N. 203 ORDINANZA 24 giugno - 2 luglio 2009

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati militari - Abuso d'ufficio commesso da appartenente alle  Forze
  armate con abuso dei poteri o violazione dei doveri  inerenti  allo
  stato di militare - Omessa qualificazione  come  reato  militare  -
  Conseguente  devoluzione  alla  giurisdizione  del  giudice  comune
  anziche'  del  tribunale  militare  -  Denunciata  irragionevolezza
  nonche' violazione  del  principio  della  ragionevole  durata  del
  processo - Richiesta  di  intervento  manipolativo  riservato  alla
  discrezionalita' del legislatore - Manifesta inammissibilita' della
  questione. 
- Cod. pen. milit. pace, art. 37. 
- Costituzione, artt. 3 e 111 
(GU n.27 del 8-7-2009 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso  QUARANTA,  Franco
  GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Maria
  Rita SAULLE, Paolo Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Alessandro
  CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
                              Ordinanza 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 37  del  codice
penale militare di pace, promosso dalla Corte militare  d'appello  di
Roma nel procedimento penale militare a carico di P.A. con  ordinanza
del 21 luglio 2008, iscritta al n. 3 del registro  ordinanze  2009  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4,  1ª  serie
speciale, dell'anno 2009. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio del 20  maggio  2009  il  giudice
relatore Luigi Mazzella. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 21 luglio 2008, la Corte militare
d'appello di Roma ha sollevato, in relazione agli artt. 3 e 111 della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  37
del codice penale militare di pace, nella parte in cui  non  prevede,
come reato militare, il reato di abuso di ufficio di cui all'art. 323
del codice penale,  qualora  commesso  dall'appartenente  alle  Forze
armate con abuso dei poteri o violazione  dei  doveri  inerenti  allo
stato militare; 
        che, riferisce la Corte rimettente,  la  questione  viene  in
rilievo in seguito  all'appello  proposto  dal  difensore  contro  la
sentenza pronunciata, all'esito di giudizio abbreviato,  dal  giudice
dell'udienza preliminare presso il Tribunale militare  della  Spezia,
nei confronti di P.A., quale  detto  militare  era  stato  dichiarato
responsabile di quattro episodi di peculato militare  (art.  215  del
codice penale militare di pace) per essersi appropriato,  tra  il  25
maggio ed il 29 giugno 2004, delle energie lavorative di militari  in
servizio presso il suo reparto, utilizzandoli per  effettuare  taluni
lavori   di    pulizia    nell'alloggio    avuto    in    concessione
dall'amministrazione militare; 
        che il rimettente, condividendo la tesi  dell'appellante,  in
adesione  a  un  diffuso   orientamento   giurisprudenziale   fondato
sull'impossibilita' di concepire, sotto il  profilo  civilistico,  la
«detenzione» della persona umana e, conseguentemente, la  sottrazione
delle relative «energie lavorative»,  ritiene  non  sussumibile  tale
condotta nella fattispecie del peculato e ravvisa  in  tale  condotta
gli estremi del reato di abuso di ufficio; 
        che, pertanto, la Corte rimettente  dovrebbe,  coerentemente,
dichiarare  la  propria  carenza  di  giurisdizione  ed  ordinare  la
trasmissione  degli  atti  al   competente   ufficio   dell'autorita'
giudiziaria  ordinaria,  dal  momento  che,  in  forza   dell'attuale
formulazione  dell'art.  37  del  codice  penale  militare  di  pace,
costituisce reato militare solo ogni  violazione  del  codice  penale
militare di pace e  nella  parte  speciale  del  predetto  codice  e'
previsto il reato di peculato militare, ma non  quello  di  abuso  di
ufficio; 
        che la Corte rimettente, tuttavia, dubita, della legittimita'
costituzionale del citato art. 37 del codice penale militare di  pace
proprio nella parte in cui  non  qualifica  come  reato  militare  la
fattispecie di abuso di ufficio previsto dall'art. 323 cod. pen.,  se
commessa dall'appartenente alle Forze armate con abuso dei  poteri  o
violazione dei doveri inerenti allo stato di militare; 
        che, prosegue il rimettente, se da un lato e' vero  che,  con
la sentenza n. 298 del 1995, la Corte costituzionale, nel  dichiarare
inammissibile la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.
37, primo comma, del codice penale militare di pace, rilevava che, in
forza del principio di stretta legalita', «spetta al legislatore  sia
la creazione di nuove figure di reato, sia la sottrazione  di  alcune
fattispecie alla disciplina comune per ricondurle in  una  disciplina
speciale che  tuteli  piu'  congruamente  gli  interessi  coinvolti»,
d'altro canto, a suo giudizio, le sopravvenute  modifiche  al  quadro
legislativo  ordinario  e  costituzionale  consentirebbero  oggi   di
dubitare della  costituzionalita'  dell'art.  37,  primo  comma,  del
codice penale militare di pace, in relazione agli artt. 3 e 111 della
Costituzione, nella parte in cui detta norma non contempla come reato
militare l'abuso di ufficio previsto dall'art. 323 cod. pen.; 
        che, invero, riferisce il rimettente, l'art 2, lettere  c)  e
i), del decreto-legge 1° dicembre 2001, n. 421 (Disposizioni  urgenti
per  la   partecipazione   di   personale   militare   all'operazione
multinazionale denominata Enduring Freedom), convertito  dalla  legge
31 gennaio 2002, n. 6, ha modificato  l'art.  47  del  codice  penale
militare di guerra,  integrando  la  rubrica  con  le  parole  «Reato
militare ai fini  del  codice  penale  militare  di  guerra»,  ed  ha
individuato diverse categorie  di  reati,  divisi  in  base  al  bene
giuridico protetto, attribuendo ai Tribunali  militari  in  tempo  di
guerra la cognizione di tali categorie di  reato,  nonche'  di  «ogni
altra violazione della legge penale commessa  dall'appartenente  alle
Forze armate in luogo militare o a causa del  servizio  militare,  in
offesa del servizio militare o  dell'amministrazione  militare  o  di
altro militare o di appartenente alla popolazione civile che si trova
nei territori di operazioni all'estero» e di «ogni  altra  violazione
della legge penale, prevista quale delitto in  materia  di  controlli
delle armi, munizioni ed esplosivi e di produzione,  uso  e  traffico
illecito   di   sostanze   stupefacenti   o   psicotrope,    commessa
dall'appartenente alle Forze armate in luogo militare»; 
        che, secondo la Corte rimettente, con la  modifica  dell'art.
47 del codice penale  militare  di  guerra,  il  legislatore  avrebbe
espressamente qualificato «reati militari» le violazioni della  legge
penale comune e di talune leggi penali  speciali  qualora  le  stesse
siano, in concreto, direttamente lesive di interessi militari; 
        che,  rispetto  all'abrogato  art.  264  del  codice   penale
militare di pace, che nella sua formulazione originaria prevedeva  un
meccanismo  di  attribuzione   della   giurisdizione   esclusivamente
formale, la novella  dell'art.  47  del  codice  penale  militare  di
guerra, avrebbe creato «ai fini del codice penale militare di guerra»
tante nuove ed autonome figure  di  reato  militare  quante  sono  le
singole fattispecie oggetto  di  richiamo,  tipizzandole  con  quegli
elementi  oggettivi  o  soggettivi   che,   nella   valutazione   del
legislatore, connotano la lesivita' di interessi militari; 
        che, ai fini del codice penale militare di guerra, dunque, il
reato di abuso di ufficio, contemplato dall'art. 323  c.p.  e'  reato
militare, se commesso dall'appartenente alle Forze armate  con  abuso
dei poteri o violazione dei doveri inerenti allo stato di militare; 
        che, tuttavia, secondo il rimettente, la  nuova  formulazione
dell'art. 47 del codice penale militare di guerra non  sarebbe  stata
introdotta per  estendere  la  giurisdizione  militare  in  tempo  di
guerra, bensi' per ampliare la giurisdizione dei  tribunali  militari
in tempo di pace nel caso  di  corpi  di  spedizione  per  operazioni
militari all'estero; 
        che questi ultimi, ai sensi dell'art.  9  del  codice  penale
militare di guerra, sarebbero soggetti alla legge penale militare  di
guerra «ancorche' in  tempo  di  pace»,  al  punto  che  occorrerebbe
un'espressa  deroga  normativa  per  escludere  nei  loro   confronti
l'applicazione del codice penale militare di guerra; 
        che, dunque, secondo  il  rimettente,  i  tribunali  militari
avrebbero, in tempo di pace, cognizione sul reato militare  di  abuso
di ufficio di cui all'art. 323 cod.  pen.  commesso,  con  abuso  dei
poteri o violazione dei  doveri  inerenti  allo  stato  di  militare,
dall'appartenente  ai  corpi  di  spedizione   all'estero   cui   sia
applicabile  il  codice   penale   militare   di   guerra,   e   cio'
determinerebbe una ingiustificata disparita' di trattamento  rispetto
alle fattispecie di abuso di ufficio realizzate, con abuso dei poteri
o  violazione  dei  doveri  inerenti  allo  stato  di  militare,   da
appartenenti alle Forze armate non destinati a missioni o  spedizioni
all'estero; 
        che, per contro,  nella  parte  speciale  del  codice  penale
militare di pace sarebbero gia' previsti reati militari il cui  fatto
tipico, in quanto coinvolgente la violazione di doveri di correttezza
e di  imparzialita'  del  militare  avente  funzioni  amministrative,
potrebbe anche integrare il reato di abuso di ufficio; 
        che, secondo il rimettente, cio' potrebbe  riscontrarsi,  per
esempio, nel reato di abuso nel lavoro  delle  officine  o  di  altri
laboratori militari (art. 136 del codice  penale  militare  di  pace)
oppure nell'abuso nell'imbarco di merci o passeggeri  (art.  135  del
codice penale militare di pace), nella minaccia a  un  inferiore  per
costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri (art. 146  del
codice penale militare di  pace)  e  finanche  nella  stessa  violata
consegna aggravata  (art.  120,  comma  secondo,  del  codice  penale
militare di pace); 
        che, a parere del rimettente, cio' determinerebbe una  totale
irragionevolezza della ripartizione di  giurisdizione  in  esame,  ma
anche la violazione dell'art. 111, secondo comma, della Costituzione,
laddove detta norma costituzionale, in evidente collegamento  con  il
principio stabilito dall'art. 6, comma 1, della  Convenzione  per  la
salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo,  stabilisce   che   la   legge
«assicura» la ragionevole durata del processo; 
        che, invero,  la  lamentata  mancanza  comporterebbe  che  il
giudice militare, competente, in tempo di pace, a giudicare del fatto
«abusivo»  che  abbia  caratteristiche  aggiuntive  e  specializzanti
rispetto a quello tipizzato dall'art. 323 c.p. (nel  caso  in  esame,
per esempio, il fatto e' contestato all'imputato a titolo di peculato
militare), non possa procedere, ai sensi dell'art. 521, comma 1, cod.
proc. pen., alla diversa definizione giuridica del fatto  nell'ambito
della residuale norma incriminatrice di  abuso  di  ufficio  qualora,
come  nella  fattispecie,  si  ritenga  che  difettino  gli  elementi
specializzanti ipotizzati dall'accusa; 
        che l'irragionevolezza appare al rimettente accentuata  dalla
circostanza che, per quanto detto in precedenza, in virtu'  dell'art.
47 del codice penale militare di guerra il giudice militare  potrebbe
effettuare la diversa qualificazione, quand'anche in tempo  di  pace,
se il fatto abusivo da derubricare fosse contestato  ad  un  militare
appartenente  ad  un  corpo  di  spedizione  all'estero   cui   fosse
applicabile il codice penale militare di guerra; 
        che, in data 11 febbraio 2009, e' intervenuto  nell'incidente
di costituzionalita' il Presidente del Consiglio dei ministri, con il
ministero dell'Avvocatura generale dello Stato, ed ha chiesto che  la
questione sia  dichiarata  inammissibile,  perche'  attinente  a  una
materia rientrante nella discrezionalita' del legislatore; 
        che, nel merito, secondo il Presidente del Consiglio, sarebbe
insussistente la pretesa omogeneita' delle situazioni,  dato  che  la
presenza  di  militari  in  missioni  di  pace   all'estero   sarebbe
circostanza assolutamente eccezionale e di durata limitata nel tempo,
tale quindi da giustificare un  regime,  per  l'appunto,  che  faccia
«eccezione» alla regola insita  nel  codice  militare  di  pace,  che
esclude la natura militare del reato in esame; 
        che la portata eccezionale della  norma  si  giustificherebbe
proprio in ragione del suo campo di applicazione: il  reato  commesso
da militare  all'estero  in  situazioni  assimilabili  al  «tempo  di
guerra», cio' che renderebbe piu' utile (e  semplice)  consegnare  ad
una sola giurisdizione, quella militare, l'accertamento dei reati  in
tale situazione commessi; 
        che, quanto alla supposta violazione dell'articolo 111 Cost.,
l'attribuzione  della  giurisdizione  al   tribunale   militare   non
garantirebbe con sicurezza la contrazione dei tempi  del  processo  e
comunque varrebbe solo in caso di reato monosoggettivo o commesso  in
concorso esclusivamente da  militari,  laddove  invece,  in  caso  di
concorso  di  militari  e  civili  nel  reato  di  abuso   d'ufficio,
prevarrebbe  (art.  264  del  codice  penale  militare  di  pace)  la
competenza dell'autorita' giudiziaria ordinaria. 
    Considerato che la Corte militare d'appello di  Roma  dubita,  in
relazione  agli  articoli  3  e   111   della   Costituzione,   della
legittimita' costituzionale dell'art. 37 del codice  penale  militare
di pace, nella parte in cui non  prevede,  come  reato  militare,  il
reato di abuso di ufficio di cui  all'art.  323  del  codice  penale,
qualora commesso dall'appartenente alle Forze armate  con  abuso  dei
poteri o violazione dei doveri inerenti allo stato militare; 
        che il rimettente reputa irragionevole il criterio di riparto
della giurisdizione previsto dall'art. 37 del codice penale  militare
di pace, in base al quale, per i fatti commessi  in  tempo  di  pace,
sono devolute alla  giurisdizione  dei  tribunali  militari  le  sole
fattispecie  incriminatrici  autonomamente  disciplinate  nel  codice
penale militare di pace e - diversamente da quanto disposto dall'art.
47 del codice penale militare di guerra per i reati commessi in tempo
di guerra e per i reati commessi nel corso delle spedizioni  militari
all'estero - non anche tutti i reati  comunque  lesivi  di  interessi
militari, ancorche' non contemplati nel predetto codice; e reputa, in
particolare, irragionevole che l'abuso di ufficio sia  devoluto,  per
effetto del descritto criterio di riparto, alla giurisdizione comune,
ancorche' il legislatore, per fattispecie incriminatrici analoghe, ad
avviso del rimettente, a tale reato, perche' connotate da un rapporto
di specialita' con lo stesso, abbia invece stabilito la giurisdizione
dei tribunali militari; 
        che la Corte rimettente, in sostanza, chiede una pronuncia di
tipo manipolatorio, sollecitando la ridefinizione del  meccanismo  di
attribuzione della giurisdizione previsto dal legislatore per i reati
commessi in tempo di pace, mediante l'inserimento nella disciplina di
un criterio di  riparto  specificamente  dettato,  dall'art.  47  del
codice  penale  militare  di  guerra,  per   situazioni   del   tutto
eterogenee, di guerra o di particolare  esposizione  a  pericolo  (le
missioni  all'estero),  al   solo,   limitato   scopo   di   ottenere
l'attribuzione  di  una  singola   fattispecie   criminosa   (l'abuso
d'ufficio) alla giurisdizione penale dei tribunali militari; 
        che,  peraltro,  come   gia'   chiarito   da   questa   Corte
nell'ordinanza  n.  402  del  2008,  l'intervento  invocato,  proprio
perche' destinato ad avere effetto solo su una specifica  ipotesi  di
reato,  non  determinerebbe  affatto   il   superamento   di   quella
frammentazione  della  giurisdizione  che  il  rimettente  chiede  di
rimuovere; 
        che l'intervento  richiesto,  in  ogni  caso,  e'  di  quelli
riservati alla discrezionalita' del legislatore, in  quanto,  per  la
sua portata sistematica, postula  una  revisione  dell'intero  quadro
normativo in materia; 
        che la preclusione, per  la  Corte,  di  un  tale  intervento
deriva anche dall'ambito su cui esso inciderebbe, che e'  quello  del
riparto  di  giurisdizione  e   della   composizione   degli   organi
giudicanti, trattandosi di materia rimessa all'ampia discrezionalita'
del legislatore (ordinanze n. 22 e n. 287 del 2007, n. 301 del  2004,
n. 204 del 2001); 
        che, pertanto, per diversi  motivi,  la  sollevata  questione
deve considerarsi manifestamente inammissibile. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
    Dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 37 del codice  penale  militare
di pace, sollevata, con l'ordinanza indicata in epigrafe, dalla Corte
militare d'appello di Roma. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 giugno 2009. 
                       Il Presidente: Amirante 
                       Il redattore: Mazzella 
                       Il cancelliere: Milana 
    Depositata in cancelleria il 2 luglio 2009. 
                       Il cancelliere: Milana