N. 8 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 22 aprile 2009

Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (merito)
depositato in cancelleria il 28 dicembre 2009. 
 
Parlamento - Immunita' parlamentari - Procedimento  penale  a  carico
  dell'on. Vittorio Sgarbi per il reato di diffamazione aggravata per
  le dichiarazioni da questi  rese  nel  corso  di  una  trasmissione
  televisiva  in   danno   del   magistrato   Giancarlo   Caselli   -
  Deliberazione di  insindacabilita'  della  Camera  dei  deputati  -
  Conflitto di attribuzione tra poteri dello  Stato  sollevato  dalla
  Corte  di  appello  di  Milano  -  Denunciata  mancanza  di   nesso
  funzionale tra opinioni espresse ed attivita' parlamentari. 
- Deliberazione della Camera dei deputati 30 maggio 2007. 
- Costituzione, art. 68, primo comma. 
(GU n.6 del 10-2-2010 )
    Letti gli  atti  del  procedimento  penale  a  carico  di  Sgarbi
Vittorio, nato a Ferrara 1'8 maggio 1952, imputato per il reato p.  e
p. dall'art. 595 c.p. e 30 comma 4 e 5, legge n. 223/1990 perche' nel
corso della trasmissione televisiva «Iceberg» del 17 dicembre 2001 in
Milano, trasmessa dall'emittente «Telelombardia» con sede in  Milano,
offendeva  l'onore  e  la  reputazione  del  dr.  Giancarlo   Caselli
addebitando allo stesso la mancanza di autonomia  e  professionalita'
nello svolgimento delle proprie  funzioni  di  magistrato  presso  la
Procura della Repubblica di Palermo, affermando fra l'altro  «Caselli
deve ridare allo  Stato  i  soldi,  i  duecento  miliardi  spesi  per
l'inchiesta Andreotti, questa cosa  e'  gravissima  e  loro  si  sono
sconfitti da soli, dimostrando che  le  loro  inchieste  erano  senza
fondamento»;  «i  magistrati  hanno  fatto  atti   criminali   contro
cittadini innocenti spendendo soldi nostri»; «il  processo  Andreotti
e' un processo politico» «sperperano i soldi dello Stato  e  i  soldi
nostri per fare  inchieste  senza  fondamento,  inchieste  sbagliate,
politiche e  sbagliate»;  «Hanno  agito  per  il  Partito  Comunista,
Violante (...) Caselli, arrivato a Palermo su indicazione di Violante
ha messo in atto il progetto politico Violante»; «hanno  eseguito  un
mandato  politico  e  hanno  arrestato  Calogero  Mannino  innocente,
Contrada   innocente,   Musotto   innocente,   Andreotti   processato
innocente, spendendo cinquecento miliardi...li restituiscano»; «hanno
liberato mafiosi e arrestato gli innocenti»; «partendo dalla sinistra
che ha dato il potere ai vari Borrelli e Caselli hanno perseguito  la
loro politica giudiziaria di assoluta autonomia  rispetto  al  potere
politico, l'autonomia politica per fare politica loro per essere loro
gli uomini di Governo (...) questo volevano, questo era il progetto»;
«Andreotti era innocente e Caselli non era innocente, perche' Caselli
in quel momento stava facendo un grave errore»; «tutti gli  innocenti
in galera e i colpevoli liberi e i mafiosi e  gli  assassini  liberi,
liberi, liberi, liberi di uccidere, questa e' stata la Magistratura»,
ed inoltre arrivando a paragonare i processi promossi da Caselli, con
particolare riferimento a quello contro  Andreotti,  a  quelli  delle
Brigate Rosse, con riferimento specifico al caso  Moro,  con  l'unica
differenza che Caselli non disponeva della pena di morte. 
    Con l'aggravante di aver recato offesa con l'attribuzione  di  un
fatto determinato nonche' dell'uso del  mezzo  televisivo  e  con  la
recidiva semplice ai sensi dell'art. 99 c.p. 
    In cui  e'  parte  offesa  il  sig.  Giancarlo  Caselli  nato  ad
Alessandria il 9 maggio 1939 ed elettivamente domiciliato  presso  il
difensore prof. Carlo Smuraglia via Santa Sofia, 72 Milano. 
    Premesso che: 
        con sentenza in data 16 novembre 2007 il Tribunale di Milano,
in composizione monocratica, dichiarava  non  doversi  procedere  nei
confronti di Sgarbi Vittorio in ordine al reato di cui sopra ai sensi
degli articoli 3, legge 20 giugno 2003, n. 140 in relazione  all'art.
68, primo comma della Costituzione e 529 c.p.p.; 
        con distinti atti di impugnazione il pubblico  ministero,  il
Procuratore generale e la parte civile  proponevano  appello  avverso
l'indicata sentenza chiedendo, in rito, la  trasmissione  degli  atti
alla Corte costituzionale sollevando, ex art. 134 Cost., conflitto di
attribuzioni con la Camera dei deputati con riferimento alla delibera
del 30 maggio 2007 con la quale veniva dichiarata  l'insindacabilita'
delle espressioni usate dall'on.  Vittorio  Sgarbi  nel  corso  della
trasmissione televisiva «Iceberg» del  17  dicembre  2001,  trasmessa
dall'emittente «Telelombardia» e con richiesta di annullamento  della
predetta delibera; 
        all'odierna udienza il p.g. e la difesa  della  parte  civile
rinnovavano tale richiesta mentre la  difesa  dell'imputato  chiedeva
che,  rigettate  le  proposte  impugnazioni,  venisse  confermata  la
sentenza di primo grado. 
    Rilevato che nel corso del procedimento dinnanzi al Tribunale,  e
allorche'   era   stata   completata   l'attivita'   di    istruzione
dibattimentale, era intervenuta  la  pronuncia  dell'Assemblea  della
Camera dei deputati in data 30 maggio  2007  con  cui  si  deliberava
l'insindacabilita' delle espressioni  usate  nell'occasione  dall'on.
Sgarbi perche' giudicate rientranti nelle  opinioni  espresse  da  un
membro del Parlamento nell'esercizio dello proprie funzioni ai  sensi
dell'art. 68 della Costituzione. 
    Osservato che: 
        la vicenda oggetto  di  giudizio  riguarda  presunte  manovre
politiche che avrebbero animato la Procura di Palermo, e per essa  il
Procuratore dr. Caselli qui costituito parte civile,  onde  orientare
l'attivita' investigativa antimafia a finalita' anch'esse politiche; 
        allo  stato  degli  atti  non  risulta  provata  la   verita'
oggettiva delle circostanze riferite dallo Sgarbi nella  trasmissione
 televisiva e che la  decisione  di  insindacabilita'  assunta  dalla
Camera dei deputati appare sicuramente rilevante e  decisiva  per  la
prosecuzione del giudizio; 
        le  doglianze  degli  appellanti  risultano  fondate  per  le
ragioni che seguono. 
    Considerato che la Giunta (cfr. Relazione  della  Giunta  per  le
autorizzazioni, relatore Vacca, in atti) - dopo aver preso  atto  che
«l'on.  Di  Gioia  aveva  formulato  una  proposta  nel  senso  della
sindacabilita', sostenendo  che  le  parole  di  Sgarbi  contenessero
accuse gravi, offensive e per di piu' non supportate  da  alcun  atto
parlamentare tipico» - dava atto che «...  nella  maggior  parte  dei
deputati  intervenuti   nel   dibattito   e'   prevalsa   invece   la
considerazione,  pure  non  del  tutto  conforme  ai  dettami   della
giurisprudenza  costituzionale,  che  si  tratta,  in   effetti,   di
dichiarazioni di  carattere  eminentemente  politico,  riferibile  al
rapporto esistente tra una personalita' parlamentare (l'ex Presidente
della  Camera)  e  un  alto  magistrato  in  merito  alla   posizione
processuale di un senatore a vita, a sua volta gia' deputato  e  capo
del Governo. Considerare tale fattispecie non insindacabile  potrebbe
significare reprimere entro schemi troppo  formalistici  una  critica
che  trova  nell'ambito  parlamentare  il  suo  naturale   punto   di
scaturigine. 
    L'ex deputato Sgarbi e' piu' volte  intervenuto  sull'operato  di
taluni magistrati, spesso con toni fin troppo aspri. Il relatore, pur
non condividendo i contenuti di tale linea polemica ne' nei toni  ne'
tanto meno nelle espressioni, ritiene pero' che, se uno  dei  criteri
per conformarsi ai fini dell'applicabilita' del primo comma dell'art.
68 della Costituzione e' stato ed e' quello dell'aver il parlamentare
svolto considerazioni analoghe a quelle oggetto di giudizio non  solo
in atti tipici ma anche in  sedi  proprie,  allora  anche  in  questa
circostanza tale percorso debba essere  seguito  prescindendo  -   lo
ribadisce -  dal merito delle affermazioni... Per  questi  motivi,  a
maggioranza, la Giunta propone di deliberare  che  i  fatti  ascritti
all'on. Sgarbi ...concernono  opinioni  espresse  da  un  membro  del
Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni». 
    Rilevato che: 
        - a fronte di tali affermazioni - non e' agevole  comprendere
il nesso fra le gravi accuse di abusi mosse all'odierna parte  civile
e l'atto tipico del parlamentare Sgarbi avente  ad  oggetto  le  tesi
sostenute nell'intervista televisiva, anche per  l'impossibilita'  di
individuare quelle «sedi proprie» alle quasi si riferiva il  relatore
Vacca; 
        la decisione adottata appare in  contrasto  con  la  costante
giurisprudenza costituzionale in subiecta  materia  rammentandosi,  a
titolo esemplificativo, le statuizioni di cui alle sentenze n.  10  e
11 dell'11 gennaio 2000 (alle quali si sono richiamate, tra le altre,
le successive e conformi sentenze n. 52 del 27 febbraio 2002; n.  207
del 20 maggio 2002; n. 294 del 19 giugno 2002; n. 164  del  7  aprile
2005, n. 176 del 2 maggio 2005; n. 249 del 28 giugno 2006; n. 258 del
4 luglio 2006), 
    Ove si legge: 
        «...  E'  pacifico  che   costituiscono   opinioni   espresse
nell'esercizio della funzione quelle manifestate nel corso dei lavori
della Camera e dei suoi vari organi, in occasione  dello  svolgimento
di una qualsiasi fra le funzioni svolte dalla Camera medesima, ovvero
manifestate in atti, anche individuali,  costituenti  estrinsecazione
delle  facolta'   proprie   del   parlamentare   in   quanto   membro
dell'assemblea; 
        che l'attivita' politica svolta dal parlamentare al di  fuori
di questo ambito  non  puo'  dirsi  di  per  se'  esplicazione  della
funzione parlamentare nel senso preciso cui si riferisce  l'art.  68,
primo comma, della Costituzione; 
        che nel normale svolgimento  della  vita  democratica  e  del
dibattito politico, le opinioni che il parlamentare esprima fuori dai
compiti  e  dalle  attivita'  propri  delle  assemblee  rappresentano
piuttosto esercizio della liberta' di espressione comune  a  tutti  i
consociati: ad esse dunque non puo' estendersi, senza snaturarla, una
immunita' che la  Costituzione  ha  voluto,  in  deroga  al  generale
principio di legalita' e di giustiziabilita' dei  diritti,  riservare
alle opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni; 
        che la linea di confine fra la tutela dell'autonomia e  della
liberta' delle Camere, e, a tal fine, della liberta'  di  espressione
dei loro membri, da  un  lato,  e  la  tutela  dei  diritti  e  degli
interessi, costituzionalmente protetti, suscettibili di  essere  lesi
dall'espressione di  opinioni,  dall'altro  lato,  e'  fissata  dalla
Costituzione attraverso la delimitazione funzionale dell'ambito della
prerogativa.  Senza  questa   delimitazione,   l'applicazione   della
prerogativa  la  trasformerebbe  in  un  privilegio  personale  (cfr.
sentenza n. 375 del 1997), finendo per conferire ai parlamentari  una
sorta di statuto personale di favore quanto all'ambito  e  ai  limiti
della loro liberta' di manifestazione  del  pensiero:  con  possibili
distorsioni anche del  principio  di  eguaglianza  e  di  parita'  di
opportunita' fra cittadini nella dialettica politica; 
        che discende da quanto osservato che la semplice comunanza di
argomento fra la dichiarazione che si pretende lesiva e  le  opinioni
espresse dal deputato o dal senatore in sede  parlamentare  non  puo'
bastare a fondare l'estensione alla prima dell'immunita' che copre le
seconde; 
        che tanto meno puo' bastare a tal fine la  ricorrenza  di  un
contesto genericamente politico in cui la dichiarazione si inserisca.
Siffatto tipo di collegamenti non puo' valere di per se' a  conferire
carattere di attivita' parlamentare a manifestazioni di opinioni  che
siano oggettivamente  ad  essa  estranee.  Sarebbe,  oltre  -  tutto,
contraddittorio da un lato negare - come e' inevitabile negare -  che
di  per  se'  l'espressione  di  opinioni  nelle  piu'  diverse  sedi
pubbliche  costituisca  esercizio   di   funzione   parlamentare,   e
dall'altro lato ammettere che essa invece acquisti tale  carattere  e
valore in forza di generici collegamenti contenutistici con attivita'
parlamentari svolte dallo stesso membro delle Camere; 
        che in questo senso va precisato il  significato  del  «nesso
funzionale»   che   deve    riscontrarsi,    per    poter    ritenere
l'insindacabilita', tra la dichiarazione e l'attivita'  parlamentare;
non come  semplice  collegamento  di  argomento  o  di  contesto  fra
attivita' parlamentare e  dichiarazione,  ma  come  identificabilita'
della   dichiarazione   stessa   quale   espressione   di   attivita'
parlamentare; 
        che  nel  caso  di  riproduzione   all'esterno   della   sede
parlamentare,   e'   necessario,   per    ritenere    che    sussista
l'insindacabilita', che si riscontri  la  indentita'  sostanziale  di
contenuto fra l'opinione  espressa  in  sede  parlamentare  e  quella
manifestata nella sede esterna; 
        che cio' che si richiede, ovviamente,  non  e'  una  puntuale
coincidenza testuale, ma una sostanziale corrispondenza di contenuti; 
        che nei  casi  in  cui  non  e'  riscontrabile  esercizio  di
funzioni parlamentari, il valore della legalita' - giurisdizione  non
collide certo con quello  dell'autonomia  delle  Camere  e  cosi'  di
spiega che la giurisprudenza costituzionale abbia  appunto  stabilito
che  l'immunita'  non  vale  per  tutte  quelle  opinioni   che   «il
parlamentare manifesta nel piu' esteso ambito della politica»; 
        che alla luce di tale  interpretazione  si  debbono  pertanto
ritenere,  in  linea   di   principio,   sindacabili   tutte   quelle
dichiarazioni, che fuoriescono dal  campo  applicativo  del  «diritto
parlamentare»  e  che  non  siano  immediatamente   collegabili   con
specifiche forme di esercizio  di  funzioni  parlamentari,  anche  se
siano caratterizzate da un asserito «contesto politico»  o  ritenute,
per il contenuto delle espressioni o per il destinatario o la sede in
cui sono state rese, manifestazione di sindacato ispettivo; 
        che questa forma di controllo  politico  rimessa  al  singolo
parlamentare puo' infatti  aver  rilievo,  nei  giudizi  in  oggetto,
soltanto se si esplica come funzione parlamentare, attraverso atti  e
procedure specificamente previsti dai  regolamenti  parlamentari;  se
dunque l'immunita' copre il membro del Parlamento  per  il  contenuto
delle  proprie  dichiarazioni  soltanto  se  concorre   il   contesto
funzionale, il problema specifico,  che  non  appare  irrilevante  in
questo  conflitto,  della  riproduzione  all'esterno   degli   organi
parlamentari di dichiarazioni gia' rese  nell'esercizio  di  funzioni
parlamentari si puo' risolvere nel senso  dell'insindacabilita'  solo
ove sia riscontrabile corrispondenza  sostanziale  di  contenuti  con
l'atto parlamentare, non essendo sufficiente a  questo  riguardo  una
mera comunanza di tematiche»; 
        che tale orientamento della  Corte  costituzionale  e'  stato
ribadito con la sentenza n. 120 del 16 aprile  2004,  pronunciata  in
relazione al diverso tema del vaglio di  costituzionalita'  dell'art.
3, primo comma, legge n. 140 del 2003: «... Nonostante le  evoluzioni
subite,  nel  tempo,  nella  giurisprudenza  di  questa   Corte,   e'
enucleabile un principio, che  e'  possibile  oggi  individuare  come
limite estremo della prerogativa dell'insindacabilita',  e  con  cio'
stesso delle  virtualita'  interpretative  astrattamente  ascrivibili
all'art. 68: questa  non  puo'  mai  trasformarsi  in  un  privilegio
personale,  quale   sarebbe   una   immunita'   dalla   giurisdizione
conseguente alla mera "qualita'" di parlamentare». Per  tale  ragione
l'itinerario  della  giurisprudenza  della  Corte  si  e'  sviluppato
attorno alla nozione del cd. «nesso funzionale», che solo consente di
discernere le opinioni del  parlamentare  riconducibili  alla  libera
manifestazione del pensiero, garantita ad ogni cittadino  nei  limiti
generali della liberta' di  espressione,  da  quelle  che  riguardano
l'esercizio della funzione parlamentare. Certamente  rientrano  nello
sfera dell'insindacabilita' tutte le opinioni  manifestate  con  atti
tipici nell'ambito dei lavori parlamentari, mentre per quanto attiene
alle attivita' non tipizzate esse  si  debbono  tuttavia  considerare
«coperte» dalla garanzia di cui all'art.  68,  nei  casi  in  cui  si
esplicano mediante strumenti, atti e procedure,  anche  «innominati»,
ma  comunque  rientranti  nel  campo  di  applicazione  del   diritto
parlamentare, che il membro del Parlamento e' in grado  di  porre  in
essere e di utilizzare proprio solo e in quanto riveste  tale  carica
(cfr. sentenze n. 56 del 2000, n. 509 del 2002 e n.  219  del  2003).
Cio'  che  rileva,  ai  fini  dell'insindacabilita',  e'  dunque   il
collegamento necessario  con  le  «funzioni»  del  Parlamento,  cioe'
l'ambito funzionale entro cui l'atto si iscrive,  a  prescindere  dal
suo contenuto comunicativo, che puo' essere il piu' vario, ma che  in
ogni caso deve essere tale da  rappresentare  esercizio  in  concreto
delle funzioni proprie dei membri delle Camere, anche se  attuato  in
forma «innominata» sul piano regolamentare. Sotto questo profilo  non
c'e' percio' una sorta  di  automatica  equivalenza  tra  l'atto  non
previsto dai regolamenti parlamentari e l'atto estraneo alla funzione
parlamentare, giacche', come gia' detto,  deve  essere  accertato  in
concreto se esista un nesso che permetta di  identificare  l'atto  in
questione come «espressione di attivita' parlamentare» (cfr. sentenze
n. 10 e n. 11 del 2000, n. 379 e n.  219  del  2003).  E'  in  questa
prospettiva  che  va  effettuato  lo  scrutinio  della   disposizione
denunciata le attivita' di «ispezione, di divulgazione, di critica  e
di denuncia politica» che appunto  il  censurato  art.  3,  comma  1,
riferisce all'ambito di applicazione dell'art. 68, primo  comma,  non
rappresentano, di per se', un'ipotesi di indebito allargamento  della
garanzia dell'insindacabilita' apprestata dalla norma costituzionale,
proprio perche' esse, anche se non manifestate in atti  «tipizzarti»,
debbono comunque, secondo la previsione legislativa e in  conformita'
con  il  dettato  costituzionale,  risultare   in   connessione   con
l'esercizio di funzioni parlamentarti. E' appunto questo  «nesso»  il
presidio delle prerogative parlamentari e, insieme, del principio  di
eguaglianza e dei diritti fondamentali  dei  terzi  lesi.».  Occorre,
altresi', evidenziare che la legge n. 140/2003 non ha natura di legge
costituzionale e, pertanto, non e'  idonea  a  stravolgere  i  limiti
delineati dalla Corte in relazione  all'applicabilita'  dell'art.  68
primo comma della Costituzione. Pertanto, si  ritiene  che  anche  il
riferimento alle attivita'  di  «ispezione  divulgazione,  critica  e
denuncia politica», espletate fuori dal Parlamento che devono  essere
connesse  alla  «funzione  di  parlamentare»  non  possa  prescindere
dall'applicazione dei criteri delineati  darla  Corte  costituzionale
sopra richiamati. La diversa interpretazione, diretta a ricomprendere
nella sfera dell'insindacabilita' qualsiasi attivita' politica  posta
in essere da parlamentare al di fuori dal Parlamento, oltre che porsi
in  contrasto   con   lo   stesso   art.   68   della   Costituzione,
determinerebbe, di fatto, la compromissione dei diritti all'onore  ed
alla reputazione, 
    Osservato che: 
        la deliberazione adottata dalla Camera  dei  deputati  il  30
maggio  2007  appare   in   contrasto   con   i   richiamati   canoni
interpretativi atteso che non contiene alcun elemento concreto da cui
poter desumere la sussistenza di una corrispondenza sostanziale tra i
contenuti dell'intervista oggetto  di  querela  e  le  opinioni  gia'
espresse dal deputato e  specifici  atti  parlamentari,  non  essendo
sufficiente una mera comunanza di tematiche in «atti  tipici»  e  «in
sedi proprie» in alcun modo individuati ne'  l'interesse  manifestato
dallo Sgarbi, nello svolgimento della sua attivita' politica, per  le
tematiche della politica giudiziaria in tema di «lotta» alla mafia; 
        l'interpretazione prospettata dalla decisione di cui trattasi
comporta,   di   fatto,   che   l'istituto   previsto   dalla   norma
costituzionale si trasformi da «esenzione di  responsabilita'  legata
alla funzione in privilegio personale» (cfr. sent. 11/10 gia' citata)
con la conseguenza che le opinioni e le dichiarazioni manifestate  da
un parlamentare sarebbero sempre e comunque sottratte  alla  verifica
giurisdizionale; 
        deve, pertanto,  ritenersi  che  la  condotta  addebitata  al
deputato Sgarbi,  astrattamente  idonea,  nella  sua  specificita'  e
gravita'  ad  integrare  un  illecito,  esula  dall'esercizio   delle
funzioni parlamentari e non presenta oggettivamente alcun legame  con
atti parlamentari neppure  nell'accezione  piu'  ampia  e  come  tale
dovrebbe  rientrare   nella   cognizione   riservata   al   sindacato
giurisdizionale; 
        dalla copiosa produzione documentale versata  in  atti  dalla
difesa di parte civile emerge come in numerosissimi casi  analoghi  a
quello per cui si procede, anche fra  le  stesse  parti,  sono  stati
sollevati    conflitti    fra    poteri    dello    Stato    relativi
all'insindacabilita'  con  esito   positivo   dinnanzi   alla   Corte
costituzionale che annullava le delibere degli organi parlamentari; 
        le opinioni manifestate  dall'on.  Sgarbi  non  possono,  per
carenza del nesso funzionale,  ritenersi  rese  nell'esercizio  delle
funzioni parlamentari e quindi per esse non e' invocabile l'immunita'
ai sensi dell'art. 68, primo comma della Costituzione; 
        nel  caso  di  specie,  appare  di   conseguenza   necessario
sollevare conflitto di attribuzioni fra poteri dello stato, conflitto
ammissibile sia sotto il profilo soggettivo (questa Corte e' l'organo
competente a decidere,  nell'ambito  delle  funzioni  giurisdizionali
attribuite,  sulla  asserita  illiceita'  della   condotta   ascritta
all'indagato e quindi  «a  dichiarare  la  volonta'  del  potere  cui
appartiene,  in  posizione  di  piena  indipendenza  garantita  dalla
Costituzione»: cfr., fra le altre, ordinanze Corte cost.  n.  60  del
1999,  numeri  469,  407,  261,  254  del  1998),  sia  sotto  quello
oggettivo,  trattandosi  della  sussistenza   dei   presupposti   per
l'applicazione dell'art. 68 primo comma della  Costituzione  e  della
lesione  della  propria  sfera  dia   attribuzioni   giurisdizionali,
costituzionalmente  garantita,  giacche'  illegittimamente   menomata
dalla suindicata deliberazione della Camera dei deputati; 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli articoli 134 Cost. e 37, legge 11 marzo 1953, n. 87, 
    Dispone la sospensione del giudizio in corso a carico  di  Sgarbi
Vittorio  e  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale, sollevando conflitto di attribuzioni fra poteri dello
Stato e chiede che la Corte voglia: 
        dichiarare ammissibile il presente conflitto, adottando  ogni
conseguente provvedimento ai sensi degli articoli 37 e  segg.,  legge
n. 87/1953 ed ogni altra norma applicabile; 
        dichiarare che non  spettava  alla  Camera  dei  deputati  la
valutazione della condotta addebitata al deputato Sgarbi Vittorio, in
quanto estranea alla previsione  di  cui  all'art.  68,  primo  comma
Cost.; 
        annullare la relativa delibera della Camera dei  deputati  in
data 30 maggio 2007 (Doc. IV-ter n. 1-A) 
    Manda alla cancelleria per la notifica del presente provvedimento
ai Presidenti delle due Camere  del  Parlamento,  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri, nonche' all'imputato contumace. 
        Milano, addi' 22 aprile 2009 
 
                        Il Presidente: Calia 
 
 
                                      I consiglieri: Todaro - Arienti 
 Avvertenza 
    L'ammissibilita' del  presente  conflitto  e'  stata  decisa  con
ordinanza n. 303/2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, 1ª s.s.,
n. 47 del 25 novembre 2009.