N. 16 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 29 gennaio 2010

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 29 gennaio 2010 (della Regione Piemonte). 
 
Enti locali -  Servizi  pubblici  locali  di  rilevanza  economica  -
  Disciplina della scelta della forma  di  gestione  del  servizio  e
  delle procedure di affidamento dello stesso, al dichiarato fine  di
  adeguamento  alle  norme  comunitarie  -  Previsione  quali   forme
  ordinarie  di  gestione,  che  non  necessitano   di   motivazione,
  dell'affidamento  in  concessione  a  terzi  e  dell'affidamento  a
  societa'   mista   (c.d.    esternalizzazioni)    -    Possibilita'
  dell'affidamento «in  house»  ai  soli  casi  espressi  in  via  di
  eccezione - Previsione di puntuale e dettagliato regime transitorio
  con imposizione agli enti territoriali di cedere  quote  societarie
  ai privati - Applicazione  necessaria  della  disciplina  anche  al
  servizio idrico integrato - Lamentata  insussistenza  di  normativa
  comunitaria limitativa  del  diritto  di  ogni  amministrazione  di
  erogare direttamente i servizi pubblici, indebita limitazione della
  autonomia  regionale  e   degli   enti   locali   in   materia   di
  organizzazione e gestione dei  servizi  pubblici  locali,  indebita
  previsione  di  disciplina   puntuale   e   dettagliata,   indebita
  disposizione e svalutazione del  patrimonio  degli  enti  locali  -
  Ricorso   della   Regione   Piemonte   -   Denunciata    violazione
  dell'autonomia regionale e  degli  enti  locali,  violazione  della
  competenza  legislativa  regionale,  violazione  dei  principi   di
  autorganizzazione e  di  buon  andamento  dell'amministrazione,  di
  autonomia   normativa   nella   disciplina   delle   funzioni,   di
  ragionevolezza, di proporzionalita' ed adeguatezza, violazione  del
  vincolo di osservanza delle norme comunitarie. 
- Decreto-legge  25  settembre  2009,   n.   135,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 20 novembre 2009, n. 166, art. 15, comma
  1, lett. b) e d) (modificative dell'art. 23-bis  del  decreto-legge
  25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, nella  legge
  6 agosto 2008, n. 133), e comma 1-ter. 
- Costituzione, artt. 3, 5, 23, 42, 97,  114,  117,  primo,  secondo,
  terzo, quarto e sesto comma, e 118; d.lgs. 18 agosto 2000, n.  267,
  art. 113; legge della Regione Piemonte 13  dicembre  1997,  n.  13;
  legge della Regione Piemonte 24 ottobre 2002, n. 24;  trattato  CE,
  art. 5. 
(GU n.10 del 10-3-2010 )
    Ricorso per la Regione Piemonte, in persona della sua Presidente,
prof.ssa  Mercedes  Bresso,  legale   rappresentante   pro   tempore,
rappresentata e difesa dal Prof. Roberto Cavallo Perin  del  Foro  di
Torino e dal Prof. Alberto Romano del  Foro  di  Roma,  elettivamente
domiciliata presso lo studio di  quest'ultimo  in  Roma,  Lungotevere
Sanzio n. 1, in forza di procura  speciale  a  margine  del  presente
ricorso  per  la  dichiarazione  di   illegittimita'   costituzionale
dell'art. 15, d.l. 25 settembre 2009, n. 135, convertito in legge con
modificazioni dalla l. 20 novembre  2009,  n.  166  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana  24  novembre  2009,  n.
274, S.O. 
 
                                Fatto 
 
      
    1. La l. 20 novembre 2009, n. 166 ha convertito in legge il  d.l.
25 settembre 2009, n. 135 il cui  art.  15  modifica  ed  integra  la
precedente disciplina di legge statale in materia di servizi pubblici
locali (art. 23 bis, d.l. 25 giugno 2008, n.  112,  conv.  con  l.  6
agosto 2008, n. 133) che l'odierna esponente Regione  Piemonte  aveva
impugnato innanzi alla Corte costituzionale con  il  ricorso  in  via
principale n. 77/08. 
    In particolare con la nuova legge statale (art. 15, co. 1°, lett.
b, d.l. n. 135 del 2009, cit.)  si  e'  voluto  rafforzare  l'ipotesi
limite di una disciplina nazionale di  «integrale  concorrenzialita'»
imponendo comunque di  rivolgersi  al  mercato  per  l'affidamento  e
la gestione dei servizi pubblici  locali,  anche  nella  forma  della
societa' a capitale misto pubblico-privato per la quale s'impone  una
gara per la scelta del socio privato che abbia ad oggetto  «al  tempo
stesso» la qualita' di socio di capitale in misura minima predefinita
(almeno «il 40%» del capitale sociale) ma  anche  «specifici  compiti
operativi», chiarendo anche letteralmente «l'eccezionalita'» di  ogni
diversa forma di affidamento e gestione, in particolare quella cd. in
house providing di derivazione europea. 
    Per il servizio idrico integrato l'art. 15, co. 1° ter,  d.l.  n.
135  del  2009,  cit.  afferma  la  necessita'  di  affidamenti   con
«autonomia gestionale del soggetto gestore», ferma restando la «piena
ed  esclusiva  proprieta'  pubblica  delle  risorse  idriche»  e  con
«governo» delle stesse in capo «alle istituzioni pubbliche», chiamate
a garantire - non  da  oggi  -  il  «diritto  alla  universalita'  ed
accessibilita' del servizio» pubblico stesso. 
    L'indicata  legge  statale   giunge   addirittura   a   stabilire
un'anticipata cessazione  di  tutti  gli  affidamenti  in  essere  di
servizi pubblici locali in house providing legittimi perche' conformi
alla stessa disciplina europea, assieme agli illegittimi  affidamenti
in house o ad impresa terza (art. 15, co. 1°, lett. d), d.l.  n.  135
del 2009, cit.). 
    La Regione  Piemonte  ritiene  che  tali  disposizioni  di  legge
statale ledano la propria sfera di competenza  legislativa  stabilita
in Costituzione e pertanto propone ricorso ex art. 127, Cost., per le
seguenti ragioni in 
 
                               Diritto 
 
    1. Violazione dell'art. 5, art. 114, art. 117, co.  1°,  2°,  4°,
6°, art. 118, art. 97 ed art.  3,  Cost.;  difetto  di  tutela  della
concorrenza;  violazione   della   residua   competenza   legislativa
regionale da parte del d.l. 25 settembre 2009, n. 135, art.  15,  co.
1°, lett. b, cosi' come conv. dalla l. 20 novembre 2009, n. 166,  che
sostituisce l'art. 23 bis, 2°, 3° e 4°, d.l. 25 giugno 2008, n.  112,
conv. dalla l. 6 agosto 2008, n. 133, nonche' dell'art.  15,  co.  1°
ter, d.l. n. 135 del 2009, cit. 
    A) «Il conferimento della gestione dei  servizi  pubblici  locali
avviene, in via ordinaria: a) a favore di imprenditori o di  societa'
in  qualunque  forma  costituite   individuati   mediante   procedure
competitive ad evidenza  pubblica,  nel  rispetto  dei  principi  del
Trattato che istituisce la Comunita' europea e dei principi  generali
relativi ai contratti pubblici e, in  particolare,  dei  principi  di
economicita',   efficacia,   imparzialita',   trasparenza,   adeguata
pubblicita',  non  discriminazione,  parita'  di  trattamento,  mutuo
riconoscimento e proporzionalita'; b)  a  societa'  a  partecipazione
mista pubblica e privata, a condizione che  la  selezione  del  socio
avvenga mediante procedure  competitive  ad  evidenza  pubblica,  nel
rispetto dei principi di cui alla lettera a),  le  quali  abbiano  ad
oggetto, al tempo stesso, la qualita' di socio  e  l'attribuzione  di
specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che
al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore  al  40  per
cento» (art. 15, co. l°, lett. b, d.l. n.  135  del  2009,  cit.  che
cosi' sostituisce l'art. 23 bis, co. 2°, d.l. n. 112 del 2008, cit.). 
    La  legge  statale  qui  impugnata  soggiunge  che  l'affidamento
diverso da quello «ordinario» - tra cui spicca la forma  di  gestione
denominata in house providing - puo' essere adottato solo «in  deroga
alle modalita' di affidamento  ordinario  di  cui  al  comma  2,  per
situazioni eccezionali che,  a  causa  di  peculiari  caratteristiche
economiche,  sociali,  ambientali  e  geomorfologiche  del   contesto
territoriale di riferimento,  non  permettono  un  efficace  e  utile
ricorso al mercato», precisando che si deve trattare  di  affidamento
in «favore di societa' a capitale interamente  pubblico,  partecipata
dall'ente locale, che abbia i  requisiti  richiesti  dall'ordinamento
comunitario per la gestione cosiddetta «in house»  e,  comunque,  nel
rispetto dei principi della  disciplina  comunitaria  in  materia  di
controllo analogo  sulla  societa'  e  di  prevalenza  dell'attivita'
svolta  dalla  stessa  con  l'ente  o  gli  enti  pubblici   che   la
controllano» (art. 15, co. 1°, lett. b), d.l. n. 135 del  2009,  cit.
che cosi' sostituisce l'art. 23 bis, co. 3°, d.l. n.  112  del  2008,
cit.). 
    Il legislatore statale dunque riconosce che le indicate forme  di
gestione ed affidamento dei servizi  pubblici  (soggetto  scelto  con
gara,   organizzazione   in   house    providing)    sono    conformi
all'ordinamento europeo  ed  in  particolare  alla  disciplina  sulla
concorrenza, ma con la norma nazionale  giunge  sino  ad  individuare
come forma preferenziale «ordinaria» l'affidamento  del  servizio  ad
imprese terze con gara o a societa' mista il cui  socio  privato  sia
scelto con gara che abbia ad oggetto «al tempo stesso» la qualita' di
socio di capitale in misura minima predefinita (almeno «il  40%»  del
capitale sociale) ma  anche  «specifici  compiti  operativi»,  mentre
relega la possibilita' dell'affidamento in house  ai  soli  casi  ivi
espressi in via d'eccezione, superando con cio' la stessa  disciplina
comunitaria in materia di concorrenza, nonostante che la stessa abbia
creato l'istituto giuridico dell'in house providing  come  senz'altro
compatibile con l'ordinamento comunitario ed i suoi principi. 
    In tal senso non vale ricordare che in un caso si e' ritenuto che
taluna legislazione nazionale  in  materia  di  tutela  dell'ambiente
abbia potuto individuare misure piu' rigorose di quelle previste  dal
diritto comunitario, poiche' cio' e' stato possibile nei soli  limiti
di  un  rispetto  del  principio  di   proporzionalita'   con   altre
disposizioni del Trattato (Corte di Giustizia Ce, 14 aprile 2005,  in
causa C-6/03, Deponiezweckverband Eiterköpfe c. Land Rheinland-Pfalz)
tra le quali assume particolare importanza  la  disciplina  a  tutela
della concorrenza. 
    B) La potesta' legislativa in Italia si  esercita  «nel  rispetto
dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario»  (art.  117,  co.
1°, Cost.), in particolare il vincolo si afferma anche nell'esercizio
della  potesta'  statale  esclusiva  in  materia  di  «tutela   della
concorrenza» (art. 117, co. 2°, lett. e), Cost.), anzi e' proprio con
riferimento alla regolamentazione del mercato unico  europeo  che  la
legislazione statale italiana non puo' che configurarsi in attuazione
della disciplina europea. 
    Il mercato unico europeo infatti e' concettualmente  possibile  e
concretamente  si  e'   affermato   solo   riconoscendo   un'unitaria
disciplina da parte dell'Unione europea, che deve trovare  attuazione
negli Stati membri attraverso norme  di  principio  o  di  dettaglio,
siano esse del Trattato o piu' di frequente in norme di regolamento o
di direttive comunitarie,  con  conseguente  impossibilita'  per  gli
Stati membri  d'introdurre  legislazioni  ispirate  da  un  indirizzo
politico nazionale e percio'  differenziate  tra  gli  Stati  membri,
neppure configurando l'ipotesi limite di una disciplina nazionale  di
«integrale o totale concorrenzialita'». 
    Non  appare  infatti  possibile  confondere   il   principio   di
concorrenza posto dal Trattato dell'Unione europea, che disciplina  i
comportamenti delle amministrazioni pubbliche una volta  che  abbiano
deciso  di  rivolgersi  al  mercato  delle  imprese,  con  l'idea  di
prevalenza  o  preferenza  per  il  mercato  nell'organizzazione  dei
servizi pubblici indicata dalla disciplina statale  in  esame,  nella
quale l'in house providing e' configurata come un residuo negletto  o
un cattivo surrogato. 
    Questa configurazione offusca,  sovvertendolo,  il  principio  di
liberta' degli individui o di autonomia - del pari  costituzionale  -
degli enti territoriali (artt. 5, 117, 118, Cost.)  di  mantenere  la
capacita' di operare ogni qualvolta  la  scelta  che  ritengono  piu'
opportuna: cioe' se fruire dei vantaggi economici offerti dal mercato
dei produttori oppure se procedere a modellare una propria  struttura
capace di diversamente configurare  l'offerta  delle  prestazioni  di
servizio pubblico. 
    Autonomia  e  relativa  capacita'  di  scelta  discrezionale  che
implicano anche la possibilita' di non voler correre  l'avventura  ed
il conseguente rischio di un affidamento  a  terzi  in  un  tempo  di
cattivo mercato economico e finanziario. 
    In tal senso si  e'  peraltro  espresso  da  tempo  l'ordinamento
comunitario che ha ritenuto in contrasto con  la  disciplina  europea
sulla concorrenza la legge nazionale sui lavori pubblici  (allora  l.
11 febbraio 1994, n. 109, art. 21) che aveva limitato la scelta tra i
due  criteri  europei  d'aggiudicazione  degli  appalti   -   offerta
economicamente piu' vantaggiosa e prezzo piu' basso  -  imponendo  il
vincolo legislativo «alle amministrazioni aggiudicatrici di ricorrere
unicamente al criterio del prezzo piu' basso» (Corte di Giustizia Ce,
7 ottobre 2004, in causa C-247/02, Sintesi s.p.a. c. Autorita' per la
Vigilanza sui Lavori Pubblici e Ingg. Provera e Carassi S.p.a.). 
    L'ordinamento europeo  ha  ritenuto  che  l'imposizione  leda  la
discrezionalita' delle amministrazioni pubbliche, in  particolare  la
possibilita'  «di  prendere  in  considerazione  la   natura   e   le
caratteristiche peculiari di tali appalti, isolatamente  considerati,
scegliendo per ognuno di essi il criterio piu' idoneo a garantire  la
libera concorrenza  e  ad  assicurare  la  selezione  della  migliore
offerta» (Corte di Giustizia Ce, 7 ottobre 2004, in  causa  C-247/02,
cit., § 40), ma ancor prima per l'impossibilita' istituzionale di una
disciplina  interna  differenziata  «in  termini  non   espressamente
consentiti» dal  diritto  comunitario  (cfr.  conclusioni  Avv.  Gen.
Stix-Hackl 1° luglio 2004, in causa C-247/02, § 65). 
    L'indicato orientamento  -  che  trova  ragione  giuridica  nella
stessa nozione di mercato unico il quale  istituzionalmente  comporta
una regolazione omogenea sulla concorrenza fra gli Stati membri -  e'
del pari quello della Corte costituzionale italiana espresso  proprio
con riferimento alla nozione di «concorrenza» ex  art.  117,  co.  2,
lett. e), Cost. la quale non puo' non riflettere «quella operante  in
ambito comunitario» con la conseguenza che la normativa  interna  «si
uniforma» a quella comunitaria (Corte cost.,  23  novembre  2007,  n.
401) di cui costituisce attuazione. 
    E' noto che le norme  d'attuazione  non  esprimono  un  indirizzo
politico proprio dell'organo o soggetto che le pone,  ma  recepiscono
quello altrui che e' inderogabilmente stabilito nelle  norme  di  cui
sono  appunto  l'attuazione,  ed  in  tal  senso  si   e'   affermato
l'orientamento di codesta Corte costituzionale con  riferimento  alla
potesta'  legislativa  regionale  d'attuazione  delle  leggi  statali
(previgente  art.  117,  ult.  co.,  Cost.;  ma  vedi  anche  Statuto
Sardegna, art. 5, lett. d); Statuto Friuli-Venezia Giulia, art. 6, n.
3). Si e' chiarito che l'attuazione puo' comportare solo  «l'adozione
di  norme  esecutive  (secundum  legem)»,  con  l'impossibilita'   di
spingersi sino a norme «integrative (praeter legem),  tali  cioe'  da
ampliare, senza derogarli, i contenuti normativi espressi  attraverso
la legislazione» da attuare (Corte cost., 8 maggio 1990, n. 227) ed a
fortiori si soggiunge che «il potere di  emanare  norme  d'attuazione
esclude la facolta' di  apportare  deroghe  o  modificazioni»  (Corte
cost., 12 aprile 1990, n. 181, cui adde Id., 16 marzo 1990, n. 122  e
24 ottobre 2001, n. 344). 
    D) L'indicata chiarezza di nozioni assume  rilievo  nel  caso  in
esame con riferimento  al  rapporto  fra  disciplina  comunitaria  in
materia di concorrenza e l'art. 15, d.l. n. 135  del  2009,  cit.  il
quale  esprimendo  una  prevalenza  o  preferenza  per   il   mercato
nell'organizzazione  della  gestione  del  servizio  pubblico  locale
risulta in contrasto con l'indirizzo comunitario sulla concorrenza  e
conseguentemente con l'ambito riservato alla disciplina nazionale  la
quale non puo' non essere considerata che d'attuazione o ricezione di
tale indirizzo europeo (art. 117, co. 2°, lett. e), Cost.). 
    Nessuna delle disposizioni comunitarie vigenti infatti  impone  -
come invece pretende la legge statale in esame (art. 15, d.l. n.  135
del 2009, cit. ) - agli Stati membri l'attribuzione ad imprese  terze
come forma ordinaria  o  preferenziale  di  affidamento  dei  servizi
pubblici locali, relegando ai soli casi d'eccezione il  ricorso  alla
diversa ed alternativa forma dell'in house providing. Al contrario si
puo' affermare che la legislazione comunitaria lasci gli Stati membri
liberi   di   decidere   se   fornire   i   servizi   pubblici    con
un'organizzazione propria (cosiddetto in house providing) o affidarne
la fornitura ad imprese terze. L'art. 15, d.l. n. 135 del 2009,  cit.
e' disciplina statale che esorbita  e  dunque  non  trova  fondamento
nella riserva  costituzionale  alla  legislazione  statale  esclusiva
della materia «tutela della concorrenza» (art. 117, co. 2°, lett. e),
Cost.),  quest'ultima  intesa  come  disciplina  d'attuazione   della
normativa comunitaria in materia (art. 117, co. 1°, Cost.). 
    E) La forma di  gestione  denominata  in  house  providing  trova
ragione in quell'interpretazione della giurisprudenza comunitaria che
ha  introdotto  un'ulteriore  ipotesi  di  organizzazione  a   fianco
dell'organismo  di  diritto  pubblico,  anch'essa   sottoposta   alla
disciplina prevista per lo «Stato e gli enti  pubblici  territoriali»
(artt. 86 e 87, Trattato). Tale forma di gestione e' espressione  del
potere d'organizzazione delle pubbliche  amministrazioni:  il  legame
che unisce l'amministrazione territoriale all'ente in house providing
vale ad escludere l'esperimento di procedure ad evidenza pubblica  ed
a giustificare l'affidamento diretto dei  servizi  all'organizzazione
in house che, pur formalmente  esterna  rispetto  all'amministrazione
controllante, e'  dall'amministrazione  strettamente  controllata  in
ragione del requisito del «controllo analogo»  e  della  destinazione
prevalente  all'amministrazione  controllante  dell'attivita'  svolta
dalla controllata. 
    Per tali due essenziali  ragioni  l'organizzazione  in  house  e'
dalla giurisprudenza  comunitaria  sottratta  alla  disciplina  della
concorrenza nella scelta del gestore (Corte di Giustizia Ce 17 luglio
2008, in causa C-371/05,  Commissione  Ce  c.  Repubblica  Italiana),
proprio   perche'   questi   e'   parte   dell'organizzazione   della
controllante, non puo' svolgere  attivita'  per  il  mercato  in  via
prevalente, sicche' non puo' essere considerata un'impresa di  terzi,
dunque non e' mercato. 
    Organizzazione in  house  che  da  tempo  l'ordinamento  italiano
assume quale forma di gestione ed affidamento del servizio unitamente
a quelle realizzate da societa' scelta con gara e da  societa'  mista
(art.  113,  co.  5°,  d.lgs.  18  agosto  2000,   n.   267).   Anche
nell'ordinamento  interno  la  nozione  di  «controllo  analogo»   e'
riferita alla struttura, ai poteri di comando  riconosciuti  ai  soci
pubblici, al contesto istituzionale e di mercato in  cui  gli  stessi
operano.  L'eventuale  parcellizzazione  delle  quote   di   capitale
sociale, pur non impedendo il  permanere  di  un  rapporto  in  house
providing tra l'ente affidatario ed i soci affidanti,  impone  che  a
questi ultimi siano attribuiti poteri di comando  e  d'organizzazione
idonei  a  condizionare  le  scelte  del  produttore  in  house   con
necessita' di verificare (e provare) l'esistenza di poteri analoghi a
quelli che gli enti affidanti hanno verso  i  propri  servizi.  Resta
fermo  che  il  rapporto  in  house   providing   giova   solo   alle
amministrazioni aggiudicatrici che partecipino al controllo  analogo,
mentre ad altri enti pubblici - seppur partecipi al capitale  sociale
- e' precluso  senza  gara  ogni  affidamento  all'organizzazione  in
house. 
    F) Osservata  la  disciplina  sulla  concorrenza,  l'opzione  tra
modalita'  di  gestione  del  servizio  pubblico  locale   tra   esse
alternative e' una tipica scelta d'organizzazione, in particolare  di
buon andamento del servizio pubblico (art. 97, co.  1°,  Cost.),  che
proprio in quanto organizzazione locale e non nazionale  dei  servizi
oggetto della disciplina dell'art. 15, d.l. 135 del 2009,  cit.,  non
puo'  riconoscersi  alla  legislazione  statale,   ma   spetta   alla
legislazione regionale ai sensi dell'art. 117, co. 4°, Cost.  seppure
nel  rispetto  di  una  eventuale  specifica  disciplina  degli  enti
territoriali minori  (art.  117,  co.  6°,  Cost.),  con  conseguente
illegittimita' costituzionale dell'art. 15, co. 1°, lett. b), d.l. n.
135 del 2009, cit. ove  -  esprimendo  una  prevalenza  o  preferenza
ordinaria  dell'affidamento   ad   imprese   terze   -   pone   norme
sull'organizzazione della gestione dei servizi pubblici locali. 
    E' noto che alle Regioni e'  riconosciuta  la  legittimazione  ad
impugnare le leggi statali in via diretta non  solo  a  tutela  della
propria legislazione ma anche con  il  riferimento  alla  prospettata
lesione da parte della legge nazionale della potesta' normativa degli
enti territoriali, con affermazione della Regione come ente di tutela
avanti  alla  Corte  costituzionale  del  «sistema  regionale   delle
autonomie territoriali» (art.  114,  co.  2°,  Cost.)  che  e'  stato
riconosciuto sia in generale (Corte cost., 17 maggio 2007, n. 169, 21
marzo 2007, n. 95, 14 novembre 2005, n. 417, 28 giugno 2004, n. 196),
sia con specifico riferimento alla  disciplina  statale  dei  servizi
pubblici locali privi di rilevanza economica (Corte Cost., 27  luglio
2004, n. 272, § 4). 
    A conferma delle indicate  conclusioni  vale  la  sentenza  Corte
costituzionale 16 novembre 2009, n. 307 che per materia di competenza
residuale  propria  delle  Regioni  («servizi  pubblici  locali»)  ha
riconosciuto  alle  stesse  d'affermare  nei  confronti  dello  Stato
un'unica modalita' d'affidamento  e  gestione  di  servizio  pubblico
locale (in quel caso, gara  per  l'affidamento  del  servizio  idrico
integrato ad impresa terza), sicche' - a maggior  ragione  -  non  si
potrebbe precludere alle stesse Regioni di mantenere per  il  proprio
territorio  l'opzione  organizzativa  tra   modalita'   di   gestione
alternative,  comunque  conformi  all'ordinamento  europeo  cui  sono
vincolati lo Stato  e  le  Regioni  nell'esercizio  delle  rispettive
competenze legislative (art. 117, co. 1°, Cost.). 
    G)  La  violazione  della  competenza  degli  enti   territoriali
sull'organizzazione  degli  stessi  anche  con  riferimento  ad  enti
strumentali controllati da tali enti territoriali o a  partecipazioni
di minoranza (artt. 5, 114, 117, co. 6°, 118,  Cost.)  appare  ancora
piu' odiosa ove si rivela fortemente limitativa della concorrenza  la
stessa imposizione per la scelta del socio privato di societa'  mista
di una gara che abbia ad oggetto «al tempo  stesso»  la  qualita'  di
socio di capitale in misura minima predefinita (almeno «il  40%»  del
capitale sociale) ma anche specifici compiti operativi (come  appalti
di servizi a favore dell'istituenda societa' mista). 
    Sono  ammessi  a  partecipare  alla  gara  solo  coloro   che   -
imprenditori o raggruppamenti di essi - siano capaci al tempo  stesso
di offrire una partecipazione finanziaria ed un  servizio,  lavoro  o
fornitura alla societa' mista, impedendo in via generale ed  astratta
ogni diversa articolazione della gara nella scelta  di  soggetti  che
intendano partecipare alla societa' mista. 
    La  norma  viola  la  competenza  d'organizzazione   degli   enti
territoriali escludendo non solo che  questi  possano  rivolgersi  al
mercato al solo fine di reperire una partecipazione finanziaria  alla
societa' mista, cioe' un fmanziamento al capitale sociale del gestore
che risulti utile alla gestione del servizio stesso, ma anche  -  con
gare separate - di prevedere  l'indicata  partecipazione  finanziaria
distinta dalla gara -  condotta  dalla  societa'  mista  -  volta  ad
ottenere sul mercato  i  migliori  produttori  di  lavori  servizi  o
forniture, perche' gia' oggetto della gara  congiunta  imposta  dalla
norma statale qui impugnata che in violazione dell'art. 117, co.  2°,
lett. e, co. 4° e co. 6°, Cost. restringe  la  platea  dei  possibili
concorrenti alla gara in modo affatto irragionevole (arg. ex art.  3,
co. 2°, Cost.). 
    Non si nega qui che la soluzione  indicata  dalla  norma  statale
impugnata sia talvolta di grande utilita' per gli enti territoriali e
che in tal caso la  conformita'  alla  disciplina  sulla  concorrenza
imponga che la procedura di gara deve prevedere sin  dall'origine  il
doppio oggetto o veste (di socio della mista e di  appaltatore  della
mista), ma che  con  norma  generale  e  astratta  si  possa  imporre
un'unica soluzione organizzativa  di  partenariato  pubblico  privato
(PPP), con scelta irragionevole perche' limitativa della  concorrenza
tra i produttori, trasformando una soluzione  d'eccezione  nell'unica
possibile. 
    E' noto infatti che la forma  della  societa'  a  capitale  misto
pubblico-privato puo' essere configurata: a) sia come invito a  terzi
ad acquisire unicamente una  partecipazione  azionaria  nel  capitale
sociale (partecipazione  finanziaria  al  capitale  di  rischio),  b)
oppure la stessa partecipazione a carattere industriale (per cessione
o acquisto  di  know  how),  c)  oppure  come  invito  a  partecipare
all'aggiudicazione  di  alcune  parti  del  servizio  che  vede  come
corrispettivo  una  partecipazione  azionaria  alla  societa'  mista,
eventualmente integrata da un corrispettivo in danaro. 
    H) L'illegittimita' costituzionale per violazione delle  indicate
norme e principi costituzionali s'afferma anche per l'art. 15, co. 1°
ter,  d.l.  n.  135  del  2009,  cit.  che  per  il  servizio  idrico
integrato - con formulazione  singolare -  richiede  affidamenti  con
«autonomia gestionale del soggetto gestore» ferma restando «la  piena
ed  esclusiva  proprieta'  pubblica  delle   risorse   idriche»   ove
s'interpreti la  disposizione  («autonomia  gestionale  del  soggetto
gestore») a conferma della pretesa d'imporre con legge  statale  alle
Regioni ed agli enti  locali  una  prevalenza  o  preferenza  per  il
mercato anche nell'organizzazione della gestione di tale servizio. 
    I) L'art. 15, d.l. n. 135 del 2009, cit.,  non  puo'  trovare  la
propria fonte di legittimazione  nella  «determinazione  dei  livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e  sociali»
(art. 117, co. 2°, lett. m), Cost.), perche' occorre ricordare che la
stessa disciplina statale (art. 15, d.l. n. 135 del 2009, cit.;  art.
23-bis, d.l.  n.  112  del  2008,  cit.)  e'  in  tutto  o  in  parte
sostitutiva dell'art. 113, d.lgs. n. 267  del  2000,  cit.  (cfr.  in
particolare art. 23 bis, co.  11°,  d.l.  n.  112  del  2008,  cit.),
sicche' e' agevole concludere anche  per  le  disposizioni  in  esame
quanto e' stato riferito  alle  preesistenti,  le  quali  sono  state
ritenute estranee alla indicata materia dei livelli essenziali  delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali poiche'  hanno  ad
oggetto unicamente le  forme  di  gestione  dei  servizi  pubblici  a
rilevanza economica e non le prestazioni che tali forme  giuridiche -
una volta prescelte - debbono assicurare agli  utenti  (Corte  cost.,
sent. n. 272 del 2004, cit., § 3). 
    Ne' rileva la potesta' esclusiva statale in materia di  «funzioni
fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane»  (art.  117,
co. 2°, lett. p) «giacche' la gestione dei predetti servizi non  puo'
certo  considerarsi  esplicazione  di   una   funzione   propria   ed
indefettibile dell'ente locale» (Corte cost., sent. n. 272 del  2004,
cit., § 3). 
    2. Violazione dell'art. 117, co. 1°, 2°, 3°,  4;  Cost.  e  degli
artt.  3  e  97,  Cost.;  violazione  della  competenza   legislativa
regionale;    violazione    dei    principi     costituzionali     di
autorganizzazione  e  di  buon  andamento  dell'amministrazione,   di
autonomia   normativa   nella   disciplina   delle    funzioni,    di
ragionevolezza da parte del d.l. 25 settembre 2009, n. 135, art.  15,
co. 1°, lett. b, cosi' come conv. dalla l. 20 novembre 2009, n.  166,
che sostituisce l'art. 23 bis, 2°, 3° e 4°, d.l. 25 giugno  2008,  n.
112, conv. dalla l. 6 agosto 2008, n. 133. 
    A) L'art. 15, co. 1°, lett. b), d.l. n. 135 del  2009,  cit.  qui
oggetto di impugnazione - dopo avere indicato come  forma  prevalente
(«in via ordinaria») il solo affidamento del servizio pubblico locale
ad imprese terze o a  societa'  a  capitale  misto  pubblico  privato
(nuovo art. 23 bis, co. 2°, d.l. n. 112 del 2008, cit.)  -  ribadisce
che la forma di gestione denominata in house  providing  puo'  essere
adottata  dall'ente  locale  solo  «in  deroga  alle   modalita'   di
affidamento ordinario di cui al comma 2, per  situazioni  eccezionali
che,  a  causa  di  peculiari  caratteristiche  economiche,  sociali,
ambientali   e   geomorfologiche   del   contesto   territoriale   di
riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso  al  mercato»
(nuovo art. 23 bis, co. 3°, d.l. n. 112 del 2008, cit.). 
    Si prevede inoltre che solo in tale ultimo caso «l'ente affidante
deve dare adeguata pubblicita' alla scelta, motivandola  in  base  ad
un'analisi del mercato e contestualmente  trasmettere  una  relazione
contenente gli esiti della predetta  verifica  all'Autorita'  garante
della concorrenza e  del  mercato  per  l'espressione  di  un  parere
preventivo, da rendere entro sessanta giorni  dalla  ricezione  della
predetta  relazione»  decorso  i  quali  «il  parere,  se  non  reso,
s'intende espresso in senso favorevole» (nuovo art. 23 bis,  co.  4°,
d.l. n. 112 del 2008, cit.). 
    Le indicate norme di legge statale che disciplinano l'affidamento
del servizio pubblico locale nella forma organizzativa dell'in  house
providing risultano inoltre lesive della competenza delle  Regioni  e
degli enti locali ove le s'intenda come disciplina ulteriore rispetto
a quella  generale  sul  procedimento  amministrativo  che  da  tempo
prevede il dovere di motivazione degli atti amministrativi  (art.  3,
l. 7 agosto 1990, n. 241), secondo  molti  posto  in  attuazione  del
principio  costituzionale   di   motivazione   delle   scelte   della
amministrazioni  pubbliche  quanto  meno  nella  cura   di   pubblici
interessi (art. 97, Cost.). 
    Trovandosi infatti la pubblica amministrazione locale a scegliere
tra le forme individuate dalla legge come tra  esse  alternative  per
l'affidamento della titolarita' della gestione del servizio  pubblico
locale, non vi e' dubbio che occorra dare una  congrua  ed  esaustiva
motivazione sia della scelta di rivolgersi al mercato,  cioe'  ad  un
impresa terza (anche  per  l'acquisto  della  qualita'  di  socio  di
societa' mista) osservando la disciplina sulla concorrenza,  sia  ove
vengano scelti altri strumenti d'organizzazione del servizio pubblico
locale ritenuti conformi alla disciplina comunitaria, tra i quali  e'
noto l'affidamento in house providing. 
    Le disposizioni poste dall'art. 15, co. 1°, lett. b), d.l. n. 135
del 2009, cit. ove intese come in deroga alla disciplina generale sul
procedimento e sulla motivazione degli atti  amministrativi  sono  da
ritenersi in violazione del principio di ragionevolezza (arg. ex art.
3, co. 2°, Cost.), poiche' non e' ravvisabile nel caso in esame alcun
interesse pubblico prevalente capace di fondare sia  l'esenzione  dal
generale dovere di motivazione per l'affidamento ad imprese terze o a
societa' mista, sia viceversa la limitazione dei casi sui quali  puo'
essere  portata  la  motivazione  a  fondamento  di  altre  soluzioni
organizzative, in particolare per l'in house providing. 
    Fuori da tali ipotesi l'art. 15, co. 1°, lett. b),  d.l.  n.  135
del 2009, cit. si risolve in una serie di disposizioni che limitano i
presupposti    di    affidamento    in    house    della     gestione
dell'organizzazione  dei  servizi  pubblici   «locali»   degli   enti
territoriali, con una cieca preferenza per il mercato, invadendo  per
cio' la competenza normativa di Regioni ed enti  territoriali  minori
(art. 117, co. 4° e 6°, Cost.)  sull'autonoma  definizione  del  buon
andamento dell'organizzazione della  gestione  dei  servizi  pubblici
locali. 
    L'invasione nella sfera di  competenza  regionale  e  degli  enti
territoriali minori e' addirittura enfatizzata dalla precisazione che
le indicate disposizioni (art. 23 bis co. 2°, 3°, 4°, d.l. n. 112 del
2008, cit. cosi' come sostituti dall'oggi impugnato art. 15, d.l.  n.
135 del 2009, cit.) «prevalgono» su tutte le «discipline  di  settore
con esse incompatibili» (cfr. l'art. 23 bis, co. 1°, d.l. n. 112  del
2008, cit.), dunque su tutte le discipline di settore  regionali,  in
particolare  quelle  della  Regione  Piemonte  sul  servizio   idrico
integrato (l.r. 13 dicembre 1997, n. 13) e sul sistema  integrato  di
raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi  urbani  (l.r.  24  ottobre
2002, n. 24) che non limitano affatto  la  scelta  tra  le  forme  di
gestione dei servizi compatibili con il diritto comunitario. 
    Ne deriva quindi che l'intervento legislativo statale costituisce
insanabile lesione della sfera di competenza della  Regione  Piemonte
con illegittimita' costituzionale dell'art. 15,  co.  l°,  lett.  b),
d.l. n. 135 del 2009, cit. ove  preclude  alla  Regione  ogni  scelta
d'organizzazione  su  un  punto  qualificante  della  disciplina  dei
servizi pubblici locali (regionali e degli altri enti  territoriali),
in particolare impedendo alla Regione di stabilire e disciplinare una
previa valutazione  comparativa  da  parte  dell'amministrazione  fra
tutte le possibili opzioni per la scelta della forma di gestione. 
    B) Non e' da escludere che dell'art. 15, co. 1°, lett.  b),  d.l.
n. 135 del 2009, cit. si possa offrire un'interpretazione adeguatrice
capace di sorreggere una sentenza  interpretativa  di  rigetto  della
questione  di  costituzionalita'  proposta  ove  s'intenda  che  tali
disposizioni non deroghino alla disciplina generale sul  procedimento
amministrativo, dovendo l'amministrazione motivare  qualunque  scelta
della forma di gestione del servizio pubblico locale, attraverso  una
comparazione  tra  tutte   quelle   compatibili   con   l'ordinamento
comunitario ed offrendo infine la giustificazione in  concreto  della
forma prescelta, secondo un'interpretazione che espunge  dalle  norme
qualsiasi preferenza  o  prevalenza  in  astratto  di  una  forma  di
gestione sull'altra. 
    C) Permarrebbe comunque l'illegittimita' costituzionale  parziale
dell'art. 15, co. 1°, lett. b), d.l.  n.  135  del  2009,  cit.  (ove
sostituisce l'art. 23 bis, co. 3 e 4°, d.l. n. 112 del  2008,  cit.),
per avere il  legislatore  statale  invaso  la  sfera  di  competenza
normativa della Regione Piemonte e degli enti territoriali piemontesi
nella defmizione dello svolgimento  delle  funzioni  loro  attribuite
(art. 117, co. 4° e 6°, Cost.) poiche' una parte della norma  prevede
una disciplina particolare  del  procedimento  di  affidamento  della
gestione a soggetti diversi dagli operatori di mercato, tra cui  l'in
house providing. 
    In particolare l'art. 15, co. 1° lett. b), d.l. n. 135 del  2009,
cit., impone  una  specifica  disciplina  generale  ed  astratta  dei
presupposti di affidamento in house del servizio pubblico  locale  di
rilevanza economica,  con  il  riferimento  esclusivo  a  «situazioni
eccezionali che, a causa  di  peculiari  caratteristiche  economiche,
sociali, ambientali e geomorfologiche del  contesto  territoriale  di
riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso  al  mercato»
(nuovo co. 3°, art. 23 bis, d.l. n.  112  del  2008,  cit.).  Dispone
inoltre una particolare attivita' istruttoria avente ad oggetto - una
specifica «analisi di mercato» su cui offrire una congrua motivazione
ed addirittura una specifica «adeguata pubblicita'»  (nuovo  co.  4°,
art. 23 bis, d.l. n. 112 del 2008, cit.). 
    E' infine  data  ancora  una  triplice  prescrizione,  del  tutto
particolare e specificamente dedicata al procedimento di  affidamento
della gestione a soggetti diversi dagli operatori di  mercato  -  tra
cui l'in house providing.  Anzitutto  l'invio  all'Autorita'  garante
della concorrenza e del mercato  di  una  «relazione  contenente  gli
esiti  dell'intervenuta  analisi  di  mercato»,  sulla   quale   deve
intervenire un «singolare» parere preventivo  dell'Autorita'  garante
della concorrenza e del mercato, «da rendere «entro  sessanta  giorni
dalla ricezione della predetta relazione» (nuovo art. 23 bis, co. 4°,
d.l. n.  112  del  2008,  cit.),  innovando  la  disciplina  generale
sull'attivita' consultiva dell'Autorita' garante  dellaconcorrenza  e
del  mercato   che   prevede   unicamente   un'attivita'   consultiva
facoltativa, su  richiesta  delle  amministrazioni  o  su  iniziativa
dell'Autorita' stessa (art. 22, l. 10 ottobre 1990, n. 287). 
    Non solo l'art. 15,  d.l.  n.  135  del  2009,  cit.  e'  viziato
d'illegittimita' costituzionale parziale per avere invaso la sfera di
competenza normativa della Regione Piemonte e degli enti territoriali
piemontesi  nella  definizione  dello  svolgimento   della   funzione
d'affidamento dei servizi  pubblici  locali  di  rilevanza  economica
(art. 117, co. 4° e 6°, Cost.), ma cio'  e'  avvenuto  con  norme  di
dettaglio cosi' puntuali che non sarebbero  neppure  compatibili  per
una competenza  esclusiva  dello  Stato  (v.  infra  §  n.  3)  e  in
violazione del principio di ragionevolezza (arg. ex art.  3,  co.  2,
Cost.) poiche' della legge impugnata non si comprendono le ragioni di
una disciplina differenziata per l'ambito locale dei pubblici servizi
rispetto a quella generalmente prevista per l'Autorita' garante della
concorrenza  e  del  mercato  ed  in  genere  per  le  autorita'   di
regolazione. 
    3. Violazione dell'art. 117,  co.  1°,  2°,  3°,  4°,  Cost.  con
riferimento agli artt. 114, 117, co. 6°, e 118, co. 1° e  2°,  Cost.;
violazione dell'autonomia costituzionale degli enti  territoriali  da
parte del d.l. 25 settembre 2009, n. 135, art. 15, co. 1°,  lett.  b,
cosi' come conv. dalla l. 20 novembre 2009, n. 166,  che  sostituisce
l'art. 23 bis, 2°, 3° e 4°, d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv.  dalla
l. 6 agosto 2008, n. 133, nonche' dell'art. 15, co. 1° ter,  d.l.  n.
135 del 2009, cit. 
    A) Da tempo la  Corte  costituzionale  ha  riconosciuto  che  «le
Regioni sono  legittimate  a  denunciare  la  legge  statale  per  la
violazione di competenze degli enti locali» poiche' di per  se'  tale
violazione e' «potenzialmente idonea a determinare  una  vulnerazione
delle competenze regionali» (Corte cost. 17 maggio 2007, n.  169,  21
marzo 2007, n. 95, 14 novembre 2005, n. 417, 28 giugno 2004, n.  196;
Corte cost., 27 luglio 2004, n. 272, § 4). 
    E' l'autonomia costituzionale propria e dell'intero sistema degli
enti locali che la Regione Piemonte intende oggi difendere di  fronte
ad un nuovo intervento legislativo statale che vorrebbe  limitare  la
capacita' d'organizzazione e di autonoma definizione normativa  dello
svolgimento  delle  funzioni  di  affidamento  dei  servizi  pubblici
locali,  la   stessa   autonomia   di   Regioni,   Province,   Citta'
metropolitane e Comuni (art. 114, Cost.) che  e'  riconosciuta  anche
dall'Unione Europea (art. 5, Trattato). 
    Il cosiddetto valore costituzionale o materia trasversale «tutela
della concorrenza» presuppone  anche  per  il  legislatore  nazionale
l'esistenza di un mercato quale oggetto di tutela (Corte di Giustizia
Ce, 6 aprile 2006, in  causa  C-410/04,  ANAV  c.  Comune  di  Bari),
definizione di mercato che pero'  non  raggiunge  gli  spazi  interni
dell'organizzazione pubblica (Corte costituzionale, 15 novembre 2004,
n. 345; Id., 26 gennaio 2004, n. 36). 
    La scelta delle forme di gestione  ed  affidamento  del  servizio
pubblico deve informarsi - entro  i  limiti  della  disciplina  sulla
concorrenza - a valutazioni d'efficienza, efficacia  ed  economicita'
che ciascuna organizzazione  pubblica  non  puo'  che  esprimere  con
riferimento ai proposti standard di qualita' che intende offrire agli
utenti, involgendo percio' questioni di pura autorganizzazione  degli
enti territoriali, della  cui  autonomia  vi  e'  diretto  fondamento
costituzionale (art. 5, 114, 117, co. 4°, 6°, art. 118, Cost.) 
    B) Nel contesto  dell'ordinamento  italiano  e'  incostituzionale
un'interpretazione  dell'ordinamento  europeo  nel   senso   di   una
«concorrenzialita' totale» che ritenga sempre imposto alle Regioni ed
agli enti locali l'attribuzione dei propri servizi ad imprese terze e
riduca le altre forme e tra queste il cd. in  house  providing  -  di
derivazione comunitaria - a mera ipotesi d'eccezione in  presenza  di
determinate situazioni da motivare puntualmente  (art.  15,  co.  1°,
lett. b), d.l. n. 135 del 2009, cit. che sostituisce l'art.  23  bis,
co. 2°, 3° e 4°, d.l. n.  112  del  2008,  cit.,  nonche'  -  per  il
servizio idrico integrato - l'art. 15, co. 1° ter, d.l.  n.  135  del
2009, cit.). 
    La disciplina statale qui impugnata (art. 15, co. 1°, lett. b), e
co. 1° ter, d.l. n. 135 del 2009,  cit.)  incide  direttamente  nella
materia  di  competenza  legislativa  regionale  del  buon  andamento
dell'amministrazione nella gestione dei servizi pubblici locali (art.
117, co. 4°, 6°, art. 118, art. 97, Cost.), ma addirittura perviene a
limitare la  capacita'  d'autorganizzazione  della  Regione  e  degli
stessi enti territoriali,  comprimendo  illegittimamente  l'autonomia
pubblica conferita ad essi dalla Costituzione  italiana  (artt.  114,
117, 118, co. 1° e 2°, Cost.). 
    La garanzia costituzionale  delle  Regioni  e  degli  altri  enti
territoriali (in particolare, Comuni e Province) non  puo'  tollerare
dunque  alcun  obbligo  di  legge   statale   di   preferenza   verso
«l'esternalizzazione»  dei  servizi  pubblici  locali,  disciplinando
direttamente l'organizzazione di quest'ultimi invece che  la  propria
amministrazione pubblica (Corte cost. 16 gennaio 2004, n. 16; Id., 27
luglio 2004, n. 272). 
    La  legislazione  statale   puo'   legittimamente   imporre   una
determinata forma di gestione di un servizio pubblico solo procedendo
in  via   preliminare   ad   avocare   allo   Stato   la   competenza
sull'organizzazione della gestione  dei  servizi  sinora  considerati
locali (es. idrico integrato, raccolta dei rifiuti solidi urbani) sul
presupposto che l'esercizio unitario di  tali  servizi  sia  divenuto
ottimale solo a livello d'ambito statale (art. 118, co. 1°, Cost.). 
    La   disciplina   in   esame    pertanto    e'    da    ritenersi
costituzionalmente illegittima per  difetto  di  tale  qualificazione
nazionale  dei  servizi  che  restando  locali   per   sua   espressa
qualificazione (cfr. l'art. 15,  d.l.  n.  135  del  2009,  cit.,  in
rubrica, co. 1°, ecc.) segnano la denunciata invasione della sfera di
competenza normativa in materia d'organizzazione e svolgimento  delle
funzioni della Regione Piemonte e degli enti territoriali piemontesi,
poiche' nega illegittimamente l'autonomia costituzionale di tali enti
nel   suo   nucleo   imprescindibile   della   capacita'   di   darsi
un'organizzazione idonea a  soddisfare  i  bisogni  sociali  del  suo
territorio, cioe' della popolazione residente che  ne  e'  l'elemento
costitutivo, ed in particolare per la Regione Piemonte  si  evidenzia
la diretta lesione della propria potesta' legislativa residuale (art.
117, co. 4°, Cost.) in materia di buon andamento  dell'organizzazione
dei  servizi  pubblici  locali  (regionali   e   degli   altri   enti
territoriali) ove e' precluso alla Regione ogni spazio di regolazione
in ordine alla scelta - preliminare e fondamentale - se rivolgersi al
mercato (imprese terze) oppure a cio' che mercato  non  e' (in  house
providing). 
    4. Violazione  dell'art.  117,  co.  2°,  Cost.  con  riferimento
all'art.  3,  Cost.;  difetto   comunque   di   proporzionalita'   ed
adeguatezza della disciplina statale ove la  stessa  sia  ritenuta  a
tutela della concorrenza da parte del d.l. 25 settembre 2009, n. 135,
art. 15, co. 1°, lett. b), cosi' come  conv.  dalla  l.  20  novembre
2009, n. 166, che sostituisce l'art. 23 bis, 2°, 3°  e  4°,  d.l.  25
giugno 2008, n. 112, conv. dalla l. 6 agosto 2008, n. 133. 
    A)  La  Corte  costituzionale  ha  riconosciuto   che   solo   le
disposizioni di legge statale a «carattere generale che  disciplinano
le modalita' di gestione e l'affidamento dei servizi pubblici  locali
di rilevanza economica» (in specie art. 113, d.lgs. n. 267 del  2000,
cit.) trovano il proprio «titolo di  legittimazione»  nell'art.  117,
co. 2°, lett. e), Cost.  («tutela  della  concorrenza»)  e  «solo  le
predette disposizioni non possono essere derogate da norme regionali»
(Corte costituzionale, sent. n. 272 del 2004, cit.). 
    La Corte ha sottoposto  tali  disposizioni  di  legge  statale  a
scrutinio in ragione del criterio di proporzionalita' ed  adeguatezza
che e'  «essenziale  per  definire  l'ambito  di  operativita'  della
competenza  legislativa  statale   attinente   alla   «tutela   della
concorrenza»  e  conseguentemente  la   legittimita'   dei   relativi
interventi statali» poiche' tale materia «trasversale» «si  intreccia
inestricabilmente con una pluralita' di altri interessi - alcuni  dei
quali rientranti nella sfera di competenza  concorrente  o  residuale
delle Regioni  -  connessi  allo  sviluppo  economico-produttivo  del
Paese» (Corte costituzionale, sent. n. 272 del 2004,  cit.  cui  adde
Id., sent. n. 401 del 2007, cit.). 
    Scrutinio  all'esito  del  quale  la  Corte   costituzionale   ha
annullato l'art. 113, co. 7°,  d.lgs.  n.  267  del  2000,  cit.  ove
definiva i criteri di aggiudicazione della gara per l'affidamento  di
servizi pubblici  locali  di  rilevanza  economica  con  disposizione
«dettagliata  ed  autoapplicativa»,  «integrativa  delle   discipline
settoriali di fonte regionale» la quale realizzava  «una  illegittima
compressione  dell'autonomia  regionale»   in   quanto   l'intervento
legislativo statale risultava  «ingiustificato  e  non  proporzionato
rispetto  all'obbiettivo  della  tutela  della  concorrenza»   (Corte
costituzionale, sent. n. 272 del 2004, cit.). 
    Il legislatore statale all'art. 113, co. 7°, d.lgs.  n.  267  del
2000, cit., poi dichiarato illegittimo  dalla  Corte  costituzionale,
autoqualificava  le  proprie  disposizioni  come  «integrative  delle
discipline di settore», a fortiori il  ragionamento  d'illegittimita'
puo' essere esteso alla legge statale qui impugnata (d.l. n. 135  del
2009, cit. art. 15, co. 1°, lett. b) poiche' - essendo confermata  la
«prevalenza»  delle  indicate  disposizioni   statali   sulle   leggi
regionali (cfr. l'immutato art. 23 bis, co. 1°, secondo periodo, d.l.
n. 112 del 2008, cit.) - configura molto piu' di  una  «integrazione»
trattandosi  di  vera  e  propria   sostituzione   della   disciplina
preesistente settoriale di fonte regionale o locale. 
    A maggior ragione, dunque, le disposizioni della legge statale in
esame (art. 15, co. 1°, lett. b), d.l. n.  135  del  2009,  cit.  che
sostituisce l'art. 23 bis, co. 2°, 3° e 4°, d.l.  n.  112  del  2008,
cit.)  ledono  l'autonomia  regionale  o  degli   enti   territoriali
piemontesi  ove  si  ritenga  che  esse  costituiscano  esercizio  di
potesta' esclusiva statale in materia di «tutela  della  concorrenza»
(art.  117,  co.  2°,  lett.  e,   Cost.),   con   conseguente   loro
illegittimita' costituzionale. 
    Occorre infatti riconoscere che il d.l. n. 135  del  2009,  cit.,
art. 15,  co.  1°,  lett.  b),  pone  una  disciplina  immediatamente
autoapplicativa ove  senz'altro  pone  un  criterio  o  principio  di
preferenza nell'attribuzione ad imprese terze  dei  servizi  pubblici
locali poiche' la qualifica senz'altro come forma «ordinaria»  (nuovo
art. 23 bis, co. 2° e 3°, d.l. n. 112 del 2008,  cit.)  e  riduce  le
altre   soluzioni   organizzative   compatibili   con   l'ordinamento
comunitario - in particolare l'in house providing - a mere  eccezioni
determinando   puntualmente   e   tassativamente    le    «situazioni
eccezionali» che sole possono giustificare tale  forma  di  gestione:
«peculiari  caratteristiche   economiche,   sociali,   ambientali   e
geomorfologiche del contesto  territoriale  di  riferimento  che  non
permettono un efficace e utile ricorso al  mercato»  (nuovo  art.  23
bis, co. 3°, d.l. n. 112 del 2008, cit.). 
    Elencazione minuziosa  che  tuttavia  non  contempla  le  ragioni
d'organizzazione che possono assumere interesse per l'affidamento  di
un determinato servizio pubblico locale, sicuramente per il  servizio
idrico integrato ove i diversi segmenti di  acquedotto,  fognatura  e
depurazione debbono essere riuniti  in  ciclo  completo  delle  acque
secondo la ratio della disciplina di  settore  (prima  l.  5  gennaio
1994, n. 36, poi d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152) che da tempo impone il
superamento  della  frammentazione  per  segmenti  e  per  territorio
nell'erogazione del servizio,  ai  fini  del  raggiungimento  di  una
gestione del servizio idrico integrato che sia capace di  riunire  in
dimensioni sovracomunali il ciclo delle acque. 
    Proprio  le  ragioni  organizzative  (riunificazione  del   ciclo
completo delle acque in capo ad unico gestore) - fra le altre - hanno
reso  necessario  l'affidamento  del  servizio  idrico  integrato  ad
organizzazioni  in  house  providing  nel  territorio  della  Regione
Piemonte (cfr. deliberazioni Autorita' d'Ambito n.  3  «Torinese»  27
maggio 2004, n. 173 e 13 dicembre 2007 n. 296, con cui si e' affidato
alla societa' a capitale interamente pubblico SMAT s.p.a. - ai  sensi
dell'art. 113, co. 5°, lett. c), d.lgs. n. 267 del 2000,  cit.  -  la
titolarita' della gestione  del  servizio  idrico  integrato  per  la
totalita' dell'ambito territoriale ottimale n. 3 «Torinese»). 
    5. Violazione dell'art. 5, art. 23, art. 42, art. 114, art.  117,
co. 2° e 6°, art. 118, Cost. anche con riferimento all'art. 3,  Cost.
da parte del d.l. 25 settembre 2009, n. 135, art. 15, co.  1°,  lett.
d,  cosi'  come  conv.  dalla  l.  20  novembre  2009,  n.  166,  che
sostituisce l'art. 23 bis, co. 8°, d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv.
dalla l. 6 agosto 2008, n. 133. 
    A) Le «gestioni in essere alla data del 22 agosto  2008  affidate
conformemente ai principi comunitari in  materia  di  cosiddetta  «in
house» cessano, improrogabilmente e senza necessita' di deliberazione
da parte dell'ente affidante, alla data del 31  dicembre  2011»,  con
possibilita' di proseguire sino «alla scadenza prevista dal contratto
di servizio» purche' «entro il 31 dicembre  2011  le  amministrazioni
cedano almeno il 40 per cento del capitale attraverso le modalita' di
cui alla lettera b) del comma 2», cioe' con una  gara  che  abbia  ad
oggetto, al tempo stesso, la qualita' di socio  e  l'attribuzione  di
specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio (art.
15, co. 1°,  lett.  d),  d.l.  n.  135  del  2009,  cit.,  che  cosi'
sostituisce l'art. 23 bis, co. 8°, lett. a, d.l.  n.  112  del  2008,
cit.). 
    Tale disposizione transitoria  viola  l'autonomia  costituzionale
della Regione Piemonte e degli enti locali (artt. 5,  114,  117,  co.
6°, 118, Cost.) ove dispone  senz'altro  e  senza  indennizzo  alcuno
(artt. 23 e 42, Cost.) del  patrimonio  legittimamente  realizzato  o
acquisito dagli enti stessi con l'affidamento  a  societa'  a  totale
capitale  pubblicoin  house  providing  della  gestione  di   servizi
pubblici locali, in conformita' sia all'ordinamento comunitario sia a
quello interno (ex art. 113, co. 5°, lett. c, d.lgs. n. 267 del 2000,
cit.). 
    La lesione s'afferma in ragione di una  generalizzata  cessazione
anticipata al 31  dicembre  2011  disposta  ex  lege  per  tutti  gli
affidamenti in house providing, anche di quelli effettuati dagli enti
territoriali in conformita' all'ordinamento comunitario  e  italiano,
con grave svalutazione dei valori di  mercato  dei  corrispettivi  di
cessione delle partecipazioni a causa della simultanea attuazione  su
tutto il territorio nazionale dell'alienazione del 40% di  un  numero
rilevante di societa' in mano agli enti locali, che - unitamente agli
affidamenti illegittimi -  per  il  solo  servizio  idrico  integrato
ammontano a circa n.  60  complessi  aziendali,  di  cui  alcuni  con
valorizzazioni patrimoniali di notevole consistenza (Torino,  Milano,
Bologna, le Regioni Puglia e Sardegna, ecc.). 
    La disposizione e' ancor piu' lesiva della competenza degli  enti
territoriali ove della  stessa  non  siriesca  ad  individuare  alcun
significato ragionevole,  poiche'  -  per  la  prima  volta  in  modo
inequivoco (art. 35, l. 28 dicembre 2000, n. 448; art.  14,  co.  1°,
d.l. n. 269 del 2003; art. 15, d.l. n. 223 del 2006; art. 23 bis, co.
8°, di. n. 112 del 2008, cit.; art. 113, c. 15° bis,  d.lgs.  n.  267
del 2000, cit.) - non solo dispone la cessazione degli affidamenti in
house  providing   illegittimi   ma   anche   di   quelli   legittimi
(differenziando la sola scadenza ex lege di un anno: 31 dicembre 2010
- 31 dicembre 2011), non solo tratta allo  stesso  modo  gestioni  da
poco iniziate (meno di due anni) con quelle pluridecennali, ma non si
e' affatto curata di «scaglionare» nel tempo il preferito ricorso  al
mercato   con   grave    svalutazione    dell'indicata    consistenza
patrimoniale. 
    Non ha avuto mai il conforto della giurisprudenza della Corte  di
Giustizia   delle   Comunita'   Europee,   ne'   di   codesta   Corte
costituzionale il dubbio che l'art. 22, co. 3°, lett. e), l. 8 giugno
1990, n. 142, oppure il successivo art. 113, co. 5°, lett. c,  d.lgs.
n. 267 del 2000, cit.  dedicati  alle  societa'  in  house  providing
potessero essere in contrasto con l'ordinamento comunitario o interno
sulla concorrenza, con conseguente  irragionevolezza  dell'anticipata
cessazione di  quelli  conformi  a  tale  disciplina  al  pari  degli
affidamenti illegittimi, siano  essi  quelli  che  non  rispettano  i
caratteri essenziali  dell'in  house  providing  («controllo  analogo
sulla societa'» ed «attivita' prevalente a favore dei controllanti»),
siano essi quelli effettuati a terzi in difformita' dalla  disciplina
sulla concorrenza. 
    C)  Ancor  piu'  la  disposizione  -  abrogando   la   disciplina
preesistente che disponeva la cessazione al 31 dicembre  2006  e  per
il solo servizio idrico al 31 dicembre 2007 di tutti gli  affidamenti
difformi dalla disciplina italiana ed europea sulla concorrenza -  ha
statuito di ulteriormente prorogare  per  quattro  o  tre  anni  tali
illegittimi affidamenti (che «cessano comunque entro e non  oltre  la
data del 31 dicembre 2010, senza necessita' di apposita deliberazione
dell'ente affidante»: nuovo art. 23 bis, co. 8°, lett. e, d.l. n. 112
del 2008, cit., cosi' come sostituito dall'art. 15, co. 1°, lett.  d,
d.l. n. 135 del 2009, cit.) 
    La disposizione e' ancor piu' lesiva della competenza degli  enti
territoriali ove della stessa non  si  riesce  ad  individuare  alcun
significato ragionevole, perche' realizza una sanatoria  ex  lege  di
affidamenti illegittimi lesivi della concorrenza che la stessa  legge
qui impugnata proclama di voler riaffermare,  anche  di  quelli  piu'
eclatanti  in  difetto  di  ogni  evidenza  pubblica,  ivi   compresi
quelli gia' oggetto  di  una  sentenza  di  annullamento  non  ancora
passata  in  giudicato,  persino  ove   sia   stata   incidentalmente
contornata da una pronuncia in tal senso  della  Corte  di  Giustizia
delle Comunita' Europee. 
    Disposizione ancora piu' singolare ove si  pensi  che  l'ennesima
norma di favore per gli affidamenti disposti  in  violazione  proprio
della disciplina italiana ed europea sulla concorrenza (d.l.  n.  135
del 2009, cit., art. 15, co.  1°,  lett.  d),  segue  a  disposizioni
(anch'esse qui impugnate) che dichiarano  apertamente  l'affermazione
di un indirizzo politico di «ultra concorrenzialita'»  (d.l.  n.  135
del 2009, cit., art. 15, co. 1°, lett. b). 
    6. Violazione dell'art. 5, art. 114, art. 117, co. 2° e 6°,  art.
118, Cost. anche con riferimento  all'art.  3,  Cost.  da  parte  del
d.1.25 settembre 2009, n. 135, art. 15, co. 1°, lett. d,  cosi'  come
conv. dalla l. 20 novembre 2009, n. 166, che  sostituisce  l'art.  23
bis, co. 8°, d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv.  dalla  l.  6  agosto
2008, n. 133. 
    «Le gestioni affidate direttamente a  societa'  a  partecipazione
mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta
mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei
principi di cui alla lettera a) del comma 2,  le  quali  non  abbiano
avuto  ad  oggetto,  al  tempo  stesso,  la  qualita'  di   socio   e
l'attribuzione dei  compiti  operativi  connessi  alla  gestione  del
servizio, cessano, improrogabilmente e senza necessita'  di  apposita
deliberazione dell'ente affidante, alla data del  31  dicembre  2011»
(art. 15, co. 1°, lett. d, d.l. n. 135 del 2009, cit.  che  introduce
il nuovo art. 23 bis, co. 8°, lett. b, d.l. n. 112 del 2008, cit.). 
    Tale   disposizione   transitoria   cancella   d'un   tratto   la
legittimita' secondo il diritto nazionale di  tutte  le  gestioni  di
servizio pubblico in capo a societa' mista ove la gara per la  scelta
del  socio  privato  -   pure   avvenuta   con   procedura   conforme
all'ordinamento  europeo  ed  italiano  -  abbia  avuto  ad   oggetto
unicamente la partecipazione finanziaria, con acquisto  di  quote  di
capitale, eventualmente accompagnate da patti parasociali allegati ai
bandi gara per l'individuazione di taluni amministratori  in  accordo
con il socio pubblico, non importa ora se minoritario o prevalente. 
    La  violazione   della   competenza   degli   enti   territoriali
sull'organizzazione  degli  stessi  anche  con  riferimento  ad  enti
strumentali controllati da tali enti territoriali o a  partecipazioni
di minoranza (artt. 5, 114, 117, co. 6°, 118,  Cost.)  appare  ancora
piu' odiosa ove determina una svalutazione del patrimonio degli  enti
stessi imponendo con norma transitoria l'impossibilita' di proseguire
comunque tali gestioni, fermo restando la possibilita' di  una  nuova
gara ma con il vincolo della partecipazione di  terzi  che  si  vuole
necessariamente  congiunta  allo  svolgimento  di  specifici  compiti
operativi. 
 
                              P. Q. M. 
 
    La Regione Piemonte, cosi' come  sopra  rappresentata  e  difesa,
insta  affinche'  la  Corte  costituzionale  voglia   accogliere   le
seguenti conclusioni: 
        dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale  del   d.l.   25
settembre 2009, n. 135, art. 15, comma 1 e 1-ter, convertito in legge
con  modificazioni  dalla legge  20  novembre  2009,  n.   166,   per
violazione degli artt. 5, 23, 42, 114, 117, co. 1°, 2°, 3°, 4°, 6°, e
118, Cost., anche con riferimento agli artt. 3 e 97, Cost. 
        Roma-Torino, addi' 21 gennaio 2010 
 
                        Prof. Alberto Romano 
 
 
                     Prof. Roberto Cavallo Perin