N. 294 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 maggio 2009
Ordinanza del 7 maggio 2009 emessa dalla Commissione tributaria regionale per il Veneto sul ricorso proposto da Grandi Molini Italiani S.p.A. contro Agenzia delle entrate - Ufficio di Rovigo. Contenzioso tributario - Spese del giudizio - Condanna del contribuente soccombente al pagamento delle spese processuali - Liquidazione delle spese a favore dell'ufficio del Ministero delle finanze assistito da funzionari dell'amministrazione - Applicazione della tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato ivi previsti - Appello avverso il capo della sentenza concernente le spese di lite, siccome liquidate in misura ritenuta eccessiva e comunque ingiusta in rapporto alla rilevanza e alla complessita' della controversia - Ingiustificata equiparazione, in punto di regime tariffario, tra l'attivita' dell'avvocato e l'assistenza in giudizio prestata da un funzionario amministrativo non necessariamente munito di speciali requisiti di idoneita' professionale - Illogicita' del riferimento alle sole tariffe forensi, in deroga al principio secondo cui la tabella professionale puo' essere utilizzata esclusivamente nei confronti di soggetti esercenti la professione cui essa si riferisce - Irrazionalita' della scelta legislativa di ridurre aprioristicamente del venti per cento gli onorari spettanti ai funzionari dell'amministrazione - Incidenza sul diritto di difesa del contribuente, ingiustamente gravato di una condanna alle spese slegata dai costi effettivi sostenuti dall'amministrazione nel singolo processo - Lesione del principio di parita' delle parti del giudizio tributario, irragionevolmente discriminate in sede di rimborso delle spese processuali. - Decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, art. 15, comma 2-bis, aggiunto dall'art. 12 del decreto-legge 8 agosto 1996, n. 437, convertito, con modificazioni, nella legge 24 ottobre 1996, n. 556. - Costituzione, artt. 3, 24 e 111, comma secondo.(GU n.50 del 16-12-2009 )
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE Ha emesso la seguente ordinanza sull'appello n. 1122/07, depositato il 2 agosto 2007, avverso la sentenza 26 gennaio 2006 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Rovigo. Contro Agenzia entrate Ufficio Rovigo proposto dal ricorrente Grandi Molini Italiani S.p.A., C.so del Popolo, 261 - 45100 Rovigo, difeso da Toniolo Claudio - Basso Caterina - Contra' XX Settembre, 37 - 36100 Vicenza. Atti impugnati: silenzio rifiuto istanza rimb. IRAP 2000; silenzio rifiuto istanza rimb. IRAP 2001; silenzio rifiuto istanza rimb. IRAP 2002; silenzio rifiuto istanza rimb. IRAP 2003; silenzio rifiuto istanza rimb. IRAP 2004. Ritenuto in fatto La societa' Grandi Molini Italiani S.p.A. chiedeva, il 30 novembre 2004, il rimborso dell'IRAP versata negli anni d'imposta dal 2000-2004, per un importo complessivo di € 2.414.992, sulla base della ritenuta incompatibilita' dell'IRAP con la sesta direttiva UE del 17 maggio 1977. Contro il silenzio rifiuto, formatosi sull'istanza di rimborso, ricorreva alla Commissione tributaria provinciale di Rovigo, sostenendo l'illegittimita' dell'IRAP perche' in contrasto con l'art. 33 della sesta direttiva CEE, n. 77 / 388 / CEE, che vieta agli Stati membri di introdurre qualsiasi imposta che abbia le caratteristiche dell'IVA. La Commissione tributaria provinciale respingeva il ricorso, con sentenza n. 26 gennaio 2006 depositata il 27 maggio 2006, e condannava la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in € 8.000,00. La societa' contribuente proponeva appello a questa Commissione tributaria regionale esclusivamente sul punto delle spese di lite. Riconosciuto che la sentenza e' nel merito conforme alla pronuncia della Corte di giustizia in causa C-475/03 depositata il 3 ottobre 2006, la societa' contribuente ne lamentava l'ingiustizia relativamente alla soccombenza quanto a spese, diritti ed onorari, contestandone altresi' la quantificazione ritenuta eccessiva. Asserita, preliminarmente, l'ammissibilita' dell'impugnativa, evidenziava in particolare come, al momento della proposizione del ricorso introduttivo del giudizio, fosse pendente dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunita' europee il procedimento C-475/03 volto a sostenere la illegittimita' dell'IRAP, in quanto imposta calcolata sul valore aggiunto della produzione con caratteristiche analoghe all'IVA. In vista della possibilita' che la pronuncia del giudice comunitario dichiarasse il contrasto dell'IRAP con una normativa comunitaria, la societa' aveva attivato, in via cautelare per evitare le conseguenze della decadenza conseguente al decorso del termine di 48 mesi dai singoli versamenti, prima una richiesta di rimborso di quanto nel frattempo versato, inviata all'Agenzia delle entrate, Ufficio di Rovigo; poi, viste anche le conclusioni nel frattempo presentate in sede di giudizio comunitario dall'avvocato generale, un ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Rovigo avverso il silenzio rifiuto dell'Amministrazione finanziaria. Che si trattasse di questione di grande rilevanza e complessita' risultava anche dalla rimessione della controversia alla Grande sezione della Corte di giustizia; del resto l'incertezza della questione emergeva anche dalla circostanza che l'avvocato generale avesse depositato nel marzo del 2005 le proprie conclusioni favorevoli all'accoglimento delle tesi dell'illegittimita' dell'IRAP. Inoltre la stessa Agenzia delle entrate aveva riconosciuto espressamente la complessita' della controversia, facendo presente in una sua circolare (la n. 9/E del 14 febbraio 2007) l'opportunita' di giungere a soluzioni transattive dei contenziosi pendenti in materia. La necessita' di attivarsi in via cautelare, l'assenza di attivita' processuale svolta in attesa della decisione della Corte di giustizia, l'incertezza, la novita', la complessita' della questione, il parere di due avvocati generali che hanno ritenuto l'IRAP in contrasto con la normativa comunitaria, avrebbero, dunque, dovuto, secondo la societa' appellante, indurre la Commissione tributaria di primo grado ad una diversa decisione in ordine alla statuizione sulle spese del giudizio di primo grado, dolendosi, in particolare, del fatto che la sentenza di primo grado avesse liquidato, in favore dell'Amministrazione finanziaria, le spese giudiziali senza distinguere i singoli importi liquidati al titolo di spese, diritti e onorari, come invece sarebbe stato necessario, per di piu' in assenza di deposito della nota spese depositata da parte dell'Amministrazione vittoriosa. Chiedeva quindi, conclusivamente, la riforma della sentenza impugnata nel senso sopra illustrato. L'Agenzia delle entrate, costituendosi nel giudizio d'appello, faceva presente innanzitutto di avere a suo tempo ritualmente depositato presso la Commissione provinciale di Rovigo la nota spese. Contestava, nel merito, la fondatezza delle ragioni dell'appellante, sottolineando come la Commissione provinciale, prima ancora di pronunciarsi nel merito della questione, avesse accolto l'eccezione preliminare sollevato dall'ufficio e quindi respinto il ricorso della Societa', ritenendo che la richiesta di rimborso dell'IRAP dovesse essere compiuta attraverso presentazione di apposita dichiarazione rettificativa di quella originaria, e non tramite presentazione di un'istanza di rimborso. La soccombenza della societa' ricorrente si era verificata quindi anche indipendentemente dalla valutazione nel merito dei motivi di ricorso. Faceva ancora presente, poi, che sul merito della controversia i giudici provinciali si fossero pronunciati con ampie e dettagliate argomentazioni, ben prima che sulla questione giungesse la decisione della Corte di giustizia europea. Pienamente giustificata era, quindi, l'applicazione della previsione dell'art. 15 del d.lgs. n. 546 del 1992, che vuole che la parte soccombente sia condannata a rimborsare le spese del giudizio. L'Ufficio concludeva chiedendo la conferma della pronuncia di primo grado e l'addebito alla parte appellante anche delle ulteriori spese relative al secondo grado di giudizio. Con memoria depositata nell'imminenza dell'udienza di discussione, la Societa' appellante ribadiva che nel giudizio di primo grado era stata depositata una nota spese generale, stilata al momento della costituzione in giudizio e, per questo, necessariamente compilata senza tener conto delle specifiche attivita' difensive che sarebbero state svolte nell'ambito della controversia, ma unicamente in base al solo valore di questa. La Commissione tributaria provinciale aveva, conseguentemente, erroneamente liquidato spese di lite, riconoscendo diritti ed onorari per attivita' non svolte, come, ad esempio, per memorie illustrative mai depositate e per istanze di pubblica udienza mai avanzate, pur essendo tali attivita' state inserite nella nota spese depositata per la liquidazione. Cio' confermerebbe, ad avviso dell'appellante, che le note sono state predisposte dall'Amministrazione in modo generico e uniforme per tutte le potenziali controversie nella presente materia. Faceva rilevare che, in base alle reali attivita' poste in essere dall'Amministrazione - che era stata in giudizio, tanto in primo quanto in secondo grado, a mezzo dei suoi funzionari senza valersi dell'assistenza e della rappresentanza dell'Avvocatura dello Stato - e pur applicando le tariffe professionali nell'importo massimo, la quantificazione degli importi liquidabili sarebbe stata, comunque, differente ed inferiore a quella contenuta nella sentenza appellata. Quanto all'affermazione secondo la quale il giudice di primo grado aveva rigettato il ricorso accogliendo l'eccezione preliminare dell'ufficio sulle modalita' di presentazione dell'istanza da parte della societa', l'appellante rileva che, se pure il punto non ha formato oggetto di impugnazione per evidente carenza di interesse, l'interpretazione della commissione provinciale e' errata, risultando ormai chiarito che la richiesta di rimborso IRAP non necessita di apposita dichiarazione rettificativa e si deve invece attuare con la presentazione dell'istanza di rimborso ex art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973. Considerato in diritto Preliminarmente alla decisione sul merito della controversia occorre affrontare il punto della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale della norma di legge che, nella specie, dovrebbe essere applicata da questo Giudice. A questa Commissione tributaria regionale non appare, infatti, manifestamente infondata la questione della legittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 2-bis, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, come modificato con il d.l. 8 agosto 1996, n. 437 (convertito in legge 24 ottobre 1996, n. 556), il quale dispone che «nella liquidazione delle spese a favore dell'ufficio del Ministero delle finanze, se assistito da funzionari dell'amministrazione, e a favore dell'ente locale, se assistito da propri dipendenti, si applica la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato ivi previsti», in relazione agli articoli 3, 24 e 111 Cost., sotto i profili che di seguito vengono illustrati. Sulla rilevanza. La questione di legittimita' rileva in questo giudizio, riferendosi alla citata disposizione di legge della quale questo Giudice e' chiamato a dare applicazione sulla base del contenuto dell'appello e tenuto conto delle eccezioni sollevate all'Amministrazione appellata. Invero a questo Giudice e' stato richiesto di verificare la legittimita' della sentenza appellata, espressamente contestata dall'appellante, sulla base di uno specifico motivo di appello concernente la congruita' della liquidazione delle spese di lite, da parte del giudice di primo grado, che sarebbe stata asseritamente operata in violazione dei parametri normativi previsti dalla legge. A tali fini, pertanto, questa Commissione tributaria regionale non puo' che fare riferimento alla previsione del citato comma 2-bis dell'art. 15 del decreto legislativo n. 546/1992 (cosi' come modificato dal d.l. n. 437/1996 e successiva legge di conversione n. 556/1996) onde verificare se davvero la quantificazione delle spese di lite, al cui pagamento l'appellante e' stato condannato fosse stata operata in modo non conforme alla previsione normativa dettata dalla citata norma di legge. In simile contesto risulta irrilevante che e l'Amministrazione resistente si fosse costituita in giudizio senza ricorrere al patrocinio e all'assistenza dell'Avvocatura dello Stato, posto che e' l'art. 12, comma 4, del citato decreto legislativo n. 546/1992, che consente espressamente tale forma di assistenza tecnica da parte del funzionario. E' proprio con riferimento alla situazione processuale descritta che l'art. 15, comma 2-bis del d.lgs. n. 546/1992 prevede espressamente che, in tal caso, le spese da porre a carico della parte soccombente siano liquidate dal Giudice applicando «la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato ivi previsti». Secondo il diritto vivente, poi, come espresso dalla costante giurisprudenza della Suprema Corte, la condanna alle spese presuppone, oltre alla soccombenza nella lite, anche il deposito di una nota, ai sensi dell'art. 77 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, che contenga «... in modo distinto e specifico gli onorari e tutti i costi sostenuti» (cfr. Cass. sez. 5, sentenza n. 1035 del 18 gennaio 2008 - Rv. 601181). Nel caso di specie la nota spese risulta regolarmente depositata nel giudizio di primo grado dall'Agenzia delle entrate, pur essendo stata contestata dall'appellante, sotto diversi profili, la sua congruita' e la sua stessa conformita' al citato secondo comma 2-bis dell'art. 15 d.lgs. n. 546/1992. Inoltre, sempre secondo il diritto vivente, la citata norma di legge e' stata varata dal legislatore proprio per consentire una difesa dell'Amministrazione senza avere la necessita' di ricorrere a piu' onerosi difensori muniti di abilitazione professionale: «... Il funzionario del comune ha soltanto tutelato in giudizio gli interessi del comune, ha cioe' svolto le funzioni di assistenza processuale o difesa tecnica di cui all'art. 12 del d.lgs. n. 546/1992; questo intervento di funzionari comunali, previsto dalla legge processuale, risponde alla ovvia esigenza di evitare il sistematico e costoso ricorso ad avvocati del libero foro e trova esplicita sanzione nell'art. 15, comma 2-bis del citato d.lgs. n. 546/1992 secondo cui "nella liquidazione delle spese a favore ... dell'ente locale, se assistito da propri dipendenti, si applica la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato ivi previsti".» (Cosi' Cass. sez. 5, sentenza n. 20042 dell'8 ottobre 2004 - Rv. 577640). Del resto la piena legittimita' dei compimento di tipici atti difensionali da parte del pubblico funzionario e' stata espressamente riconosciuta dalla giurisprudenza del Supremo collegio che ha avuto modo di stabilire che: «In tema di contenzioso tributario, fermo rimanendo, in ordine alla capacita' di stare in giudizio degli enti locali, ai sensi dell'art. 11, comma 3, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che il comune sta in giudizio mediante il sindaco, quale organo di rappresentanza previsto dall'ordinamento, dell'ente, deve ritenersi che, poiche', come risulta dall'art. 15, comma 2-bis, del decreto citato, a tale organo di rappresentanza e' consentito di farsi assistere nel giudizio da funzionari comunali, questi debbono considerarsi pienamente abilitati a sottoscrivere - beninteso in nome dell'organo rappresentativo e non gia' dell'ufficio ricoperto - tutti gli atti necessari per lo svolgimento della funzione di assistenza ad essi specificamente demandata, compreso, onde rendere pieno ed effettivo l'esercizio del diritto di difesa dell'ente, il potere di sottoscrivere gli atti introduttivi o di costituzione in giudizio (nella fattispecie, la Suprema Corte ha ritenuto valida la costituzione del comune nel giudizio di appello effettuata con atto sottoscritto dal funzionario responsabile dell'Ufficio tributi non in virtu' dell'ufficio ricoperto, ma in quanto delegato dal sindaco alla difesa dell'ente).» (In questi termini Cass. sez. 5, Sentenza n. 15639 del 12 agosto 2004 - Rv. 575492). Peraltro la citata norma di legge, della cui legittimita' costituzionale si dubita, appare in netto contrasto con i principi consolidati del diritto vivente, secondo cui, in una situazione di fatto come quella descritta e in assenza della norma in esame, non sarebbe, invece, legittimo il riconoscimento, da parte del giudice, di diritti ed onorari in relazione alla difesa svolta da un soggetto cui non fossero applicabili le tariffe forensi. Si deve, ad esempio, ricordare che la Corte di cassazione ha ritenuto, con giurisprudenza assolutamente costante (cfr. da ultimo sez. 9 febbraio 2007, n. 2872) e proprio con riferimento all'ipotesi in cui l'Amministrazione stia in giudizio per mezzo di propri funzionari, espressamente prevista dalla legge n. 689/1981 in materia di giudizio di opposizione all'ordinanza-ingiunzione di sanzione amministrativa, che: «Come ... da questa Corte gia' reiteratamente precisato "ove l'autorita' amministrativa, che ha emesso il provvedimento sanzionatorio, stia in giudizio personalmente o avvalendosi, appunto, di un funzionario delegato (come consentito dalla legge n. 689 del 1981, art. 23, comma 4) non puo' essa ottenere la condanna dell'opponente, che sia soccombente, al pagamento dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, difettando le relative qualita' nel funzionario amministrativo che sta in giudizio, per cui sono, in tal caso, in suo favore liquidabili le spese, diverse da quelle generali, che essa abbia concretamente affrontato in quella causa e sempre che tali spese risultino indicate ... in apposita nota (cfr. nn. 8678/93; 9365/97; 6898/98)".». Questo risulta un punto fermo nella giurisprudenza del Supremo collegio che ha gia' avuto modo di precisare - anche nel giudizio del lavoro, in cui l'Amministrazione puo' ugualmente stare in giudizio a mezzo del funzionario delegato - che la condanna del soccombente a rifondere diritti ed onorari di causa puo' essere pronunciata dal Giudice soltanto quando l'amministrazione vittoriosa si sia fatta assistere da un difensore iscritto all'albo degli avvocati: «Si applica pertanto il principio affermato, in particolare da Cass. 28 maggio 1990, n. 4970, secondo cui, qualora una autorita' amministrativa sia rappresentata in giudizio da un difensore, ai sensi degli artt. 82 e 87 cod. proc. civ., il diritto dell'amministrazione al rimborso delle spese di lite, ex art. 91 cod. proc. civ., comprende anche i relativi onorari di difesa e diritti di procuratore, ancorche' detto difensore sia anche un suo dipendente, atteso che quel diritto sorge per il solo fatto che la parte vittoriosa e' stata in giudizio con il ministero di un difensore tecnico. Tale principio non si pone in contrasto con quello espresso da Cass. 13 agosto 1993, n. 8678, richiamato dai ricorrenti, atteso che quest'ultimo si riferisce alla diversa ipotesi (che non ricorre nel caso di specie) nella quale l'autorita' amministrativa sta in giudizio avvalendosi di un funzionario amministrativo appositamente delegato.» (Cosi' Cass. sez. L, sentenza n. 19274 dell'8 settembre 2006 - Rv. 592896). Persino nel caso previsto dall'art. 3 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, quando l'amministrazione sia stata assistita da un funzionario delegato dall'Avvocatura dello Stato in base alla citata norma di legge, si e' sempre stabilito che possano essere rimborsate ad essa dal soccombente soltanto le spese vive, con esplicita esclusione del riconoscimento di diritti ed onorari di causa (cfr. sez. 1, sentenza n. 6454 del 29 novembre 1988 - Rv. 460782). Sempre nel senso dell'inapplicabilita', per il diritto vivente, delle tabelle professionali degli avvocati a soggetti diversi da quelli, si rammenta ancora che la Corte di cassazione, sez. II, n. 11128 del 2006, ha ritenuto, in un caso in cui un collegio arbitrale era composto, oltre che da avvocati, anche da altro professionista (architetto), che non potesse trovare applicazione la tabella che prevede gli onorari spettanti agli avvocati per le attivita' stragiudiziali, indicandone il minimo ed il massimo secondo il valore della controversia. «Tale disposizione, infatti, contenuta nella disciplina dei compensi per l'attivita' forense anche stragiudiziale e pertinente, quindi, ai soli soggetti iscritti al relativo albo e solo nei loro confronti vincolante, non puo' trovare applicazione con riguardo ai collegi arbitrali a composizione mista». In conclusione, dunque, si deve ritenere parte del diritto vivente la regola secondo la quale le tabelle dettate per il computo dei compensi dei professionisti si possano applicare direttamente solamente ai professionisti stessi, con ogni esclusione di applicazione analogica a soggetti che, pur avendo svolto attivita' lavorative anche simili alle loro, non siano in possesso dei requisiti soggettivi propri di quelli. La possibilita', per l'amministrazione, di essere rimborsata dal soccombente delle somme dovute per diritti ed onorari, invece, e' sempre stata esclusa quando la stessa non si sia avvalsa di difesa tecnica ma si sia limitata a farsi rappresentare ed assistere in giudizio - nei soli casi in cui la legge lo consenta - da un suo funzionario a cio' delegato. Il presente giudizio, pertanto, non potrebbe essere definito quanto alla richiesta verifica della congruita' della statuizione sulle spese di lite contenuta nella sentenza appellata senza dare applicazione alla citata norma di legge, della cui legittimita' costituzionale, tuttavia, questo Giudice nutre dubbi non manifestamente infondati per le ragioni di seguito illustrate. Di qui l'accertata rilevanza della questione che si prospetta, ai fini di rendere possibile la decisione di questa Commissione tributaria regionale sull'appello proposto dalla Societa' Grandi Mulini Italiani S.p.A. Sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale. La disposizione appare in contrasto sia con l'art. 3 della Costituzione, sotto diversi profili, sia con l'art. 111, secondo comma, Cost., dato che introduce una irragionevole e ingiustificata disparita' di trattamento fra le parti del giudizio tributario sia, infine, con l'art. 24 Cost. per l'ostacolo che la norma determina al libero esercizio del diritto di difesa, come di seguito meglio precisato con riferimento a ciascuna delle menzionate norme costituzionali. Il parametro dettato dall'art. 3 Cost. Sotto un primo profilo la disposizione in questione appare in contrasto con l'art. 3 Cost. per l'ingiustificata assimilazione, che essa opera, di situazioni obiettivamente disomogenee e la conseguente irragionevole disparita' di trattamento cosi' determinata. Essa infatti impone al giudice tributario (vincolandolo, cosi', in modo espresso) di ricorrere, per la liquidazione delle spese in favore dell'Amministrazione finanziaria e da porre a carico della parte soccombente, alla «... tariffa vigente per gli avvocati e procuratori». Le tariffe in questione (che riguardano sia i diritti che gli onorari spettanti all'avvocato in ragione del tipo di attivita' svolta e che prevede anche un rimborso forfettario delle spese generali, nella misura del 12,5%) sono contenute nelle c.d. tabelle forensi che sono state concepite e che hanno per oggetto la specifica attivita' professionale dell'avvocato. Esse vengono approvate con decreto ministeriale del Ministro della giustizia sulla base di diverse previsioni di legge quali l'art. 1 della legge 3 agosto 1949, n. 536, concernente «Tariffe forensi in materia penale e stragiudiziale e sanzioni disciplinari per il mancato pagamento dei contributi previsti dal decreto luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 382»; l'art. 3 del decreto legislativo luogotenenziale 22 febbraio 1946, n. 170, recante «Aumento degli onorari di avvocato e degli onorari e diritti di procuratore»; l'articolo unico della legge 7 novembre 1957, n. 1051, recante «Determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennita' spettanti agli avvocati e procuratori per prestazioni giudiziali in materia civile». Il piu' recente decreto ministeriale di approvazione delle tariffe forensi (d.m. 8 aprile 2004, n.127 , nella Gazzetta Ufficiale n. 115 suppl. ord. del 18 maggio 2004, titolato «Regolamento recante determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennita' spettanti agli avvocati per le prestazioni giudiziali, in materia civile, amministrativa, tributaria, penale e stragiudiziali.») contiene prescrizioni normative tali da mettere in evidente, stretta correlazione il compenso tabellarmente previsto con la particolare attivita' professionale svolta, nel singolo caso, dall'avvocato. Cosi', ad esempio, l'Annesso A), sub art. 5, comma 1, prevede che nella liquidazione degli onorari a carico del soccombente si debba tener conto di una serie di parametri (natura e valore della controversia, importanza e numero delle questioni trattate, grado dell'autorita' adita) avendo, pero', «... speciale riguardo all'attivita' svolta dall'avvocato davanti al giudice». E all'art. 4 dello stesso Annesso A) e' previsto che «... qualora fra le prestazioni dell'avvocato e l'onorario previsto dalle tabelle appaia, per particolari circostanze del caso, una manifesta sproporzione, possono essere superati i massimi indicati nelle tabelle ...». Oppure, in Annesso D) concernente la tariffa in materia penale, l'art. 1, comma 1 prevede, tra l'altro, l'obbligo di considerare «... il pregio dell'opera prestata» al fine di operare la liquidazione degli onorari in favore dell'avvocato. Ed il successivo comma 2 prevede la possibilita' di aumentare gli onorari fino al quadruplo dei massimi stabiliti in tabella nelle «... cause che richiedono un particolare impegno, per la complessita' dei fatti o per le questioni giuridiche trattate ...». Nella relazione che ha accompagnato il provvedimento si e' precisato espressamente che le tariffe riportate nelle tabelle esprimono il valore «... degli onorari, dei diritti e delle indennita' dovuti agli avvocati per l'esercizio della attivita' professionale». Inoltre la stessa relazione ha formulato le seguenti significative considerazioni, di carattere generale, sulla correlazione necessariamente esistente tra i compensi tabellarmente previsti e l'attivita' professionale dell'avvocato: «Com'e' noto, nel decennio trascorso si sono succedute rapide trasformazioni nel Paese e nell'amministrazione della giustizia. La professione di avvocato si e' adattata ai mutamenti normativi comportanti modifiche di taluni riti sia civili che penali, alla complicazione del sistema normativo in relazione ai processi di internazionalizzazione dei traffici, all'integrazione del nostro ordinamento giuridico con l'ordinamento comunitario. Tale processo innovativo ha comportato per la professione forense la necessita' di una formazione e di un aggiornamento costanti, la necessita' di una costosa opera di progressiva informatizzazione degli studi professionali e degli altri strumenti per l'esercizio quotidiano dell'attivita', l'adeguamento delle prassi e dei parametri di riferimento deontologici. E' peraltro necessario che i cittadini ricevano dagli avvocati un'opera di assistenza e di tutela adeguata e pronta che, pur nella inevitabile varieta' delle esperienze e delle qualita' personali, offra alla collettivita' standard comuni al di sotto dei quali la protezione del fondamentale diritto di difesa, propria delle democrazie pluraliste contemporanee, si risolverebbe nell'accentuazione delle discriminazioni piuttosto che nell'aumento delle opportunita' per tutti i cittadini. In questo quadro, mantenimento di un sistema di onorari professionali minimi inderogabili appare, ove correttamente inteso, non come un'indebita protezione di operatori professionali ai margini del mercato, ma come la garanzia pubblica che evita alla collettivita' gli effetti piu' dannosi del dispiegamento, senza alcun limite delle dinamiche della concorrenza commerciale. Ad avvalorare tale predicato, la recente sentenza Corte di giustizia delle Comunita' europee 19 febbraio 2002, in causa C35-99, ha posto fine ad un annoso dibattito circa la compatibilita' del sistema tariffario con l'art. 81 del Trattato CE, chiarendo come la deliberazione da parte del Ministro per la giustizia, conseguente alla proposta del Consiglio nazionale, salvaguardi la valenza pubblicistica del relativo procedimento in funzione della protezione degli interessi generali della collettivita', e non gia' degli interessi specifici della categoria professionale. La decisione dell'organo di giustizia comunitario ben si integra con il quadro di riferimento dell'ordinamento italiano vigente, dove la tradizionale collocazione pubblicistica delle organizzazioni di autogoverno degli avvocati, i Consigli degli ordini forensi , si e' arricchita negli ultimi anni di numerose ulteriori funzioni di natura squisitamente pubblica, in ossequio al principio di sussidiarieta', quali quelle connesse al gratuito patrocinio e alla difesa d'ufficio ...». E' fuor di dubbio, pertanto, che le tabelle in questione siano state approvate: a) in relazione alla specifica e qualificata attivita' professionale svolta da un soggetto (l'avvocato) in possesso di particolari titoli che lo abilitano allo svolgimento di tale attivita'; b) in funzione di protezione degli interessi generali della collettivita', garantiti ed assicurati proprio dalla speciale qualificazione professionale dei soggetti abilitata a svolgere l'attivita' forense. Nel caso di specie, pero', in cui questo giudice dovrebbe applicare le citate tabelle in forza di quanto previsto dall'art. 15, comma 2-bis del d.lgs. n. 546/1992 e s.m.i., l'Amministrazione vittoriosa in primo grado non e' stata assistita nel processo da un soggetto avente le caratteristiche professionali proprie dell'avvocato, ma da un funzionario della medesima che non ha, pertanto, in alcun modo svolto quella specifica attivita' professionale che le stesse tabelle considerano come indefettibile presupposto per la loro applicazione. I funzionari dell'amministrazione incaricati della difesa svolgono, invero, attivita' che potrebbero anche apparire analoghe a quelle compiute dal difensore tecnico, ma che sono, comunque, del tutto strutturalmente differenti da quelle, se non altro per difetto, in capo a chi le pone in essere, dei requisiti professionali specifici (non solo di conoscenza tecnica ma anche di preparazione giuridica, di deontologia, di percorso formativo professionale etc.) invece tipici nel soggetto iscritto ad un albo professionale. Occorre tenere presente, infatti, che il rinvio operato dalla criticata disposizione di legge alla tariffa vigente per gli avvocati e procuratori non e' stato nemmeno accompagnato dalla previsione di speciali requisiti professionali in capo ai funzionari degli uffici finanziari incaricati della difesa dell'amministrazione davanti al giudice tributario: non e' stato pevisto, pertanto, che essi vengano scelti tra coloro che esercitano anche la libera professione (come previsto dalla legge per i dipendenti che abbiano optato per un orario di lavoro part time), e siano, dunque, iscritti agli albi professionali; ne' che siano iscritti alle sezioni speciali dell'albo degli avvocati (in cui sono iscritti coloro che esercitano la professione forense alle dipendenze di organi della pubblica amministrazione); ne' e' stato prescritto che possiedano almeno l'abilitazione all'esercizio della professione forense ne' che si tratti di avvocati inquadrati nel ruolo professionale previsto dall'art. 15 della legge n. 70 del 1975, e neppure che siano in possesso del titolo di studio richiesto per l'esercizio di quella professione. Se, allora, la tabella forense e' stata approvata al dichiarato scopo di determinare il compenso per l'opera dei professionisti iscritti all'albo degli avvocati ed esercenti la libera professione, perche' essa sia «adeguato all'importanza dell'opera e al decoro della professione» e sia, nel contempo, idonea a garantire la collettivita' in ragione della certificata (dallo Stato) abilitazione professionale del soggetto svolgente tale attivita', appare, all'evidenza, del tutto ingiustificata, irragionevole e priva di qualsiasi motivazione giuridica (dunque in contrasto con i parametri dettati dall'art. 3 della Costituzione) una norma di legge, quale appunto l'art. 15, comma 2-bis del citato d.lgs. n. 546/1992, che obblighi il giudice ad applicare, in favore dell'amministrazione vittoriosa, la stessa tariffa prevista per gli avvocati e procuratori - tal quale quanto al compenso spettante per diritti di causa e per il rimborso delle spese sostenute, ivi incluse quelle generali quantificate (come e' previsto per i professionisti che quelle spese generali debbono sostenere nello svolgimento della loro attivita') nella misura del 12,5% degli onorari spettanti nel singolo caso; con una indifferenziata riduzione quantitativa del 20% degli importi liquidabili per onorari - pur non essendo stata svolta, in concreto, quella speciale e delicata attivita' professionale di avvocato che le stesse tariffe risultanti dalle tabelle forensi espressamente, invece, presuppongono per la loro applicazione. Situazioni del tutto diverse tra loro hanno ricevuto identico trattamento giuridico nella parte in cui si obbliga il giudice a ricorrere alle tariffe forensi per liquidare, a carico della parte privata soccombente, l'attivita' di difesa svolta a favore della pubblica amministrazione dai suoi stessi funzionari, per i quali non sono stati nemmeno previsti speciali requisiti di idoneita' professionale. Devono, al riguardo, richiamarsi i principi affermati con riferimento al parametro imposto dall'art. 3 Cost. dalla Corte costituzionale con la nota sentenza n. 0163 del 1993 (ud in data 2 aprile 1993), num. mass. 0019540, secondo cui: «Il principio di eguaglianza postula che sia previsto un trattamento normativo uguale o, invece, differenziato nei confronti di classi di soggetti rispettivamente omogenee o non omogenee rispetto al fine obiettivo perseguito dalla norma considerata. Percio', il giudizio costituzionale di eguaglianza impone alla Corte di verificare che non sussista violazione di alcuno dei seguenti criteri: a) la correttezza della classificazione operata dal legislatore in relazione ai soggetti considerati, tenuto conto della disciplina normativa apprestata; b) la previsione da parte dello stesso legislatore di un trattamento giuridico omogeneo, ragionevolmente commisurato alle caratteristiche essenziali della classe (o delle classi) di persone cui quel trattamento e' riferito; c) la proporzionalita' del trattamento giuridico previsto rispetto alla classificazione operata dal legislatore tenendo conto del fine obiettivo insito nella disciplina normativa considerata: proporzionalita' che va esaminata in relazione agli effetti pratici prodotti o producibili nei concreti rapporti della vita». Sulla base di tali principi, pertanto, la questione va sottoposta all'esame della Corte costituzionale, dal momento che non sembra essere stato rispettato dal legislatore il dovere di stabilire il compenso per lo svolgimento dell'attivita' difensiva da parte dei funzionari dipendenti dall'amministrazione in modo adeguato ai requisiti professionali posseduti e del tutto svincolato dai diversi criteri fissati per le tariffe forensi, funzionali alla retribuzione di soggetti che svolgono attivita' professionale diversa da quella del funzionario amministrativo. La disposizione della cui legittimita' si dubita, invece, impone la diretta applicazione della tariffa forense a favore di soggetti che non solo non sono iscritti all'albo degli avvocati ma che non si richiede abbiano neanche una formazione professionale assimilabile alla loro. Cosi' facendo, assimilando, sia pure con la sola riduzione quantitativa prevista per gli onorari, alle prestazioni specialistiche del professionista laureato, abilitato e iscritto all'albo professionale, le attivita' lavorative svolte dal dipendente, che non ha la medesima qualifica professionale, del quale non e' certo e non e' noto se possieda preparazione, formazione, esperienza, titoli di studio, analoghi o paragonabili a quelli richiesti al professionista; omettendo di elaborare una specifica tariffa, pur ispirata eventualmente alla falsariga di quella dettata per gli avvocati, ma calibrata sulle le prestazioni difensionali dei dipendenti dell'amministrazione, il legislatore dell'art. 15, comma 2-bis, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, ha irragionevolmente e ingiustificatamente accomunato quanto a disciplina due situazioni oggettivamente e intrinsecamente diverse. Val la pena di ricordare che, in casi analoghi, il legislatore ha, invece, correttamente provveduto a prevedere una specifica tabella, diversa da quella professionale, per compensare l'opera di dipendenti dell'amministrazione. Ad esempio il decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 - Codice degli appalti; come modificato con il d.lgs. 11 settembre 2008, n. 152, prevede (sub art. 92, 2) che, ove le stazioni appaltanti affidino a loro dipendenti le attivita' di progettazione, tali attivita' siano compensate non gia' con l'applicazione diretta delle tabelle dettate peri professionisti tecnici, ma sulla base di altre specifiche tabelle, determinate dal Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro delle infrastrutture, «tenendo conto delle tariffe previste per le categorie professionali interessate». Cosi' pure per le attivita' di collaudo e' previsto che se affidate ai propri dipendenti, il compenso loro spettante sia stabilito (art. 92, 5) sotto forma di incentivo nella misura del 2% dell'importo posto a base di gara; mentre ove il collaudo sia affidato a professionisti esterni si applicano a questi le tariffe stabilite dal rispettivo ordinamento professionale. Tali tabelle forensi, allora, potrebbero anche valere (come, in effetti, le disposizioni di legge da ultimo citate hanno disposto che valgano, nei casi ivi previsti) come semplice riferimento parametrico, sulla base del quale il legislatore potrebbe elaborare diverse specifiche tabelle, destinate a fornire gli elementi per stabilire il compenso spettante a soggetti diversi dai professionisti iscritti negli albi di categoria quando essi svolgano attivita' similare. Ma non certo giustificato e coerente ai principi costituzionali tutelati dall'art. 3 Cost. appare l'obbligo, invece, imposto al giudice dal citato art. 15, comma 2-bis del d.lgs. n. 546/1992 e s.m.i., di utilizzare direttamente le tabelle professionali valide per gli avvocati a favore della parte pubblica che, nell'ambito di procedimenti giudiziari, non si sia avvalsa dell'opera di un difensore tecnico ma sia, invece, ricorsa ad un proprio funzionario delegato agli incombenti processuali. Sotto un secondo ulteriore profilo, sempre in relazione ad una denunciata irragionevole disparita' di trattamento, rilevante ex art. 3 Cost, si deve considerare che le figure professionali abilitate per legge al patrocinio dinanzi alle Commissione tributarie sono piu' d'una, come prevede espressamente l'art. 12, comma 2 del d.lgs. n. 546/1992. Ove il privato affidi la sua difesa ad uno dei professionisti abilitati diverso dall'avvocato, trova applicazione per la liquidazione delle eventuali spese la tariffa professionale di competenza, e non quella degli avvocati. Il principio, pacificamente riconosciuto a livello di diritto vivente (cfr. Cass. sez. 5s Sentenza n. 3355 del 7 marzo 2002 - Rv. 552908) e' stato, del resto, espressamente previsto dal secondo comma dell'art. 15 del citato d.lgs. n. 546/1992 e s.m.i., allorquando si e' stabilito: «I compensi agli incaricati dell'assistenza tecnica sono liquidati sulla base delle rispettive tariffe professionali». Tale statuizione legislativa, del tutto coerente con i valori costituzionali sopra illustrati, dimostra la chiara volonta' del legislatore di compensare ciascun appartenente alla diversa categoria professionale facendo applicazione della specifica tariffa professionale, in modo da evitare che fossero applicate tabelle a soggetti sprovvisti dei requisiti professionali corrispondenti. E' irragionevole e contraddittorio con quanto stabilito dalla stessa legge, al comma 2, per la parte privata, pertanto, che a tale principio si sia derogato con il comma 2-bis dell'art. 15 del citato d.lgs. n. 546/1992, vincolando il giudice a fare applicazione, per la parte pubblica, sempre e solo della tariffa professionale prevista per gli avvocati, indipendentemente dal contenuto della controversia decisa e/o della tipologia della difesa tecnica scelta dalla parte privata. Scegliendo di rendere applicabile al caso solo la tariffa professionale degli avvocati, anziche' formularne una specifica, o anziche' consentire al giudice di determinare il compenso per analogia, ed imponendone l'applicazione in modo diretto ed esclusivo, la disposizione ha contraddittoriamente operato in contrasto con il principio secondo cui la tabella professionale puo' essere utilizzata esclusivamente nei confronti di soggetti esercenti la professione cui essa si riferisce, pure espressamente enunciato nel comma 2 del citato art. 15. L'irragionevolezza e la contraddittorieta' della norma discendono, sotto di un terzo profilo, anche dall'aver previsto una forfettaria e aprioristica riduzione del 20 per cento dei valori della tariffa forense quanto agli onorari, laddove una simile scelta legislativa finisce per attribuire alle prestazioni difensionali di questi - valutate ai fini della quantificazione degli onorari spettanti - un valore sempre ed immancabilmente di un quinto inferiore a quello riconosciuto al lavoro professionale degli avvocati, laddove, invece, non si puo' escludere che il pregio da riconoscersi, sulla base di una autonoma specifica valutazione di tutti gli elementi disponibili, al lavoro dei funzionari appartenenti all'amministrazione possa anche rivelarsi, nel caso concreto, in se' non minore di quello attribuito all'attivita' professionale forense. Il parametro dettato dagli artt. 3-111, secondo comma Cost. Un quarto profilo di irragionevolezza e di apparente contrasto con i parametri imposti sia dall'art. 3 che dall'art.111, secondo comma Cost, sembra discendere dalla natura dell'onere patrimoniale gravante sul soccombente in forza del principio affermato dall'art. 15, comma 1 del d.lgs. n. 546/1992. Tale norma stabilisce, infatti, che il soccombente sia condannato a rimborsare le spese del giudizio che sono liquidate con la sentenza. Come si e' ricordato, secondo il diritto vivente si e' sempre ritenuto che' tale rimborso, nel caso in cui sia effettuato a favore della pubblica amministrazione vittoriosa che non si sia avvalsa dell'attivita' di un difensore, debba riguardare le sole spese vive da essa sostenute nel processo, non potendo riguardare diritti ed onorari, non spettanti proprio a causa della mancanza del difensore tecnico (cfr. Cass. sez. 1, sentenza n. 398 del 19 gennaio 1987 - Rv. 450145). La spesa rimborsabile dal soccombente, pertanto, sarebbe in questo caso limitata, sia perche' non potrebbe ricomprendere il compenso da riconoscere all'opera del funzionario che abbia preparato le difese e l'abbia rappresentata in giudizio sia perche' le uniche spese rimborsabili sarebbero le spese vive che fossero documentate. Sotto questo aspetto, quindi, - e volendo qui prescindere dalla questione concernente diritti ed onorari (perche' gia' trattata) - le pure spese vive sostenute dall'amministrazione per la difesa nel singolo procedimento potrebbero essere eventualmente quantificate con il ricorso a criteri che nulla hanno a che fare con la previsione, contenuta nella tariffe forensi, di un diritto al rimborso forfettario delle «spese generali» che le citate tabelle fissano al 12,5% dell'importo spettante come onorari. Non, dunque, una somma calcolata caso per caso, sulla base dell'ammontare delle spese vive effettivamente sostenute nel singolo processo, ma un importo calcolato, in via generale ed astratta, a percentuale sull'ammontare complessivo degli onorari liquidati. Ove si ammetta che l'onere economico sostenuto dall'Amministrazione per la sua difesa nel processo tributario - quando non sia assistita da un difensore - non corrisponde ad un puntuale e specifico esborso a favore del difensore medesimo, ma rappresenti, invece, una quota ideale dei costi complessivi dell'organizzazione, si manifesta un ulteriore profilo di irragionevolezza nella disposizione di legge in esame, censurabile come violazione degli articoli 3-111, secondo comma Cost., in quanto comportante una ingiustificata ed irragionevole disparita' di trattamento (comportante alterazione del principio di parita' delle parti nel processo) fra l'amministrazione pubblica, da un lato, e le parti private del giudizio tributario, dall'altro: mentre la condanna alle spese pronunciata a favore del privato costituisce sempre un ristoro, almeno in parte, di spese effettivamente dal medesimo sostenute, la condanna alle spese a favore dell'Amministrazione comporta, o puo' comportare, un suo arricchimento, essendo commisurata non gia' a costi vivi sostenuti dall'amministrazione ma a percentuale sugli onorari liquidati, prescindendo del tutto da tali costi. Il parametro dettato dall' art. 24 Cost. La disposizione in esame sembra, infine, consentire, oltre che per la ragione da ultimo indicata, anche una violazione o comunque limitazione del diritto di difesa, la cui pienezza e', invece, garantita dall'art. 24 Cost. Invero quando la condanna alle spese sia - come in effetti e' sulla base di quanto previsto dalla tariffa forense cui rinvia la norma di legge in esame - commisurata ad un paramento convenzionale e slegata da un puntuale rapporto con costi effettivi sostenuti nel singolo processo, finisce per rappresentare o un contributo parafiscale al funzionamento dell'Amministrazione a favore della quale sia disposta o un ingiustificato prelievo sanzionatorio a carico del soccombente o, comunque, una condanna patrimoniale ad effetto dissuasivo dal ricorrere al giudice. La stessa Corte costituzionale, con sentenza n. 0098 del 25 febbraio 2004, mass. n. 0028408, ha avuto modo di stabilire che le norme processuali non debbano «... frapporre ostacoli all'esercizio del diritto di difesa non giustificati dal preminente interesse pubblico ad uno svolgimento del processo adeguato alla funzione ad esso assegnata». Nel caso di specie, invece, la disposizione di legge in esame, proprio per il suo carattere ingiustamente sanzionatorio per quel che riguarda il rimborso delle spese vive di lite alla pubblica amministrazione vittoriosa, come risulta disciplinato dalla necessita' di applicare la tariffa forense anche nel caso in cui sia stata prestata semplice attivita' di assistenza nel processo tributario a mezzo di funzionario delegato, rappresenta, oggettivamente, un fattore di remora, per la parte privata, ad adire il giudice tributario, non giustificato dal preminente interesse pubblico allo svolgimento di un processo tributario adeguato alla funzione ad esso costituzionalmente assegnata.
P. Q. M. Poiche' il giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della pregiudiziale questione di legittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 2-bis del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nel testo come modificato con il d.l. 8 agosto 1996, n. 437, convertito in legge 24 ottobre 1996, n. 556, apparendo non manifestamente infondato il dubbio di costituzionalita' della norma di legge suddetta in relazione al disposto degli articoli 3, 24, 111, secondo comma Cost. come da motivazione; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata in relazione agli articoli 3, 24, 111, secondo comma Cost., la suddetta questione di legittimita' costituzionale; Ordina, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso; Ordina che, a cura della segreteria della sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti delle Camere dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Camera di consiglio il giorno 2 marzo 2009. Venezia, addi' 7 maggio 2009 Il vice Presidente di sezione: Schiesaro Il giudice tributario: Corletto