N. 169 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 dicembre 2009

Ordinanza del 14 dicembre 2009 emessa dal Tribunale  di  Ferrara  nel
procedimento civile promosso da Z.R. ed altra contro il  sindaco  del
Comune di Ferrara. 
 
Matrimonio - Possibilita' tra persone dello stesso sesso - Esclusione
  - Violazione del diritto di  sposarsi,  riconosciuto  come  diritto
  fondamentale  della  persona  anche  a  livello  sopranazionale   -
  Irragionevole    discriminazione    tra    cittadini    in     base
  all'orientamento   sessuale   -   Ingiustificata   disparita'    di
  trattamento rispetto alle persone transessuali - Contrasto  con  la
  tutela della famiglia come societa' naturale. 
- Codice civile, artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis  e
  231. 
- Costituzione,  artt.  2,  3  e  29,  primo   comma;   Dichiarazione
  universale dei  diritti  dell'uomo,  artt.  12  e  16;  Convenzione
  europea per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  liberta'
  fondamentali, artt. 8 e 12; Carta dei  diritti  fondamentali  U.E.,
  artt. 7 e 9. 
(GU n.24 del 16-6-2010 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Sciogliendo la riserva che precede osserva:  Z.R.  e  B.C.  hanno
proposto ricorso avverso il provvedimento datato 25 marzo 2009 con il
quale l'ufficiale  dello  stato  civile  del  Comune  di  Ferrara  ha
rifiutato di procedere alla pubblicazione di matrimonio dalle  stesse
richiesta, ritenendo che: 
        l'Ordinamento giuridico italiano non consente ne'  disciplina
il matrimonio tra persone dello stesso sesso; 
        l'art. 29  della  Costituzione  dispone  che  «La  Repubblica
riconosce i diritti della famiglia come societa' naturale fondata sul
matrimonio» e  che  il  costituente  ha  inteso  far  riferimento  al
tradizionale rapporto  di  coniugio  inteso  tra  soggetti  di  sesso
diverso, secondo una concezione che, prima ancora della legge,  trova
il suo fondamento nel sentimento, nella cultura, nella  storia  della
nostra comunita' nazionale; 
        alla luce di questo si deve intendere che  la  diversita'  di
sesso  e'  elemento  essenziale  nel  nostro  ordinamento  per  poter
qualificare l'istituto del matrimonio; 
        il Ministero dell'interno con circolare M.i.a.c.e.l. n. 2 del
26 marzo 2001 si e' espresso sull'argomento  ritenendo  che  «non  e'
trascrivibile il matrimonio celebrato all'estero tra omosessuali,  di
cui uno italiano, in quanto contrario alle norme di ordine pubblico». 
    Le ricorrenti rilevano che nel nostro ordinamento non esisterebbe
un divieto espresso di matrimonio tra persone dello stesso sesso, non
essendo previsto tra i requisiti per contrarlo  di  cui  all'art.  84
c.c. la disparita' di sesso e che la circolare  del  Ministero  degli
interni citata nel provvedimento si riferirebbe  all'ordine  pubblico
internazionale e non all'ordine pubblico interno, che invece andrebbe
richiamato nel caso di specie. 
    Inoltre   le   ricorrenti   sostengono   che,   in   ogni   caso,
l'interpretazione  letterale  delle  norme   codicistiche   posta   a
fondamento dell'atto di diniego da parte del Comune sarebbe contraria
alla Costituzione italiana, ed in particolare agli  artt.  2,  3,  10
secondo comma, 13, 29 e 117. 
    Sulla base di tali  argomenti  le  ricorrenti  hanno  chiesto  al
Tribunale, in via principale,  di  ordinare  all'ufficiale  di  stato
civile del Comune di Ferrara  di  procedere  alla  pubblicazione  del
matrimonio rifiutata e, in via subordinata, di sollevare la questione
di legittimita' costituzionale,  previa  positiva  valutazione  della
rilevanza e non manifesta infondatezza, degli artt.  107,  108,  143,
143-bis e 156-bis c.c. rispetto agli artt. 2, 3,  10  secondo  comma,
13, 29 e 117 Cost., rimettendo gli atti alla Corte costituzionale. 
    Con il ricorso si chiede, quindi, che il Tribunale si pronunci in
ordine alla riconoscibilita' del diritto delle persone omosessuali di
contrarre matrimonio con persone del proprio sesso. 
    In via preliminare va osservato  che  in  mancanza  di  modifiche
legislative in materia, il nostro attuale Ordinamento non ammette  il
matrimonio tra omosessuali. 
    Infatti,  pur  non  esistendo  una  norma  definitoria  espressa,
l'istituto del matrimonio, cosi' come previsto  nell'attuale  Sistema
giuridico italiano, si riferisce indiscutibilmente solo al matrimonio
tra persone di sesso diverso: se e' vero che  il  codice  civile  non
indica espressamente la differenza  di  sesso  fra  i  requisiti  per
contrarre matrimonio, diverse sue norme, fra  cui  quelle  menzionate
nel ricorso e sospettate  d'incostituzionalita',  si  riferiscono  al
marito e alla moglie come «attori» della celebrazione  (107  e  108),
protagonisti del rapporto coniugale e autori della generazione (artt.
231 e ss.). 
    La medesima distinzione di sesso tra i  coniugi  si  rinviene  in
numerosissime altre  disposizioni  (143,  143-bis,  143-ter,  156-bis
ecc.)  e  specificamente  in  quelle  che  disciplinano  il  concreto
atteggiarsi dei diritti e doveri dei  coniugi  tra  loro  e  verso  i
figli, nonche' nella stesso ordinamento sullo  stato  civile  emanato
con il d.P.R. n. 396/2000, laddove prevede, nell'art.  64  lett.  e),
che  l'atto  di   matrimonio   deve   specificamente   indicare   «la
dichiarazione degli sposi  di  volersi  prendere  rispettivamente  in
marito e in moglie». 
    Pertanto il chiaro tenore delle norme sopra indicate  esclude  la
possibilita' di un matrimonio tra persone dello stesso sesso  e  cio'
si spiega con una consolidata e ultramillenaria nozione di matrimonio
come unione di un uomo e di una donna. 
    Peraltro, come hanno gia' esattamente evidenziato il Tribunale di
Venezia e la Corte d'appello di Trento, d'altra  parte  non  si  puo'
ignorare il rapido trasformarsi della societa' e dei costumi avvenuto
negli ultimi  decenni,  nel  corso  dei  quali  si  e'  assistito  al
superamento  del  monopolio  detenuto   dal   modello   di   famiglia
tradizionalmente intesa ed al contestuale sorgere spontaneo di  forme
diverse, seppur minoritarie, di convivenza, che  chiedono  protezione
ispirandosi al modello tradizionale e come quello  mirano  ad  essere
considerate e disciplinate: si tratta di nuovi bisogni, legati  anche
all'evoluzione della cultura e della civilta', che sollecitano tutela
e riconoscimento, imponendo un'attenta meditazione sulla  persistente
compatibilita' della normativa vigente con i principi costituzionali. 
    Il primo riferimento costituzionale con  il  quale  confrontarsi,
suggerito anche  dalle  ricorrenti,  e'  sicuramente  quello  di  cui
all'art. 2 della Costituzione, nella parte in cui riconosce i diritti
inviolabili dell'uomo (diritti  gia'  proclamati  dalla  Costituzione
ovvero individuati dalla Corte costituzionale)  non  solo  nella  sua
sfera individuale ma anche, e  forse  soprattutto,  nella  sua  sfera
sociale, ossia, secondo la formula  della  norma,  «nelle  formazioni
sociali  ove  si  svolge  la  sua   personalita'»,   fra   le   quali
indiscutibilmente la famiglia deve  essere  considerata  la  prima  e
fondamentale espressione. 
    La famiglia e' infatti la formazione sociale primaria nella quale
si esplica la  personalita'  dell'individuo  e  nella  quale  vengono
quindi tutelati i suoi diritti inviolabili, conferendogli uno  status
(quello di persona coniugata)  che  assurge  a  segno  caratteristico
all'interno della societa' e che conferisce un insieme di  diritti  e
di doveri del tutto peculiari e non sostituibili tramite  l'esercizio
dell'autonomia negoziale. 
    Il diritto di sposarsi configura un  diritto  fondamentale  della
persona riconosciuto sia a livello  sovranazionale  (artt.  12  e  16
della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del 1948,  artt.
8 e  12  CEDU  e  ora  all'artt.  7  e  9  della  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea proclamata a  Nizza  il  7  dicembre
2000), sia dall'art. 2 della Costituzione: e' un diritto  inteso  sia
nella sua accezione positiva di liberta' di contrarre matrimonio  con
la persona prescelta (cosi' anche Corte cost. n.  445/2002),  sia  in
quella negativa di liberta' di non  sposarsi  e  di  convivere  senza
formalizzare l'unione (cosi' Corte cost. 13 maggio 1998, n. 166). 
    La liberta' di sposarsi (o di non sposarsi)  e  di  scegliere  il
coniuge   autonomamente   riguarda   la   sfera   dell'autonomia    e
dell'individualita' ed e' quindi una scelta sulla quale lo Stato  non
puo' interferire, a  meno  che  non  vi  siano  interessi  prevalenti
incompatibili; ora, nell'ipotesi in cui una persona intenda contrarre
matrimonio con altra persona dello stesso sesso  nessun  pericolo  di
lesione ad interessi pubblici o privati di rilevanza  costituzionale,
quali potrebbero essere la sicurezza o  la  salute  pubblica,  appare
verificarsi. 
    L'unico  diritto  che  corrisponde  anche  ad  un   indiscutibile
interesse sociale e' quello dei figli  di  crescere  in  un  ambiente
familiare idoneo: e' evidente, pero',  che  tale  interesse  potrebbe
incidere  esclusivamente  sul  diritto   delle   coppie   omosessuali
coniugate  di  avere  figli  adottivi  diritto,  che  e'  un  diritto
distinto, e  non  necessariamente  connesso,  rispetto  a  quello  di
contrarre matrimonio. 
    Il  secondo  parametro  di  riferimento  da  prendere  in  esame,
strettamente connesso al precedente, e'  quello  di  cui  all'art.  3
della Costituzione, che  vieta  ogni  discriminazione  irragionevole,
conferendo a tutti i cittadini  «...  pari  dignita'  sociale,  senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di  opinioni
politiche, di condizioni personali e sociali», impegnando lo Stato  a
«... rimuovere gli  ostacoli  di  ordine  economico  e  sociale,  che
limitano  di  fatto  la  liberta'  e  l'eguaglianza  dei   cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana ...». 
    Poiche'  il  diritto  di  contrarre  matrimonio  e'  un   momento
essenziale di espressione della  dignita'  umana,  esso  deve  essere
garantito a tutti, senza discriminazioni derivanti dal sesso o  dalle
condizioni personali (quali l'orientamento sessuale), con conseguente
obbligo  dello   Stato   d'intervenire   in   caso   di   impedimenti
all'esercizio. 
    Ne consegue che se lo scopo del principio di cui all'art. 3 della
Costituzione e' vietare irragionevoli disparita' di  trattamento,  la
norma che esclude o comunque non consente  alle  persone  omosessuali
dal diritto di contrarre matrimonio con persone dello  stesso  sesso,
cosi' seguendo il proprio orientamento sessuale (ne' patologico,  ne'
illegale), non ha alcuna giustificazione  razionale,  soprattutto  se
raffrontata con l'analoga situazione delle persone transessuali, che,
ottenuta la rettificazione di attribuzione di sesso  in  applicazione
della legge 14 aprile 1982, n. 164 possono contrarre  matrimonio  con
persone del proprio stato di nascita. 
    Al riguardo va rammentato che la  coerenza  con  la  Costituzione
della  legge  n.  164/1982  e'   stata   riconosciuta   dalla   Corte
costituzionale con la sentenza n. 161 del 6  maggio  1985  e  che  le
valutazioni   espresse   dalla   Corte   sulla    norma    sospettata
d'incostituzionalita' confortano la tesi qui sostenuta, essendo stata
riconosciuta la legittimita' costituzionale non tanto sulla base  del
fatto che  i  soggetti  abbiano  compiuto  e  portato  a  termine  un
trattamento medico chirurgico e che vi sia stato il provvedimento del
Tribunale, che attribuisce il sesso opposto, ma in base al fatto  che
la Corte ha definito l'orientamento del transessuale  come  «naturale
modo   di   essere»    sostenendo    che    la    legge    sospettata
d'incostituzionalita' «si e' voluta dare carico di  questi  "diversi"
producendo una normativa intesa  a  consentire  l'affermazione  della
loro personalita' e in tal modo ad aiutarli a superare  l'isolamento,
l'ostilita' e l'umiliazione che troppo spesso li  accompagnano  nella
loro  esistenza.  Cosi'  operando  il  legislatore  italiano  si   e'
allineato   egli   orientamenti   legislativi,    amministrativi    e
giurisprudenziali, gia' affermati in numerosi  Stati,  fatti  propri,
all'unanimita' dalla Commissione  della  Corte  europea  dei  Diritti
dell'Uomo (decisione 9 maggio 1978,  nel  caso  Daniel  Oosten  Wijck
contro Governo belga) e la cui adozione in  tutti  gli  Stati  membri
della Comunita' e' stata caldeggiata con una proposta di  risoluzione
presentata al Parlamento europeo nel febbraio 1983. La legge  n.  164
del 1982 si colloca, dunque, nell'alveo di una civilta' giuridica  in
evoluzione, sempre piu' attenta ai valori  di  liberta'  e  dignita',
della persona umana». 
    Non vi e' dubbio che la legge n. 164 del  1982  ha  profondamente
mutato i connotati dell'istituto del matrimonio civile  consentendone
la celebrazione tra soggetti dello stesso sesso biologico ed incapaci
di procreare, valorizzando cosi' l'orientamento  psicosessuale  della
persona e dunque oggi l'identita' di sesso biologico non puo'  essere
invocata per escludere gli omosessuali dal matrimonio. 
    Se  e'  vero,  infatti,  che  fattore  meritevole  di  tutela  e'
l'orientamento psicosessuale della persona, non appare in alcun  modo
giustificata  la  discriminazione  tra  coloro  che  hanno   naturale
orientamento psichico che li spinge ad una unione omosessuale, e  non
vogliono  pertanto  effettuare   alcun   intervento   chirurgico   di
adattamento, ne' ottenere la rettificazione anagrafica per conseguire
un'attribuzione di sesso contraria al sesso biologico,  ai  quali  e'
precluso  il  matrimonio,  e  i  transessuali  che  sono  ammessi  al
matrimonio pur appartenendo allo stesso sesso  biologico  ed  essendo
incapaci di procreare. 
    In sintesi la parita' di  diritti  per  i  cittadini  omosessuali
potra' dirsi realizzata solo se sara' loro consentito di scegliere di
regolare la propria  vita  e  i  loro  propri  rapporti  giuridici  e
patrimoniali  optando  fra  le  stesse   alternative   che   sono   a
disposizione dei cittadini transessuali ed eterosessuali. 
    In realta' le opinioni contrarie al riconoscimento alla  liberta'
matrimoniale tra persone dello  stesso  sesso,  per  giustificare  la
disparita'  di  trattamento  invocano  ragioni  etiche,  legate  alla
tradizione o alla natura, d'altra parte, pero', non  solo  i  costumi
familiari si sono radicalmente trasformati, ma soprattutto quando  si
discute di diritti fondamentali, ogni difesa formale della  liberta',
priva di un reale supporto giuridico strutturale, e' debole  e  priva
di effettivita'. 
    Un  terzo  parametro  di  riferimento,   anch'esso   strettamente
connesso con gli altri due, e'  proprio  il  disposto  dell'art.  29,
primo comma della Costituzione, invocato al contrario (anche nel caso
specifico dall'Ufficiale di Stato civile di Ferrara) come  principale
dato normativo per  negare  il  matrimonio  omosessuale:  laddove  si
afferma che la Repubblica riconosce i  diritti  della  famiglia  come
«societa' naturale fondata sul matrimonio» si ritiene,  infatti,  che
con tale espressione si sia inteso tutelare il solo nucleo  legittimo
di carattere tradizionale, ossia l'unione di un  uomo  ed  una  donna
suggellata dal vincolo giuridico del matrimonio. 
    La famiglia costituzionalmente tutelata  e  riconosciuta,  intesa
come societa' naturale, e',  quindi,  solamente  quella  fondata  sul
matrimonio: dunque qualsiasi altro tipo di «famiglia» (nel  senso  di
associazione  totale  di  vita  tra  due  persone)  non  fondata  sul
matrimonio non solo non ha riconoscimento e tutela costituzionale, ma
e' anche da ritenersi «innaturale». 
    Infatti se la norma  costituzionale  impone  di  privilegiare  la
famiglia  fondata  sul  matrimonio  appare  difficile   negare   che,
prevedendo  espressamente  una   norma   apposita,   il   legislatore
costituente  ha  inteso  riconoscere  alla   famiglia   fondata   sul
matrimonio un ruolo particolare, per cosi' dire rafforzato. 
    Deve chiedersi, dunque, se gli omosessuali hanno o non  hanno  il
diritto ad avere una famiglia (nel senso di  associazione  totale  di
vita tra due persone non semplicemente diretta a  soddisfare  in  via
privata degli affetti, ma avente un interesse pubblico  il  cui  atto
fondativo deve essere serio, consapevole, responsabile  e  dichiarato
di fronte alla comunita') come tutti gli altri cittadini, vale a dire
una famiglia fondata sul matrimonio. 
    Sul punto deve premettersi che il testo della  norma  non  limita
l'istituto del matrimonio a  persone  di  sesso  diverso:  in  questo
senso, i nostri costituenti, gia' nel 1945,  si  sono  comportati  in
modo molto diverso dai costituenti di' altri paesi affini  al  nostro
che, invece, hanno specificato espressamente  che  i  coniugi  devono
essere di sesso diverso (e che per questo, in anni piu'  recenti,  si
sono trovati di fronte a difficolta' maggiori di quanto non  presenti
il nostro testo costituzionale). 
    Naturalmente, e' inutile sostenere che i  padri  fondatori  della
nostra Costituzione avessero in mente l'eventualita' di estendere  il
matrimonio anche a persone dello stesso sesso o all'eventualita'  che
in un  futuro  si  sarebbe  posto  al  legislatore  ordinario  questo
problema: essi, semplicemente, non hanno specificato l'esigenza della
diversita' di sesso perche' per essi era naturale che  il  matrimonio
fosse possibile soltanto tra persone di sesso diverso. 
    Questo riferimento all'intenzione del legislatore costituente non
e', pero', un argomento decisivo, poiche' deve porsi il  problema  di
come interpretare oggi una disposizione in  se'  neutra,  scritta  in
anni molto diversi dai nostri, in presenza di un contesto sociale  di
riferimento che certamente ha poco a che fare con quello  dell'Italia
(e dell'Europa) attuale. 
    E'  evidente  che  il   problema   interpretativo   si   accentra
soprattutto sul termine «naturale» che  compare  nell'articolo  della
Costituzione dato che  tale  termine  costituisce  di  fatto  l'unico
limite che la  norma  pone  al  riconoscimento  costituzionale  della
famiglia come societa' fondata sul matrimonio. 
    A questo proposito, va da se' che non puo' essere  attribuito  al
termine naturale cio' che viene  ritenuto  tale  da  una  particolare
concezione ideologica, religiosa o altro: l'uso di un  tale  criterio
interpretativo sarebbe aberrante in  uno  Stato  che  si  e'  fondato
costituzionalmente in contrapposizione (e  superamento)  del  modello
dello Stato etico, quale che sia questa etica. 
    Si asserisce che il termine naturale non puo' che riferirsi  alla
famiglia come tradizionalmente intesa perche' questa tradizione segna
l'identita'  tipica  della  societa'  italiana   e   siccome   questa
tradizione da un punto di vista storico-religioso ammette soltanto la
famiglia  eterosessuale,  l'art.  29  deve  essere  interpretato   di
conseguenza: una norma non puo' essere, pero', interpretata oggi solo
alla luce del suo significato storico poiche' di  solito,  accade  il
contrario e cioe' che una norma, storicamente  datata,  debba  essere
interpretata alla luce dei bisogni e dei dati del presente ovvero, in
senso storico, si', ma evolutivo. 
    In realta',  le  interpretazioni  dottrinali  sono  concordi  nel
ritenere che naturale vada inteso come dato pregiuridico,  attestante
la  preesistenza  e  l'autonomia  della  famiglia,   come   comunita'
originaria, dallo Stato, che il diritto positivo si limita appunto  a
riconoscere e  che  la  famiglia  e'  un  dato  sociologico,  che  la
Costituzione non crea ma si  limita  a  tutelare  (durante  i  lavori
costituenti si affermo' che: «Escluso che  qui  "naturale"  abbia  un
significato zoologico o animalesco, o accenni ad un legame  puramente
di fatto, non si vuol dire con questa formula che la famiglia sia una
societa' creata al di fuori di ogni vincolo razionale ed  etico.  Non
e' un fatto, la famiglia, ma e' appunto un  ordinamento  giuridico  e
quindi qui "naturale" sta per "razionale"»). 
    Una societa'  complessa  e  articolata  puo'  presentare,  pero',
diversi modelli di convivenza, come  quella  eterosessuale  o  quella
omosessuale e il riferimento al concetto di naturale non basta in una
societa' che  puo'  presentare  tanti  modelli  naturali  (nel  senso
letterale di «realta' fenomeniche»). 
    Occorre, quindi, individuare un criterio oggettivo  che  porti  a
selezionare il modello o i modelli rilevanti e  scartare  quello  che
non lo e' o addirittura a censurare  quello  che,  benche'  naturale,
possa essere avvertito come negativo: questo criterio non puo'  stare
se non dentro la Costituzione stessa, nei principi che la fondano. 
    La  Costituzione  italiana  del  dopoguerra  non  e'   certamente
eticamente orientata, sebbene si fondi, ovviamente, su dei  valori  e
non potrebbe esistere altrimenti e, date le esperienze  del  passato,
il valore principale fondante  e'  indubbiamente  il  rispetto  della
dignita' della persona, di ciascuna persona, sia presa  in  se'  come
valore assoluto, sia presa in rapporto agli altri, con i  quali  essa
convive e si confronta. 
    Di conseguenza non appare conforme alla  dignita'  della  persona
privare qualcuno  della  possibilita'  di  fondare  una  famiglia  in
ragione di un criterio come quello dell'orientamento sessuale, di  un
criterio, cioe', che, come quello della  razza,  della  nazionalita',
dell'origine etnica, ecc., non fa parte delle scelte individuali,  ma
e' dato, inerente, connaturato, congenito. 
    Il fatto  che  la  tutela  della  tradizione  non  rientri  nelle
finalita'  dell'art.  29  Cost.  e  che  famiglia  e  matrimonio   si
presentino come istituti di carattere aperto alle trasformazioni  che
necessariamente si verificano nella storia, e'  poi  indubitabilmente
dimostrato dall'evoluzione che ha interessato la loro disciplina  dal
1948 ad oggi. 
    Il codice civile del 1942 recepiva un modello di famiglia  basato
su di un matrimonio indissolubile e su di una struttura gerarchica  a
subordinazione femminile; basti  pensare  al  fatto  che  l'art.  143
parlava solo di obblighi reciproci e non di  diritti,  alla  potesta'
maritale dell'art. 144, al dovere del marito di proteggere la  moglie
di cui all'art. 145, all'istituto della dote. 
    Tale caratterizzazione autoritaria e gerarchica si traduceva, sul
fronte penale, nella repressione del solo adulterio femminile,  nella
responsabilita' penale del marito solamente per abuso  dei  mezzi  di
correzione nei confronti della moglie, nella previsione  del  delitto
d'onore, nell'estinzione del reato di violenza carnale  a  mezzo  del
matrimonio riparatore. 
    Sono ben noti gli interventi della Corte costituzionale a  tutela
dell'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi fra  cui  la  storica
sentenza   n.   126/1968   che,   nel   dichiarare   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 559 comma 1 e 2  c.p.  che  puniva  il  solo
adulterio della moglie, ha sottolineato proprio  il  mutamento  della
societa', superando cosi' il proprio orientamento precedente solo  di
pochi anni, con il quale,  richiamandosi  al  «tradizionale  concetto
della famiglia, quale tuttora vive nella coscienza del popolo», aveva
dichiarato non fondata la medesima questione (sentenza n. 64/1961). 
    Anche in questo caso e' stata proprio la Corte costituzionale  ad
aprire la strada ad una riforma del diritto di famiglia, attuata  con
la legge  del  1975,  effettivamente  in  linea  con  i  principi  di
eguaglianza morale e giuridica dei coniugi  superando  la  tradizione
ultramillenaria secondo la quale la donna nell'ambito  della famiglia
doveva rivestire un ruolo subordinato. 
    Ancora,  vanno  menzionati  la   mancata   «istituzionalizzazione
dell'indissolubilita' del matrimonio e  la  conseguente  introduzione
legislativa del divorzio, nonche' la progressiva del  attuazione  per
via legislativa (da ultimo con la legge  n.  54/2006)  del  principio
costituzionale di eguaglianza tra figli legittimi e  figli  naturali:
tutti  esempi  che  dimostrano  come  l'accezione  costituzionale  di
famiglia, lungi dall'essere ancorata ad una conformazione  tipica  ed
inalterabile, si sia al contrario dimostrata permeabile ai  mutamenti
sociali,  con  le  relative  ripercussioni   sul   regime   giuridico
familiare. 
    Le considerazioni che precedono sul significato  dell'espressione
«societa' naturale» e sull'estraneita' della tutela  del  «matrimonio
tradizionale» alle finalita' dell'art. 29 Cost.  portano  a  ritenere
prive di fondamento  quelle  tesi  che  giustificano  il  divieto  di
matrimonio tra persone dello stesso  sesso  ricorrendo  ad  argomenti
correlati alla capacita' procreativa  della  coppia  ed  alla  tutela
della procreazione. 
    Al  riguardo  sarebbe  sufficiente  sottolineare  come   ne'   la
Costituzione, ne' il diritto civile prevedano la capacita'  di  avere
figli come condizione per contrarre matrimonio, ovvero  l'assenza  di
tale capacita' come condizione di invalidita' o causa di scioglimento
del matrimonio, essendo matrimonio e filiazione  istituti  nettamente
distinti. 
    Se cosi' non fosse le persone sterili non potrebbero sposarsi  e,
quindi, non  potrebbero  formare  una  «famiglia»  costituzionalmente
tutelata. 
    Una volta escluso che sulla disposizione dell'art. 29 Cost. possa
trovare  fondamento  il  trattamento   differenziato   delle   coppie
omosessuali rispetto a quelle  eterosessuali,  si  ritiene  che  tale
norma, proprio nel momento in cui attribuisce  tutela  costituzionale
alla famiglia legittima, contribuendo essa,  grazie  alla  stabilita'
del quadro delle  relazioni  sociali,  affettive  ed  economiche  che
comporta, alla realizzazione della personalita'  dei  coniugi,  lungi
dal costituire un ostacolo al riconoscimento giuridico del matrimonio
tra persone dello stesso sesso, assurge  indubbiamente  ad  ulteriore
parametro, unitamente agli artt. 2 e 3, in base al quale valutare  la
costituzionalita' del divieto. 
    E' sulla base di  tutte  queste  considerazioni  esposte  che  il
Tribunale e' giunto al convincimento della non manifesta infondatezza
della questione di illegittimita'  costituzionale,  pur  parzialmente
modificando i parametri di riferimento  rispetto  a  quelli  indicati
dalle ricorrenti, delle norme di cui agli artt. 93, 96, 98, 107, 108,
143, 143-bis, 156-bis e 231 c.c., laddove siano incompatibili, o  non
consentono  che  le  persone  di  orientamento  omosessuale   possano
contrarre matrimonio con persone dello  stesso  sesso;  valutera'  la
Corte,  qualora  ritenesse  la  questione  fondata,  se  vi  sia   la
necessita' di estendere la  pronuncia  anche  ad  altre  disposizioni
legislative  interessate  in  via  di  consequenzialita'   ai   sensi
dell'art. 27 della legge n. 87/1953. 
    In punto di rilevanza, si osserva che l'applicazione delle  norme
indicate e' evidentemente  ineliminabile  nell'iter  logico-giuridico
che questo remittente deve percorrere per la decisione:  infatti,  in
caso di  dichiarazione  di  fondatezza  della  questione  cosi'  come
sollevata, il rifiuto alle pubblicazioni, la cui  richiesta  dimostra
inequivocabilmente la  volonta'  di  contrarre  matrimonio,  dovrebbe
ritenersi, in assenza di altra causa di rifiuto, illegittima, mentre,
in  caso  di  non  accoglimento,  l'attuale  stato  della   normativa
imporrebbe una pronuncia di rigetto del ricorso. 
    Per completezza  si  osserva  che,  a  fronte  del  rifiuto  alla
pubblicazione da parte dell'ufficiale dello stato civile, essendo  la
pubblicazione una formalita'  necessaria  per  poter  procedere  alla
celebrazione  del  matrimonio,  non  e'  individuabile  alcun   altro
procedimento nell'ambito del quale valutare la questione. 
      
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli artt. 134 Costituzione della Repubblica, 1ª legge Cost.
9 febbraio 1948, n. 1 e 23 e ss. della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale degli artt. 93, 96, 98,  107,  108,  143,
143-bis e 156-bis, 231 c.c. nella parte in cui non consentono che  le
persone  dello  stesso  sesso  possano  contrarre   matrimonio,   per
contrasto con agli artt. 2, 3, 29 comma della Costituzione; 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale, sospendendo il procedimento in corso; 
    Ordina che a cura della cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti, al pubblico  ministero  e  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri e che ne sia data comunicazione ai  Presidenti
delle due Camere del Parlamento. 
    Cosi' deciso in Ferrara, nella Camera di consiglio della  sezione
civile del Tribunale, l'11 dicembre 2009. 
 
                       Il Presidente: Maiorano 
 
 
                                      Il giudice estensore: Stigliano