N. 169 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 dicembre 2009
Ordinanza del 14 dicembre 2009 emessa dal Tribunale di Ferrara nel procedimento civile promosso da Z.R. ed altra contro il sindaco del Comune di Ferrara. Matrimonio - Possibilita' tra persone dello stesso sesso - Esclusione - Violazione del diritto di sposarsi, riconosciuto come diritto fondamentale della persona anche a livello sopranazionale - Irragionevole discriminazione tra cittadini in base all'orientamento sessuale - Ingiustificata disparita' di trattamento rispetto alle persone transessuali - Contrasto con la tutela della famiglia come societa' naturale. - Codice civile, artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis e 231. - Costituzione, artt. 2, 3 e 29, primo comma; Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, artt. 12 e 16; Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e liberta' fondamentali, artt. 8 e 12; Carta dei diritti fondamentali U.E., artt. 7 e 9.(GU n.24 del 16-6-2010 )
IL TRIBUNALE Sciogliendo la riserva che precede osserva: Z.R. e B.C. hanno proposto ricorso avverso il provvedimento datato 25 marzo 2009 con il quale l'ufficiale dello stato civile del Comune di Ferrara ha rifiutato di procedere alla pubblicazione di matrimonio dalle stesse richiesta, ritenendo che: l'Ordinamento giuridico italiano non consente ne' disciplina il matrimonio tra persone dello stesso sesso; l'art. 29 della Costituzione dispone che «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come societa' naturale fondata sul matrimonio» e che il costituente ha inteso far riferimento al tradizionale rapporto di coniugio inteso tra soggetti di sesso diverso, secondo una concezione che, prima ancora della legge, trova il suo fondamento nel sentimento, nella cultura, nella storia della nostra comunita' nazionale; alla luce di questo si deve intendere che la diversita' di sesso e' elemento essenziale nel nostro ordinamento per poter qualificare l'istituto del matrimonio; il Ministero dell'interno con circolare M.i.a.c.e.l. n. 2 del 26 marzo 2001 si e' espresso sull'argomento ritenendo che «non e' trascrivibile il matrimonio celebrato all'estero tra omosessuali, di cui uno italiano, in quanto contrario alle norme di ordine pubblico». Le ricorrenti rilevano che nel nostro ordinamento non esisterebbe un divieto espresso di matrimonio tra persone dello stesso sesso, non essendo previsto tra i requisiti per contrarlo di cui all'art. 84 c.c. la disparita' di sesso e che la circolare del Ministero degli interni citata nel provvedimento si riferirebbe all'ordine pubblico internazionale e non all'ordine pubblico interno, che invece andrebbe richiamato nel caso di specie. Inoltre le ricorrenti sostengono che, in ogni caso, l'interpretazione letterale delle norme codicistiche posta a fondamento dell'atto di diniego da parte del Comune sarebbe contraria alla Costituzione italiana, ed in particolare agli artt. 2, 3, 10 secondo comma, 13, 29 e 117. Sulla base di tali argomenti le ricorrenti hanno chiesto al Tribunale, in via principale, di ordinare all'ufficiale di stato civile del Comune di Ferrara di procedere alla pubblicazione del matrimonio rifiutata e, in via subordinata, di sollevare la questione di legittimita' costituzionale, previa positiva valutazione della rilevanza e non manifesta infondatezza, degli artt. 107, 108, 143, 143-bis e 156-bis c.c. rispetto agli artt. 2, 3, 10 secondo comma, 13, 29 e 117 Cost., rimettendo gli atti alla Corte costituzionale. Con il ricorso si chiede, quindi, che il Tribunale si pronunci in ordine alla riconoscibilita' del diritto delle persone omosessuali di contrarre matrimonio con persone del proprio sesso. In via preliminare va osservato che in mancanza di modifiche legislative in materia, il nostro attuale Ordinamento non ammette il matrimonio tra omosessuali. Infatti, pur non esistendo una norma definitoria espressa, l'istituto del matrimonio, cosi' come previsto nell'attuale Sistema giuridico italiano, si riferisce indiscutibilmente solo al matrimonio tra persone di sesso diverso: se e' vero che il codice civile non indica espressamente la differenza di sesso fra i requisiti per contrarre matrimonio, diverse sue norme, fra cui quelle menzionate nel ricorso e sospettate d'incostituzionalita', si riferiscono al marito e alla moglie come «attori» della celebrazione (107 e 108), protagonisti del rapporto coniugale e autori della generazione (artt. 231 e ss.). La medesima distinzione di sesso tra i coniugi si rinviene in numerosissime altre disposizioni (143, 143-bis, 143-ter, 156-bis ecc.) e specificamente in quelle che disciplinano il concreto atteggiarsi dei diritti e doveri dei coniugi tra loro e verso i figli, nonche' nella stesso ordinamento sullo stato civile emanato con il d.P.R. n. 396/2000, laddove prevede, nell'art. 64 lett. e), che l'atto di matrimonio deve specificamente indicare «la dichiarazione degli sposi di volersi prendere rispettivamente in marito e in moglie». Pertanto il chiaro tenore delle norme sopra indicate esclude la possibilita' di un matrimonio tra persone dello stesso sesso e cio' si spiega con una consolidata e ultramillenaria nozione di matrimonio come unione di un uomo e di una donna. Peraltro, come hanno gia' esattamente evidenziato il Tribunale di Venezia e la Corte d'appello di Trento, d'altra parte non si puo' ignorare il rapido trasformarsi della societa' e dei costumi avvenuto negli ultimi decenni, nel corso dei quali si e' assistito al superamento del monopolio detenuto dal modello di famiglia tradizionalmente intesa ed al contestuale sorgere spontaneo di forme diverse, seppur minoritarie, di convivenza, che chiedono protezione ispirandosi al modello tradizionale e come quello mirano ad essere considerate e disciplinate: si tratta di nuovi bisogni, legati anche all'evoluzione della cultura e della civilta', che sollecitano tutela e riconoscimento, imponendo un'attenta meditazione sulla persistente compatibilita' della normativa vigente con i principi costituzionali. Il primo riferimento costituzionale con il quale confrontarsi, suggerito anche dalle ricorrenti, e' sicuramente quello di cui all'art. 2 della Costituzione, nella parte in cui riconosce i diritti inviolabili dell'uomo (diritti gia' proclamati dalla Costituzione ovvero individuati dalla Corte costituzionale) non solo nella sua sfera individuale ma anche, e forse soprattutto, nella sua sfera sociale, ossia, secondo la formula della norma, «nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita'», fra le quali indiscutibilmente la famiglia deve essere considerata la prima e fondamentale espressione. La famiglia e' infatti la formazione sociale primaria nella quale si esplica la personalita' dell'individuo e nella quale vengono quindi tutelati i suoi diritti inviolabili, conferendogli uno status (quello di persona coniugata) che assurge a segno caratteristico all'interno della societa' e che conferisce un insieme di diritti e di doveri del tutto peculiari e non sostituibili tramite l'esercizio dell'autonomia negoziale. Il diritto di sposarsi configura un diritto fondamentale della persona riconosciuto sia a livello sovranazionale (artt. 12 e 16 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del 1948, artt. 8 e 12 CEDU e ora all'artt. 7 e 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000), sia dall'art. 2 della Costituzione: e' un diritto inteso sia nella sua accezione positiva di liberta' di contrarre matrimonio con la persona prescelta (cosi' anche Corte cost. n. 445/2002), sia in quella negativa di liberta' di non sposarsi e di convivere senza formalizzare l'unione (cosi' Corte cost. 13 maggio 1998, n. 166). La liberta' di sposarsi (o di non sposarsi) e di scegliere il coniuge autonomamente riguarda la sfera dell'autonomia e dell'individualita' ed e' quindi una scelta sulla quale lo Stato non puo' interferire, a meno che non vi siano interessi prevalenti incompatibili; ora, nell'ipotesi in cui una persona intenda contrarre matrimonio con altra persona dello stesso sesso nessun pericolo di lesione ad interessi pubblici o privati di rilevanza costituzionale, quali potrebbero essere la sicurezza o la salute pubblica, appare verificarsi. L'unico diritto che corrisponde anche ad un indiscutibile interesse sociale e' quello dei figli di crescere in un ambiente familiare idoneo: e' evidente, pero', che tale interesse potrebbe incidere esclusivamente sul diritto delle coppie omosessuali coniugate di avere figli adottivi diritto, che e' un diritto distinto, e non necessariamente connesso, rispetto a quello di contrarre matrimonio. Il secondo parametro di riferimento da prendere in esame, strettamente connesso al precedente, e' quello di cui all'art. 3 della Costituzione, che vieta ogni discriminazione irragionevole, conferendo a tutti i cittadini «... pari dignita' sociale, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali», impegnando lo Stato a «... rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitano di fatto la liberta' e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana ...». Poiche' il diritto di contrarre matrimonio e' un momento essenziale di espressione della dignita' umana, esso deve essere garantito a tutti, senza discriminazioni derivanti dal sesso o dalle condizioni personali (quali l'orientamento sessuale), con conseguente obbligo dello Stato d'intervenire in caso di impedimenti all'esercizio. Ne consegue che se lo scopo del principio di cui all'art. 3 della Costituzione e' vietare irragionevoli disparita' di trattamento, la norma che esclude o comunque non consente alle persone omosessuali dal diritto di contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso, cosi' seguendo il proprio orientamento sessuale (ne' patologico, ne' illegale), non ha alcuna giustificazione razionale, soprattutto se raffrontata con l'analoga situazione delle persone transessuali, che, ottenuta la rettificazione di attribuzione di sesso in applicazione della legge 14 aprile 1982, n. 164 possono contrarre matrimonio con persone del proprio stato di nascita. Al riguardo va rammentato che la coerenza con la Costituzione della legge n. 164/1982 e' stata riconosciuta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 161 del 6 maggio 1985 e che le valutazioni espresse dalla Corte sulla norma sospettata d'incostituzionalita' confortano la tesi qui sostenuta, essendo stata riconosciuta la legittimita' costituzionale non tanto sulla base del fatto che i soggetti abbiano compiuto e portato a termine un trattamento medico chirurgico e che vi sia stato il provvedimento del Tribunale, che attribuisce il sesso opposto, ma in base al fatto che la Corte ha definito l'orientamento del transessuale come «naturale modo di essere» sostenendo che la legge sospettata d'incostituzionalita' «si e' voluta dare carico di questi "diversi" producendo una normativa intesa a consentire l'affermazione della loro personalita' e in tal modo ad aiutarli a superare l'isolamento, l'ostilita' e l'umiliazione che troppo spesso li accompagnano nella loro esistenza. Cosi' operando il legislatore italiano si e' allineato egli orientamenti legislativi, amministrativi e giurisprudenziali, gia' affermati in numerosi Stati, fatti propri, all'unanimita' dalla Commissione della Corte europea dei Diritti dell'Uomo (decisione 9 maggio 1978, nel caso Daniel Oosten Wijck contro Governo belga) e la cui adozione in tutti gli Stati membri della Comunita' e' stata caldeggiata con una proposta di risoluzione presentata al Parlamento europeo nel febbraio 1983. La legge n. 164 del 1982 si colloca, dunque, nell'alveo di una civilta' giuridica in evoluzione, sempre piu' attenta ai valori di liberta' e dignita', della persona umana». Non vi e' dubbio che la legge n. 164 del 1982 ha profondamente mutato i connotati dell'istituto del matrimonio civile consentendone la celebrazione tra soggetti dello stesso sesso biologico ed incapaci di procreare, valorizzando cosi' l'orientamento psicosessuale della persona e dunque oggi l'identita' di sesso biologico non puo' essere invocata per escludere gli omosessuali dal matrimonio. Se e' vero, infatti, che fattore meritevole di tutela e' l'orientamento psicosessuale della persona, non appare in alcun modo giustificata la discriminazione tra coloro che hanno naturale orientamento psichico che li spinge ad una unione omosessuale, e non vogliono pertanto effettuare alcun intervento chirurgico di adattamento, ne' ottenere la rettificazione anagrafica per conseguire un'attribuzione di sesso contraria al sesso biologico, ai quali e' precluso il matrimonio, e i transessuali che sono ammessi al matrimonio pur appartenendo allo stesso sesso biologico ed essendo incapaci di procreare. In sintesi la parita' di diritti per i cittadini omosessuali potra' dirsi realizzata solo se sara' loro consentito di scegliere di regolare la propria vita e i loro propri rapporti giuridici e patrimoniali optando fra le stesse alternative che sono a disposizione dei cittadini transessuali ed eterosessuali. In realta' le opinioni contrarie al riconoscimento alla liberta' matrimoniale tra persone dello stesso sesso, per giustificare la disparita' di trattamento invocano ragioni etiche, legate alla tradizione o alla natura, d'altra parte, pero', non solo i costumi familiari si sono radicalmente trasformati, ma soprattutto quando si discute di diritti fondamentali, ogni difesa formale della liberta', priva di un reale supporto giuridico strutturale, e' debole e priva di effettivita'. Un terzo parametro di riferimento, anch'esso strettamente connesso con gli altri due, e' proprio il disposto dell'art. 29, primo comma della Costituzione, invocato al contrario (anche nel caso specifico dall'Ufficiale di Stato civile di Ferrara) come principale dato normativo per negare il matrimonio omosessuale: laddove si afferma che la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come «societa' naturale fondata sul matrimonio» si ritiene, infatti, che con tale espressione si sia inteso tutelare il solo nucleo legittimo di carattere tradizionale, ossia l'unione di un uomo ed una donna suggellata dal vincolo giuridico del matrimonio. La famiglia costituzionalmente tutelata e riconosciuta, intesa come societa' naturale, e', quindi, solamente quella fondata sul matrimonio: dunque qualsiasi altro tipo di «famiglia» (nel senso di associazione totale di vita tra due persone) non fondata sul matrimonio non solo non ha riconoscimento e tutela costituzionale, ma e' anche da ritenersi «innaturale». Infatti se la norma costituzionale impone di privilegiare la famiglia fondata sul matrimonio appare difficile negare che, prevedendo espressamente una norma apposita, il legislatore costituente ha inteso riconoscere alla famiglia fondata sul matrimonio un ruolo particolare, per cosi' dire rafforzato. Deve chiedersi, dunque, se gli omosessuali hanno o non hanno il diritto ad avere una famiglia (nel senso di associazione totale di vita tra due persone non semplicemente diretta a soddisfare in via privata degli affetti, ma avente un interesse pubblico il cui atto fondativo deve essere serio, consapevole, responsabile e dichiarato di fronte alla comunita') come tutti gli altri cittadini, vale a dire una famiglia fondata sul matrimonio. Sul punto deve premettersi che il testo della norma non limita l'istituto del matrimonio a persone di sesso diverso: in questo senso, i nostri costituenti, gia' nel 1945, si sono comportati in modo molto diverso dai costituenti di' altri paesi affini al nostro che, invece, hanno specificato espressamente che i coniugi devono essere di sesso diverso (e che per questo, in anni piu' recenti, si sono trovati di fronte a difficolta' maggiori di quanto non presenti il nostro testo costituzionale). Naturalmente, e' inutile sostenere che i padri fondatori della nostra Costituzione avessero in mente l'eventualita' di estendere il matrimonio anche a persone dello stesso sesso o all'eventualita' che in un futuro si sarebbe posto al legislatore ordinario questo problema: essi, semplicemente, non hanno specificato l'esigenza della diversita' di sesso perche' per essi era naturale che il matrimonio fosse possibile soltanto tra persone di sesso diverso. Questo riferimento all'intenzione del legislatore costituente non e', pero', un argomento decisivo, poiche' deve porsi il problema di come interpretare oggi una disposizione in se' neutra, scritta in anni molto diversi dai nostri, in presenza di un contesto sociale di riferimento che certamente ha poco a che fare con quello dell'Italia (e dell'Europa) attuale. E' evidente che il problema interpretativo si accentra soprattutto sul termine «naturale» che compare nell'articolo della Costituzione dato che tale termine costituisce di fatto l'unico limite che la norma pone al riconoscimento costituzionale della famiglia come societa' fondata sul matrimonio. A questo proposito, va da se' che non puo' essere attribuito al termine naturale cio' che viene ritenuto tale da una particolare concezione ideologica, religiosa o altro: l'uso di un tale criterio interpretativo sarebbe aberrante in uno Stato che si e' fondato costituzionalmente in contrapposizione (e superamento) del modello dello Stato etico, quale che sia questa etica. Si asserisce che il termine naturale non puo' che riferirsi alla famiglia come tradizionalmente intesa perche' questa tradizione segna l'identita' tipica della societa' italiana e siccome questa tradizione da un punto di vista storico-religioso ammette soltanto la famiglia eterosessuale, l'art. 29 deve essere interpretato di conseguenza: una norma non puo' essere, pero', interpretata oggi solo alla luce del suo significato storico poiche' di solito, accade il contrario e cioe' che una norma, storicamente datata, debba essere interpretata alla luce dei bisogni e dei dati del presente ovvero, in senso storico, si', ma evolutivo. In realta', le interpretazioni dottrinali sono concordi nel ritenere che naturale vada inteso come dato pregiuridico, attestante la preesistenza e l'autonomia della famiglia, come comunita' originaria, dallo Stato, che il diritto positivo si limita appunto a riconoscere e che la famiglia e' un dato sociologico, che la Costituzione non crea ma si limita a tutelare (durante i lavori costituenti si affermo' che: «Escluso che qui "naturale" abbia un significato zoologico o animalesco, o accenni ad un legame puramente di fatto, non si vuol dire con questa formula che la famiglia sia una societa' creata al di fuori di ogni vincolo razionale ed etico. Non e' un fatto, la famiglia, ma e' appunto un ordinamento giuridico e quindi qui "naturale" sta per "razionale"»). Una societa' complessa e articolata puo' presentare, pero', diversi modelli di convivenza, come quella eterosessuale o quella omosessuale e il riferimento al concetto di naturale non basta in una societa' che puo' presentare tanti modelli naturali (nel senso letterale di «realta' fenomeniche»). Occorre, quindi, individuare un criterio oggettivo che porti a selezionare il modello o i modelli rilevanti e scartare quello che non lo e' o addirittura a censurare quello che, benche' naturale, possa essere avvertito come negativo: questo criterio non puo' stare se non dentro la Costituzione stessa, nei principi che la fondano. La Costituzione italiana del dopoguerra non e' certamente eticamente orientata, sebbene si fondi, ovviamente, su dei valori e non potrebbe esistere altrimenti e, date le esperienze del passato, il valore principale fondante e' indubbiamente il rispetto della dignita' della persona, di ciascuna persona, sia presa in se' come valore assoluto, sia presa in rapporto agli altri, con i quali essa convive e si confronta. Di conseguenza non appare conforme alla dignita' della persona privare qualcuno della possibilita' di fondare una famiglia in ragione di un criterio come quello dell'orientamento sessuale, di un criterio, cioe', che, come quello della razza, della nazionalita', dell'origine etnica, ecc., non fa parte delle scelte individuali, ma e' dato, inerente, connaturato, congenito. Il fatto che la tutela della tradizione non rientri nelle finalita' dell'art. 29 Cost. e che famiglia e matrimonio si presentino come istituti di carattere aperto alle trasformazioni che necessariamente si verificano nella storia, e' poi indubitabilmente dimostrato dall'evoluzione che ha interessato la loro disciplina dal 1948 ad oggi. Il codice civile del 1942 recepiva un modello di famiglia basato su di un matrimonio indissolubile e su di una struttura gerarchica a subordinazione femminile; basti pensare al fatto che l'art. 143 parlava solo di obblighi reciproci e non di diritti, alla potesta' maritale dell'art. 144, al dovere del marito di proteggere la moglie di cui all'art. 145, all'istituto della dote. Tale caratterizzazione autoritaria e gerarchica si traduceva, sul fronte penale, nella repressione del solo adulterio femminile, nella responsabilita' penale del marito solamente per abuso dei mezzi di correzione nei confronti della moglie, nella previsione del delitto d'onore, nell'estinzione del reato di violenza carnale a mezzo del matrimonio riparatore. Sono ben noti gli interventi della Corte costituzionale a tutela dell'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi fra cui la storica sentenza n. 126/1968 che, nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 559 comma 1 e 2 c.p. che puniva il solo adulterio della moglie, ha sottolineato proprio il mutamento della societa', superando cosi' il proprio orientamento precedente solo di pochi anni, con il quale, richiamandosi al «tradizionale concetto della famiglia, quale tuttora vive nella coscienza del popolo», aveva dichiarato non fondata la medesima questione (sentenza n. 64/1961). Anche in questo caso e' stata proprio la Corte costituzionale ad aprire la strada ad una riforma del diritto di famiglia, attuata con la legge del 1975, effettivamente in linea con i principi di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi superando la tradizione ultramillenaria secondo la quale la donna nell'ambito della famiglia doveva rivestire un ruolo subordinato. Ancora, vanno menzionati la mancata «istituzionalizzazione dell'indissolubilita' del matrimonio e la conseguente introduzione legislativa del divorzio, nonche' la progressiva del attuazione per via legislativa (da ultimo con la legge n. 54/2006) del principio costituzionale di eguaglianza tra figli legittimi e figli naturali: tutti esempi che dimostrano come l'accezione costituzionale di famiglia, lungi dall'essere ancorata ad una conformazione tipica ed inalterabile, si sia al contrario dimostrata permeabile ai mutamenti sociali, con le relative ripercussioni sul regime giuridico familiare. Le considerazioni che precedono sul significato dell'espressione «societa' naturale» e sull'estraneita' della tutela del «matrimonio tradizionale» alle finalita' dell'art. 29 Cost. portano a ritenere prive di fondamento quelle tesi che giustificano il divieto di matrimonio tra persone dello stesso sesso ricorrendo ad argomenti correlati alla capacita' procreativa della coppia ed alla tutela della procreazione. Al riguardo sarebbe sufficiente sottolineare come ne' la Costituzione, ne' il diritto civile prevedano la capacita' di avere figli come condizione per contrarre matrimonio, ovvero l'assenza di tale capacita' come condizione di invalidita' o causa di scioglimento del matrimonio, essendo matrimonio e filiazione istituti nettamente distinti. Se cosi' non fosse le persone sterili non potrebbero sposarsi e, quindi, non potrebbero formare una «famiglia» costituzionalmente tutelata. Una volta escluso che sulla disposizione dell'art. 29 Cost. possa trovare fondamento il trattamento differenziato delle coppie omosessuali rispetto a quelle eterosessuali, si ritiene che tale norma, proprio nel momento in cui attribuisce tutela costituzionale alla famiglia legittima, contribuendo essa, grazie alla stabilita' del quadro delle relazioni sociali, affettive ed economiche che comporta, alla realizzazione della personalita' dei coniugi, lungi dal costituire un ostacolo al riconoscimento giuridico del matrimonio tra persone dello stesso sesso, assurge indubbiamente ad ulteriore parametro, unitamente agli artt. 2 e 3, in base al quale valutare la costituzionalita' del divieto. E' sulla base di tutte queste considerazioni esposte che il Tribunale e' giunto al convincimento della non manifesta infondatezza della questione di illegittimita' costituzionale, pur parzialmente modificando i parametri di riferimento rispetto a quelli indicati dalle ricorrenti, delle norme di cui agli artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis e 231 c.c., laddove siano incompatibili, o non consentono che le persone di orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso; valutera' la Corte, qualora ritenesse la questione fondata, se vi sia la necessita' di estendere la pronuncia anche ad altre disposizioni legislative interessate in via di consequenzialita' ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87/1953. In punto di rilevanza, si osserva che l'applicazione delle norme indicate e' evidentemente ineliminabile nell'iter logico-giuridico che questo remittente deve percorrere per la decisione: infatti, in caso di dichiarazione di fondatezza della questione cosi' come sollevata, il rifiuto alle pubblicazioni, la cui richiesta dimostra inequivocabilmente la volonta' di contrarre matrimonio, dovrebbe ritenersi, in assenza di altra causa di rifiuto, illegittima, mentre, in caso di non accoglimento, l'attuale stato della normativa imporrebbe una pronuncia di rigetto del ricorso. Per completezza si osserva che, a fronte del rifiuto alla pubblicazione da parte dell'ufficiale dello stato civile, essendo la pubblicazione una formalita' necessaria per poter procedere alla celebrazione del matrimonio, non e' individuabile alcun altro procedimento nell'ambito del quale valutare la questione.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 Costituzione della Repubblica, 1ª legge Cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 e ss. della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis e 156-bis, 231 c.c. nella parte in cui non consentono che le persone dello stesso sesso possano contrarre matrimonio, per contrasto con agli artt. 2, 3, 29 comma della Costituzione; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, sospendendo il procedimento in corso; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti, al pubblico ministero e al Presidente del Consiglio dei ministri e che ne sia data comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Ferrara, nella Camera di consiglio della sezione civile del Tribunale, l'11 dicembre 2009. Il Presidente: Maiorano Il giudice estensore: Stigliano