N. 313 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 settembre 2009

Ordinanza del 6 ottobre 2009 emessa dal Tribunale di sorveglianza  di
Roma sul reclamo proposto da G.A.. 
 
Ordinamento penitenziario - Detenuti sottoposti al regime speciale di
  detenzione  -  Reclamo  avverso  il  procedimento   applicativo   -
  Possibilita' per il  detenuto  o  l'internato  e  il  difensore  di
  proporre utilmente reclamo avverso il tribunale di sorveglianza per
  difetto di congruita' del contenuto del provvedimento del  Ministro
  della giustizia di applicazione o di proroga del  regime  detentivo
  speciale - Preclusione - Violazione del principio della riserva  di
  giurisdizione in materia di liberta' personale - Lesione del dritto
  di difesa - Compressione della tutela  giurisdizionale  contro  gli
  atti della pubblica amministrazione. 
- Legge 26 luglio 1975, n. 354,  art.  41-bis,  commi  2-quinquies  e
  2-sexies. 
- Costituzione, artt. 13, secondo comma, 24,  primo  comma,  e  113, 
  primo e secondo comma. 
Ordinamento penitenziario - Detenuti sottoposti al regime speciale di
  detenzione - Limitazione della permanenza all'aperto ad una  durata
  non superiore a due ore al giorno - Disparita' di  trattamento  tra
  detenuti - Inosservanza del  divieto  di  trattamenti  contrari  al
  senso di umanita'. 
- Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 41-bis,  comma  2-quater,  lett.
  f). 
- Costituzione, artt. 3, primo comma e 27, terzo comma. 
(GU n.1 del 7-1-2010 )
 
                             IL TRIBUNALE 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza  nel  procedimento  chiamato
all'udienza del 29  settembre  2009  instaurato  ai  sensi  dell'art.
41-bis ord. pen., nei confronti  di  G.A.,  provvedimento  impugnato:
decreto del Ministro della giustizia 6 agosto 2009. 
    Sentite le parti in camera di consiglio e visti gli atti. 
    Con legge del 15 luglio 2009, n.  94,  recante  «Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica», e' stato  modificato  in  piu'  parti
l'art. 41-bis ord. pen. e, in particolare, fra l'altro e  per  quanto
di interesse  nell'ambito  della  presente  decisione:  1)  il  comma
2-sexies, che disciplina i reclami avverso i decreti ministeriali  di
applicazione o  proroga  del  regime  detentivo  speciale,  e'  stato
riformulato espungendo dal testo l'inciso  «e  sulla  congruita'  del
contenuto dello stesso rispetto alle esigenze di  cui  al  comma  2»,
limitandosi cosi' l'oggetto del reclamo,  nella  nuova  formulazione,
alla sussistenza dei presupposti  per  l'adozione  del  provvedimento
impugnato; 2) la riformulazione del comma 2-sexies  ha  coerentemente
comportato l'eliminazione dell'ultimo periodo dello stesso comma, che
disciplinava le forme e i limiti in cui il Ministro poteva  reiterare
il provvedimento in caso di accoglimento parziale;  3)  l'alinea  del
comma 2-quater, che nella formulazione previgente recava  la  dizione
«puo' comportare», reca al posto di tale dizione la  voce  «prevede»,
con  cio'  rendendo   vincolato,   e   non   piu'   sottoposto   alla
discrezionalita' dell'organo amministrativo,  tutto  quanto  previsto
dalle lettere di cui al susseguente elenco; 4) alla  lettera  f)  del
detto  elenco,  laddove  si  prevedeva,  quale  limite   di   massima
permanenza all'aperto, «quattro ore», si prevede nel nuovo testo «due
ore». 
    In data 6 agosto 2009 il Ministro della giustizia  ha  emesso  un
provvedimento con il quale, vista la necessita'  di  dare  esecuzione
alla nuova normativa nei confronti di  soggetti  gia'  sottoposti  al
regime speciale alla data di  entrata  in  vigore  della  stessa,  ha
disposto: «l'art. 1, lett. g)  dei  decreti  applicativi  del  regime
detentivo  speciale   [...]   deve   intendersi   cosi'   codificato:
''permanenza all'aperto per periodi superiori a due ore  giornaliere,
di cui una nelle sale di biblioteca,  palestra,  ecc.,  e  in  gruppi
superiori a quattro persone''». Tale provvedimento, al di  la'  della
espressione linguistica formalmente adottata,  costituisce  esercizio
del  ridotto  margine  di  discrezionalita'  lasciato   dalla   legge
all'organo amministrativo, con restrizione del numero di ore di  vera
e propria permanenza all'aperto al  disotto  del  limite  massimo  di
legge. Infatti le ore di permanenza all'aperto risultano essere state
stabilite nel provvedimento come pari ad una al giorno,  non  potendo
ritenersi come «permanenza all'aperto» l'ulteriore ora rispetto a cui
nel  provvedimento  impugnato  e'  stabilita  la  permanenza  in  una
biblioteca, in una palestra, aut similia. 
    Propone  reclamo  avverso   tale   provvedimento   il   difensore
dell'interessato, nei termini di legge. 
    Con tale reclamo il difensore richiama  la  giurisprudenza  della
Corte costituzionale che ha  indicato,  quale  limite  intrinseco  al
potere del Ministro della giustizia, la possibilita' di sottoporre  i
detenuti  soltanto  a  quelle  restrizioni  che  siano  concretamente
necessarie per prevenire il pericolo di collegamenti  con  l'esterno,
concludendo  per  l'assoluta  inconferenza  della   riduzione   della
permanenza all'aperto ad un'ora al giorno,  rispetto  alle  finalita'
proprie  del  regime  penitenziario  speciale;   chiedendo   pertanto
l'aumento delle ore d'aria in misura pari  a  quella  vigente  per  i
detenuti in regime ordinario, previa sottoposizione di  questione  di
legittimita'  costituzionale  alla  Corte,  per  contrarieta'   della
novella agli articoli 3, 13, 24, 27, 97 e 113 Cost. 
    Alla odierna udienza le  parti  hanno  concluso  richiedendo:  il
p.g., la dichiarazione di manifesta  infondatezza  dell'eccezione  di
legittimita' costituzionale e il  rigetto  del  reclamo;  la  difesa,
insistendo sulle argomentazioni e le richieste contenute nel reclamo. 
    Il  collegio  rileva  che,  nel  caso  di   specie,   del   tutto
ingiustificata,  alla  luce  delle  finalita'  proprie   del   regime
detentivo speciale, appare la limitazione ad un'ora al  giorno  della
permanenza  all'aperto  del  reclamante   ed   anzi,   una   siffatta
disposizione,  specie  se  collocata  nel  contesto  delle  ulteriori
disposizioni che caratterizzano il regime speciale cui  l'interessato
e' sottoposto, si caratterizza  come  trattamento  lesivo  della  sua
dignita' e degradante. Non  si  ravvisano,  nell'insieme  degli  atti
presenti  nell'incarto  procedimentale  (che   pure   dimostrano   la
fondatezza della sua sottomissione al regime penitenziario  speciale)
e nemmeno nel provvedimento ministeriale impugnato, elementi  da  cui
desumere  che  se  il  detenuto  usufruisse  di  piu'  di  un'ora  di
permanenza  all'aperto,  egli  sarebbe  maggiormente  in   grado   di
instaurare collegamenti con l'esterno. Deve poi  essere  sottolineato
che la  permanenza  all'aperto  risponde  non  solo  ad  esigenze  di
socialita' ma anche ad esigenze di carattere igienico-sanitario, e di
non compromissione della salute fisica dei  detenuti.  Tenendo  conto
pertanto della mancanza  di  indicazioni  della  pericolosita'  della
permanenza  all'esterno   dell'interessato;   del   complesso   delle
ulteriori limitazioni cui egli e' gia' sottoposto in applicazione del
redime detentivo speciale, particolarmente afflittivo; del fatto  che
le ulteriori prescrizioni (quali la limitazione dei  colloqui  con  i
familiari,  la  limitazione  nella  ricezione  dei  pacchi  e   della
corrispondenza, ecc.) rispondono a concrete esigenze  di  impedimento
della possibilita' di comunicare con l'esterno e pertanto non possono
essere mitigate; delle condizioni dell'interessato ed in  particolare
della sua eta' (egli ha 67 anni), tali da sconsigliare un trattamento
penitenziario che presenti rischi per  la  salute,  il  Tribunale  di
sorveglianza, in assenza dei limiti maggiormente restrittivi previsti
dalla nuova normativa, provvederebbe estendendo a quattro le  ore  di
facolta'  di  permanenza  all'aperto  dell'interessato.  Poiche'  una
decisione  di  questo  contenuto,   da   parte   del   Tribunale   di
sorveglianza, si porrebbe in contrasto con  il  vigente  art.  41-bis
ord. pen., acquista rilievo la possibilita' di proporre le  questioni
di legittimita' costituzionale di seguito illustrate. 
      
    Ritiene  il  Tribunale  di  sorveglianza   che   l'eccezione   di
legittimita'  costituzionale   sollevata   dalla   difesa   non   sia
manifestamente infondata, e pertanto che essa debba essere sollevata,
nei termini e sotto i profili che verranno  illustrati  nel  seguito,
unitamente ad altra questione di legittimita' costituzionale, e cioe'
quella relativa all'abrogazione  del  controllo  giurisdizionale  sul
contenuto  del   decreto   ministeriale,   questione,   quest'ultima,
pregiudiziale  rispetto  a  quella  sollevata  dalla  difesa,  e  che
chiunque si solleva d'ufficio. 
    Pertanto, sulla base delle argomentazioni di seguito  illustrate,
il Tribunale di sorveglianza ritiene di dover sollevare le questioni,
non manifestamente  infondate,  di  legittimita'  costituzionale:  1)
dell'art. 41-bis, commi 2-quinquies e 2-sexies ord. pen., nella parte
in cui tali commi  non  consentono  al  detenuto  o  internato  e  al
difensore di proporre utilmente reclamo al Tribunale di  sorveglianza
per difetto di congruita' del contenuto del provvedimento di  cui  al
comma 2 dello  stesso  articolo,  per  contrarieta'  agli  artt.  13,
secondo comma, 24, primo comma, 113 primo e secondo comma  Cost.;  2)
dell'art. 41-bis, comma 2-quater, lett. f), nella parte in cui limita
la permanenza all'aperto ad una durata non superiore  a  due  ore  al
giorno, per contrarieta' agli artt. 3, primo comma e 27, terzo  comma
Cost. 
    Appare  utile  suddividere  la  motivazione   dell'ordinanza   di
rimessione alla Corte in parti che  coincidano  con  i  requisiti  di
contenuto  individuati  dalla   giurisprudenza   costituzionale   per
l'ammissibilita' della questione. 
Competenza del remittente. 
    Il punto deve essere oggetto di specifica valutazione in  quanto,
secondo la prospettazione che si sottopone al vaglio della Corte (che
sara' illustrata nella parte relativa alla impossibilita' di  lettura
costituzionalmente orientata delle  norme  oggetto  di  censura),  la
rilevanza della questione non  concerne  solo  il  contenuto  che  il
provvedimento da adottarsi verrebbe ad avere facendo  o  non  facendo
applicazione delle norme sospettate di illegittimita' costituzionale,
ma la stessa possibilita' di adottare la tipologia  di  provvedimento
richiesta, cioe' l'annullamento parziale del decreto ministeriale  di
applicazione del regime di  cui  all'art.  41-bis  ord.  pen.  Stante
l'abrogazione esplicita, non vi e' indicazione espressa  sul  giudice
competente  ad  adottare  tale  tipologia  di  provvedimento,  e   la
determinazione del giudice  competente  deve  essere  di  conseguenza
svolta sulla base dei principi generali. 
    La Corte costituzionale ha piu' volte ribadito che, nella materia
relativa  ai  diritti  del  detenuto,  la  giurisdizione   appartiene
all'Autorita' giudiziaria ordinaria, con  cio'  superando  specifiche
eccezioni formulate dall'Avvocatura dello Stato in sede di giudizi di
legittimita' costituzionale (C. cost., sentt. 349 del 1993,  410  del
1993). 
      
    Con riferimento alla competenza per materia, l'individuazione del
giudice competente e' stata gia' fatta con sent. C. cost. n. 410  del
1993,  relativamente  ad  un  assetto  normativo  che  non  prevedeva
espressamente  alcun  tipo  di  reclamo  avverso   il   provvedimento
ministeriale, ne' sui  presupposti,  ne'  sul  contenuto.  La  Corte,
richiamando un obiter dictum della sentenza n. 349 del 1993,  scrive:
«...tale  affermazione,  che   nella   motivazione   della   sentenza
costituiva solo un passaggio argomentativo,  ma  non  un  capo  della
decisione, va ora  pienamente  ribadita  ...nell'ord.  pen.  e'  gia'
previsto un regime detentivo, il regime di sorveglianza  particolare,
disciplinato dagli artt. 14-bis  e  ter  seguenti...la  competenza  a
sindacare    la    legittimita'    dei     provvedimenti     adottati
dall'Amministrazione penitenziaria ai  sensi  dell'art.  41-bis  ord.
pen. deve riconoscersi a quello stesso organo...cui e'  demandato  il
controllo... ai sensi dell'art. 14-ter dell'ord. pen.».  Tale  organo
e' il Tribunale di sorveglianza. La successiva sentenza C. cost.,  n.
351 del 1996 ha chiarito che  il  controllo  sull'atto,  da  attuarsi
sempre da parte del Tribunale di sorveglianza in  analogia  a  quanto
disposto dall'art. 14-ter ord. pen., si estende anche alla congruita'
delle singole limitazioni. 
    Con riferimento alla competenza per  territorio,  si  deve  tener
conto della attribuzione della  competenza  a  decidere  su  tutti  i
reclami avverso provvedimenti di cui all'art. 41-bis  ord.  pen.,  al
Tribunale  di  sorveglianza  di  Roma,  a   seguito   della   novella
legislativa. La ratio di tale nuova  norma  puo'  essere  individuata
nell'esigenza di radicare la competenza non sul luogo  di  detenzione
dell'interessato ma sul  luogo  di  formazione  dell'atto  impugnato;
oppure nella necessita' di avere una uniformita' interpretativa  gia'
nel primo grado di giudizio. In  entrambi  i  casi  l'identica  ratio
suggerisce di attribuire al Tribunale di sorveglianza di  Roma  anche
la competenza sui  reclami  aventi  per  oggetto  il  contenuto  del,
provvedimento ministeriale. 
Rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale. 
    La questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  41-bis,
comma 2-sexies ord. pen., nella parte in cui non consente alle  parti
di proporre reclamo sulla congruita' del contenuto del  provvedimento
rispetto alle esigenze di cui al comma 2 dello  stesso  articolo,  e'
rilevante nel presente giudizio.  Infatti,  sulla  base  della  norma
vigente, il Tribunale dovrebbe dichiarare  inammissibile  il  reclamo
per la insussistenza del mezzo di  impugnazione  utilizzato,  nonche'
per la preclusione, per il Tribunale di sorveglianza, di sindacare il
contenuto del provvedimento ministeriale. 
    Dovrebbe   inoltre   respingere   l'eccezione   di   legittimita'
costituzionale sollevata dalla difesa per irrilevanza,  giacche',  se
anche l'ordinamento consentisse la fruizione, da parte  dei  detenuti
in regime speciale, di piu' di due ore di permanenza all'aperto,  non
diverso sarebbe l'esito  del  giudizio,  cioe'  la  dichiarazione  di
inammissibilita' del reclamo per l'impossibilita' di un  annullamento
parziale. Invece, in presenza di un quadro normativo che  consentisse
il  sindacato  sul  contenuto  del  provvedimento  ministeriale,   il
Tribunale ammetterebbe l'interessato alla fruizione  di  due  ore  di
permanenza all'aperto, sulla base della  vigente  legge,  e  potrebbe
rimettere alla Corte costituzionale (cosi'  come  fa,  con  ulteriore
questione   di   legittimita'   costituzionale,   pero'   logicamente
subordinata all'accoglimento  della  prima)  la  questione  sollevata
dalla difesa. 
    La questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art  41-bis,
comma 2-quater, lett. f) ord. pen., rilevante nel presente  giudizio,
subordinatamente all'accoglimento della prima, in quanto, sulla  base
della normativa vigente, integrata con la possibilita'  di  sindacare
il  contenuto  del  provvedimento  ministeriale,  il   Tribunale   di
sorveglianza, pur ritenendo ingiustificata, sulla base delle esigenze
di sicurezza proprie  dell'istituto,  la  limitazione  delle  ore  di
permanenza all'aperto a due, potrebbe al massimo  estendere  in  tale
misura le facolta' del detenuto; in presenza di un  quadro  normativo
meno restrittivo, estenderebbe il numero di  ore  d'aria  a  quattro,
cioe' il massimo consentito dal previgente art. 41-bis. 
Impossibilita' di una interpretazione adeguatrice. 
    Appare impossibile  interpretare  le  disposizioni  sottoposte  a
censura in modo tale da rendere immediatamente applicabile  l'assetto
normativo che deriverebbe da una eventuale sentenza  di  accoglimento
della Corte. 
    L'ammissibilita'   del   reclamo   avverso    il    provvedimento
ministeriale emesso ai sensi dell'art.  41-bis  ord.  pen.,  sia  con
riferimento ai presupposti  dell'atto  che  con  riferimento  al  suo
contenuto, e' diventata diritto  vivente  in  seguito  alle  sentenze
interpretative di rigetto della Corte nn. 349 e 410 del  1993,  e  n.
351 del 1996. Successivamente il legislatore, con la riforma  dettata
con legge 23 dicembre 2002, n. 279, ha recepito le indicazioni  della
Corte costituzionale, disciplinando espressamente il reclamo  avverso
il provvedimento ministeriale di cui all'art. 41-bis,  comma  2  ord.
pen.  Con  la  novella  del  2009,  il  legislatore  torna   indietro
relativamente alla  ammissibilita'  del  reclamo  sul  contenuto  del
decreto ministeriale. 
    Cio'  determina,  ad  avviso  del  Tribunale   di   sorveglianza,
l'impossibilita'  di  adeguare  le  norme,   risultanti   dall'ultima
riforma, alla Costituzione, secondo lo schema interpretativo adottato
dalla Corte costituzionale nelle sentenze del 1993 e  1996.  Cio'  in
quanto, all'epoca delle dette sentenze, l'art. 41-bis non  prevedeva,
ma nemmeno escludeva espressamente, la possibilita' di  un  controllo
giurisdizionale sui presupposti e  sul  contenuto  del  provvedimento
ministeriale, mentre oggi vi e' una disposizione espressa (l'art.  2,
comma 25, legge n. 94/2009), quella che ha riformulato l'art.  41-bis
ord. pen. in parte qua, che ha abrogato espressamente la possibilita'
del reclamo sui contenuti del provvedimento  ministeriale,  lasciando
peraltro in vigore la possibilita' del reclamo sulla sussistenza  dei
presupposti. Pertanto una  interpretazione  adeguatrice  si  porrebbe
come una interpretazione abrogatrice di una espressa disposizione  di
legge,  andando  contro  un  fondamentale  e   logico   criterio   di
interpretazione, quello storico-evolutivo. 
    Che la volonta'  del  legislatore  sia  quella  di  escludere  la
possibilita' di un reclamo avverso  il  contenuto  del  provvedimento
ministeriale,  si  evince  agevolmente  dall'abrogazione  dell'ultimo
periodo  del  comma  2-sexies  dell'articolo  di  legge   in   esame,
abrogazione   che   rende   peraltro   chiaro   che   il    sindacato
giurisdizionale sul contenuto  dell'atto  non  e'  solo  precluso  al
Tribunale di sorveglianza  di  Roma,  giudice  cui  e'  demandata  la
cognizione sui presupposti del provvedimento,  ma  e'  precluso  tout
court, senza possibilita'  di  ritenere  competente  qualsiasi  altro
giudice. 
    Non  appare  inoltre  possibile   ritenere   che,   al   di   la'
dell'espressione usata dal legislatore, secondo  cui  e'  ammesso  il
reclamo per insussistenza dei «presupposti» ma non  per  incongruita'
del «contenuto», la necessita' di un'interpretazione adeguatrice alla
Costituzione farebbe propendere per una ridefinizione del concetto di
«presupposti» tale da ricomprendere in tale  concetto  una  parte  di
cio'  che  prima  della  riforma  sarebbe  stato   etichettato   come
«congruita' del contenuto». Innanzitutto una tale interpretazione  si
porrebbe in insanabile contrasto, per le ragioni gia' esposte, con la
lettera dell'art. 2 comma 25 legge n. 94/2009, con  l'interpretazione
storico-evolutiva e  con  l'evidente  volonta'  del  legislatore;  in
secondo luogo il sindacato andrebbe comunque  limitato,  facendo  uso
dell'argomento ipotizzato, solo a quelle incongruita'  del  contenuto
del provvedimento talmente macroscopiche da comportare il venir  meno
dei suoi presupposti,  intesi  come  presupposti  dell'esistenza  del
potere dell'organo amministrativo (ai casi, quindi di vero e  proprio
sviamento di potere, che si avrebbe, per esempio, nel caso di  scuola
in  cui  il  Ministro,  sussistendo  la  capacita'  del  detenuto  di
mantenere contatti con l'esterno, sospenda tutti i suoi diritti).  In
questo modo residuerebbe comunque una zona di difetto di tutela, data
da quelle violazioni di diritti del detenuto non tali da  determinare
l'assoluta   nullita'   dell'atto   amministrativo.   Una    siffatta
violazione,  ad  avviso  del  Tribunale  di  sorveglianza,  e'  stata
compiuta ai  danni  dell'odierno  reclamante,  attesa  l'incongruita'
della sottoposizione dello stesso ad una limitazione della permanenza
all'aperto ad un'ora al giorno, incongruita' non tale, pero', da  far
ritenere il  provvedimento  impugnato  come  emesso  in  carenza  dei
presupposti e frutto di sviamento di potere. 
    La questione di legittimita' costituzionale del  comma  2-quater,
lettera f), dell'art. 41-bis  ord.  pen.  non  puo'  essere  superata
attraverso una interpretazione adeguatrice, essendo del tutto  chiara
la volonta' del legislatore, non suscettibile  di  interpolazioni  in
sede di interpretazione. Cio' si  ritiene  specie  in  considerazione
dell'intervenuta contestuale modifica dell'alinea del comma in esame,
con  sostituzione  delle  parole  «puo'  comportare»  con  la  parola
«prevede». 
      
Non  manifesta   infondatezza   delle   questioni   di   legittimita'
costituzionale. 
    Persuade della non  manifesta  infondatezza  della  questione  di
legittimita' costituzionale relativa  all'abrogazione  del  controllo
giurisdizionale  sul   contenuto   del   decreto   ministeriale,   la
giurisprudenza  della  Corte  costituzionale  in  argomento,   e   in
particolare la sentenza interpretativa di rigetto n.  351  del  1996.
All'epoca  della  rimessione  della  questione  alla  Corte  e  della
decisione,   non   era   previsto   espressamente   alcun   sindacato
giurisdizionale sul decreto ministeriale emesso  ai  sensi  dell'art.
41-bis  ord.  pen.  e   la   Corte   costituzionale,   con   sentenza
interpretativa di rigetto n. 410  del  1993,  aveva  dato  autorevole
indicazione per una interpretazione adeguatrice in virtu' della quale
era  ammissibile  il  controllo  giurisdizionale  sull'esistenza  dei
presupposti per l'adozione del provvedimento. 
    Richiamando e approfondendo le argomentazioni della  sentenza  n.
410  del  1993,   la   sent.   n.   351   del   1996   sancisce   che
un'interpretazione secondo cui  il  sindacato  giurisdizionale  debba
arrestarsi a verificare  la  sola  sussistenza  dei  presupposti  del
provvedimento  ministeriale,  senza  verificare  la  congruita'   del
contenuto di esso, determinerebbe antinomia con la Costituzione,  per
poi indicare la  possibilita'  di  una  interpretazione  conforme  ai
canoni costituzionali. Scrive la Corte che «...non vi e'  dubbio  che
il      sindacato      giurisdizionale      sulle      determinazioni
dell'Amministrazione, per esplicare  pienamente  la  sua  funzione  a
tutela dei diritti dei  detenuti,  debba  estendersi  non  solo  alla
sussistenza dei presupposti  per  l'adozione  del  provvedimento,  ma
anche al rispetto dei limiti posti dalla legge e  dalla  Costituzione
in ordine al  contenuto  di  questo,  vuoi  sotto  il  profilo  della
eventuale lesione di situazioni non comprimibili, vuoi  sotto  quello
della congruita' delle misure in concreto disposte rispetto  ai  fini
per i quali la legge  consente  all'amministrazione  di  disporre  un
regime derogatorio rispetto a quello ordinario». 
    Nel corpo della stessa sentenza la Corte osserva che, se la norma
si  limitasse  a  prevedere  la  sottoposizione  ad  un  regime  gia'
interamente   predeterminato   dalla   legge,    l'unico    controllo
giurisdizionale possibile, a parte eventuali contrasti fra la  stessa
legge e la  Costituzione,  potrebbe  vertere  sulla  sussistenza  dei
presupposti per l'adozione del provvedimento. Anche alla luce di tale
osservazione, nonostante la riduzione degli spazi di discrezionalita'
dell'organo amministrativo nell'attuale  quadro  normativo,  rispetto
agli spazi di discrezionalita' propri del quadro normativo oggetto di
intervento da parte della Corte nella  citata  sentenza,  permane  il
dubbio di illegittimita'  costituzionale  delle  norme  di  legge  in
esame. Infatti, la disposizione di cui  alla  lettera  f)  del  comma
2-quater dell'art. 41-bis risultante dalla  novella  lascia  comunque
all'autorita' amministrativa un pur ridotto  margine  di  scelta  sul
numero di ore di permanenza all'aperto del detenuto; inoltre, non  e'
stata abrogata ne' riformulata la lettera a) dello stesso comma,  che
lascia  ampie  possibilita'  di  scelta  all'organo   amministrativo;
infine, la Corte, con il richiamato passaggio della sentenza  n.  351
del  1996,  anche  nell'ipotizzato  caso  di  un  regime  interamente
predeterminato   dal   legislatore,   fa   espressamente   salva   la
possibilita' che il Tribunale di sorveglianza sindachi sul  contenuto
dell'atto allo scopo di far rilevare l'illegittimita'  costituzionale
di tale regime, e nel presente  procedimento  l'eccezione  difensiva,
fatta propria dal Tribunale di sorveglianza mira, fra l'altro, ad una
pronuncia del giudice delle leggi sulla compatibilita' con  la  Carta
fondamentale della citata lettera f)  del  comma  2-quater  dell'art.
41-bis Cost. 
    Pertanto, richiamata la giurisprudenza costituzionale in materia,
la nuova formulazione dell'art. 41-bis, commi 2-quinquies e  2-sexies
potrebbe fondatamente ritenersi in contrasto: con l'art. 13,  secondo
comma Cost. in quanto da' alla pubblica amministrazione il potere  di
incidere significativamente sulla liberta' personale di una categoria
di cittadini, senza che vi sia alcun controllo  giurisdizionale;  con
l'art. 24, primo comma Cost. in quanto, secondo  la  formulazione  di
tali commi, nel caso in cui il Ministro della giustizia  eserciti  il
suo potere violando in concreto i diritti di un detenuto,  attraverso
un contenuto incongruo del provvedimento tipico,  il  detenuto  resta
sfornito della possibilita' di tutelare tali diritti in giudizio; con
l'art. 113, primo comma Cost. in quanto contro il  provvedimento  del
Ministro della giustizia tali commi  non  prevedono  alcun  mezzo  di
impugnazione idoneo a rimuovere il contenuto eventualmente lesivo dei
diritti del detenuto; con l'art. 113, secondo comma Cost.  in  quanto
limitano a un particolare mezzo di  impugnazione,  cioe'  il  reclamo
sulla sussistenza dei presupposti, la tutela  giurisdizionale  contro
il provvedimento del Ministro. 
    L'art. 41-bis, comma 2-quater, lett. f), ord. pen.,  puo'  essere
fondatamente ritenuto in contrasto con l'art. 3, primo comma Cost. in
quanto pone in essere una disparita' di trattamento fra detenuti, non
giustificabile sulla base delle esigenze proprie del regime detentivo
speciale. Non si vede infatti in alcun modo come la limitazione delle
ore di permanenza all'aperto possa ridurre il rischio che il detenuto
mantenga contatti con l'esterno. La medesima  disposizione  di  legge
puo' ritenersi fondatamente in contrasto con l'art. 27, terzo  comma,
Cost. in quanto la riduzione della permanenza all'aperto nella misura
stabilita potrebbe considerarsi come degradante e contraria al  senso
di umanita', secondo un prudente apprezzamento che  il  Tribunale  di
sorveglianza non puo' che rimettere alla Corte costituzionale,  anche
attesa la flessibilita' del parametro  costituzionale,  quello  della
conformita' al senso di umanita', invocato dalla  difesa.  Rileva  la
considerazione secondo cui il previgente assetto normativo costituiva
gia', per ampiezza e durata, la massima limitazione  dei  diritti  di
liberta'  prevista  e  resa  possibile  dall'ordinamento.   Pertanto,
trovandosi ad applicare il  nuovo  intervento  del  legislatore,  che
comprime ulteriormente il regime detentivo speciale, il Tribunale  di
sorveglianza non puo' dichiarare manifestamente infondata l'eccezione
di illegittimita' costituzionale sollevata dalla difesa. 
    Convince ulteriormente della  non  manifesta  infondatezza  della
questione di legittimita' costituzionale un passaggio della  sentenza
della Corte costituzionale, n. 351 del 1996, laddove e'  scritto  che
«...non puo' mancare la individuazione di parametri normativi per  la
concretizzazione del divieto di  trattamenti  contrari  al  senso  di
umanita', e...da questo punto di vista  le  indicazioni  fornite  dal
legislatore  con  il  quarto  comma  dell'art.  14-quater  ord.  pen.
appaiono particolarmente pregnanti». Orbene, la  disposizione  citata
dalla Corte impone la permanenza all'aperto per  almeno  due  ore  al
giorno, salvo quanto previsto dall'art. 10 ord. pen., che prevede  la
possibile riduzione ad un'ora al giorno solo per motivi eccezionali. 
      
    La riforma del 2002 aveva  recepito  l'insegnamento  della  Corte
costituzionale  anche  su  questo  punto,  infatti   aveva   inserito
nell'art. 41-bis, comma  2-quater,  lett.  f),  che  prevedeva,  come
limite massimo di permanenza all'aperto, quattro ore  al  giorno,  il
riferimento al limite minimo di permanenza all'aperto di cui all'art.
10 ord. pen. La novella del  2009  torna  indietro  rispetto  a  tale
indicazione, pur formalmente ancora vigente, di fatto  vanificandola,
poiche' il limite minimo di cui all'art. 10 coincide  con  il  limite
massimo  indicato  dalla  nuova   legge,   rendendo   possibile   una
differenziazione delle prescrizioni  applicate  ai  singoli  detenuti
solo a costo di disporre la riduzione della permanenza all'aperto  ad
un'ora al giorno non solo  in  presenza  di  motivi  eccezionali,  ma
nell'esercizio di un'ampia discrezionalita', cosi' come  di  fatto e'
avvenuto, avendo il Ministro, con il provvedimento impugnato, ridotto
la permanenza all'aperto a un'ora al giorno per tutti i  detenuti  in
regime detentivo speciale. 
    La limitazione a due ore al giorno di permanenza all'aperto  come
limite massimo per i detenuti sottoposti al regime detentivo speciale
puo' fondatamente ritenersi contrastante con l'art.  27,  terzo comma
Cost. soprattutto considerando l'insieme delle  prescrizioni  tipiche
di  tale  regime,  tale  da  rendere  particolarmente  gravosa   ogni
ulteriore limitazione. 
    Pertanto il Tribunale ritiene di  dover  sollevare  questione  di
legittimita' costituzionale nei sensi, nei termini e sotto i  profili
indicati. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Sulle contrarie conclusioni del  p.g.,  visti  gli  articoli  134
Cost., 1, legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1, 23, legge 11 marzo 1953,
n. 87, 41-bis ord. pen., 666 e 678 c.p.p.; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale, che solleva d'ufficio, dell'art. 41-bis,
commi 2-quinquies e 2-sexies ord. pen., nella parte in cui tali commi
non consentono al detenuto o internato e  al  difensore  di  proporre
utilmente  reclamo  al  Tribunale  di  sorveglianza  per  difetto  di
congruita' del contenuto del provvedimento di cui al  comma  2  dello
stesso articolo, per contrariera' agli articoli 13, secondo comma, 24
primo comma, 113 primo e secondo comma Cost.; 
    Dichiara altresi' rilevante e  non  manifestamente  infondata  la
questione di  legittimita'  costituzionale,  sollevata  dalla  difesa
dell'interessato, dell'art. 41-bis, comma 2-quater, lett.  f),  nella
parte in cui limita  la  permanenza  all'aperto  ad  una  durata  non
superiore a due ore al giorno,  per  contrarieta'  agli  articoli  3,
primo comma e 27, terzo comma Cost.; 
    Sospende   il   giudizio   in   corso   fino   alla   definizione
dell'incidente   di   costituzionalita'   e   dispone    trasmettersi
immediatamente gli atti alla Corte costituzionale; 
    Dispone che la presente ordinanza, prima della trasmissione degli
atti alla Corte  costituzionale,  sia  notificata  alle  parti  e  al
Presidente del Consiglio dei  ministri  e  comunicata  ai  presidenti
delle due Camere del Parlamento; 
    Dispone che la presente  ordinanza  sia  altresi'  notificata  al
Ministro della giustizia. 
    Manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza. 
    Cosi' deciso in Roma, addi' 29 settembre 2009. 
 
                      Il Presidente: Panzadura 
 
 
                         Il magistrato estensore: della Ratta Rinaldi