N. 187 SENTENZA 26 - 28 maggio 2010

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Straniero  -  Assegno  mensile  di  invalidita'  -  Concessione  agli
  stranieri  legalmente  soggiornanti  nel  territorio  dello   Stato
  subordinata al requisito della titolarita' della carta di soggiorno
  - Irragionevole discriminazione dello straniero  nel  godimento  di
  provvidenza destinata al sostentamento della persona  -  Violazione
  degli obblighi internazionali derivanti dalla CEDU - Illegittimita'
  costituzionale in parte qua. 
- Legge 23 dicembre 2000, n. 388, art. 80, comma 19. 
- Costituzione, art. 117, primo comma;  Convenzione  europea  per  la
  salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali,
  art. 14; Protocollo addizionale alla  Convenzione  europea  per  la
  salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali,
  art. 1. 
(GU n.22 del 3-6-2010 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino
  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe   TESAURO,   Paolo   Maria
  NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                               Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 80,  comma  19,
della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la  formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello  Stato -  legge  finanziaria
2001), promosso dalla Corte  d'appello  di  Torino  nel  procedimento
vertente tra O.M. e il Ministero dell'economia  e  delle  finanze  ed
altri con ordinanza del 27 febbraio 2009,  iscritta  al  n.  144  del
registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 21, 1ª serie speciale, dell'anno 2009. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  dell'Istituto  nazionale   della
previdenza  sociale  (INPS),  nonche'  l'atto   di   intervento   del
Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Udito nell'udienza pubblica del 23 marzo 2010 il Giudice relatore
Paolo Grossi; 
    Uditi l'avvocato Nicola Valente per  l'INPS  e  l'avvocato  dello
Stato Diana Ranucci per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ordinanza del 27 febbraio 2009, la Corte di  appello  di
Torino ha sollevato, in riferimento all'art. 117, primo comma,  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art.  80,
comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -  legge
finanziaria 2001), nella parte  in  cui,  «condizionando  il  diritto
dello straniero legalmente soggiornante sul territorio nazionale alla
fruizione dell'assegno sociale e delle altre  provvidenze  economiche
che  costituiscono  diritti  soggettivi  in  base  alla  legislazione
vigente in materia di servizi sociali» - fra i quali il giudice a quo
ritiene debba essere «certamente» annoverato  quello  all'assegno  di
invalidita' di cui all'art. 13 della legge  30  marzo  1971,  n.  118
(Conversione in legge del decreto-legge 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove
norme in favore dei mutilati ed  invalidi  civili)  -  «al  requisito
della titolarita' della carta di soggiorno  e,  quindi,  alla  legale
presenza sul territorio dello Stato da almeno cinque anni,  pone  una
discriminazione nei confronti dello straniero rispetto al cittadino»,
in violazione dell'art. 14 della Convenzione per la salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, e  dell'art.  1  del
Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, adottato a Parigi  il
20 marzo 1952 e reso esecutivo con la legge 4 agosto  1955,  n.  848,
cosi' come interpretati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. 
    La Corte rimettente ha premesso,  in  fatto,  che  una  cittadina
romena dimorante in Italia e munita del  permesso  di  soggiorno,  ha
proposto ricorso il 15 novembre 2007 davanti al Tribunale di  Torino,
lamentando che, pur essendo stata riconosciuta invalida con riduzione
permanente della capacita' lavorativa in misura superiore ai 2/3,  in
base ad una percentuale accertata dell'80%, poi aggravatasi  fino  al
90%,  ed  essendo  iscritta  alle  liste  speciali  di   collocamento
obbligatorio dal 4 marzo 2005,  le  era  stato  negato  l'assegno  di
invalidita' civile di cui all'art. 13 della legge n.  118  del  1971,
per non essere titolare della carta  di  soggiorno,  come  prescritto
dall'art. 80, comma 19, della legge n. 388  del  2000.  Il  Tribunale
adito, con sentenza del 16-18 aprile 2008, aveva accolto  il  ricorso
soltanto a decorrere dal 1° gennaio 2007,  data  dell'ingresso  della
Romania nella Unione europea, respingendolo, invece, per  il  periodo
antecedente,  reputando  legittima  la   previsione   normativa   che
subordinava la concessione dell'assegno ai soli titolari della  carta
di soggiorno. Avverso  la  detta  sentenza  ha  proposto  appello  la
ricorrente, deducendo il contrasto della normativa in  questione  con
la Convenzione europea dei diritti dell'uomo. 
    Il  giudice  rimettente,  dopo  aver  richiamato   il   contenuto
dell'art. 80, comma 2,  della  legge  n.  388  del  2000  nonche'  la
disciplina  della  carta  di  soggiorno,  e  sottolineata  la  sicura
riconducibilita' dell'assegno per cui e' controversia al novero delle
«provvidenze  economiche  che  costituiscono   diritti   soggettivi»,
comprese nella disposizione che ne limita  la  fruibilita'  da  parte
degli stranieri al requisito del possesso della carta  di  soggiorno,
ha ricordato come la giurisprudenza della Corte europea  dei  diritti
dell'uomo abbia puntualizzato che anche per  le  prestazioni  sociali
vale  la  tutela  dei  diritti   patrimoniali   che   devono   essere
riconosciuti a tutti; pena, altrimenti, la  violazione  dell'art.  14
della  Convenzione,  che   vieta   la   previsione   di   trattamenti
discriminatori. 
    Da tutto cio' deriverebbe - al  lume  delle  sentenze  di  questa
Corte n. 348 e n. 349 del 2007 - la violazione dell'art.  117,  primo
comma, Cost., in riferimento alle citate previsioni della CEDU e  del
Protocollo   addizionale,   sottolineandosi,   d'altra   parte,    la
circostanza che questa Corte ha gia'  avuto  modo  di  dichiarare  la
illegittimita' della norma denunciata con  la  sentenza  n.  306  del
2008, in  riferimento  alla  indennita'  di  accompagnamento  di  cui
all'art. 1 della  legge  11  febbraio  1980,  n.  18  (Indennita'  di
accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili),  e  con  la
sentenza n. 11 del 2009, in riferimento alla pensione  di  inabilita'
di cui all'art. 12 della legge n. 118 del 1971. 
    2. -  Nel  giudizio  di  costituzionalita'   si   e'   costituito
l'Istituto nazionale della previdenza sociale  (INPS),  il  quale  ha
chiesto dichiararsi infondata la proposta  questione.  Richiamato  il
quadro normativo di riferimento e  la  giurisprudenza  costituzionale
specifica, l'Istituto previdenziale ha  sottolineato,  infatti,  come
l'intervento restrittivo  oggetto  di  censura  non  possa  ritenersi
incostituzionale, avendo questa Corte affermato  la  legittimita'  di
interventi legislativi tesi a modificare  in  senso  limitativo,  nei
rapporti di durata, le prestazioni da erogare, sia  nell'an  che  nel
quantum. Inoltre, non potrebbe sindacarsi la scelta  del  legislatore
di  differenziare  le   prestazioni   in   favore   degli   stranieri
accordandole soltanto a quelli che risiedano in Italia da piu'  tempo
e con maggiore stabilita': come d'altra parte e' previsto, in tema di
assegno sociale, dall'art. 20, comma 10, del decreto-legge 25  giugno
2008, n. 112 (Disposizioni urgenti  per  lo  sviluppo  economico,  la
semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della  finanza
pubblica   e   la   perequazione   tributaria),    convertito,    con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133,  il  quale  dispone
che «a decorrere dal  1°  gennaio  2009,  l'assegno  sociale  di  cui
all'articolo 3, comma 6, della  legge  8  agosto  1995,  n.  335,  e'
corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano  soggiornato
legalmente, in via continuativa, per almeno cinque anni [recte: dieci
anni,  come  modificato  in  sede  di  conversione]  nel   territorio
nazionale». 
    Non sussisterebbe, poi, violazione dell'ordinamento  comunitario,
in quanto i regolamenti comunitari (numeri 1408/71;  574/72;  859/03)
non sono applicabili ai cittadini di paesi terzi, mentre  la  pretesa
violazione della CEDU non potrebbe essere ricondotta ne' all'art.  10
Cost. ne' all'art. 11 della stessa Carta. Quanto al dedotto parametro
dell'art. 117, primo comma, Cost., alla luce dei  principi  enunciati
dalle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007,  l'Istituto  rileva  che  le
norme CEDU, per come interpretate dalla Corte di Strasburgo,  non  si
sottraggono  alla  verifica  di  compatibilita'   con   l'ordinamento
costituzionale italiano. Dunque, nell'ambito delle norme  -  peraltro
di tipo politico-programmatico - dettate dalla CEDU e dal  Protocollo
addizionale,   non   sarebbero   «individuabili   norme   di    rango
costituzionale  che  impongano  al  legislatore  di  equiparare   gli
stranieri ai cittadini  dell'Unione  ai  fini  della  concessione  di
provvidenze economiche di mera assistenza sociale». Va d'altra  parte
osservato  -  rileva  conclusivamente  l'Istituto  -  che  la   norma
censurata e' stata inserita nella  legge  finanziaria  per  il  2001,
sicche' i limiti  di  accesso  alle  prestazioni,  sono  stati  posti
tenendo conto delle esigenze finanziarie disponibili per  i  fini  di
assistenza sociale: limitazioni, dunque, giustificate dalle  esigenze
di contenimento della spesa pubblica, in piu' occasioni evocate dalla
giurisprudenza costituzionale  (vengono  richiamate  le  sentenze  di
questa Corte n. 99 del 1995, n. 240 del 1994, e n. 822 del 1988). 
    3. - Nel giudizio  e'  intervenuto,  infine,  il  Presidente  del
Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dalla  Avvocatura
generale dello Stato, la  quale  ha  concluso  chiedendo  dichiararsi
inammissibile o infondata  la  questione.  Dopo  aver  analizzato  la
disciplina coinvolta dal dubbio  di  legittimita'  costituzionale  ed
aver  diffusamente  richiamato   la   giurisprudenza   costituzionale
pertinente alla  questione  proposta,  l'Avvocatura  -  sottolineando
alcuni passaggi della sentenza n. 308  del  2008  -  ritiene  che  il
quesito debba essere esaminato in funzione della natura del beneficio
cui la questione  si  riferisce:  se  cioe'  lo  stesso  sia  o  meno
qualificabile come mezzo diretto a «rimediare a gravi  situazioni  di
urgenza». Al riguardo, l'Avvocatura ritiene che la natura e la  ratio
dell'assegno di assistenza sia del  tutto  diversa  da  quella  della
pensione di inabilita' o  dell'indennita'  di  accompagnamento  (gia'
scrutinati da  questa  Corte),  giacche',  postulando  questi  ultimi
l'inabilita' totale dell'istante, «tendono sicuramente a fronteggiare
situazioni di gravita' e  urgenza».  L'assegno  di  assistenza  mira,
invece, ad integrare l'eventuale minor reddito percepito dalla  parte
che, malgrado la inabilita' parziale, e' comunque avviata al  lavoro,
posto che la erogazione dell'assegno  presuppone  che  l'istante  sia
iscritto obbligatoriamente nelle liste di collocamento,  al  precipuo
scopo, appunto, «di consentire all'invalido di trovare una condizione
lavorativa confacente al suo stato». In tale quadro  di  riferimento,
pertanto, non puo' ritenersi illogico che lo Stato, in ragione  delle
limitate  risorse  finanziarie,   subordini   la   erogazione   della
prestazione in discorso alla titolarita' della  carta  di  soggiorno,
che  attesta  «l'effettivo  e  stabile   inserimento   del   soggetto
extracomunitario  nella  compagine  sociale  italiana»,   mentre   la
circostanza che si tratti nella specie di un «beneficio di natura non
vitale ma accessoria», esclude il contrasto con l'art. 14 della CEDU,
potendo lo Stato subordinare la provvidenza per  gli  stranieri  agli
stessi requisiti previsti per il cittadino italiano, «primo fra tutti
l'inserimento  nella  compagine  sociale  italiana,  attestato  dalla
presenza continua nel territorio nazionale [...]». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. -  La  Corte  di  appello  di  Torino  solleva  questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 80, comma 19,  della  legge  28
dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - legge  finanziaria  2001),  nella
parte in cui tale norma, nello stabilire che «ai sensi  dell'art.  41
del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, l'assegno  sociale  e
le provvidenze economiche che  costituiscono  diritti  soggettivi  in
base alla legislazione vigente in materia  di  servizi  sociali  sono
concessi, alle condizioni previste dalla legislazione medesima,  agli
stranieri che siano titolari di carta  di  soggiorno»,  subordina  al
requisito della titolarita' della carta di soggiorno la  concessione,
agli stranieri legalmente soggiornanti nel  territorio  dello  Stato,
dell'assegno mensile di  invalidita',  previsto  dall'art.  13  della
legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge  del  decreto-legge
30 gennaio 1971, n. 5  e  nuove  norme  in  favore  dei  mutilati  ed
invalidi civili). 
    A  parere  della  Corte  rimettente,  infatti,  la   disposizione
censurata, nel subordinare il diritto alle prestazioni  previdenziali
che costituiscono diritti soggettivi, fra  i  quali  deve  certamente
annoverarsi l'assegno di  invalidita'  previsto  dall'art.  13  della
legge n. 118 del 1971, alla titolarita' della carta di  soggiorno,  e
dunque al requisito della presenza  nel  territorio  dello  Stato  da
almeno cinque anni,  introdurrebbe  un  ulteriore  requisito  atto  a
generare  una  discriminazione  dello  straniero  nei  confronti  del
cittadino, in contrasto con i principi enunciati dall'art.  14  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, e dall'art. 1 del Protocollo addizionale  alla
Convenzione stessa, adottato a  Parigi  il  20  marzo  1952,  secondo
l'interpretazione che di essi e' stata offerta  dalla  Corte  europea
dei diritti dell'uomo. Da qui  la  violazione  dell'art.  117,  primo
comma, della Costituzione, alla stregua  dei  principi  affermati  da
questa Corte nelle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007. 
    2. - La questione e' fondata. 
    La giurisprudenza della Corte europea dei diritti  dell'uomo  ha,
in varie occasioni, avuto modo di sottolineare  come  la  Convenzione
non sancisca un obbligo per gli Stati membri di realizzare un sistema
di protezione sociale o di assicurare un  determinato  livello  delle
prestazioni assistenziali; tuttavia, una volta che  tali  prestazioni
siano state istituite e concesse, la relativa disciplina  non  potra'
sottrarsi  al  giudizio  di  compatibilita'  con   le   norme   della
Convenzione e, in particolare, con l'art. 14 che vieta la  previsione
di trattamenti discriminatori (in tal senso,  Stec  ed  altri  contro
Regno Unito, decisione sulla ricevibilita' del 6  luglio  2005;  Koua
Poirrez contro Francia, sentenza  del  30  settembre  2003;  Gaygusuz
contro Austria, sentenza del 16 settembre 1996; Salesi contro Italia,
sentenza del  26  febbraio  1993).  Al  tempo  stesso,  la  Corte  di
Strasburgo ha anche sottolineato l'ampio margine di apprezzamento  di
cui i singoli Stati godono in  materia  di  prestazioni  sociali,  in
particolare rilevando come le singole autorita' nazionali, in ragione
della conoscenza diretta delle  peculiarita'  che  caratterizzano  le
rispettive societa' ed i correlativi bisogni, si trovino, in linea di
principio, in  una  posizione  privilegiata  rispetto  a  quella  del
giudice internazionale per determinare  quanto  risulti  di  pubblica
utilita' in materia economica e sociale. Da qui l'assunto secondo  il
quale la Corte rispetta,  in  linea  di  massima,  le  scelte  a  tal
proposito operate dal legislatore nazionale, salvo  che  la  relativa
valutazione si riveli manifestamente irragionevole (Carson  ed  altri
contro Regno  Unito,  sentenza  del  16  marzo  2010;  Luczak  contro
Polonia, sentenza del 27 novembre 2007). A proposito, poi, dei limiti
entro  i  quali  opera  il  divieto  di  trattamenti   discriminatori
stabilito dall'art. 14 della Convenzione,  la  stessa  Corte  non  ha
mancato di segnalare il carattere relazionale che contraddistingue il
principio, nel senso che lo stesso non assume  un  risalto  autonomo,
«ma gioca un importante ruolo  di  complemento  rispetto  alle  altre
disposizioni  della  Convenzione  e  dei  suoi  protocolli,   perche'
protegge  coloro  che  si   trovano   in   situazioni   analoghe   da
discriminazioni  nel  godimento  dei  diritti  garantiti   da   altre
disposizioni» (da ultimo, Oršuš ed altri contro Croazia, sentenza del
16 marzo 2010). Il trattamento diviene dunque  discriminatorio  -  ha
puntualizzato la giurisprudenza della Corte - ove esso non trovi  una
giustificazione oggettiva e  ragionevole;  non  realizzi,  cioe',  un
rapporto di proporzionalita' tra  i  mezzi  impiegati  e  l'obiettivo
perseguito (ad es., Niedzwiecki  contro  Germania,  sentenza  del  25
ottobre 2005). Non  senza  l'ulteriore  puntualizzazione  secondo  la
quale soltanto «considerazioni molto forti  potranno  indurre  a  far
ritenere compatibile con la Convenzione una differenza di trattamento
fondata esclusivamente sulla nazionalita'» (da ultimo, Si Amer contro
Francia, sentenza del 29 ottobre 2009, ed i precedenti ivi citati). 
    Lo  scrutinio  di  legittimita'  costituzionale   andra'   dunque
condotto alla luce dei segnalati approdi ermeneutici, cui la Corte di
Strasburgo e' pervenuta nel ricostruire la portata del  principio  di
non discriminazione sancito dall'art. 14 della  Convenzione,  assunto
dall'odierno rimettente a parametro interposto, unitamente all'art. 1
del  Primo  Protocollo  addizionale,  che  la  stessa  giurisprudenza
europea ha ritenuto raccordato, in tema di prestazioni previdenziali,
al principio innanzi indicato (in particolare, sul punto,  la  citata
decisione di ricevibilita' nella causa Stec  ed  altri  contro  Regno
Unito). 
    A  tal  proposito,  occorre  preliminarmente  rilevare  come   la
disposizione oggetto di impugnativa abbia senz'altro  perseguito  una
finalita' restrittiva in tema di prestazioni sociali  da  riconoscere
in favore dei cittadini extracomunitari. L'art. 80, comma  19,  della
legge n. 388 del 2000, stabilisce, infatti, per quanto qui interessa,
che «l'assegno sociale e le provvidenze economiche che  costituiscono
diritti soggettivi in base alla legislazione vigente  in  materia  di
servizi  sociali  sono  concessi,  alle  condizioni  previste   dalla
normativa medesima, agli stranieri che siano  titolari  di  carta  di
soggiorno» (ora permesso di soggiorno CE per  soggiornanti  di  lungo
periodo).  La  norma,  dunque,  e'   intervenuta   direttamente   sui
presupposti di  legittimazione  al  conseguimento  delle  provvidenze
assistenziali, circoscrivendo  la  platea  dei  fruitori,  quanto  ai
cittadini extracomunitari, a coloro che siano in possesso della carta
di soggiorno, il cui rilascio presuppone, fra  l'altro,  il  regolare
soggiorno nel territorio dello Stato da almeno cinque  anni,  secondo
l'originaria previsione dell'art. 9 del decreto legislativo 25 luglio
1998,  n.  286  (Testo  unico  delle  disposizioni   concernenti   la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero). Periodo elevato a sei anni,  a  seguito  delle  modifiche
apportate al citato art.  9  dalla  legge  30  luglio  2002,  n.  189
(Modifica alla normativa in materia di immigrazione e  di  asilo),  e
nuovamente determinato in cinque anni, con la nuova disciplina  dello
stesso articolo 9, introdotta ad  opera  del  decreto  legislativo  8
gennaio 2007, n. 3 (Attuazione della direttiva  2003/109/CE  relativa
allo status  di  cittadini  di  Paesi  terzi  soggiornanti  di  lungo
periodo). In sostanza,  dopo  l'entrata  in  vigore  della  normativa
censurata, e' venuta meno, con riferimento ai soggetti legittimati  a
fruire di trattamenti previdenziali costituenti  diritti  soggettivi,
la equiparazione, precedentemente esistente, fra i cittadini italiani
e gli stranieri extracomunitari in possesso di regolare  permesso  di
soggiorno. 
    Ebbene, proprio con  riferimento  alla  normativa  in  questione,
questa Corte non ha  mancato  di  sottolineare  come  al  legislatore
italiano sia senz'altro consentito di dettare norme, non  palesemente
irragionevoli e non in contrasto  con  gli  obblighi  internazionali,
intese  a  regolare  l'ingresso  e  la  permanenza  degli   stranieri
extracomunitari  in  Italia.  Ed  ha  altresi'  soggiunto   che   «e'
possibile, inoltre, subordinare, non irragionevolmente,  l'erogazione
di determinate  prestazioni  -  non  inerenti  a  rimediare  a  gravi
situazioni  di  urgenza  -  alla  circostanza  che   il   titolo   di
legittimazione dello straniero  al  soggiorno  nel  territorio  dello
Stato ne dimostri il carattere non episodico e di non  breve  durata;
una volta, pero' - ha soggiunto questa  Corte  -  che  il  diritto  a
soggiornare alle condizioni predette non sia in discussione,  non  si
possono discriminare gli stranieri, stabilendo, nei  loro  confronti,
particolari limitazioni per il  godimento  dei  diritti  fondamentali
della persona, riconosciuti invece ai cittadini» (sentenza n. 306 del
2008). 
    Cio' che dunque assume valore  dirimente,  ai  fini  dell'odierno
scrutinio, non  e'  tanto  la  configurazione  «nominalistica»  dello
specifico  strumento  previdenziale  che  puo'  venire  in  discorso,
quanto, piuttosto, il suo concreto  atteggiarsi  nel  panorama  degli
istituti  di   previdenza,   cosi'   da   verificarne   la   relativa
«essenzialita'» agli  effetti  della  tutela  dei  valori  coinvolti.
Occorre,  in  altri  termini,   accertare   se,   alla   luce   della
configurazione normativa e della funzione sociale che e'  chiamato  a
svolgere nel  sistema,  lo  specifico  «assegno»  che  viene  qui  in
discorso integri o meno un rimedio destinato a consentire il concreto
soddisfacimento dei «bisogni primari» inerenti alla stessa  sfera  di
tutela  della  persona  umana,  che  e'  compito   della   Repubblica
promuovere e salvaguardare; rimedio costituente, dunque,  un  diritto
fondamentale  perche'  garanzia  per  la  stessa  sopravvivenza   del
soggetto. D'altra parte, la giurisprudenza della Corte di  Strasburgo
ha sottolineato  come,  «in  uno  Stato  democratico  moderno,  molti
individui, per tutta o parte della loro vita, non possono  assicurare
il loro sostentamento che grazie a delle prestazioni di  sicurezza  o
di previdenza sociale». Sicche', «da parte  di  numerosi  ordinamenti
giuridici  nazionali  viene  riconosciuto  che  tali  individui  sono
bisognosi di una certa sicurezza e prevedono, dunque,  il  versamento
automatico di prestazioni,  a  condizione  che  siano  soddisfatti  i
presupposti stabiliti per il riconoscimento dei diritti in questione»
(la gia' citata decisione sulla  ricevibilita'  del  6  luglio  2005,
Staic ed altri contro Regno Unito). Ove, pertanto, si versi  in  tema
di provvidenza  destinata  a  far  fronte  al  «sostentamento»  della
persona, qualsiasi discrimine tra cittadini e stranieri  regolarmente
soggiornanti nel territorio dello Stato, fondato su requisiti diversi
dalle condizioni soggettive, finirebbe per risultare in contrasto con
il principio sancito  dall'art.  14  della  Convenzione  europea  dei
diritti dell'uomo, avuto riguardo alla relativa lettura che, come  si
e' detto, e'  stata  in  piu'  circostanze  offerta  dalla  Corte  di
Strasburgo. 
    A tale riguardo puo' rilevarsi che l'art. 13 della legge 30 marzo
1971, n. 118, prevedeva, nel suo testo originario, la  corresponsione
di un assegno mensile per tredici mensilita' «ai mutilati ed invalidi
civili di eta' compresa fra il diciottesimo ed il  sessantacinquesimo
anno nei cui confronti sia accertata una  riduzione  della  capacita'
lavorativa, nella misura superiore a due terzi, incollocati al lavoro
e per il tempo in  cui  tale  condizione  sussiste»,  con  le  stesse
condizioni e modalita' previste per l'assegnazione della pensione  di
invalidita' di cui all'art. 12 della stessa legge. Stabiliva, poi, il
secondo comma dello stesso art.  13,  che  l'assegno  di  invalidita'
potesse «essere revocato, su segnalazione  degli  uffici  provinciali
del lavoro  e  della  massima  occupazione,  qualora  risulti  che  i
beneficiari  non  accedono  a  posti  di  lavoro  adatti  alle   loro
condizioni fisiche». 
    Il medesimo art. 13 e' stato poi sostituito ad opera dell'art. 1,
comma 35, della legge 24 dicembre 2007, n. 247 (Norme  di  attuazione
del  Protocollo  del  23  luglio  2007  su   previdenza,   lavoro   e
competitivita' per favorire  l'equita'  e  la  crescita  sostenibili,
nonche' ulteriori norme in materia di lavoro e  previdenza  sociale).
Stabilisce il nuovo testo della norma che «agli  invalidi  civili  di
eta' compresa fra il diciottesimo e il sessantaquattresimo  anno  nei
cui confronti sia accertata una riduzione della capacita' lavorativa,
nella misura pari o superiore al  74  per  cento,  che  non  svolgono
attivita' lavorativa e per il tempo in cui tale condizione  sussiste,
e' concesso, a carico dello Stato ed erogato  dall'INPS,  un  assegno
mensile  di  euro  242,84  per  tredici  mensilita',  con  le  stesse
condizioni e modalita' previste per l'assegnazione della pensione  di
cui all'art. 12». Prevede, poi, il comma 2 del medesimo articolo  che
il fruitore del beneficio provvede ad autocertificare all'INPS di non
svolgere  attivita'  lavorativa  e  l'obbligo  di   dare   tempestiva
comunicazione al medesimo Istituto ove tale condizione venga meno. 
    Dalla disciplina innanzi richiamata emerge, dunque, che l'assegno
in questione puo' essere riconosciuto soltanto in favore di  soggetti
invalidi  civili,  nei  confronti  dei  quali  sia  riconosciuta  una
riduzione della  capacita'  lavorativa  di  misura  elevata;  che  la
provvidenza stessa, in  tanto  puo'  essere  erogata,  in  quanto  il
soggetto  invalido  non  presti  alcuna  attivita'  lavorativa;   che
l'interessato versi, infine, nelle  disagiate  condizioni  reddituali
stabilite dall'art. 12 della stessa legge n. 118  del  1971,  per  il
riconoscimento della pensione di inabilita'. 
    Si tratta, dunque, all'evidenza, di una erogazione destinata  non
gia' ad  integrare  il  minor  reddito  dipendente  dalle  condizioni
soggettive, ma a fornire alla persona un minimo  di  «sostentamento»,
atto ad assicurarne la sopravvivenza; un  istituto,  dunque,  che  si
iscrive nei limiti e per le finalita' essenziali che questa  Corte  -
anche alla luce degli  enunciati  della  Corte  di  Strasburgo  -  ha
additato come parametro di ineludibile uguaglianza di trattamento tra
cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio  dello
Stato. 
    La   norma   impugnata   deve    pertanto    essere    dichiarata
costituzionalmente  illegittima  nella  parte  in  cui  subordina  al
requisito della titolarita' della carta di soggiorno la  concessione,
agli stranieri legalmente soggiornanti nel  territorio  dello  Stato,
dell'assegno mensile di invalidita' di cui all'art. 13 della legge 30
marzo 1971, n. 118. 
 
                          Per questi motivi 
                       la corte costituzionale 
 
    Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 80, comma  19,
della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la  formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello  Stato -  legge  finanziaria
2001), nella parte in cui subordina al  requisito  della  titolarita'
della carta di soggiorno la  concessione  agli  stranieri  legalmente
soggiornanti nel  territorio  dello  Stato  dell'assegno  mensile  di
invalidita' di cui all'art. 13 della legge  30  marzo  1971,  n.  118
(Conversione in legge del decreto-legge 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove
norme in favore dei mutilati ed invalidi civili). 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 maggio 2010. 
 
                       Il Presidente: Amirante 
 
 
                        Il redattore: Grossi 
 
 
                      Il cancelliere: Di Paola 
 
    Depositata in cancelleria il 28 maggio 2010. 
 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola