N. 319 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 agosto 2009
Ordinanza del 19 agosto 2009 emessa dal Magistrato di sorveglianza di Modena sull'istanza proposta da M.C.. Ordinamento penitenziario - Licenze agli internati - Internato sottoposto alla misura di sicurezza della casa di lavoro - Concessione in via consecutiva di piu' licenze di quindici giorni ciascuna, al fine di fruire di un programma terapeutico avversivante della tossicodipendenza ovvero dell'alcooldipendenza - Mancata previsione - Irragionevole disparita' di trattamento rispetto al detenuto tossicodipendente o alcooldipendente - Violazione del diritto alla salute. - Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 53, comma secondo. - Costituzione, artt. 3 e 32.(GU n.2 del 13-1-2010 )
IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA Ha emesso la seguente ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale. M.C. internato presso la Casa di reclusione di Castelfranco Emilia ha avanzato istanze per la concessione di piu' licenze continuative - ai sensi dell'art. 53, secondo comma, primo periodo, della legge n. 354 del 1975 (Ordinamento penitenziario) - al fine di fruire di un programma terapeutico per tutta la durata della misura (scadente nel periodo minimo il 16 giugno 2010) contro la tossicodipendenza presso il SERT di Vicenza che si e' reso disponibile per l'erogazione di un programma terapeutico (v. nota SERT Vicenza del 7 luglio 2009). Questo Ufficio di sorveglianza, in questi casi - come in quello di specie - dove sussistono i presupposti per la fruizione di un programma terapeutico (che puo' essere di tipo comunitario, o, come nel caso di specie, territoriale) era solito concedere piu' licenze di quindici giorni ciascuna, ai sensi dell'art. 53, secondo comma, primo periodo, o.p., con effetto consecutivo, al fine di consentire all'internato, in regime ex lege di liberta' vigilata, di seguire il detto programma terapeutico. La concessione della suddetta serie di licenze di quindici giorni ciascuna per fruire del programma terapeutico era suffragata dalle seguenti considerazioni: agli internati non e' concedibile l'affidamento in prova terapeutico ex art. 94, decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 (ma nemmeno quello ordinario ex art. 47 o.p.); nel caso di specie non sono concedibili altre specie di licenze: non quella di riadattamento sociale, prevista dall'art. 53, comma 2, secondo periodo, o.p., della durata massima di trenta giorni all'anno, sia perche' non finalizzata a scopi terapeutici sia perche', soprattutto, i programmi terapeutici hanno durata ultraannuale e trenta giorni all'anno non possono soddisfare le necessita' di un programma terapeutico (di tipo comunitario o territoriale); ne' e' concedibile la licenza finale di esperimento, prevista dall'art. 53 o.p., teoricamente applicabile per fruire di programma terapeutico contro la tossicodipendenza o l'alcoolismo, che pero' e' possibile concedere solo negli ultimi sei mesi di misura, termine che nel caso di specie decorre solo a far tempo dal 16 dicembre 2009. La concessione di una serie di licenze continuative era fondata - oltre che sull'impossibilita' di concedere altre misure extramurarie - sulle seguenti ulteriori ragioni. La legge non pone alcun tetto massimo alla concessione di licenze agli internati, diversamente da quanto e' disposto per i detenuti semiliberi (che stanno espiando una pena e per i quali la licenza si connota ex professo come istituto premiale: «a titolo di premio», dice la legge, e non per soddisfare bisogni come la licenza per gli internati) per i quali opera il tetto massimo di quarantacinque giorni all'anno, ne' la legge prevede che tra una licenza e l'altra l'internato (che, peraltro, in licenza, e' gia' sottoposto ex lege alla misura di sicurezza della liberta' vigilata per tutto il periodo della licenza stessa) debba rientrare in Istituto. Ne' la legge vieta la concessione di licenze in via continuativa: non esiste alcuna norma che prevede una preclusione del genere. Una disposizione preclusiva della concessione in via continuativa, viceversa, e' prevista per la concessione dei permessi premio: qui la legge, oltre al tetto massimo di fruibilita' annua (quarantacinque giorni), prevede ex professo che il permesso premio, non sia superiore «ogni volta», a quindici giorni (cfr. art. 30-ter comma 1, o.p.). Con il sintagma «ogni volta» il legislatore pone un evidente vincolo alla concessione di permessi premio in via continuativa; vincolo che lo stesso legislatore penitenziario, invece, non ha previsto per la concessione delle licenze. Il che dovrebbe evidentemente significare che le licenze sono concedibili agli internati (anche) in via continuativa. La legge prevede misure come l'affidamento in prova (nelle due articolazioni di quello ordinario e di quello terapeutico), la detenzione domiciliare (nelle sue varie modalita' e articolazioni), la riduzione della pena di quarantacinque giorni al semestre, ecc., solo per coloro che espiano, in qualunque regime (anche in liberta' vigilata ex liberazione condizionale), una pena (detenuti, semiliberi, affidati). Il legislatore, tuttavia, non ha previsto per gli internati le suddette misure alternative; evidentemente - ad avviso di questo Ufficio - anche per la ragione che, non avendo posto un tetto massimo alle licenze, lo stesso risultato pratico non segregante puo' essere conseguito attraverso la strutturazione di licenze che, per non avere un tetto massimo di concedibilita', sono strumenti flessibili per la gestione di un istituto non retributivo come la misura di sicurezza. Ragionando diversamente, infatti - se cioe' non fosse possibile concedere licenze continuative agli internati - ne deriverebbe un effetto paradossale dato che il detenuto, cioe' colui che sta espiando una pena di carattere (anche) retributivo, al fine di fruire di un programma terapeutico, puo' essere ammesso all'affidamento in prova uscendo dal carcere addirittura sino a sei anni prima dal fine pena (attualizzato) mentre l'internato - sottoposto ad una misura non retributiva ma esclusivamente finalizzata alla di lui valutazione della pericolosita' sociale - dovrebbe rimanere necessariamente segregato (se gli e' stata applicata la casa di lavoro per tre anni, come nel caso di specie) almeno due anni e sei mesi prima di poter fruire di programmi terapeutici in via continuativa presso una comunita' o un SERT. Tra l'altro, se non fosse possibile concedere licenze continuative all'internato che inizia la casa di lavoro dopo avere terminato l'espiazione della pena in regime di affidamento in prova, speciale ovvero ordinario, ovvero in regime di aa.dd. ex art. 656 c.p.p., il soggetto, dopo avere terminato di espiare la pena detentiva in comunita' terapeutica - esattamente come nel caso di specie - dovrebbe essere necessariamente segregato in casa di lavoro perdendo cosi' il programma terapeutico e interrompendo quel percorso di risocializzazione che, iniziato durante l'esecuzione della pena, verrebbe spezzato ineluttabilmente e meccanicamente dalla misura di sicurezza, cioe' da una misura totalmente priva di carattere retributivo. In effetti, se non fosse possibile concedere agli internati licenze in via continuativa si verificherebbe l'assurdo che un istituto elastico come la misura di sicurezza (di carattere non retributivo ma valutativo) sarebbe piu' rigido della pena, che, come noto, segue e punisce la commissione di un reato mentre la misura di sicurezza viene applicata solo perche' si teme che il soggetto commetta un reato. In questo ordine di idee, secondo una diffusa e ventennale interpretazione degli uffici di sorveglianza, nel concetto di gravi esigenze di carattere continuativo (che consentono la concedibilita' di licenze in via continuativa) sono ricomprese: a) soggiorno e frequentazione di parenti (v. Magistrato sorveglianza Reggio Emilia del 17 settembre 2008); b) esigenza di mantenere rapporti con l'ambiente esterno e familiare (v. Magistrato sorveglianza Modena del 3 agosto 1994 e del 14 settembre 1994); c) esigenza di mantenere rapporti con l'ambiente esterno e familiare (v. Magistrato di sorveglianza di Modena del 21 aprile 1993; magistrato di sorveglianza di Modena del 22 aprile 1992); d) soggiorno in appartamento protetto (v. Magistrato sorveglianza Reggio Emilia del 23 settembre 2008); e) programma terapeutico presso il SERT; f) programma terapeutico presso comunita' terapeutica; g) programma terapeutico presso comunita' psichiatrica (v. Magistrato sorveglianza Reggio Emilia del 7 ottobre 2008); h) assistenza parenti handicappati ovvero affetti da gravi malattie; i) svolgimento di attivita' lavorativa. In questo quadro, l'interpretazione in base alla quale e' possibile concedere licenze in via continuativa, oltre che ancorata al dato testuale dell'art. 53, secondo comma, primo periodo, o.p. (che, si ripete, non prevede alcun iato temporale tra una licenza e l'altra ne' prevede tetti massimi di concedibilita' delle suddette licenze), appare l'unica esegesi costituzionalmente orientata. In effetti, secondo la giurisprudenza di codesto Giudice delle leggi, «risulta ormai presente nella disciplina sulle misure di sicurezza il principio secondo il quale si deve escludere l'automatismo che impone al giudice di disporre comunque la misura detentiva, anche quando una misura meno drastica, e in particolare una misura piu' elastica e non segregante come la liberta' vigilata, accompagnata da prescrizioni stabilite dal giudice medesimo, si riveli capace, in concreto, di soddisfare contemporaneamente le esigenze di cura e tutela della persona interessata e di controllo della sua pericolosita' sociale» (cfr., da ultimo, Corte costituzionale 7 luglio 2009, n. 107). Inoltre, e qui si deve affrontare anche il tema dell'inviolabile diritto alla salute, non si riesce a cogliere la ragione in base alla quale l'internato puo' fruire di un programma terapeutico solo negli ultimi sei mesi della misura (attraverso la LFE) mentre il detenuto ne puo' fruire addirittura per gli ultimi sei anni di pena (e con vincoli meno intensi dell'internato in licenza); ne' si vede per quale ragione debba essere meglio curato il detenuto rispetto all'internato che, di fronte al diritto alla salute dovrebbero - in quanto entrambi persone umane - essere trattati allo stesso modo. In proposito, vale osservare che il legislatore ha bilanciato l'irrinunciabile interesse della collettivita' a vedere punita la commissione di reati (che vulnerano il patto sociale) con l'interesse del singolo (che peraltro involge un interesse di preminente carattere collettivo posto che il tossicodipendente o l'alcooldipendente risanati si asterranno dal commettere reati e non costituiranno piu' un costo per il pubblico erario) ad ottenere le necessarie terapie vs la tossicomania o l'alcooldipendenza sancendo la possibilita' per il detenuto di fruire di un programma terapeutico avversivante dell'abuso di sostanze stupefacenti ovvero di sostanze alcooliche quando mancano sei anni (ovvero quattro se i reati sono ritenuti piu' gravi) dal fine-pena. Ora, se non fosse possibile concedere licenze in via continuativa all'internato per fruire di un programma terapeutico, si determinerebbe l'inaccettabile effetto che un internato, come il M.C. - verso cui lo Stato non ha piu' pretese punitive - potrebbe fruire di un programma terapeutico nei soli sei mesi finali della misura detentiva mentre per il precedente periodo di due anni e sei mesi dovrebbe essere ineluttabilmente segregato (dato che programmi terapeutici avversivanti della tossico/alcool dipendenza della durata di soli 15 giorni non esistono). Tuttavia, secondo la Procura generale della cassazione, le licenze continuative in questione, in quanto non intervallate da un rientro in Istituto, sono state emesse da questo Ufficio con grave violazione di legge, e segnatamente dell'art. 53 o.p., in quanto le dette licenze sono suddivise «solo formalmente e apparentemente in piu' distinte licenze della durata di quindici giorni ciascuna... in aperto contrasto con la succitata disposizione di legge che prevede la possibilita' di concedere licenze di tal fatta solo per gravi esigenze personali o familiari e per un periodo non superiore a quindici giorni». Da questa interpretazione che privilegia l'aspetto segregante della casa di lavoro non e' peraltro possibile estrapolare lo spazio temporale sufficiente (un giorno, quindici giorni o altro periodo) durante il quale l'internato, costretto a rientrare al termine della licenza di quindici giorni, dovrebbe permanere in Istituto al fine di non far ritenere adottate in grave violazione di legge le licenze concesse al fine di fruire di un programma terapeutico (o lavorativo o per le altre esigenze piu' sopra indicate). Ne' appare possibile ritenere l'interpretazione della Procura generale della cassazione come un semplice parere od opinione di parte dato che nella materia penitenziaria puo' prevalere - sulle decisioni del giudice - una semplice volonta', anche del tutto sfornita di motivazione, espressa dall'organo dell'accusa: «l'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, non possono essere concessi ai detenuti ed internati per delitti dolosi quando il Procuratore nazionale antimafia o il procuratore distrettuale comunica, d'iniziativa o su segnalazione del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione o internamento, l'attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata» (cfr. art. 4-bis, comma 3-bis, o.p.). Il rimettente non ignora che la questione di costituzionalita' e' inammissibile se il giudice a quo non motiva circa l'assenza di opzioni interpretative costituzionalmente orientate; tuttavia, nel caso di specie, e' la stessa opzione costituzionalmente conservativa e non segregante ad essere accusata di grave violazione di legge. In conclusione l'art. 53, comma 2, prima parte, o.p., cosi' come interpretato dalla Procura generale della Cassazione, appare sospettabile di illegittimita' costituzionale in riferimento all'art. 3 della Carta costituzionale per la manifesta disparita' di trattamento tra detenuti e internati in relazione alla fruibilita' di un programma terapeutico e dell'art. 32 Cost. che sancisce come inviolabile il diritto alla salute.
P. Q. M. Solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 53, secondo comma, primo periodo, o.p. nella parte in cui non prevede la concedibilita' in via consecutiva, all'internato sottoposto alla misura di sicurezza della casa di lavoro, di piu' licenze di quindici giorni ciascuna al fine di fruire di un programma terapeutico avversivante della tossicodipendenza ovvero dell'alcooldipendenza in relazione all'art. 3 Cost. per l'irragionevole disparita' di trattamento con il detenuto tossicodipendente o alcooldipendente e in relazione all'art. 32 Cost. per violazione del diritto alla salute; Sospende il procedimento in corso; Manda alla cancelleria per l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, per la notifica della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Modena, addi' 18 agosto 2009 Il magistrato: Martinelli