N. 16 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 febbraio 2009

Ordinanza del 4 febbraio 2009 emessa dal  Tribunale  di  Livorno  nel
procedimento penale a carico di Ferreira Cristiano Jose' . 
 
Reati e pene -  Circostanze  aggravanti  comuni  -  Previsione  quale
  circostanza aggravante comune del fatto commesso da soggetto che si
  trovi  illegalmente  sul  territorio  nazionale  -  Violazione  del
  principio di uguaglianza - Contrasto con i principi di personalita'
  della responsabilita' penale e della  finalita'  rieducativa  della
  pena. 
- Codice penale, art. 61, primo comma, n. 11-bis, aggiunto  dall'art.
  1, comma 1, lett. f), del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92. 
- Costituzione, artt. 3 e 27. 
(GU n.6 del 10-2-2010 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Ha  emesso  ordinanza  di  remissione  degli  atti   alla   Corte
costituzionale per la valutazione  della  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 61, comma 11-bis c.p. 
    Nel corso del processo per  direttissima  a  carico  di  Ferreira
Cristiano, nato in Brasile il 1° agosto  1986,  tenutosi  all'udienza
del 1° agosto 2008 presso il Tribunale di Livorno, e' emerso  che  lo
stesso risultava imputato, tra l'altro, del  reato  punito  dall'art.
13, comma 13 del decreto legislativo  n.  286/1998  per  essersi,  lo
straniero, trattenuto senza giustificato motivo, nel territorio dello
Stato in violazione dell'ordine di lasciare l'Italia impartitogli dal
questore di  Aosta  in  data  5  gennaio  2007,  aggravato  dall'aver
commesso il fatto «trovandosi illegalmente sul territorio  nazionale»
(cd. stato di clandestinita') ex art. 61, comma 11-bis c.p.. 
    Il  p.m.  ha  sollevato  l'eccezione  di  incostituzionalita'  di
quest'ultima norma, eccezione a cui si e' associato il difensore. 
    A  parere  di  questo  Giudice  la  questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art.  61,   comma   11-bis   c.p.   non   appare
manifestamente infondata, per le ragioni che seguono. 
    In particolare, la previsione dell'aggravante di cui all'art. 61,
comma 11-bis c.p., introdotta dal decreto-legge n. 92 del  23  maggio
2008, appare in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione. 
    Va premesso che oggetto della presente questione di  legittimita'
costituzionale e' una norma contenuta in un decreto-legge  dei  quale
allo stato, pur se approvato al Senato nello stesso testo, si  ignora
se verra' o meno convertito, con  o  senza  modificazioni,  ai  sensi
dell'art. 77 Cost. Malgrado tale incertezza oggettiva questo  Giudice
ritiene di dovere comunque sollevare  la  questione  di  legittimita'
costituzionale e di non potere attendere l'eventuale stabilizzazione,
modifica o  perdita,  degli  effetti  giuridici  del  decreto  legge,
proprio per evitare di emettere una pronuncia nel  merito  che  possa
condurre alla formazione del giudicato in forza di  una  norma  della
cui  legittimita'  costituzionale  si  dubita.   La   previsione   di
un'aggravante di tipo soggettivo in relazione a uno stato particolare
qual e'  l'illegalita'  in  relazione  alle  norme  che  regolano  la
presenza dei cittadini extracomunitari sul territorio  nazionale  non
rispetta il principio  di  eguaglianza  e  neppure  i'  principi  di'
responsabilita' personale - nel senso di responsabilita' per il fatto
proprio colpevole - e di finalita' rieducativa. 
    Sotto  il   primo   profilo   possono   svolgersi   le   seguenti
considerazioni. 
    Va premesso, innanzitutto,  che  la  norma  fa  riferimento  alla
condizione di illegale presenza sul territorio dello Stato: e' quindi
evidente  che  non  va  ristretta  l'applicazione   alla   condizione
comunemente intesa di «clandestinita'», propria di coloro che entrano
illegalmente in Italia: l'aggravante  deve  essere  contestata  anche
agli imputati per i quali,  per  qualsiasi  ragione  derivante  dalle
vicende dell'ingresso e del permesso di soggiorno, le  condizioni  di
regolare permanenza siano venute meno in un momento successivo. 
    Cio' posto, la ratio della  previsione  starebbe  nella  maggiore
pericolosita' che la situazione di illegalita' comporta. 
    Una ratio che evidentemente  recepisce  la  percepita,  insita  e
connaturale maggiore attitudine del clandestino a commettere reati  e
la valutazione del fenomeno  immigrazione  come  fattore  di  aumento
della criminalita'. 
    E gia' evidente che tale percezione viene meno quando la  persona
non sia clandestina ne' inserita in stabili' contesti  criminali,  ma
abbia visto mutare la sua posizione  per  le  variabili  dovute  alla
disciplina in materia di immigrazione, avendo vissuto una  precedente
condizione di rispetto delle regole e che non puo' affatto presumersi
come maggiormente incline a commettere reati. 
    Si opera, quindi, gia' con riguardo  a  costoro  un'irragionevole
equiparazione, laddove le diverse situazioni andrebbero  trattate  in
modo differente. 
    La  pericolosita'  di  un  soggetto  non  va  rapportata  a   una
condizione  soggettiva  tout  court,  ma  a   eventuali   circostanze
(condizioni di vita, modalita' di  sostentamento  legate  a  contesti
criminali  e  cosi'  via)  che,  al  contrario,  sono  oggettivamente
vagliabili e per la valutazione della cui  sussistenza  l'ordinamento
gia'  dispone  di  parametri  di   valutazione   e   presupposti   di
applicazione. 
    La condizione di illegale presenza sul territorio  nazionale  non
e' inerente alla condotta posta in essere,  ne'  al  fatto  commesso:
questi restano identici  qualunque  sia  l'autore;  ne'  puo'  essere
valutata alfa stregua  delle  altre  aggravanti  di  tipo  soggettivo
previste dalla legge penale. 
    Tra queste, senza considerare  i  numeri  9  e  11  dell'art.  61
(ragionevolmente attinenti alla violazione di una posizione dominante
o di protezione, ovvero a un rapporto di  fiducia),  vanno  esaminate
l'aggravante di cui al numero 6 della medesima norma e  la  recidiva,
cui apparentemente puo' assimilarsi quella  in  parola.  Si  potrebbe
dire, infatti, che cosi' come il legislatore ha previsto la  maggiore
pericolosita' -  consistente   nella   valutazione   della   maggiore
attitudine a delinquere operata sull'esperienza - del  «latitante»  e
del recidivo, allo stesso modo ha  operato  una  scelta  di  politica
criminale con riguardo allo straniero irregolare o clandestino. 
    L'esperienza insegnerebbe che costui e'  maggiormente  incline  a
commettere reati e che tale sua disposizione deriva dalla precarieta'
del  suo  stato,  dai  contesti  criminali  e  antisociali  con   cui
necessariamente viene a contatto, dalla necessita' di procacciarsi il
sostentamento con ogni mezzo legittimo  o  illegittimo,  dall'essersi
posto volontariamente in una condizione di violazione delle regole. 
    Ma va, invece, operata un'opportuna distinzione: il recidivo, chi
si sottrae all'ordine di cattura o di carcerazione,  chi  ha  violato
una misura di prevenzione e' pericoloso perche' un  giudice  ha  gia'
operato delle valutazioni in  ordine  al  comportamento delittuoso  o
alla pericolosita' sociale: si  tratta  di  persone  che  hanno  gia'
commesso reati o hanno posto in essere  comportamenti  criminosi  e/o
pericolosi, che volontariamente si sottraggono all'azione punitiva  o
preventiva,  che  hanno  in  qualche  modo  mostrato  una   pervicace
ribellione al potere coercitivo dello Stato. 
    Non sussistono analoghi presupposti per lo straniero irregolare. 
    La  clandestinita'  o  l'irregolarita'  non  sono,  di  per  se',
penalmente  rilevanti:  lo  diventano  soltanto   dopo   la   mancata
ottemperanza all'ordine di espulsione: e', quindi, irragionevole  che
il medesimo trattamento - il  potenziale  aumento  della  pena -  sia
riservato a chi e' valutato con una prognosi ex  ante  pericoloso  in
virtu' di circostanze concrete e a chi e' considerato pericoloso  per
una semplice qualita' soggettiva disancorata da  parametri  certi.  E
una cosa e' la violazione della legge penale,  di  un  ordine  emesso
dall'autorita' giudiziaria, di un  ordine  di  allontanamento,  altra
cosa e' la violazione - che puo' anche essere legata a un'emergenza o
a difficolta' burocratiche e  che  troppo  spesso  e'  dettata  dalla
miseria  o  dalla  guerra  nel  paese  di  provenienza -  di'  regole
amministrative   quali   sono   quelle   inerenti    la    disciplina
dell'immigrazione. 
    Si potrebbe obiettare che esiste  una  previsione  normativa  che
allo stesso modo prende  in  considerazione  qualita'  o  circostanze
parimenti  slegate  dal  fatto  e  strettamente  connesse  alla  mera
condizione dell'imputato, senza  che  mai  ne  sia  stata  dichiarata
l'incostituzionalita'.  Si  tratta  delle  «circostanze»  di  cui  il
giudice «deve  tener  conto,  altresi',»  nell'esercizio  del  potere
discrezionale relativo alla determinazione della misura  della  pena:
ovvero  la  capacita'  a  delinquere  desunta,  in  particolare,  dal
carattere del reo, dalla vita e dalla condotta  antecedenti  e  dalle
condizioni di vita individuale, familiare e sociale. I  parametri  di
valutazione offerti al giudice dall'art. 133, comma 2,  c.p.  possono
condurre a una maggiore esigenza di punizione attraverso  l'esame  di
situazioni e condizioni meramente qualitative, del tutto assimilabili
allo stato considerato dal nuovo  comma  11-bis  dell'art.  61  c.p.:
dunque  non  vi  sarebbe  alcuna   violazione   dell'art.   3   della
Costituzione. Tuttavia va distinto il piano di operativita' delle due
norme. Una cosa e'  una  circostanza  aggravante,  che  se  applicata
impone negli ambiti quantitativi previsti un aumento di pena, secondo
il giudizio di bilanciamento di' cui all'art. 69 c.p.; altra cosa  e'
la valutazione di fatti e condizioni di cui  il  giudice  deve  tener
conto nella commisurazione della pena al fatto commesso, tra  cui  la
capacita' a delinquere. Tanto e' vero che gli  stati  e  le  qualita'
elencati dall'art. 133 c.p. non sono considerate circostanze in senso
tecnico e, dunque, non sono soggette al cd.  bilanciamento  in  senso
tecnico. 
    considerare l'irregolarita' sul territorio nazionale quale indice
di maggiore gravita' contrasta da un  lato  con  il  principio  della
responsabilita' personale e dall'altro con la  finalita'  rieducativa
della pena. 
    La previa, aprioristica attribuzione di un maggior  disvalore  al
fatto posto in essere  dallo  straniero  irregolare  rischia  di  far
scivolare  dalla  colpevolezza  al  delitto  d'autore.  Recependo  il
diffuso allarme sociale che lega l'immigrazione alla percezione di un
preteso aumento dei fenomeni criminali, si  qualifica  il  fatto  per
essere piu' grave solo perche'  commesso  da  un  tipo  d'autore  (il
clandestino, lo straniero) e non perche' in virtu' di una ragionevole
e razionale valutazione, come  invece  e'  per  le  circostanze  gia'
analizzate sopra, si valorizza il senso di una  manifesta  ribellione
al potere coercitivo gia' esercitato nei confronti del soggetto. 
    In altre parole, il fatto sarebbe  piu'  grave  perche'  l'autore
appartiene a una certa categoria di persone. 
    Laddove,  infine,  l'aggravante  venisse  applicata   comportando
l'aumento della pena, quale fine rieducativo potrebbe raggiungere non
e' agevole chiarire. 
    La percezione dello straniero  irregolare  che  vedesse  la  pena
aumentata per la sua condizione non sarebbe di uno strumento che  gli
offra una maggiore opportunita' di' reinserimento, di  partecipazione
alla vita sociale nel rispetto  delle  regole,  ma  soltanto  di  una
maggiore  punizione.  L'ottica  e',  in   altre   parole,   meramente
retributiva e soddisfa, piu' che il finalismo  rieducativo  percepito
dal Costituente, il -  purtroppo -  diffuso  sentimento  per  cui  e'
socialmente piu' grave il delitto commesso da chi  appartiene  a  una
comunita' diversa  dalla  nostra  Non  si  tratta  di  un  fondamento
criminologico, ma della mera ricezione del sentire comune. 
    Ne', ai fini della esclusione della rilevanza della questione che
si intende sollevare, potrebbe assumere valenza l'eventuale  giudizio
di bilanciamento, ai sensi dell'art. 69 c.p.,  da  operare  all'esito
(della possibile affermazione di  responsabilita'  e)  dell'eventuale
concessione di  attenuanti(in  particolare,  quelle  ex  art.  62-bis
c.p.). E' evidente, infatti, che proprio per  compiere  correttamente
tale eventuale giudizio occorre valutare, da un lato, le  attenuanti,
dall'altro, le aggravanti ritenute esistenti, sicche' la presenza  di
una o piu' aggravanti inciderebbe proprio sull'esito del  giudizio  e
sull'entita' della pena da applicare. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Ritenuta fondata e non  manifestamente  irrilevante  la  presente
eccezione di incostituzionalita'  dell'art.  61,  comma  11-bis  c.p.
sollevata dal p.m. nel corso del giudizio  sopra  menzionato,  questo
giudice rimette gli atti all'ecc.ma  Corte  costituzionale  affinche'
valuti la legittimita' costituzionale della  norma  sopra  citata  in
relazione alle motivazioni esposte nella presente ordinanza. 
        Livorno, addi' 4 febbraio 2009 
 
                         Il giudice: Vicari