia'  messo  in  luce,  i  costumi  familiari  si  sono  radicalmente
trasformati, ma  soprattutto  perche'  si  tratta  di  tesi  alquanto
pericolose quando si  discute  di  diritti  fondamentali,  posto  che
l'etica e la natura sono state troppo spesso utilizzate per difendere
gravi discriminazioni poi riconosciute  illegittime;  si  pensi  alla
disuguaglianza  tra  i  coniugi  nel  diritto  matrimoniale  italiano
preriforma e al divieto delle donne di svolgere  alcune  professioni,
entrambi fondati sulla convinzione che le donne fossero  naturalmente
piu' deboli; ancora, nell'esperienza anche attuale  di  altri  Paesi,
vanno ricordati il divieto di  contrarre  matrimoni  interrazziali  o
interreligiosi e la punizione di atti sessuali tra omosessuali  anche
se  privati,  giustificati  con  la  contrarieta'   all'etica,   alla
tradizioneLa Corte suprema del  Sudafrica  con  la  sentenza  del  1°
dicembre 2005 ha dichiarato incostituzionale il divieto di matrimonio
omosessuale riconoscendo che «l'antichita' di un pregiudizio  non  e'
una buona ragione per la sua sopravvivenza», notando che  «quando  le
condizioni umane mutano e le  idee  di  giustizia  e  di  equita'  si
evolvono, anche le concezioni dei  diritti  assumono  nuove  trame  e
significato».o addirittura alla religione. 
    A cio' si aggiunga che, come si approfondira' piu' avanti, per  i
diritti degli omosessuali, cosi' come per quelli dei transessuali, vi
sono  fortissime  spinte,  provenienti   dal   contesto   europeo   e
sovranazionale, a superare le discriminazioni di ogni tipo,  compresa
quella che impedisce di formalizzare le unioni affettive. 
    Tali sollecitazioni sono evidentemente tese a  far  si'  che  gli
Stati introducano specifici supporti giuridici e non  si  limitino  a
mere affermazioni di principio; infatti, ogni  difesa  formale  della
liberta', priva di un reale supporto giuridico strutturale, e' debole
e priva di effettivita',  come  insegna  l'Osservazione  del  cammino
compiuto da altre categorie per raggiungere un livello accettabile di
realizzazione dei  propri  diritti.  Basti  pensare,  nell'esperienza
italiana, a quanto e' avvenuto per  le  persone  detenute  e  per  le
persone affette da handicap: ci si riferisce, per  i  detenuti,  alla
c.d. riforma penitenziaria introdotta con la legge 26 luglio 1975, n.
354, con la quale il legislatore ha risposto con una normativa tra le
piu'  avanzate  allo  stimolo  proveniente  proprio  da  una  storica
sentenza  della  Corte  costituzionale   dell'anno   precedente   (n.
204/1974), e per i disabili alla legge 5 febbraio 1992, n. 104 «Legge
quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale  e  i  diritti  delle
persone handicappate»). 
    Un'ulteriore giustificazione per negare il matrimonio omosessuale
e' spesso individuata nel disposto dell'art. 29, 
    primo  comma  della  Costituzione,  laddove  si  afferma  che  la
Repubblica riconosce i diritti della famiglia come «societa' naturale
fondata sul matrimonio» essendosi ritenuto che con  tale  espressione
si  sia  inteso  tutelare  il  solo  nucleo  legittimo  di  carattere
tradizionale, ossia l'unione di un uomo ed una donna  suggellata  dal
vincolo giuridico del matrimonio. 
    In realta', il significato di tale espressione non e'  quello  di
riconoscere il fondamento della famiglia in un  non  meglio  definito
«diritto naturale» quanto piuttosto di affermare  la  preesistenza  e
l'autonomia della famiglia - come comunita' originaria e pregiuridica
- dallo Stato, cosi' imponendo dei limiti al potere  del  legislatore
statale. 
    Che questa fosse l'intenzione del legislatore  storico  e'  messo
ben  in  luce  negli  atti  relativi  al  dibattito  svolto  in  seno
all'Assemblea costituente in relazione all'art. 29 Cost., come emerge
dall'intervento dell'on. Aldo Moro nel corso della adunanza  plenaria
del 15 gennaio 1947. In particolare, in relazione  alla  formula  «la
famiglia e' una societa' naturale» egli sottolineo'  che  «...non  e'
affatto una definizione, anche se ne ha la forma esterna,  in  quanto
si tratta in questo caso di definire la  sfera  di  competenza  dello
Stato nei confronti di una delle formazioni  sociali  alle  quali  la
persona umana da' liberamente vita».  Ed  ancora:  «Escluso  che  qui
"naturale" abbia un significato zoologico o animalesco, o accenni  ad
un legame puramente di fatto, non si vuole dire  con  questa  formula
che la famiglia sia una societa' creata al di fuori di  ogni  vincolo
razionale ed etico. Non e' un fatto, la famiglia, ma  e'  appunto  un
ordinamento giuridico e quindi qui "naturale" sta per  ''razionale''.
D'altra parte non si vuole escludere che la  famiglia  abbia  un  suo
processo di formazione storica, ne' si vuole negare che vi sia sempre
un piu' perfetto adeguamento della famiglia a questa razionalita' nel
corso della storia; ma quando si dice "societa' naturale"  in  questo
momento storico  si  allude  a  quell'ordinamento  che,  perfezionato
attraverso il processo della  storia,  costituisce  la  linea  ideale
della vita familiare. Quando  si  afferma  che  la  famiglia  e'  una
''societa' naturale'', si intende qualche cosa di  piu'  dei  diritti
della famiglia. Non si  tratta  soltanto  di  riconoscere  i  diritti
naturali alla famiglia, ma di riconoscere la famiglia  come  societa'
naturale, la quale abbia le sue leggi ed i suoi diritti di fronte  ai
quali lo Stato, nella sua attivita' legislativa, si deve inchinare». 
    Era d'altra parte assai forte e recente il  ricordo  delle  leggi
razziali: il divieto di matrimonio di  cittadini  italiani  di  razza
ariana con persone appartenenti ad altra razza, la subordinazione del
matrimonio  di  cittadini  italiani  con  persone   di   nazionalita'
straniera al preventivo consenso  del  Ministero  per  l'interno,  il
divieto per gli  ebrei  di  sposarsi  in  terra  italiana,  l'obbligo
d'improntare l'istruzione  e  l'educazione  familiare  al  sentimento
nazionale fascista, tutte norme dirette a salvaguardare uno specifico
concetto di famiglia imposto  dallo  Stato.  Proprio  ricordando  gli
abusi compiuti a  difesa  di  una  certa  tipologia  di  famiglia,  i
Costituenti intesero marcare il confine  tra  autonomia  familiare  e
sovranita' statale, circoscrivendo i poteri del futuro legislatore in
ordine alla sua regolamentazione. Regolamentazione  che  e'  tuttavia
consentita, rectius imposta, ai sensi del secondo comma dell'art.  29
Cost. e di quelli  immediatamente  seguenti,  solo  quando  si  rende
necessario un intervento statale atto a garantire  i  valori,  questi
si' costituzionalizzati, dell'eguaglianza  tra  coniugi,  dell'unita'
familiare, del mantenimento, istruzione ed educazione dei figli. 
    Il fatto  che  la  tutela  della  tradizione  non  rientri  nelle
finalita'  dell'art.  29  Cost.  e  che  famiglia  e  matrimonio   si
presentino come istituti di carattere aperto alle trasformazioni  che
necessariamente si verificano nella storia, e'  poi  indubitabilmente
dimostrato dall'evoluzione che ha interessato la loro disciplina  dal
1948 ad oggi. Il codice  civile  del  1942  recepiva  un  modello  di
famiglia basato su  di  un  matrimonio  indissolubile  e  su  di  una
struttura gerarchica a subordinazione  femminile;  basti  pensare  al
fatto che l'art. 143 parlava solo di  obblighi  reciproci  e  non  di
diritti, alla potesta' maritale dell'art. 144, al dovere  del  marito
di proteggere la moglie di cui all'art 145, all'istituto della  dote.
Tale caratterizzazione autoritaria e  gerarchica  si  traduceva,  sul
fronte penale, nella repressione del solo adulterio femminile,  nella
responsabilita' penale del marito solamente per abuso  dei  mezzi  di
correzione nei confronti della moglie, nella previsione  del  delitto
d'onore, nell'estinzione del reato di violenza carnale  a  mezzo  del
matrimonio riparatore. Sono  ben  noti  gli  interventi  della  Corte
costituzionale a  tutela  dell'eguaglianza  morale  e  giuridica  dei
coniugi, fra cui la storica sentenza n. 126/1968Nella quale si legge:
«il principio che il marito possa violare impunemente l'obbligo della
fedelta' coniugale, mentre la moglie debba essere  punita  -  piu'  o
meno severamente - rimonta  ai  tempi  remoti  nei  quali  la  donna,
considerata  perfino  giuridicamente  incapace  e  privata  di  molti
diritti, si trovava in stato di soggezione alla potesta' maritale. Da
allora molto e' mutato nella vita sociale:  la  donna  ha  acquistato
pienezza di diritti e la sua partecipazione  alla  vita  economica  e
sociale della famiglia e  della  intera  collettivita'  e'  diventata
molto piu' intensa, fino a  raggiungere  piena  parita'  con  l'uomo;
mentre il trattamento differenziato in tema di adulterio  e'  rimasto
immutato, nonostante che in alcuni stati  di  avanzata  civilta'  sia
prevalso il principio  della  non  ingerenza  del  legislatore  nella
delicata materia».che, nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 559, comma 1 e 2 c.p. che puniva il  solo  adulterio  della
moglie,  ha  sottolineato  proprio  il  mutamento   della   societa',
superando cosi' il proprio  orientamento  precedente  solo  di  pochi
anni, con il quale, richiamandosi  al  «tradizionale  concetto  della
famiglia, quale  tuttora  vive  nella  coscienza  del  popolo»  aveva
dichiarato non fondata la medesima questione (sentenza  n.  64/1961).
Anche in questo caso e' stata  proprio  la  Corte  costituzionale  ad
aprire la strada ad una riforma del diritto di famiglia, attuata  con
la legge  del  1975,  effettivamente  in  linea  con  i  principi  di
eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, superando  la  tradizione
ultramillenaria secondo la quale la donna nell'ambito della  famiglia
doveva rivestire un ruolo subordinato. Ancora,  vanno  menzionati  la
mancata costituzionalizzazione dell'indissolubilita' del matrimonio e
la conseguente introduzione  legislativa  del  divorzio,  nonche'  la
progressiva attuazione per via legislativa (da ultimo con la legge n.
54/2006)  del  principio  costituzionale  di  eguaglianza  tra  figli
legittimi  e  figli  naturali:  tutti  esempi  che  dimostrano   come
l'accezione costituzionale di famiglia, lungi dall'essere ancorata ad
una  conformazione  tipica  ed  inalterabile,  si  sia  al  contrario
dimostrata  permeabile  ai  mutamenti  sociali,   con   le   relative
ripercussioni sul regime giuridico familiare. 
    Le considerazioni che precedono sul significato  dell'espressione
«societa' naturale» sull'estraneita'  della  tutela  del  «matrimonio
tradizionale» alle finalita' dell'art. 29 Cost.  portano  a  ritenere
prive di fondamento quelle tesi che giustificano l'implicito  divieto
di matrimonio tra persone dello stesso sesso ricorrendo ad  argomenti
correlati alla capacita' procreativa  della  coppia  ed  alla  tutela
della  procreazione.  Al  riguardo  sarebbe,  peraltro,   sufficiente
sottolineare  come  ne'  la  Costituzione,  ne'  il  diritto   civile
prevedano la capacita' di avere figli come condizione  per  contrarre
matrimonio, ovvero l'assenza di tale  capacita'  come  condizione  di
invalidita'  o  causa  di  scioglimento   del   matrimonio,   essendo
matrimonio e filiazione istituti nettamente distinti. 
    Una volta escluso che sulla disposizione dell'art. 29 Cost. possa
trovare  fondamento  il  trattamento   differenziato   delle   coppie
omosessuali rispetto a quelle  eterosessuali,  si  ritiene  che  tale
norma, proprio nel momento in cui attribuisce  tutela  costituzionale
alla famiglia legittima - contribuendo essa, grazie  alla  stabilita'
del quadro delle  relazioni  sociali,  affettive  ed  economiche  che
comporta, alla realizzazione della personalita' dei coniugi  -  lungi
dal costituire un ostacolo al riconoscimento giuridico del matrimonio
tra  persone  dello  stesso  sesso,  possa  assurgere  ad   ulteriore
parametro, unitamente agli artt. 2 e 3, in base al quale valutare  la
costituzionalita' del divieto. 
    Ulteriore riferimento costituzionale che rileva  nella  questione
in esame e', piu' che  quello  di  cui  all'art.  10,  secondo  comma
(suggerito dai ricorrenti) che riguarda la condizione giuridica dello
straniero, quello di cui all'art. 117, primo comma Cost., che vincola
il legislatore al rispetto  dei  vincoli  derivanti  dall'ordinamento
comunitario e degli obblighi internazionali. Vengono  in  rilievo  al
riguardo, quali norme interposte, innanzitutto gli artt.  8  (diritto
al  rispetto  della  vita  privata  e  familiare),  12  (diritto   al
matrimonio) e 14 (divieto di discriminazione) della  Convenzione  per
la salvaguardia dei fitti dell'uomo e  delle  liberta'  fondamentali.
Con riferimento in particolare  all'art.  8,  la  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo ha accolto una  nozione  di  «vita  privata»  e  di
tutela dell'identita' personale in essa  insita,  non  limitata  alla
sfera individuale, bensi' estesa alla vita di relazione, arrivando  a
configurare un dovere di positivo intervento degli Stati di rimediare
alle  lacune  suscettibili  di  impedire   la   piena   realizzazione
personale. Sempre in relazione al medesimo articolo, nel caso Goodwin
contro Regno unito,  17  luglio  2002,  la  Corte  di  Strasburgo  ha
dichiarato contrario alla Convenzione il divieto  di  matrimonio  del
transessuale  con  persona  del  suo  stesso  sesso  originario,  per
violazione del principio di rispetto della vita privata, superando il
proprio precedente orientamento con il quale aveva  ritenuto  che  il
diritto di  sposarsi  garantito  dall'art.  12  CEDU  potesse  essere
riferito solo a persone di sesso biologico opposto (Rees contro Regno
Unito, 17 ottobre 1986). Va evidenziato come, nel cambiare il proprio
orientamento, la Corte  abbia  fatto  riferimento  a  quello  che  ha
definito  come  «the  very  essence  of  the  right   to   marry»   e
all'artificiosita'  dell'idea  che  i  soggetti  transessuali,   dopo
l'operazione, non sarebbero privati del diritto di sposarsi,  potendo
comunque  sposare  una  persona  del  sesso  opposto  a  quello  loro
originario. In altre parole, la Corte  ha  riconosciuto  che  non  ha
senso essere titolari di un diritto al matrimonio, se poi non si puo'
scegliere con chi sposarsi.  Richiamando  e  ampliando  quanto  sopra
sostenuto relativamente al valore di quanto affermato nella  sentenza
n. 161/1985 della Corte costituzionale, va ribadito che sono evidenti
le analogie esistenti tra la fattispecie  in  merito  alla  quale  la
Corte europea e' stata chiamata ad esprimersi e quella del matrimonio
omosessuale: anche le  persone  omosessuali  non  sono,  formalmente,
private del diritto di sposarsi con una persona del sesso opposto, ma
e' chiaro che non e' a questo tipo di matrimonio al  quale  ambiscono
al fine di realizzare la propria personalita'. 
    Sempre  con  riguardo  all'art.  117,  primo   comma   Cost.,   e
specificamente in relazione all'obbligo per il legislatore statale  e
regionale di rispettare i vincoli posti dall'ordinamento comunitario,
si deve ricordare come anche la Carta di Nizza sancisca i diritti  al
rispetto della vita privata e familiare (art. 7),  a  sposarsi  ed  a
costituire una famiglia (art. 9) e a non  essere  discriminati  (art.
21) fra i diritti fondamentali dell'Unione europea. E'  interessante,
peraltro, notare come l'art. 9 non contenga (deliberatamente  secondo
quanto  affermato  nelle  «spiegazioni»  della   stessa   Carta),   a
differenza dell'art. 12 CEDU, alcun riferimento «l'uomo e la  donna».
Ora, e' vero che la Carta di Nizza non assume valore vincolante,  non
essendo stato ratificato il Trattato di Lisbona nell'ambito del quale
era  stata  inserita,  tuttavia,  secondo  quanto   affermato   dalla
giurisprudenza, anche costituzionale, essa ha  «carattere  espressivo
di principi comuni agli ordinamenti europei» (Corte  cost.,  sentenza
n. 135/2002) e  costituisce  nella  prassi  un  importante  punto  di
riferimento sia  per  le  istituzioni  europee  che  per  l'attivita'
interpretativa dei giudici europei. 
    Non si devono dimenticare in quest'ambito nemmeno gli atti  delle
Istituzioni europee che da tempo invitano gli Stati a  rimuovere  gli
ostacoli che si  frappongono  al  matrimonio  di  coppie  omosessuali
ovvero al riconoscimento di istituti giuridici equivalenti, atti  che
rappresentano, indipendentemente dal loro valore giuridico, la  presa
di posizione a favore del riconoscimento del diritto al matrimonio, o
comunque, in termini piu' generali,  alla  unificazione  legislativa,
nell'ambito degli Stati  membri,  della  disciplina  dettata  per  la
famiglia legittima da estendersi alle  unioni  omosessuali.  Fin  dal
1981, con la raccomandazione n. 924 del 1° ottobre 1981,  1'Assemblea
parlamentare del Consiglio d'europa aveva sentito  la  necessita'  di
garantire la liberta' di scelta dell'orientamento sessuale di ciascun
individuo nonche' la dignita' delle  coppie  omosessuali  all'interno
della Comunita'. Sono seguite poi la Risoluzione  sulla  parita'  dei
diritti delle persone omosessuali nella Comunita' europea in  data  8
febbraio 1994 con la  quale  il  Parlamento  europeo  ha  apertamente
individuato come obiettivo  delle  azioni  comunitarie  la  rimozione
degli «ostacoli frapposti al matrimonio di coppie omosessuali  ovvero
a un istituto giuridico equivalente, garantendo pienamente diritti  e
vantaggi del matrimonio e consentendo la registrazione delle  unioni»
la Risoluzione sul rispetto dei diritti umani nell'Unione europea del
16 marzo 2000 con cui il Parlamento europeo ha  chiesto  «agli  Stati
membri di garantire alle  famiglie  monoparentali,  alle  coppie  non
sposate e alle coppie dello stesso sesso parita' di diritti  rispetto
alle coppie sposate e alle coppie e alle  famiglie  tradizionali,  in
particolare in materia di legislazione fiscale, regime patrimoniale e
diritti sociali». 
    Da ultimo, merita menzione anche la recentissima risoluzione  del
14 gennaio 2009 sulla situazione dei diritti fondamentali nell'Unione
europea 2004-2008 che ha invitato gli Stati membri che si sono dotati
di una  legislazione  relativa  alle  coppie  dello  stesso  sesso  a
riconoscere le norme adottate da altri Stati membri e aventi  effetti
analoghi, ha  esortato  la  Commissione  a  presentare  proposte  che
garantiscano  l'applicazione,  da  parte  degli  Stati  membri,   del
principio di riconoscimento  reciproco  per  le  coppie  omosessuali,
sposate o legate da un'unione civile  registrata,  nella  fattispecie
quando esercitano il loro diritto alla libera  circolazione  previsto
dal diritto dell'Unione europeaAttualmente in Paesi come  il  nostro,
invocando  clausole  di  salvaguardia  come  l'ordine  pubblico,  non
vengono riconosciuti i  matrimoni  contratti  all'estero  da  persone
dello stesso sesso, con l'effetto di limitare grandemente la liberta'
di circolazione, il principio di reciproca fiducia fra Stati membri e
l'insorgenza del fenomeno dei c.d. matrimoni  claudicanti,  validi  o
meno a seconda del Paese  nel  quale  si  trovino  i  coniugi.  e  ha
invitato  gli  Stati  membri  che  non  l'abbiano  ancora  fatto,  in
ottemperanza  al  principio  di  parita',  ad   adottare   iniziative
legislative per eliminare le  discriminazioni  cui  sono  confrontate
alcune coppie in ragione del loro orientamento sessuale (par. 75-77). 
    Infine, si  deve  prendere  atto  di  come,  in  linea  con  tali
risoluzioni  del  Parlamento  Europeo  e  a  conferma   degli   ormai
consolidati mutamenti  dei  modelli  e  dei  costumi  familiari,  nel
diritto di molte nazioni di civilta' giuridica affine alla nostra, si
stia delineando una nozione di relazioni familiari tale da  includere
le coppie omosessuali. In  Olanda  (legge  1°  aprile  2001),  Belgio
(legge 1° giugno 2003) e Spagna  (legge  30  giugno  2005)  e'  stato
rimosso tout court il divieto di sposare  una  persona  dello  stesso
sesso; altri  Paesi  prevedono  un  istituto  riservato  alle  unioni
omosessuali (ci si riferisce alle Lebenspartnerschaft tedesche e alle
registered partnership inglesi) con disciplina analoga a  quella  del
matrimonio, o al quale e' stata semplicemente  estesa  la  disciplina
matrimoniale, con l'esclusione, talvolta, delle disposizioni inerenti
la potesta' sui figli  e  l'adozione  (Svezia,  Norvegia,  Danimarca,
Finlandia, Islanda). Fra i Paesi che ancora non hanno  introdotto  il
matrimonio  o  forme  di  tutela  paramatrimoniali,  molti   comunque
prevedono forme di registrazione pubblica delle  famiglie  di  fatto,
comprese quelle omosessuali (Francia, Lussemburgo, Repubblica Ceca). 
    E' sulla base di tutte le considerazioni esposte che il Tribunale
e' giunto al convincimento della  non  manifesta  infondatezza  della
questione  di   illegittimita'   costituzionale,   pur   parzialmente
modificando i parametri di riferimento rispetto a quelli indicati dai
ricorrenti, delle norme di cui agli artt.  107,  108,  143,  143-bis,
156-bis  e  231  c.c.  laddove,  sistematicamente  interpretate,  non
consentono  che  le  persone  di  orientamento  omosessuale   possano
contrarre matrimonio con persone dello  stesso  sesso;  valutera'  la
Corte,  qualora  ritenesse  la  questione  fondata,  se  vi  sia   la
necessita' di estendere la  pronuncia  anche  ad  altre  disposizioni
legislative  interessate  in  via  di  consequenzialita'   ai   sensi
dell'art. 27 della legge n. 87/1953. 
    In punto di rilevanza, si osserva che l'applicazione delle  norme
indicate e' evidentemente  ineliminabile  nell'iter  logico-giuridico
che questo remittente deve percorrere per la decisione:  infatti,  in
caso di  dichiarazione  di  fondatezza  della  questione  cosi'  come
sollevata, il rifiuto alle pubblicazioni - la cui richiesta  dimostra
inequivocabilmente la volonta' di  contrarre  matrimonio  -  dovrebbe
ritenersi, in assenza di altra causa di rifiuto, illegittima, mentre,
in  caso  di  non  accoglimento,  l'attuale  stato  della   normativa
imporrebbe una pronuncia di rigetto del ricorso. Per  completezza  si
osserva che,  a  fronte  del  rifiuto  alla  pubblicazione  da  parte
dell'ufficiale dello  stato  civile,  essendo  la  pubblicazione  una
formalita' necessaria  per  poter  procedere  alla  celebrazione  del
matrimonio, non e' individuabile alcun altro procedimento nell'ambito
del quale valutare la questione. 
(1) Legge 19 maggio 1975 n. 151 riforma del diritto di famiglia. 
(2) 107. Forma  della  celebrazione.  Nel  giorno  indicato  dalle  parti
l'ufficiale   dello   stato   civile,   alla    presenza    di    due
testimoni...riceve da ciascuna delle parti personalmente, l'una  dopo
l'altra,   la   dichiarazione   che   esse   si   vogliono   prendere
rispettivamente in marito e  in  moglie...  108.  Inopponibilita'  di
termini e condizioni.  La  dichiarazione  degli  sposi  di  prendersi
rispettivamente in marito e moglie non puo' essere sottoposta  ne'  a
termine ne' a condizione. 
(3) 143. Diritti e doveri reciproci dei coniugi.  Con  il  matrimonio  il
marito e la  moglie  acquistano  gli  stessi  diritti  e  assumono  i
medesimi doveri. 143-bis. Cognome della moglie. La moglie aggiunge al
proprio cognome quello del marito e  lo  conserva  durante  lo  stato
vedovile, fino a che passi a  nuove  nozze.  156-bis.  Cognome  della
moglie. Il giudice puo' vietare alla moglie  l'uso  del  cognome  del
marito, quando tale uso sia a lui gravemente pregiudizievole  e  puo'
parimenti autorizzare la  moglie  a  non  usare  il  cognome  stesso,
qualora dall'uso possa derivarle grave pregiudizio. 
(4) Il marito e' il padre del figlio concepito durante il matrimonio (231
c.c.);  l'adulterio  della  1ª  moglie  o  l'impotenza   del   marito
consentono l'azione di disconoscimento (art. 235 c.c.). 
(5) Con   questa   sentenza   e'   stata   dichiarata    l'illegittimita'
costituzionale delle disposizioni che ponevano tra  i  requisiti  per
reclutamento nel corso della Guardia di  Finanza  l'essere  celibe  o
nubile, vedovo o senza prole, ritenendo  che  le  stesse  incidessero
«sul diritto di contrarre matrimonio, discendente dagli art. 2  e  29
della Costituzione», spiegando che «L'uso della discrezionalita'  del
legislatore nella  determinazione  dei  requisiti  per  l'accesso  ai
pubblici uffici deve essere soggetto  a  scrutinio  piu'  stretto  di
costituzionalita' quando non  e'  in  discussione  solo  la  generica
ragionevolezza delle scelte legislative, in  relazione  ai  caratteri
dell'ufficio, ma l'ammissibilita' di un requisito la cui  imposizione
si traduce, indirettamente,  in  una  limitazione  all'esercizio  dei
diritti  fondamentali,  quali  nella  specie,  oltre  al  diritto  di
contrarre matrimonio, quello di non essere sottoposti ad interferenze
illecite nella vita privata (art. 12 della Dichiarazione universale e
nell'art. 8 della Convenzione europea; e vedi  oggi  anche  l'art.  7
della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea». 
(6) Tra l'altro, dal 1973 l'omosessualita' e' stata  cancellata  dal  DSM
(Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders),  il  manuale
che classifica i disturbi psichici,  trasformandosi  da  patologia  a
caratteristiche della personalita'. 
(7) Nella giurisprudenza statunitense si parla in questi casi di «suspect
class» ossia di categoria in relazione  alla  quale  ogni  intervento
dello   Stato   che   operi   una    discriminazione    sulla    base
dell'appartenenza   ad   essa    deve    presumersi    sospetto,    e
incostituzionale fino a prova contraria. 
(8) La Corte suprema del Sudafrica con la sentenza del 1°  dicembre  2005
ha dichiarato incostituzionale il divieto di  matrimonio  omosessuale
riconoscendo che «l'antichita' di un pregiudizio  non  e'  una  buona
ragione per la sua sopravvivenza», notando che «quando le  condizioni
umane mutano e le idee di giustizia e di equita' si  evolvono,  anche
le concezioni dei diritti assumono nuove trame e significato». 
(9) Nella quale si legge: «il  principio  che  il  marito  possa  violare
impunemente l'obbligo della  fedelta'  coniugale,  mentre  la  moglie
debba essere punita - piu' o meno  severamente  -  rimonta  ai  tempi
remoti  nei  quali  la  donna,  considerata  perfino   giuridicamente
incapace  e  privata  di  molti  diritti,  si  trovava  in  stato  di
soggezione alla potesta' maritale. Da allora molto  e'  mutato  nella
vita sociale: la donna ha acquistato pienezza di  diritti  e  la  sua
partecipazione alla vita economica e sociale della famiglia  e  della
intera  collettivita'  e'  diventata  molto  piu'  intensa,  fino   a
raggiungere  piena  parita'  con  l'uomo;   mentre   il   trattamento
differenziato in tema di adulterio e'  rimasto  immutato,  nonostante
che in alcuni stati di avanzata civilta' sia  prevalso  il  principio
della non ingerenza del legislatore nella delicata materia». 
(10) Attualmente  in  Paesi  come  il  nostro,   invocando   clausole   di
salvaguardia come  l'ordine  pubblico,  non  vengono  riconosciuti  i
matrimoni contratti all'estero da persone  dello  stesso  sesso,  con
l'effetto di limitare grandemente la  liberta'  di  circolazione,  il
principio di reciproca fiducia fra Stati membri  e  l'insorgenza  del
fenomeno dei c.d. matrimoni claudicanti, validi o meno a seconda  del
Paese nel quale si trovino i coniugi. 
                              P. Q. M. 
    Visti gli artt. 134 Costituzione della Repubblica, 1, legge cost.
9 febbraio 1948, n. 1 e 23 e ss. della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale degli artt. 93, 96, 98,  107,  108,  143,
143-bis e 156-bis, nella parte in cui, sistematicamente interpretati,
non consentono che le persone  di  orientamento  omosessuale  possano
contrarre matrimonio con persone dello stesso  sesso,  per  contrasto
con agli artt. 2, 3, 29 e 117, primo comma della Costituzione, 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale, sospendendo il procedimento in corso. 
    Ordina che a cura della cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti, al pubblico  ministero  e  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri, e che ne sia data comunicazione ai Presidenti
delle due Camere del Parlamento. 
        Venezia, addi' 4 febbraio 2009 
                      Il Presidente: Gionfrida 
                                         Il giudice estensore: Guerra