N. 183 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 maggio 2006

Ordinanza del 4 maggio  2006  emessa  dal  Tribunale  di  Napoli  nel
procedimento civile promosso da Orofino Francesco ed  altri  n.q.  di
eredi di Nuzzo Giovanna contro Banca di Roma S.p.A. 
 
Societa' -  Controversie  in  materia  di  diritto  societario  e  di
  intermediazione finanziaria - Procedimento di primo  grado  dinanzi
  al tribunale in composizione collegiale - Disciplina introdotta dal
  legislatore delegante -  Mancata  o  insufficiente  indicazione  di
  principi  e  criteri  direttivi  nella  legge  di   delegazione   -
  Illegittimita' derivata della disciplina introdotta dal legislatore
  delegato. 
- Legge 3 ottobre 2001, n. 366, art. 12; 'per  derivazione',  decreto
  legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, artt. 2, 3, 4, 5, 6,  7,  8,  9,
  10, 11, 12, 13, 14, 15, 16 e 17. 
- Costituzione, art. 76. 
In via subordinata: Societa' - Controversie  in  materia  di  diritto
  societario e di intermediazione finanziaria - Procedimento di primo
  grado dinanzi al tribunale in composizione collegiale -  Disciplina
  introdotta dal legislatore delegato - Difformita'  dai  principi  e
  criteri direttivi posti dalla legge delega 3 ottobre 2001, n. 366 -
  Eccesso di delega. 
- Decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, artt. 2, 3, 4, 5, 6,  7,
  8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16 e 17. 
- Costituzione, art. 76, in relazione all'art. 12 della legge  delega
  3 ottobre 2001, n. 366. 
(GU n.27 del 8-7-2009 )
                            IL TRIBUNALE 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile  iscritta
al n. 21446/2005 R.G., avente ad oggetto: contratto  di  investimento
finanziario tra Orofino Francesco, Orofino Giorgio, Orofino Fabio  ed
Orofino Luca, tutti in qualita' di eredi della sig.ra Giovanna Nuzzo,
nonche'  Orofino  Francesco  anche  in  proprio,  rapp.ti  e   difesi
dall'avv. Fulvio Ceglio ed elettivamente dom.ti presso lo  stesso  in
Napoli, via Pergolesi n. 1 (studio Spagnolo Vigorita), attori e Banca
di Roma S.p.A., in persona dei legali rapp.ti pro tempore, rapp.ta  e
difesa dagli avv. Francesco Carbonetti, Fabrizio Carbonetti e  Renato
Buonincontro, ed elettivamente dom.ta presso quest'ultimo in  Napoli,
corso Meridionale n. 29, in virtu' di mandato  in  calce  alla  copia
notificata della citazione, convenuta. 
    Letti gli atti ed i verbali di causa; 
    Visto il  decreto  del  20  febbraio  2006,  emesso  dal  giudice
designato, dott. Antonio Mungo, ai sensi dell'art. 12 del  d.lgs.  n.
5/2003,  applicabile  nella   specie   vertendosi   in   materia   di
declaratoria di  nullita'  e  risarcimento  danni,  relativamente  ad
operazioni di intermediazione finanziaria; 
    Sentite le parti all'udienza del 3 maggio 2006; 
                            O s s e r v a 
    Preliminarmente questo tribunale, come gia' avvenuto in  analoghe
ipotesi,  ritiene  di  sollevare   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 12 della legge n. 366/2001  con  riferimento
all'art. 76 della Costituzione nella parte in cui,  in  relazione  al
giudizio ordinario di primo grado in materia societaria, non indica i
principi ed i criteri  direttivi  che  avrebbero  dovuto  guidare  le
scelte del legislatore delegato e, per derivazione, degli articoli da
2 a 17 del decreto legislativo n. 5 del 17 gennaio 2003, nonche',  in
via subordinata, degli articoli da 2 a 17 del decreto legislativo  n.
5 del 17 gennaio 2003 in relazione all'art.  76  della  Costituzione,
perche' difformi dai principi e dai criteri direttivi  dettati  dalla
legge di delega n. 366/2001. 
    Ed invero, quanto alla non  manifesta  infondatezza  della  prima
delle questioni di legittimita'  costituzionale  sopra  indicate,  si
osserva che l'art. 12 della legge n. 366/2001 dispone: «Il Governo e'
inoltre  delegato  ad  emanare  norme  che,  senza  modifiche   della
competenza per territorio e per materia, siano dirette ad  assicurare
una  piu'  rapida  ed  efficace  definizione  di  procedimenti  nelle
seguenti materie: 
        a) diritto societario, comprese le controversie  relative  al
trasferimento delle partecipazioni sociali ed ai patti parasociali; 
        b) materie disciplinate dal testo unico delle disposizioni in
materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo
24 febbraio 1998, n. 58, e  successive  modificazioni,  e  dal  testo
unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto
legislativo 10 settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni. 
    2. Per il perseguimento delle finalita' e nelle materie di cui al
comma 1, il Governo e' delegato a dettare regole processuali, che  in
particolare possano prevedere: 
        a) la concentrazione del  procedimento  e  la  riduzione  dei
termini processuali; 
        b) l'attribuzione di tutte le controversie nelle  materie  di
cui al comma i al tribunale in composizione collegiale, salvo ipotesi
eccezionali di giudizio monocratico in  considerazione  della  natura
degli interessi coinvolti; 
        c) la  mera  facoltativita'  della  successiva  instaurazione
della causa di merito dopo l'emanazione di  un  provvedimento  emesso
all'esito di un procedimento sommario  cautelare  in  relazione  alle
controversie nelle materie di cui al  comma  1,  con  la  conseguente
definitivita'  degli  effetti  prodotti   da   detti   provvedimenti,
ancorche' gli stessi non acquistino efficacia di giudicato  in  altri
eventuali giudizi promossi per finalita' diverse; 
        d)  un  giudizio  sommario  non   cautelare,   improntato   a
particolare  celerita'  ma  con  il  rispetto   del   principio   del
contraddittorio, che conduca  alla  emanazione  di  un  provvedimento
esecutivo anche se privo di efficacia di giudicato; 
        e) la possibilita' per il giudice  di  operare  un  tentativo
preliminare di conciliazione, suggerendone espressamente gli elementi
essenziali, assegnando eventualmente un termine per la  modificazione
o la rinnovazione di atti negoziali su cui verte la causa e, in  caso
di   mancata    conciliazione,    tenendo    successivamente    conto
dell'atteggiamento al riguardo assunto  dalle  parti  ai  fini  della
decisione sulle spese di lite; 
        f) uno  o  piu'  procedimenti  camerali,  anche  mediante  la
modifica degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile
ed in  estensione  delle  ipotesi  attualmente  previste  che,  senza
compromettere  la  rapidita'  di  tali  procedimenti,  assicurino  il
rispetto dei principi del giusto processo; 
        g) forme di comunicazione periodica dei tempi medi di  durata
dei diversi tipi di  procedimento  di  cui  alle  lettere  precedenti
trattati dai tribunali, dalle Corti  di  appello  e  dalla  Corte  di
cassazione». 
    Cio' posto, si rileva che l'art. 76 della Costituzione stabilisce
che l'esercizio della funzione legislativa non puo'  essere  delegato
al Governo se non con determinazione dei principi e criteri direttivi
e soltanto per un tempo limitato e per oggetti definiti. 
    La migliore dottrina  e  la  stessa  giurisprudenza  della  Corte
costituzionale hanno da sempre interpretato tale norma nel senso  che
essa intende vietare non solo il trasferimento di pieni poteri  dalle
Camere al Governo, ma qualunque legge delegante  che  non  operi  una
previa determinazione della  portata  e  del  tipo  della  disciplina
delegata, cosicche' l'attivita' del Governo  risulti  sostanzialmente
vincolata  a  realizzare  con  un  circoscritto  margine  di   scelta
operativa una serie di risultati gia' precostituiti  da  parte  delle
Camere,  assolvendo  in  sostanza  le  norme  delegate  una  funzione
attuativa delle norme deleganti. 
    Conseguentemente il legislatore ordinario deve stabilire principi
e criteri cosi' specificati da far  prevedere  l'esito  finale  della
delega, pena l'incostituzionalita' della legge delega per genericita'
ed indeterminatezza. 
    Orbene, ritiene  questo  tribunale  che  nel  caso  in  esame  il
legislatore delegante non ha indicato con sufficiente  determinazione
i principi ed i criteri direttivi che  avrebbero  dovuto  guidare  il
legislatore delegato. 
    Dal dettato dell'art. 12, legge n. 366/2001, infatti - escludendo
il riferimento ai principi dettati in tema di giudizio cautelare  che
riguardano  profili  non  rilevanti  nel  presente  giudizio -   sono
estrapolabili i seguenti  principi:  1)  divieto  di  modifica  della
competenza per territorio e per materia; 2) necessita' di  assicurare
una  piu'  rapida  ed  efficace  definizione  di   procedimenti;   3)
possibilita' di dettare regole processuali che in particolare possano
prevedere: a) la concentrazione del procedimento e la  riduzione  dei
termini processuali; b) l'attribuzione di tutte le controversie nelle
materie di cui al comma 1 al tribunale  in  composizione  collegiale,
salvo ipotesi eccezionali di giudizio monocratico  in  considerazione
della natura degli interessi coinvolti; c)  la  possibilita'  per  il
giudice  di  operare  un  tentativo  preliminare  di   conciliazione,
suggerendone  espressamente  gli  elementi   essenziali,   assegnando
eventualmente un termine per la modifica o la  rinnovazione  di  atti
negoziali su cui verte la causa e, in caso di mancata  conciliazione,
tenendo successivamente conto dell'atteggiamento al riguardo  assunto
dalle parti ai fini della decisione sulle spese di lite. 
    Nella legge n. 366/2001, quindi, il legislatore si e' limitato ad
indicare  le  materie  nelle  quali   il   Governo   sarebbe   potuto
intervenire, l'obiettivo  di  rendere  piu'  rapida  ed  efficace  la
definizione dei procedimenti, il divieto di modificare la  competenza
per territorio  e  per  materia,  la  tendenziale  collegialita'  del
procedimento, la possibilita' di valutare l'atteggiamento delle parti
in sede di tentativo di conciliazione e la  possibilita'  di  dettare
regole che favorissero la riduzione dei termini e  la  concentrazione
del procedimento. 
    Nulla tuttavia la legge delega ha detto  in  ordine  allo  schema
processuale da adottare, lasciato non piu' alla scelta discrezionale,
ma all'arbitrio del legislatore delegato, come emerge chiaramente dal
decreto legislativo n. 5 del 17 gennaio 2003, che ha creato un  nuovo
modello di processo. 
    Ed  infatti,  come  indicato   dalla   stessa   relazione   della
commissione ministeriale, il nuovo rito societario  previsto  per  il
processo di cognizione davanti al tribunale  costituisce  un  vero  e
proprio nuovo modello processuale, che si  distacca  volutamente  sia
dal modello processuale del 1942, sia  da  quello  del  processo  del
lavoro del 1973 ed infine anche da quello delineatosi con la  riforma
del 1990. Il nuovo rito di  cognizione  di  primo  grado  davanti  al
tribunale in materia societaria  prevede  tutta  la  prima  fase  del
processo senza l'intervento del giudice; nell'atto  di  citazione  ai
sensi dell'art. 2 non e' piu' indicata l'udienza avanti al giudice ed
il termine che l'attore fissa al convenuto per la comunicazione della
comparsa di risposta e' fissato solo nel minimo, cosi' nella comparsa
di risposta, ai sensi dell'art. 4, il  convenuto  puo'  a  sua  volta
fissare all'attore per eventuale replica un termine stabilito  ancora
una volta solo nel minimo e con lo stesso meccanismo l'art. 6 prevede
la possibilita' di una replica da parte dell'attore  e  l'art.  7  la
possibilita' di una controreplica  da  parte  del  convenuto  e  poi,
ancora,  ulteriori  repliche  e  controrepliche.   Solo   a   seguito
dell'istanza di fissazione di udienza di cui all'art. 8 interviene il
giudice in un momento pero' in cui sia il  thema  decidendum  che  il
thema probandum si sono gia' definitivamente formati,  totalmente  al
di fuori, quindi, del controllo del giudice. D'altra parte la  stessa
istanza  di  fissazione  di  udienza,  con  gli  effetti   preclusivi
rilevantissimi stabiliti dall'art.  10,  e'  uno  strumento  lasciato
nella totale disponibilita' delle parti o anche di una sola di  esse,
che puo' utilizzarlo a suo  piacimento,  nel  momento  ritenuto  piu'
opportuno. Ancora poi va segnalato l'art. 13 in tema di contumacia  o
di costituzione tardiva del  convenuto,  che  introduce  l'innovativo
principio (di cui nella delega non vi e' traccia) per cui nel caso in
cui il convenuto non notifichi la comparsa di  risposta  nel  termine
stabilito o anche solo si costituisca tardivamente «i fatti affermati
dall'attore ... si intendono non contestati  e  il  tribunale  decide
sulla domanda in base alla concludenza di questa». 
    Emerge dunque chiaramente che il legislatore delegato,  in  forza
di una delega assolutamente carente sotto il profilo dell'indicazione
di criteri direttivi, ha potuto  creare  una  disciplina  interamente
nuova per il processo societario di cognizione ordinaria, anticipando
quel rito ordinario prefigurato dal testo redatto  dalla  commissione
ministeriale per la riforma del processo civile. 
    Questo tribunale, quindi, ritiene che non possa andare esente  da
dubbi di costituzionalita' una legge di delega che nel consentire  la
creazione di un nuovo processo,  seppur  circoscritto  a  determinate
materie, si limiti ad indicare un obiettivo,  quello  di  «assicurare
una piu' rapida ed efficace definizione di procedimenti», un  divieto
di «modifica  della  competenza  territoriale  e  per  materia»,  una
preferenza per la collegialita', un rilevante ruolo del tentativo  di
conciliazione  e   un'indicazione   di   massima   a   favore   della
«concentrazione   del   procedimento   e   riduzione   dei    termini
processuali». 
    Di  conseguenza  ad  avviso   del   Collegio,   in   quanto   non
manifestamente   infondata,    va    rimessa    la    questione    di
costituzionalita' dell'art. 12 della legge n.  336/2001  nella  parte
relativa al procedimento ordinario di primo grado e, per derivazione,
degli articoli da 2 a 17 del decreto legislativo n. 5 del 2003. 
    La questione  e',  altresi',  rilevante  in  quanto  la  presente
controversia, rientrando tra quelle di cui alla lettera d)  dell'art.
1 del decreto legislativo n. 5/2003, e' stata promossa e va  trattata
secondo le norme previste dal predetto decreto  -  emanato  in  forza
della suddetta legge di  delega  -  disciplinante  per  l'appunto  il
giudizio di  cognizione  di  primo  grado  davanti  al  tribunale  in
composizione collegiale nelle materie di cui all'art. 1  del  decreto
citato  e,  come   e'   evidente,   dalla   pronunzia   della   Corte
costituzionale dipende l'applicabilita' della intera nuova disciplina
processuale alla concreta fattispecie sottoposta al vaglio di  questo
tribunale. 
    In subordine, e per l'ipotesi in cui la  Corte  dovesse  ritenere
costituzionalmente legittimo  l'art.  12  della  legge  n.  366/2001,
questo tribunale ritiene che  non  sia  manifestamente  infondato  il
dubbio di costituzionalita' degli artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8,  9,  10,
11, 12, 13, 14, 15, 16 e 17 del decreto legislativo n. 5 del 2003 per
contrasto  con  l'art.  76  della  Costituzione,  in  quanto  emanati
eccedendo dai principi e criteri direttivi dettati dalla legge n. 366
del 2001. 
    Ed invero, per  evitare  il  sospetto  d'incostituzionalita'  per
indeterminatezza e genericita' dell'art. 12, legge  citata,  dovrebbe
necessariamente leggersi la legge n. 366/2001,  come  gia'  fatto  da
altri giudici ordinari (cfr. ordinanza del Tribunale di  Brescia  del
18  ottobre  2004  che   ha   rimesso   la   questione   alla   Corte
costituzionale), facendo  riferimento  alla  disciplina  del  vigente
processo di cognizione davanti al tribunale, come contenuta nel libro
II, titolo I, c.p.c., il rito cioe' che sino al 31 dicembre  2003  e'
stato applicato anche alle controversie societarie. La disciplina del
processo di cognizione davanti al tribunale contenuta nel  codice  di
procedura civile prevede che il  processo  si  svolga  attraverso  la
successione di piu' udienze  fisse  e  obbligatorie,  in  particolare
quella di prima comparizione  (art.  180  c.p.c.),  quindi  la  prima
udienza di trattazione (art. 183 c.p.c.), cui puo' seguire un'udienza
per la discussione e l'ammissione delle prove (art.  184  c.p.c.)  ed
eventualmente una seconda udienza, su richiesta delle  parti,  sempre
per la discussione e l'ammissione delle prove (art. 184, primo comma,
seconda parte, c.p.c.) e quindi, all'esito, un'ulteriore  udienza  di
precisazione delle conclusioni  (art.  189  c.p.c.).  Se  si  volesse
individuare una determinatezza dei criteri direttivi nella  legge  di
delega, quindi, dovrebbe necessariamente ritenersi che il legislatore
delegante,   indicando   il   principio   di   «concentrazione    del
procedimento», abbia fatto  evidentemente  riferimento  proprio  alla
suddetta scansione prevista nel processo ordinario. 
    Ugualmente il processo  ordinario  vigente  prevede  che  fra  il
giorno della notificazione  e  quello  dell'udienza  di  comparizione
debbano intercorrere termini liberi non minori  di  sessanta  giorni,
fissa il termine meramente ordinatorio  di  quindici  giorni  per  la
successione fra le varie udienze (art. 81 delle norme  di  attuazione
c.p.c.), stabilisce ai sensi dell'art. 183 c.p.c., quinto  comma,  un
termine massimo di trenta giorni per il  deposito  di  memorie  e  di
altri trenta giorni per le repliche, non prestabilisce nessun termine
per il deposito delle memorie istruttorie ex art. 184  c.p.c.,  primo
comma, seconda parte, prevede il termine di sessanta  giorni  per  il
deposito delle  comparse  conclusionali  e  di  venti  per  eventuali
repliche. 
    Soltanto con il riferimento a tali termini potrebbe riempirsi  di
contenuto la  generica  indicazione  del  legislatore  delegante  del
principio di «riduzione dei termini processuali». Solo questa lettura
- estremamente riduttiva e per questo sottoposta in  via  subordinata
rispetto all'altra - dei principi fissati dal legislatore  delegante,
altrimenti invero generici, sarebbe possibile per evitare  il  dubbio
di costituzionalita' della legge n. 366 del 2001. 
    E' pero' evidente che in questo caso l'articolato contenuto negli
artt. da 2 a 17, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, con  cui  si  e'  data
attuazione alla delega, contrasterebbe con  i  principi  fissati  dal
legislatore delegante  per  «eccesso  di  delega»,  alla  luce  delle
caratteristiche  del  nuovo   rito   societario   come   gia'   sopra
sintetizzate. 
    Il decreto legislativo n. 5/2003, infatti,  non  ha  previsto  un
rito concentrato rispetto  all'attuale  rito  ordinario  disciplinato
dagli artt. 163 ss. c.p.c.,  ma,  come  gia'  sopra  evidenziato,  ha
introdotto  nell'ordinamento  un'anticipazione  del  rito   ordinario
prefigurato dal testo redatto dalla commissione ministeriale  per  la
riforma del processo civile. 
    Anche  la  questione  di  costituzionalita'   proposta   in   via
subordinata e' rilevante ai fini del presente giudizio per le  stesse
ragioni indicate per la questione proposta in via principale. 
    Tanto premesso in fatto ed in  diritto,  ai  sensi  dell'art.  23
della legge 11 marzo 1953, n. 87, va disposta la  trasmissione  degli
atti alla Corte  costituzionale  per  la  decisione  sulla  questione
pregiudiziale di legittimita' costituzionale, siccome rilevante e non
manifestamente infondata, ed il presente giudizio  va  sospeso.  Alla
cancelleria vanno affidati gli adempimenti di competenza, di cui alla
predetta norma. 
                              P. Q. M. 
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dichiara  rilevante  per  il  giudizio   e   non   manifestamente
infondata, in relazione all'art. 76 della Costituzione, la  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 12 della legge  n.  366/2001
nella parte in cui, in relazione al giudizio ordinario di primo grado
in materia societaria, non indica i principi ed i  criteri  direttivi
che avrebbero dovuto guidare le scelte del  legislatore  delegato  e,
per derivazione, degli articoli da 2 a 17 del decreto legislativo  n.
5/2003; 
    In via subordinata, dichiara rilevante  per  il  giudizio  e  non
manifestamente   infondata,   in   relazione   all'art.   76    della
Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale degli artt.
da 2 a 17 del decreto legislativo  n.  5/2003  perche'  difformi  dai
principi e criteri direttivi dettati dalla legge delega n. 366/2001; 
    Ordina alla cancelleria di notificare la  presente  ordinanza  al
Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' di darne comunicazione
al Presidente del Senato della  Repubblica  ed  al  Presidente  della
Camera dei deputati e alle parti del presente giudizio; 
    Dispone l'immediata trasmissione degli  atti,  comprensivi  della
documentazione  attestante  il   perfezionamento   delle   prescritte
notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale; 
    Sospende il giudizio in corso. 
    Si comunichi a cura della cancelleria. 
    Cosi' deciso in Napoli, nella Camera di consiglio  del  3  maggio
2006. 
                       Il Presidente: Baldini