N. 313 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 settembre 2009
Ordinanza del 6 ottobre 2009 emessa dal Tribunale di sorveglianza di Roma sul reclamo proposto da G.A.. Ordinamento penitenziario - Detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione - Reclamo avverso il procedimento applicativo - Possibilita' per il detenuto o l'internato e il difensore di proporre utilmente reclamo avverso il tribunale di sorveglianza per difetto di congruita' del contenuto del provvedimento del Ministro della giustizia di applicazione o di proroga del regime detentivo speciale - Preclusione - Violazione del principio della riserva di giurisdizione in materia di liberta' personale - Lesione del dritto di difesa - Compressione della tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione. - Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 41-bis, commi 2-quinquies e 2-sexies. - Costituzione, artt. 13, secondo comma, 24, primo comma, e 113, primo e secondo comma. Ordinamento penitenziario - Detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione - Limitazione della permanenza all'aperto ad una durata non superiore a due ore al giorno - Disparita' di trattamento tra detenuti - Inosservanza del divieto di trattamenti contrari al senso di umanita'. - Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 41-bis, comma 2-quater, lett. f). - Costituzione, artt. 3, primo comma e 27, terzo comma.(GU n.1 del 7-1-2010 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento chiamato all'udienza del 29 settembre 2009 instaurato ai sensi dell'art. 41-bis ord. pen., nei confronti di G.A., provvedimento impugnato: decreto del Ministro della giustizia 6 agosto 2009. Sentite le parti in camera di consiglio e visti gli atti. Con legge del 15 luglio 2009, n. 94, recante «Disposizioni in materia di sicurezza pubblica», e' stato modificato in piu' parti l'art. 41-bis ord. pen. e, in particolare, fra l'altro e per quanto di interesse nell'ambito della presente decisione: 1) il comma 2-sexies, che disciplina i reclami avverso i decreti ministeriali di applicazione o proroga del regime detentivo speciale, e' stato riformulato espungendo dal testo l'inciso «e sulla congruita' del contenuto dello stesso rispetto alle esigenze di cui al comma 2», limitandosi cosi' l'oggetto del reclamo, nella nuova formulazione, alla sussistenza dei presupposti per l'adozione del provvedimento impugnato; 2) la riformulazione del comma 2-sexies ha coerentemente comportato l'eliminazione dell'ultimo periodo dello stesso comma, che disciplinava le forme e i limiti in cui il Ministro poteva reiterare il provvedimento in caso di accoglimento parziale; 3) l'alinea del comma 2-quater, che nella formulazione previgente recava la dizione «puo' comportare», reca al posto di tale dizione la voce «prevede», con cio' rendendo vincolato, e non piu' sottoposto alla discrezionalita' dell'organo amministrativo, tutto quanto previsto dalle lettere di cui al susseguente elenco; 4) alla lettera f) del detto elenco, laddove si prevedeva, quale limite di massima permanenza all'aperto, «quattro ore», si prevede nel nuovo testo «due ore». In data 6 agosto 2009 il Ministro della giustizia ha emesso un provvedimento con il quale, vista la necessita' di dare esecuzione alla nuova normativa nei confronti di soggetti gia' sottoposti al regime speciale alla data di entrata in vigore della stessa, ha disposto: «l'art. 1, lett. g) dei decreti applicativi del regime detentivo speciale [...] deve intendersi cosi' codificato: ''permanenza all'aperto per periodi superiori a due ore giornaliere, di cui una nelle sale di biblioteca, palestra, ecc., e in gruppi superiori a quattro persone''». Tale provvedimento, al di la' della espressione linguistica formalmente adottata, costituisce esercizio del ridotto margine di discrezionalita' lasciato dalla legge all'organo amministrativo, con restrizione del numero di ore di vera e propria permanenza all'aperto al disotto del limite massimo di legge. Infatti le ore di permanenza all'aperto risultano essere state stabilite nel provvedimento come pari ad una al giorno, non potendo ritenersi come «permanenza all'aperto» l'ulteriore ora rispetto a cui nel provvedimento impugnato e' stabilita la permanenza in una biblioteca, in una palestra, aut similia. Propone reclamo avverso tale provvedimento il difensore dell'interessato, nei termini di legge. Con tale reclamo il difensore richiama la giurisprudenza della Corte costituzionale che ha indicato, quale limite intrinseco al potere del Ministro della giustizia, la possibilita' di sottoporre i detenuti soltanto a quelle restrizioni che siano concretamente necessarie per prevenire il pericolo di collegamenti con l'esterno, concludendo per l'assoluta inconferenza della riduzione della permanenza all'aperto ad un'ora al giorno, rispetto alle finalita' proprie del regime penitenziario speciale; chiedendo pertanto l'aumento delle ore d'aria in misura pari a quella vigente per i detenuti in regime ordinario, previa sottoposizione di questione di legittimita' costituzionale alla Corte, per contrarieta' della novella agli articoli 3, 13, 24, 27, 97 e 113 Cost. Alla odierna udienza le parti hanno concluso richiedendo: il p.g., la dichiarazione di manifesta infondatezza dell'eccezione di legittimita' costituzionale e il rigetto del reclamo; la difesa, insistendo sulle argomentazioni e le richieste contenute nel reclamo. Il collegio rileva che, nel caso di specie, del tutto ingiustificata, alla luce delle finalita' proprie del regime detentivo speciale, appare la limitazione ad un'ora al giorno della permanenza all'aperto del reclamante ed anzi, una siffatta disposizione, specie se collocata nel contesto delle ulteriori disposizioni che caratterizzano il regime speciale cui l'interessato e' sottoposto, si caratterizza come trattamento lesivo della sua dignita' e degradante. Non si ravvisano, nell'insieme degli atti presenti nell'incarto procedimentale (che pure dimostrano la fondatezza della sua sottomissione al regime penitenziario speciale) e nemmeno nel provvedimento ministeriale impugnato, elementi da cui desumere che se il detenuto usufruisse di piu' di un'ora di permanenza all'aperto, egli sarebbe maggiormente in grado di instaurare collegamenti con l'esterno. Deve poi essere sottolineato che la permanenza all'aperto risponde non solo ad esigenze di socialita' ma anche ad esigenze di carattere igienico-sanitario, e di non compromissione della salute fisica dei detenuti. Tenendo conto pertanto della mancanza di indicazioni della pericolosita' della permanenza all'esterno dell'interessato; del complesso delle ulteriori limitazioni cui egli e' gia' sottoposto in applicazione del redime detentivo speciale, particolarmente afflittivo; del fatto che le ulteriori prescrizioni (quali la limitazione dei colloqui con i familiari, la limitazione nella ricezione dei pacchi e della corrispondenza, ecc.) rispondono a concrete esigenze di impedimento della possibilita' di comunicare con l'esterno e pertanto non possono essere mitigate; delle condizioni dell'interessato ed in particolare della sua eta' (egli ha 67 anni), tali da sconsigliare un trattamento penitenziario che presenti rischi per la salute, il Tribunale di sorveglianza, in assenza dei limiti maggiormente restrittivi previsti dalla nuova normativa, provvederebbe estendendo a quattro le ore di facolta' di permanenza all'aperto dell'interessato. Poiche' una decisione di questo contenuto, da parte del Tribunale di sorveglianza, si porrebbe in contrasto con il vigente art. 41-bis ord. pen., acquista rilievo la possibilita' di proporre le questioni di legittimita' costituzionale di seguito illustrate. Ritiene il Tribunale di sorveglianza che l'eccezione di legittimita' costituzionale sollevata dalla difesa non sia manifestamente infondata, e pertanto che essa debba essere sollevata, nei termini e sotto i profili che verranno illustrati nel seguito, unitamente ad altra questione di legittimita' costituzionale, e cioe' quella relativa all'abrogazione del controllo giurisdizionale sul contenuto del decreto ministeriale, questione, quest'ultima, pregiudiziale rispetto a quella sollevata dalla difesa, e che chiunque si solleva d'ufficio. Pertanto, sulla base delle argomentazioni di seguito illustrate, il Tribunale di sorveglianza ritiene di dover sollevare le questioni, non manifestamente infondate, di legittimita' costituzionale: 1) dell'art. 41-bis, commi 2-quinquies e 2-sexies ord. pen., nella parte in cui tali commi non consentono al detenuto o internato e al difensore di proporre utilmente reclamo al Tribunale di sorveglianza per difetto di congruita' del contenuto del provvedimento di cui al comma 2 dello stesso articolo, per contrarieta' agli artt. 13, secondo comma, 24, primo comma, 113 primo e secondo comma Cost.; 2) dell'art. 41-bis, comma 2-quater, lett. f), nella parte in cui limita la permanenza all'aperto ad una durata non superiore a due ore al giorno, per contrarieta' agli artt. 3, primo comma e 27, terzo comma Cost. Appare utile suddividere la motivazione dell'ordinanza di rimessione alla Corte in parti che coincidano con i requisiti di contenuto individuati dalla giurisprudenza costituzionale per l'ammissibilita' della questione. Competenza del remittente. Il punto deve essere oggetto di specifica valutazione in quanto, secondo la prospettazione che si sottopone al vaglio della Corte (che sara' illustrata nella parte relativa alla impossibilita' di lettura costituzionalmente orientata delle norme oggetto di censura), la rilevanza della questione non concerne solo il contenuto che il provvedimento da adottarsi verrebbe ad avere facendo o non facendo applicazione delle norme sospettate di illegittimita' costituzionale, ma la stessa possibilita' di adottare la tipologia di provvedimento richiesta, cioe' l'annullamento parziale del decreto ministeriale di applicazione del regime di cui all'art. 41-bis ord. pen. Stante l'abrogazione esplicita, non vi e' indicazione espressa sul giudice competente ad adottare tale tipologia di provvedimento, e la determinazione del giudice competente deve essere di conseguenza svolta sulla base dei principi generali. La Corte costituzionale ha piu' volte ribadito che, nella materia relativa ai diritti del detenuto, la giurisdizione appartiene all'Autorita' giudiziaria ordinaria, con cio' superando specifiche eccezioni formulate dall'Avvocatura dello Stato in sede di giudizi di legittimita' costituzionale (C. cost., sentt. 349 del 1993, 410 del 1993). Con riferimento alla competenza per materia, l'individuazione del giudice competente e' stata gia' fatta con sent. C. cost. n. 410 del 1993, relativamente ad un assetto normativo che non prevedeva espressamente alcun tipo di reclamo avverso il provvedimento ministeriale, ne' sui presupposti, ne' sul contenuto. La Corte, richiamando un obiter dictum della sentenza n. 349 del 1993, scrive: «...tale affermazione, che nella motivazione della sentenza costituiva solo un passaggio argomentativo, ma non un capo della decisione, va ora pienamente ribadita ...nell'ord. pen. e' gia' previsto un regime detentivo, il regime di sorveglianza particolare, disciplinato dagli artt. 14-bis e ter seguenti...la competenza a sindacare la legittimita' dei provvedimenti adottati dall'Amministrazione penitenziaria ai sensi dell'art. 41-bis ord. pen. deve riconoscersi a quello stesso organo...cui e' demandato il controllo... ai sensi dell'art. 14-ter dell'ord. pen.». Tale organo e' il Tribunale di sorveglianza. La successiva sentenza C. cost., n. 351 del 1996 ha chiarito che il controllo sull'atto, da attuarsi sempre da parte del Tribunale di sorveglianza in analogia a quanto disposto dall'art. 14-ter ord. pen., si estende anche alla congruita' delle singole limitazioni. Con riferimento alla competenza per territorio, si deve tener conto della attribuzione della competenza a decidere su tutti i reclami avverso provvedimenti di cui all'art. 41-bis ord. pen., al Tribunale di sorveglianza di Roma, a seguito della novella legislativa. La ratio di tale nuova norma puo' essere individuata nell'esigenza di radicare la competenza non sul luogo di detenzione dell'interessato ma sul luogo di formazione dell'atto impugnato; oppure nella necessita' di avere una uniformita' interpretativa gia' nel primo grado di giudizio. In entrambi i casi l'identica ratio suggerisce di attribuire al Tribunale di sorveglianza di Roma anche la competenza sui reclami aventi per oggetto il contenuto del, provvedimento ministeriale. Rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale. La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 41-bis, comma 2-sexies ord. pen., nella parte in cui non consente alle parti di proporre reclamo sulla congruita' del contenuto del provvedimento rispetto alle esigenze di cui al comma 2 dello stesso articolo, e' rilevante nel presente giudizio. Infatti, sulla base della norma vigente, il Tribunale dovrebbe dichiarare inammissibile il reclamo per la insussistenza del mezzo di impugnazione utilizzato, nonche' per la preclusione, per il Tribunale di sorveglianza, di sindacare il contenuto del provvedimento ministeriale. Dovrebbe inoltre respingere l'eccezione di legittimita' costituzionale sollevata dalla difesa per irrilevanza, giacche', se anche l'ordinamento consentisse la fruizione, da parte dei detenuti in regime speciale, di piu' di due ore di permanenza all'aperto, non diverso sarebbe l'esito del giudizio, cioe' la dichiarazione di inammissibilita' del reclamo per l'impossibilita' di un annullamento parziale. Invece, in presenza di un quadro normativo che consentisse il sindacato sul contenuto del provvedimento ministeriale, il Tribunale ammetterebbe l'interessato alla fruizione di due ore di permanenza all'aperto, sulla base della vigente legge, e potrebbe rimettere alla Corte costituzionale (cosi' come fa, con ulteriore questione di legittimita' costituzionale, pero' logicamente subordinata all'accoglimento della prima) la questione sollevata dalla difesa. La questione di legittimita' costituzionale dell'art 41-bis, comma 2-quater, lett. f) ord. pen., rilevante nel presente giudizio, subordinatamente all'accoglimento della prima, in quanto, sulla base della normativa vigente, integrata con la possibilita' di sindacare il contenuto del provvedimento ministeriale, il Tribunale di sorveglianza, pur ritenendo ingiustificata, sulla base delle esigenze di sicurezza proprie dell'istituto, la limitazione delle ore di permanenza all'aperto a due, potrebbe al massimo estendere in tale misura le facolta' del detenuto; in presenza di un quadro normativo meno restrittivo, estenderebbe il numero di ore d'aria a quattro, cioe' il massimo consentito dal previgente art. 41-bis. Impossibilita' di una interpretazione adeguatrice. Appare impossibile interpretare le disposizioni sottoposte a censura in modo tale da rendere immediatamente applicabile l'assetto normativo che deriverebbe da una eventuale sentenza di accoglimento della Corte. L'ammissibilita' del reclamo avverso il provvedimento ministeriale emesso ai sensi dell'art. 41-bis ord. pen., sia con riferimento ai presupposti dell'atto che con riferimento al suo contenuto, e' diventata diritto vivente in seguito alle sentenze interpretative di rigetto della Corte nn. 349 e 410 del 1993, e n. 351 del 1996. Successivamente il legislatore, con la riforma dettata con legge 23 dicembre 2002, n. 279, ha recepito le indicazioni della Corte costituzionale, disciplinando espressamente il reclamo avverso il provvedimento ministeriale di cui all'art. 41-bis, comma 2 ord. pen. Con la novella del 2009, il legislatore torna indietro relativamente alla ammissibilita' del reclamo sul contenuto del decreto ministeriale. Cio' determina, ad avviso del Tribunale di sorveglianza, l'impossibilita' di adeguare le norme, risultanti dall'ultima riforma, alla Costituzione, secondo lo schema interpretativo adottato dalla Corte costituzionale nelle sentenze del 1993 e 1996. Cio' in quanto, all'epoca delle dette sentenze, l'art. 41-bis non prevedeva, ma nemmeno escludeva espressamente, la possibilita' di un controllo giurisdizionale sui presupposti e sul contenuto del provvedimento ministeriale, mentre oggi vi e' una disposizione espressa (l'art. 2, comma 25, legge n. 94/2009), quella che ha riformulato l'art. 41-bis ord. pen. in parte qua, che ha abrogato espressamente la possibilita' del reclamo sui contenuti del provvedimento ministeriale, lasciando peraltro in vigore la possibilita' del reclamo sulla sussistenza dei presupposti. Pertanto una interpretazione adeguatrice si porrebbe come una interpretazione abrogatrice di una espressa disposizione di legge, andando contro un fondamentale e logico criterio di interpretazione, quello storico-evolutivo. Che la volonta' del legislatore sia quella di escludere la possibilita' di un reclamo avverso il contenuto del provvedimento ministeriale, si evince agevolmente dall'abrogazione dell'ultimo periodo del comma 2-sexies dell'articolo di legge in esame, abrogazione che rende peraltro chiaro che il sindacato giurisdizionale sul contenuto dell'atto non e' solo precluso al Tribunale di sorveglianza di Roma, giudice cui e' demandata la cognizione sui presupposti del provvedimento, ma e' precluso tout court, senza possibilita' di ritenere competente qualsiasi altro giudice. Non appare inoltre possibile ritenere che, al di la' dell'espressione usata dal legislatore, secondo cui e' ammesso il reclamo per insussistenza dei «presupposti» ma non per incongruita' del «contenuto», la necessita' di un'interpretazione adeguatrice alla Costituzione farebbe propendere per una ridefinizione del concetto di «presupposti» tale da ricomprendere in tale concetto una parte di cio' che prima della riforma sarebbe stato etichettato come «congruita' del contenuto». Innanzitutto una tale interpretazione si porrebbe in insanabile contrasto, per le ragioni gia' esposte, con la lettera dell'art. 2 comma 25 legge n. 94/2009, con l'interpretazione storico-evolutiva e con l'evidente volonta' del legislatore; in secondo luogo il sindacato andrebbe comunque limitato, facendo uso dell'argomento ipotizzato, solo a quelle incongruita' del contenuto del provvedimento talmente macroscopiche da comportare il venir meno dei suoi presupposti, intesi come presupposti dell'esistenza del potere dell'organo amministrativo (ai casi, quindi di vero e proprio sviamento di potere, che si avrebbe, per esempio, nel caso di scuola in cui il Ministro, sussistendo la capacita' del detenuto di mantenere contatti con l'esterno, sospenda tutti i suoi diritti). In questo modo residuerebbe comunque una zona di difetto di tutela, data da quelle violazioni di diritti del detenuto non tali da determinare l'assoluta nullita' dell'atto amministrativo. Una siffatta violazione, ad avviso del Tribunale di sorveglianza, e' stata compiuta ai danni dell'odierno reclamante, attesa l'incongruita' della sottoposizione dello stesso ad una limitazione della permanenza all'aperto ad un'ora al giorno, incongruita' non tale, pero', da far ritenere il provvedimento impugnato come emesso in carenza dei presupposti e frutto di sviamento di potere. La questione di legittimita' costituzionale del comma 2-quater, lettera f), dell'art. 41-bis ord. pen. non puo' essere superata attraverso una interpretazione adeguatrice, essendo del tutto chiara la volonta' del legislatore, non suscettibile di interpolazioni in sede di interpretazione. Cio' si ritiene specie in considerazione dell'intervenuta contestuale modifica dell'alinea del comma in esame, con sostituzione delle parole «puo' comportare» con la parola «prevede». Non manifesta infondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale. Persuade della non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale relativa all'abrogazione del controllo giurisdizionale sul contenuto del decreto ministeriale, la giurisprudenza della Corte costituzionale in argomento, e in particolare la sentenza interpretativa di rigetto n. 351 del 1996. All'epoca della rimessione della questione alla Corte e della decisione, non era previsto espressamente alcun sindacato giurisdizionale sul decreto ministeriale emesso ai sensi dell'art. 41-bis ord. pen. e la Corte costituzionale, con sentenza interpretativa di rigetto n. 410 del 1993, aveva dato autorevole indicazione per una interpretazione adeguatrice in virtu' della quale era ammissibile il controllo giurisdizionale sull'esistenza dei presupposti per l'adozione del provvedimento. Richiamando e approfondendo le argomentazioni della sentenza n. 410 del 1993, la sent. n. 351 del 1996 sancisce che un'interpretazione secondo cui il sindacato giurisdizionale debba arrestarsi a verificare la sola sussistenza dei presupposti del provvedimento ministeriale, senza verificare la congruita' del contenuto di esso, determinerebbe antinomia con la Costituzione, per poi indicare la possibilita' di una interpretazione conforme ai canoni costituzionali. Scrive la Corte che «...non vi e' dubbio che il sindacato giurisdizionale sulle determinazioni dell'Amministrazione, per esplicare pienamente la sua funzione a tutela dei diritti dei detenuti, debba estendersi non solo alla sussistenza dei presupposti per l'adozione del provvedimento, ma anche al rispetto dei limiti posti dalla legge e dalla Costituzione in ordine al contenuto di questo, vuoi sotto il profilo della eventuale lesione di situazioni non comprimibili, vuoi sotto quello della congruita' delle misure in concreto disposte rispetto ai fini per i quali la legge consente all'amministrazione di disporre un regime derogatorio rispetto a quello ordinario». Nel corpo della stessa sentenza la Corte osserva che, se la norma si limitasse a prevedere la sottoposizione ad un regime gia' interamente predeterminato dalla legge, l'unico controllo giurisdizionale possibile, a parte eventuali contrasti fra la stessa legge e la Costituzione, potrebbe vertere sulla sussistenza dei presupposti per l'adozione del provvedimento. Anche alla luce di tale osservazione, nonostante la riduzione degli spazi di discrezionalita' dell'organo amministrativo nell'attuale quadro normativo, rispetto agli spazi di discrezionalita' propri del quadro normativo oggetto di intervento da parte della Corte nella citata sentenza, permane il dubbio di illegittimita' costituzionale delle norme di legge in esame. Infatti, la disposizione di cui alla lettera f) del comma 2-quater dell'art. 41-bis risultante dalla novella lascia comunque all'autorita' amministrativa un pur ridotto margine di scelta sul numero di ore di permanenza all'aperto del detenuto; inoltre, non e' stata abrogata ne' riformulata la lettera a) dello stesso comma, che lascia ampie possibilita' di scelta all'organo amministrativo; infine, la Corte, con il richiamato passaggio della sentenza n. 351 del 1996, anche nell'ipotizzato caso di un regime interamente predeterminato dal legislatore, fa espressamente salva la possibilita' che il Tribunale di sorveglianza sindachi sul contenuto dell'atto allo scopo di far rilevare l'illegittimita' costituzionale di tale regime, e nel presente procedimento l'eccezione difensiva, fatta propria dal Tribunale di sorveglianza mira, fra l'altro, ad una pronuncia del giudice delle leggi sulla compatibilita' con la Carta fondamentale della citata lettera f) del comma 2-quater dell'art. 41-bis Cost. Pertanto, richiamata la giurisprudenza costituzionale in materia, la nuova formulazione dell'art. 41-bis, commi 2-quinquies e 2-sexies potrebbe fondatamente ritenersi in contrasto: con l'art. 13, secondo comma Cost. in quanto da' alla pubblica amministrazione il potere di incidere significativamente sulla liberta' personale di una categoria di cittadini, senza che vi sia alcun controllo giurisdizionale; con l'art. 24, primo comma Cost. in quanto, secondo la formulazione di tali commi, nel caso in cui il Ministro della giustizia eserciti il suo potere violando in concreto i diritti di un detenuto, attraverso un contenuto incongruo del provvedimento tipico, il detenuto resta sfornito della possibilita' di tutelare tali diritti in giudizio; con l'art. 113, primo comma Cost. in quanto contro il provvedimento del Ministro della giustizia tali commi non prevedono alcun mezzo di impugnazione idoneo a rimuovere il contenuto eventualmente lesivo dei diritti del detenuto; con l'art. 113, secondo comma Cost. in quanto limitano a un particolare mezzo di impugnazione, cioe' il reclamo sulla sussistenza dei presupposti, la tutela giurisdizionale contro il provvedimento del Ministro. L'art. 41-bis, comma 2-quater, lett. f), ord. pen., puo' essere fondatamente ritenuto in contrasto con l'art. 3, primo comma Cost. in quanto pone in essere una disparita' di trattamento fra detenuti, non giustificabile sulla base delle esigenze proprie del regime detentivo speciale. Non si vede infatti in alcun modo come la limitazione delle ore di permanenza all'aperto possa ridurre il rischio che il detenuto mantenga contatti con l'esterno. La medesima disposizione di legge puo' ritenersi fondatamente in contrasto con l'art. 27, terzo comma, Cost. in quanto la riduzione della permanenza all'aperto nella misura stabilita potrebbe considerarsi come degradante e contraria al senso di umanita', secondo un prudente apprezzamento che il Tribunale di sorveglianza non puo' che rimettere alla Corte costituzionale, anche attesa la flessibilita' del parametro costituzionale, quello della conformita' al senso di umanita', invocato dalla difesa. Rileva la considerazione secondo cui il previgente assetto normativo costituiva gia', per ampiezza e durata, la massima limitazione dei diritti di liberta' prevista e resa possibile dall'ordinamento. Pertanto, trovandosi ad applicare il nuovo intervento del legislatore, che comprime ulteriormente il regime detentivo speciale, il Tribunale di sorveglianza non puo' dichiarare manifestamente infondata l'eccezione di illegittimita' costituzionale sollevata dalla difesa. Convince ulteriormente della non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale un passaggio della sentenza della Corte costituzionale, n. 351 del 1996, laddove e' scritto che «...non puo' mancare la individuazione di parametri normativi per la concretizzazione del divieto di trattamenti contrari al senso di umanita', e...da questo punto di vista le indicazioni fornite dal legislatore con il quarto comma dell'art. 14-quater ord. pen. appaiono particolarmente pregnanti». Orbene, la disposizione citata dalla Corte impone la permanenza all'aperto per almeno due ore al giorno, salvo quanto previsto dall'art. 10 ord. pen., che prevede la possibile riduzione ad un'ora al giorno solo per motivi eccezionali. La riforma del 2002 aveva recepito l'insegnamento della Corte costituzionale anche su questo punto, infatti aveva inserito nell'art. 41-bis, comma 2-quater, lett. f), che prevedeva, come limite massimo di permanenza all'aperto, quattro ore al giorno, il riferimento al limite minimo di permanenza all'aperto di cui all'art. 10 ord. pen. La novella del 2009 torna indietro rispetto a tale indicazione, pur formalmente ancora vigente, di fatto vanificandola, poiche' il limite minimo di cui all'art. 10 coincide con il limite massimo indicato dalla nuova legge, rendendo possibile una differenziazione delle prescrizioni applicate ai singoli detenuti solo a costo di disporre la riduzione della permanenza all'aperto ad un'ora al giorno non solo in presenza di motivi eccezionali, ma nell'esercizio di un'ampia discrezionalita', cosi' come di fatto e' avvenuto, avendo il Ministro, con il provvedimento impugnato, ridotto la permanenza all'aperto a un'ora al giorno per tutti i detenuti in regime detentivo speciale. La limitazione a due ore al giorno di permanenza all'aperto come limite massimo per i detenuti sottoposti al regime detentivo speciale puo' fondatamente ritenersi contrastante con l'art. 27, terzo comma Cost. soprattutto considerando l'insieme delle prescrizioni tipiche di tale regime, tale da rendere particolarmente gravosa ogni ulteriore limitazione. Pertanto il Tribunale ritiene di dover sollevare questione di legittimita' costituzionale nei sensi, nei termini e sotto i profili indicati.
P. Q. M. Sulle contrarie conclusioni del p.g., visti gli articoli 134 Cost., 1, legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1, 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, 41-bis ord. pen., 666 e 678 c.p.p.; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, che solleva d'ufficio, dell'art. 41-bis, commi 2-quinquies e 2-sexies ord. pen., nella parte in cui tali commi non consentono al detenuto o internato e al difensore di proporre utilmente reclamo al Tribunale di sorveglianza per difetto di congruita' del contenuto del provvedimento di cui al comma 2 dello stesso articolo, per contrariera' agli articoli 13, secondo comma, 24 primo comma, 113 primo e secondo comma Cost.; Dichiara altresi' rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, sollevata dalla difesa dell'interessato, dell'art. 41-bis, comma 2-quater, lett. f), nella parte in cui limita la permanenza all'aperto ad una durata non superiore a due ore al giorno, per contrarieta' agli articoli 3, primo comma e 27, terzo comma Cost.; Sospende il giudizio in corso fino alla definizione dell'incidente di costituzionalita' e dispone trasmettersi immediatamente gli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza, prima della trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento; Dispone che la presente ordinanza sia altresi' notificata al Ministro della giustizia. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza. Cosi' deciso in Roma, addi' 29 settembre 2009. Il Presidente: Panzadura Il magistrato estensore: della Ratta Rinaldi