N. 8 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 22 aprile 2009
Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (merito) depositato in cancelleria il 28 dicembre 2009. Parlamento - Immunita' parlamentari - Procedimento penale a carico dell'on. Vittorio Sgarbi per il reato di diffamazione aggravata per le dichiarazioni da questi rese nel corso di una trasmissione televisiva in danno del magistrato Giancarlo Caselli - Deliberazione di insindacabilita' della Camera dei deputati - Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dalla Corte di appello di Milano - Denunciata mancanza di nesso funzionale tra opinioni espresse ed attivita' parlamentari. - Deliberazione della Camera dei deputati 30 maggio 2007. - Costituzione, art. 68, primo comma.(GU n.6 del 10-2-2010 )
Letti gli atti del procedimento penale a carico di Sgarbi Vittorio, nato a Ferrara 1'8 maggio 1952, imputato per il reato p. e p. dall'art. 595 c.p. e 30 comma 4 e 5, legge n. 223/1990 perche' nel corso della trasmissione televisiva «Iceberg» del 17 dicembre 2001 in Milano, trasmessa dall'emittente «Telelombardia» con sede in Milano, offendeva l'onore e la reputazione del dr. Giancarlo Caselli addebitando allo stesso la mancanza di autonomia e professionalita' nello svolgimento delle proprie funzioni di magistrato presso la Procura della Repubblica di Palermo, affermando fra l'altro «Caselli deve ridare allo Stato i soldi, i duecento miliardi spesi per l'inchiesta Andreotti, questa cosa e' gravissima e loro si sono sconfitti da soli, dimostrando che le loro inchieste erano senza fondamento»; «i magistrati hanno fatto atti criminali contro cittadini innocenti spendendo soldi nostri»; «il processo Andreotti e' un processo politico» «sperperano i soldi dello Stato e i soldi nostri per fare inchieste senza fondamento, inchieste sbagliate, politiche e sbagliate»; «Hanno agito per il Partito Comunista, Violante (...) Caselli, arrivato a Palermo su indicazione di Violante ha messo in atto il progetto politico Violante»; «hanno eseguito un mandato politico e hanno arrestato Calogero Mannino innocente, Contrada innocente, Musotto innocente, Andreotti processato innocente, spendendo cinquecento miliardi...li restituiscano»; «hanno liberato mafiosi e arrestato gli innocenti»; «partendo dalla sinistra che ha dato il potere ai vari Borrelli e Caselli hanno perseguito la loro politica giudiziaria di assoluta autonomia rispetto al potere politico, l'autonomia politica per fare politica loro per essere loro gli uomini di Governo (...) questo volevano, questo era il progetto»; «Andreotti era innocente e Caselli non era innocente, perche' Caselli in quel momento stava facendo un grave errore»; «tutti gli innocenti in galera e i colpevoli liberi e i mafiosi e gli assassini liberi, liberi, liberi, liberi di uccidere, questa e' stata la Magistratura», ed inoltre arrivando a paragonare i processi promossi da Caselli, con particolare riferimento a quello contro Andreotti, a quelli delle Brigate Rosse, con riferimento specifico al caso Moro, con l'unica differenza che Caselli non disponeva della pena di morte. Con l'aggravante di aver recato offesa con l'attribuzione di un fatto determinato nonche' dell'uso del mezzo televisivo e con la recidiva semplice ai sensi dell'art. 99 c.p. In cui e' parte offesa il sig. Giancarlo Caselli nato ad Alessandria il 9 maggio 1939 ed elettivamente domiciliato presso il difensore prof. Carlo Smuraglia via Santa Sofia, 72 Milano. Premesso che: con sentenza in data 16 novembre 2007 il Tribunale di Milano, in composizione monocratica, dichiarava non doversi procedere nei confronti di Sgarbi Vittorio in ordine al reato di cui sopra ai sensi degli articoli 3, legge 20 giugno 2003, n. 140 in relazione all'art. 68, primo comma della Costituzione e 529 c.p.p.; con distinti atti di impugnazione il pubblico ministero, il Procuratore generale e la parte civile proponevano appello avverso l'indicata sentenza chiedendo, in rito, la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sollevando, ex art. 134 Cost., conflitto di attribuzioni con la Camera dei deputati con riferimento alla delibera del 30 maggio 2007 con la quale veniva dichiarata l'insindacabilita' delle espressioni usate dall'on. Vittorio Sgarbi nel corso della trasmissione televisiva «Iceberg» del 17 dicembre 2001, trasmessa dall'emittente «Telelombardia» e con richiesta di annullamento della predetta delibera; all'odierna udienza il p.g. e la difesa della parte civile rinnovavano tale richiesta mentre la difesa dell'imputato chiedeva che, rigettate le proposte impugnazioni, venisse confermata la sentenza di primo grado. Rilevato che nel corso del procedimento dinnanzi al Tribunale, e allorche' era stata completata l'attivita' di istruzione dibattimentale, era intervenuta la pronuncia dell'Assemblea della Camera dei deputati in data 30 maggio 2007 con cui si deliberava l'insindacabilita' delle espressioni usate nell'occasione dall'on. Sgarbi perche' giudicate rientranti nelle opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio dello proprie funzioni ai sensi dell'art. 68 della Costituzione. Osservato che: la vicenda oggetto di giudizio riguarda presunte manovre politiche che avrebbero animato la Procura di Palermo, e per essa il Procuratore dr. Caselli qui costituito parte civile, onde orientare l'attivita' investigativa antimafia a finalita' anch'esse politiche; allo stato degli atti non risulta provata la verita' oggettiva delle circostanze riferite dallo Sgarbi nella trasmissione televisiva e che la decisione di insindacabilita' assunta dalla Camera dei deputati appare sicuramente rilevante e decisiva per la prosecuzione del giudizio; le doglianze degli appellanti risultano fondate per le ragioni che seguono. Considerato che la Giunta (cfr. Relazione della Giunta per le autorizzazioni, relatore Vacca, in atti) - dopo aver preso atto che «l'on. Di Gioia aveva formulato una proposta nel senso della sindacabilita', sostenendo che le parole di Sgarbi contenessero accuse gravi, offensive e per di piu' non supportate da alcun atto parlamentare tipico» - dava atto che «... nella maggior parte dei deputati intervenuti nel dibattito e' prevalsa invece la considerazione, pure non del tutto conforme ai dettami della giurisprudenza costituzionale, che si tratta, in effetti, di dichiarazioni di carattere eminentemente politico, riferibile al rapporto esistente tra una personalita' parlamentare (l'ex Presidente della Camera) e un alto magistrato in merito alla posizione processuale di un senatore a vita, a sua volta gia' deputato e capo del Governo. Considerare tale fattispecie non insindacabile potrebbe significare reprimere entro schemi troppo formalistici una critica che trova nell'ambito parlamentare il suo naturale punto di scaturigine. L'ex deputato Sgarbi e' piu' volte intervenuto sull'operato di taluni magistrati, spesso con toni fin troppo aspri. Il relatore, pur non condividendo i contenuti di tale linea polemica ne' nei toni ne' tanto meno nelle espressioni, ritiene pero' che, se uno dei criteri per conformarsi ai fini dell'applicabilita' del primo comma dell'art. 68 della Costituzione e' stato ed e' quello dell'aver il parlamentare svolto considerazioni analoghe a quelle oggetto di giudizio non solo in atti tipici ma anche in sedi proprie, allora anche in questa circostanza tale percorso debba essere seguito prescindendo - lo ribadisce - dal merito delle affermazioni... Per questi motivi, a maggioranza, la Giunta propone di deliberare che i fatti ascritti all'on. Sgarbi ...concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni». Rilevato che: - a fronte di tali affermazioni - non e' agevole comprendere il nesso fra le gravi accuse di abusi mosse all'odierna parte civile e l'atto tipico del parlamentare Sgarbi avente ad oggetto le tesi sostenute nell'intervista televisiva, anche per l'impossibilita' di individuare quelle «sedi proprie» alle quasi si riferiva il relatore Vacca; la decisione adottata appare in contrasto con la costante giurisprudenza costituzionale in subiecta materia rammentandosi, a titolo esemplificativo, le statuizioni di cui alle sentenze n. 10 e 11 dell'11 gennaio 2000 (alle quali si sono richiamate, tra le altre, le successive e conformi sentenze n. 52 del 27 febbraio 2002; n. 207 del 20 maggio 2002; n. 294 del 19 giugno 2002; n. 164 del 7 aprile 2005, n. 176 del 2 maggio 2005; n. 249 del 28 giugno 2006; n. 258 del 4 luglio 2006), Ove si legge: «... E' pacifico che costituiscono opinioni espresse nell'esercizio della funzione quelle manifestate nel corso dei lavori della Camera e dei suoi vari organi, in occasione dello svolgimento di una qualsiasi fra le funzioni svolte dalla Camera medesima, ovvero manifestate in atti, anche individuali, costituenti estrinsecazione delle facolta' proprie del parlamentare in quanto membro dell'assemblea; che l'attivita' politica svolta dal parlamentare al di fuori di questo ambito non puo' dirsi di per se' esplicazione della funzione parlamentare nel senso preciso cui si riferisce l'art. 68, primo comma, della Costituzione; che nel normale svolgimento della vita democratica e del dibattito politico, le opinioni che il parlamentare esprima fuori dai compiti e dalle attivita' propri delle assemblee rappresentano piuttosto esercizio della liberta' di espressione comune a tutti i consociati: ad esse dunque non puo' estendersi, senza snaturarla, una immunita' che la Costituzione ha voluto, in deroga al generale principio di legalita' e di giustiziabilita' dei diritti, riservare alle opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni; che la linea di confine fra la tutela dell'autonomia e della liberta' delle Camere, e, a tal fine, della liberta' di espressione dei loro membri, da un lato, e la tutela dei diritti e degli interessi, costituzionalmente protetti, suscettibili di essere lesi dall'espressione di opinioni, dall'altro lato, e' fissata dalla Costituzione attraverso la delimitazione funzionale dell'ambito della prerogativa. Senza questa delimitazione, l'applicazione della prerogativa la trasformerebbe in un privilegio personale (cfr. sentenza n. 375 del 1997), finendo per conferire ai parlamentari una sorta di statuto personale di favore quanto all'ambito e ai limiti della loro liberta' di manifestazione del pensiero: con possibili distorsioni anche del principio di eguaglianza e di parita' di opportunita' fra cittadini nella dialettica politica; che discende da quanto osservato che la semplice comunanza di argomento fra la dichiarazione che si pretende lesiva e le opinioni espresse dal deputato o dal senatore in sede parlamentare non puo' bastare a fondare l'estensione alla prima dell'immunita' che copre le seconde; che tanto meno puo' bastare a tal fine la ricorrenza di un contesto genericamente politico in cui la dichiarazione si inserisca. Siffatto tipo di collegamenti non puo' valere di per se' a conferire carattere di attivita' parlamentare a manifestazioni di opinioni che siano oggettivamente ad essa estranee. Sarebbe, oltre - tutto, contraddittorio da un lato negare - come e' inevitabile negare - che di per se' l'espressione di opinioni nelle piu' diverse sedi pubbliche costituisca esercizio di funzione parlamentare, e dall'altro lato ammettere che essa invece acquisti tale carattere e valore in forza di generici collegamenti contenutistici con attivita' parlamentari svolte dallo stesso membro delle Camere; che in questo senso va precisato il significato del «nesso funzionale» che deve riscontrarsi, per poter ritenere l'insindacabilita', tra la dichiarazione e l'attivita' parlamentare; non come semplice collegamento di argomento o di contesto fra attivita' parlamentare e dichiarazione, ma come identificabilita' della dichiarazione stessa quale espressione di attivita' parlamentare; che nel caso di riproduzione all'esterno della sede parlamentare, e' necessario, per ritenere che sussista l'insindacabilita', che si riscontri la indentita' sostanziale di contenuto fra l'opinione espressa in sede parlamentare e quella manifestata nella sede esterna; che cio' che si richiede, ovviamente, non e' una puntuale coincidenza testuale, ma una sostanziale corrispondenza di contenuti; che nei casi in cui non e' riscontrabile esercizio di funzioni parlamentari, il valore della legalita' - giurisdizione non collide certo con quello dell'autonomia delle Camere e cosi' di spiega che la giurisprudenza costituzionale abbia appunto stabilito che l'immunita' non vale per tutte quelle opinioni che «il parlamentare manifesta nel piu' esteso ambito della politica»; che alla luce di tale interpretazione si debbono pertanto ritenere, in linea di principio, sindacabili tutte quelle dichiarazioni, che fuoriescono dal campo applicativo del «diritto parlamentare» e che non siano immediatamente collegabili con specifiche forme di esercizio di funzioni parlamentari, anche se siano caratterizzate da un asserito «contesto politico» o ritenute, per il contenuto delle espressioni o per il destinatario o la sede in cui sono state rese, manifestazione di sindacato ispettivo; che questa forma di controllo politico rimessa al singolo parlamentare puo' infatti aver rilievo, nei giudizi in oggetto, soltanto se si esplica come funzione parlamentare, attraverso atti e procedure specificamente previsti dai regolamenti parlamentari; se dunque l'immunita' copre il membro del Parlamento per il contenuto delle proprie dichiarazioni soltanto se concorre il contesto funzionale, il problema specifico, che non appare irrilevante in questo conflitto, della riproduzione all'esterno degli organi parlamentari di dichiarazioni gia' rese nell'esercizio di funzioni parlamentari si puo' risolvere nel senso dell'insindacabilita' solo ove sia riscontrabile corrispondenza sostanziale di contenuti con l'atto parlamentare, non essendo sufficiente a questo riguardo una mera comunanza di tematiche»; che tale orientamento della Corte costituzionale e' stato ribadito con la sentenza n. 120 del 16 aprile 2004, pronunciata in relazione al diverso tema del vaglio di costituzionalita' dell'art. 3, primo comma, legge n. 140 del 2003: «... Nonostante le evoluzioni subite, nel tempo, nella giurisprudenza di questa Corte, e' enucleabile un principio, che e' possibile oggi individuare come limite estremo della prerogativa dell'insindacabilita', e con cio' stesso delle virtualita' interpretative astrattamente ascrivibili all'art. 68: questa non puo' mai trasformarsi in un privilegio personale, quale sarebbe una immunita' dalla giurisdizione conseguente alla mera "qualita'" di parlamentare». Per tale ragione l'itinerario della giurisprudenza della Corte si e' sviluppato attorno alla nozione del cd. «nesso funzionale», che solo consente di discernere le opinioni del parlamentare riconducibili alla libera manifestazione del pensiero, garantita ad ogni cittadino nei limiti generali della liberta' di espressione, da quelle che riguardano l'esercizio della funzione parlamentare. Certamente rientrano nello sfera dell'insindacabilita' tutte le opinioni manifestate con atti tipici nell'ambito dei lavori parlamentari, mentre per quanto attiene alle attivita' non tipizzate esse si debbono tuttavia considerare «coperte» dalla garanzia di cui all'art. 68, nei casi in cui si esplicano mediante strumenti, atti e procedure, anche «innominati», ma comunque rientranti nel campo di applicazione del diritto parlamentare, che il membro del Parlamento e' in grado di porre in essere e di utilizzare proprio solo e in quanto riveste tale carica (cfr. sentenze n. 56 del 2000, n. 509 del 2002 e n. 219 del 2003). Cio' che rileva, ai fini dell'insindacabilita', e' dunque il collegamento necessario con le «funzioni» del Parlamento, cioe' l'ambito funzionale entro cui l'atto si iscrive, a prescindere dal suo contenuto comunicativo, che puo' essere il piu' vario, ma che in ogni caso deve essere tale da rappresentare esercizio in concreto delle funzioni proprie dei membri delle Camere, anche se attuato in forma «innominata» sul piano regolamentare. Sotto questo profilo non c'e' percio' una sorta di automatica equivalenza tra l'atto non previsto dai regolamenti parlamentari e l'atto estraneo alla funzione parlamentare, giacche', come gia' detto, deve essere accertato in concreto se esista un nesso che permetta di identificare l'atto in questione come «espressione di attivita' parlamentare» (cfr. sentenze n. 10 e n. 11 del 2000, n. 379 e n. 219 del 2003). E' in questa prospettiva che va effettuato lo scrutinio della disposizione denunciata le attivita' di «ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica» che appunto il censurato art. 3, comma 1, riferisce all'ambito di applicazione dell'art. 68, primo comma, non rappresentano, di per se', un'ipotesi di indebito allargamento della garanzia dell'insindacabilita' apprestata dalla norma costituzionale, proprio perche' esse, anche se non manifestate in atti «tipizzarti», debbono comunque, secondo la previsione legislativa e in conformita' con il dettato costituzionale, risultare in connessione con l'esercizio di funzioni parlamentarti. E' appunto questo «nesso» il presidio delle prerogative parlamentari e, insieme, del principio di eguaglianza e dei diritti fondamentali dei terzi lesi.». Occorre, altresi', evidenziare che la legge n. 140/2003 non ha natura di legge costituzionale e, pertanto, non e' idonea a stravolgere i limiti delineati dalla Corte in relazione all'applicabilita' dell'art. 68 primo comma della Costituzione. Pertanto, si ritiene che anche il riferimento alle attivita' di «ispezione divulgazione, critica e denuncia politica», espletate fuori dal Parlamento che devono essere connesse alla «funzione di parlamentare» non possa prescindere dall'applicazione dei criteri delineati darla Corte costituzionale sopra richiamati. La diversa interpretazione, diretta a ricomprendere nella sfera dell'insindacabilita' qualsiasi attivita' politica posta in essere da parlamentare al di fuori dal Parlamento, oltre che porsi in contrasto con lo stesso art. 68 della Costituzione, determinerebbe, di fatto, la compromissione dei diritti all'onore ed alla reputazione, Osservato che: la deliberazione adottata dalla Camera dei deputati il 30 maggio 2007 appare in contrasto con i richiamati canoni interpretativi atteso che non contiene alcun elemento concreto da cui poter desumere la sussistenza di una corrispondenza sostanziale tra i contenuti dell'intervista oggetto di querela e le opinioni gia' espresse dal deputato e specifici atti parlamentari, non essendo sufficiente una mera comunanza di tematiche in «atti tipici» e «in sedi proprie» in alcun modo individuati ne' l'interesse manifestato dallo Sgarbi, nello svolgimento della sua attivita' politica, per le tematiche della politica giudiziaria in tema di «lotta» alla mafia; l'interpretazione prospettata dalla decisione di cui trattasi comporta, di fatto, che l'istituto previsto dalla norma costituzionale si trasformi da «esenzione di responsabilita' legata alla funzione in privilegio personale» (cfr. sent. 11/10 gia' citata) con la conseguenza che le opinioni e le dichiarazioni manifestate da un parlamentare sarebbero sempre e comunque sottratte alla verifica giurisdizionale; deve, pertanto, ritenersi che la condotta addebitata al deputato Sgarbi, astrattamente idonea, nella sua specificita' e gravita' ad integrare un illecito, esula dall'esercizio delle funzioni parlamentari e non presenta oggettivamente alcun legame con atti parlamentari neppure nell'accezione piu' ampia e come tale dovrebbe rientrare nella cognizione riservata al sindacato giurisdizionale; dalla copiosa produzione documentale versata in atti dalla difesa di parte civile emerge come in numerosissimi casi analoghi a quello per cui si procede, anche fra le stesse parti, sono stati sollevati conflitti fra poteri dello Stato relativi all'insindacabilita' con esito positivo dinnanzi alla Corte costituzionale che annullava le delibere degli organi parlamentari; le opinioni manifestate dall'on. Sgarbi non possono, per carenza del nesso funzionale, ritenersi rese nell'esercizio delle funzioni parlamentari e quindi per esse non e' invocabile l'immunita' ai sensi dell'art. 68, primo comma della Costituzione; nel caso di specie, appare di conseguenza necessario sollevare conflitto di attribuzioni fra poteri dello stato, conflitto ammissibile sia sotto il profilo soggettivo (questa Corte e' l'organo competente a decidere, nell'ambito delle funzioni giurisdizionali attribuite, sulla asserita illiceita' della condotta ascritta all'indagato e quindi «a dichiarare la volonta' del potere cui appartiene, in posizione di piena indipendenza garantita dalla Costituzione»: cfr., fra le altre, ordinanze Corte cost. n. 60 del 1999, numeri 469, 407, 261, 254 del 1998), sia sotto quello oggettivo, trattandosi della sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 68 primo comma della Costituzione e della lesione della propria sfera dia attribuzioni giurisdizionali, costituzionalmente garantita, giacche' illegittimamente menomata dalla suindicata deliberazione della Camera dei deputati;
P. Q. M. Visti gli articoli 134 Cost. e 37, legge 11 marzo 1953, n. 87, Dispone la sospensione del giudizio in corso a carico di Sgarbi Vittorio e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, sollevando conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato e chiede che la Corte voglia: dichiarare ammissibile il presente conflitto, adottando ogni conseguente provvedimento ai sensi degli articoli 37 e segg., legge n. 87/1953 ed ogni altra norma applicabile; dichiarare che non spettava alla Camera dei deputati la valutazione della condotta addebitata al deputato Sgarbi Vittorio, in quanto estranea alla previsione di cui all'art. 68, primo comma Cost.; annullare la relativa delibera della Camera dei deputati in data 30 maggio 2007 (Doc. IV-ter n. 1-A) Manda alla cancelleria per la notifica del presente provvedimento ai Presidenti delle due Camere del Parlamento, al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' all'imputato contumace. Milano, addi' 22 aprile 2009 Il Presidente: Calia I consiglieri: Todaro - Arienti Avvertenza L'ammissibilita' del presente conflitto e' stata decisa con ordinanza n. 303/2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, 1ª s.s., n. 47 del 25 novembre 2009.