N. 171 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 settembre 2009

Ordinanza del 30 ottobre 2009 emessa dal Tribunale dei  minorenni  di
Roma sull'istanza proposta dal P.M. presso il Tribunale dei minorenni
di Roma. 
 
Straniero  -  Espulsione  amministrativa  -  Espulsione  di  genitore
  straniero non comunitario nei cui confronti e' stato in  precedenza
  emesso provvedimento  ablativo  o  limitativo  della  potesta'  sul
  figlio minore ai sensi degli artt. 330 o 333 cod.  civ.  -  Obbligo
  del questore,  prima  dell'esecuzione  del  decreto  espulsivo,  di
  richiedere il nulla osta del Tribunale per i  minorenni  -  Mancata
  previsione - Conseguente  assoggettamento  del  medesimo  Tribunale
  alla  rigida   alternativa   di   consentire   automaticamente   il
  ricongiungimento del figlio prima dell'attuazione  dell'espulsione,
  ovvero di trattenere il figlio nel territorio nazionale  rendendone
  irreversibile la separazione dal genitore espulso  -  Lesione,  nel
  primo caso, dei  diritti  inviolabili  dell'uomo  (in  particolare,
  della persona in formazione del minore) nonche'  del  dovere  dello
  Stato di provvedere perche' siano assolti i compiti dei genitori in
  caso di loro perdurante incapacita' - Violazione, nel secondo caso,
  delle previsioni sul mantenimento  della  relazione  tra  figlio  e
  genitore contenute nella Convenzione sui diritti  del  fanciullo  e
  nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione  europea,  nonche'
  degli obblighi  a  garanzia  del  rispetto  della  vita  privata  e
  familiare derivanti  dalla  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
  diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, come  interpretato
  dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. 
- Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 3. 
- Costituzione, artt. 2, 10, secondo comma, 30, secondo comma, e 117,
  primo comma, in relazione  all'art.  8  della  Convenzione  per  la
  salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali,
  come interpretato dalla Corte europea dei diritti  dell'uomo  (sez.
  III, sentenza 26  febbraio  2004,  Gorgolu  c.  Germania;  sez.  I,
  sentenza 13 luglio 2000, Giunta  e  Scozzari  c.  Italia;  sez.  I,
  sentenza 17  luglio  2008,  X  c.  Croazia);  Regolamento  (CE)  n.
  2201/2003 del 27 novembre 2003; Convenzione di New York sui diritti
  del fanciullo del 20 novembre  1989,  art.  9;  Carta  dei  diritti
  fondamentali dell'Unione europea, art. 24, n. 3. 
(GU n.24 del 16-6-2010 )
 
                    IL TRIBUNALE PER I MINORENNI 
 
    Nella Camera di Consiglio del 18 settembre 2009 ha pronunciato la
seguente ordinanza. 
    Il giorno 8 giugno  2009  il  P.M.  presso  questo  Tribunale  ha
chiesto nuova apertura di un procedimento ai sensi degli artt. 330  e
333 c.c.,  quindi  per  la  verifica  dell'esercizio  della  potesta'
genitoriale, nei confronti della sig.ra Q.M.S.C., nata il 1 19 , a M.
(Filippine), madre del minore V.B.S., nato a Roma il 5 20. 
    Un precedente procedimento svoltosi dinanzi a questo Tribunale si
era concluso con decreto definitivo del 22 maggio 2007 che, limitando
la potesta' di entrambi i genitori ai sensi dell'art. 333 c.c., aveva
confermato la misura di protezione dell'inserimento  del  bambino  in
una casa famiglia, facendo divieto  a  chiunque  di  prelievo  e  con
incarico ai servizi sociali competenti di favorire  ed  intensificare
la relazione tra il bambino e la madre. 
    In attuazione di quel decreto al genitore  era  stata  consentita
nel periodo successivo la  frequentazione  del  figlio,  svoltasi  in
maniera regolare con frequenza di due incontri a settimana; i servizi
specialistici incaricati di osservare il progredire  della  relazione
genitoriale avevano ripetutamente espresso una  valutazione  positiva
dei progressi  compiuti  dalla  madre,  segnalando  il  forte  legame
affettivo stabilito con il figlio e l'accresciuta consapevolezza  del
ruolo genitoriale, pur restando ancora in parte attuali i seri motivi
di  inadeguatezza  per  cui  era  stata  limitata  la  sua   potesta'
genitoriale.  Si  confermava  invece  come  marginale  e  scarsamente
responsabilizzato il ruolo genitoriale paterno. 
    Il giorno 28 ottobre  2008  a  Q.M.S.C.  e'  stata  applicata  su
richiesta formulata ai sensi dell'art. 444 c.p.p. la pena di mesi sei
di reclusione ed € 2.000,00 di multa, per il reato  di  cui  all'art.
73, configurandosi l'ipotesi lieve di cui al comma quinto, del d.P.R.
9 ottobre 1990, n. 309 commesso in Roma il precedente 24 ottobre. 
    E' stata per questa ragione detenuta presso la Casa Circondariale
di Rebibbia sino al 24 aprile 2009, quindi direttamente trasferita al
Centro di Identificazione ed Espulsione (C.I.E) di Ponte Galeria dopo
che, lo stesso giorno in cui cessava  la  detenzione,  le  era  stato
notificato un decreto di espulsione emesso  ai  sensi  dell'art.  13,
commi secondo, quarto e quinto del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, con
contestuale ordine di trattenimento nel C.I.E.  per  indisponibilita'
al momento  di  vettore  aereo  e  per  necessita'  di  procedere  ad
accertamenti supplementari sull'identita' e nazionalita'. 
    La Questura di Roma, ufficio immigrazione, con nota del giorno 11
maggio 2009 ha dato notizia a questo Tribunale  della  condizione  di
detenzione amministrativa in cui, a quel momento, si trovava la Q. ed
ha chiesto contestualmente, dopo aver appreso  dal  servizio  sociale
che la donna aveva un figlio in Italia per cui  questo  Tribunale  ha
emesso provvedimenti di protezione,  «se  nulla  osti  all'espulsione
della straniera o  se,  di  contro,  si  vogliano  impartire  diverse
disposizioni». 
    Nel ricorso che apre questo giudizio il P.M.  ha  chiesto,  anche
riferendosi  a  questa   comunicazione,   che   fosse   valutata   la
possibilita' di ricongiungimento con la  madre,  comunque  riservando
richieste istruttorie ulteriori. 
    Poco dopo la richiesta del P.M., al  Tribunale  e'  pervenuta  la
notizia dell'avvenuta esecuzione dell'espulsione  della  Q.,  il  cui
figlio e' rimasto invece in Italia nella struttura in cui e' inserito
da tempo. 
    Questa in sintesi la vicenda. 
    Ritiene il Tribunale, ad esito della discussione nella Camera  di
Consiglio del 18 settembre 2009, che per le ragioni  che  seguono  si
debba dubitare della  legittimita'  costituzionale,  con  riferimento
agli artt. 2, 10 comma secondo, 30 comma secondo e  117  comma  primo
della Costituzione, del comma 3 dell'art. 13 del decreto  legislativo
25 luglio 1998, n. 286, come sostituito dall'art. 12 comma 1 lett. a)
della legge 30 luglio 2002, n. 189, recante modifiche alla  normativa
in materia di immigrazione e di asilo, nella parte in cui non prevede
che, prima di eseguire l'espulsione, il questore debba richiedere  il
nulla osta al Tribunale  per  i  minorenni  quando  destinatario  del
provvedimento espulsivo sia il genitore di un minore per il quale  il
Tribunale ha  in  precedenza  disposto  con  provvedimento  ai  sensi
dell'art. 333 o 330 c.c. la limitazione o l'ablazione della potesta'. 
    Non  vi  e'  dubbio  che,  nell'attuale  assetto  normativo,   il
Tribunale minorile non ha alcun potere in ordine  all'esecuzione  del
provvedimento espulsivo,  come  chiaramente  desumibile  dall'attuale
formulazione del comma 3 dell'art.  13  del  decreto  legislativo  25
luglio 1998, n. 286, che prevede la  necessaria  richiesta  di  nulla
osta  all'autorita'  giudiziaria  solo  «Quando   lo   straniero   e'
sottoposto a procedimento penale e non si trova in stato di  custodia
cautelare in carcere». 
    Quindi pur  in  presenza  di  una  prassi  ripetuta  secondo  cui
l'autorita'  di  polizia  in  questi  casi  prima  di  procedere   ad
espulsione fa richiesta di nulla osta al Tribunale minorile,  non  vi
e' dubbio che  nessuna  pronuncia  possa  emettere  il  Tribunale  al
riguardo, in quanto un  eventuale  provvedimento  di  tal  genere  si
configurerebbe come abnorme perche' adottato in assoluta  carenza  di
potere. 
    La conseguenza e' che  in  tutti  i  casi  in  cui,  come  quello
attuale, l'espulsione venga eseguita nei  confronti  di  un  genitore
straniero non comunitario, la cui potesta' sia  stata  in  precedenza
incisa da un provvedimento giudiziale di limitazione o ablazione,  il
Tribunale per i minorenni e' posto di fronte ad un'alternativa che in
ogni caso sembra porsi in conflitto con i principi costituzionali. 
    Se infatti il Tribunale consente il ricongiungimento  del  minore
al genitore, in applicazione quindi del principio  esposto  dall'art.
19 comma secondo lett. a) del decreto legislativo 25 luglio 1998,  n.
286 che considera «il diritto a seguire il genitore  o  l'affidatario
espulsi» un limite al generale divieto di espulsione  dei  minorenni,
inevitabilmente espone il figlio al rischio del ripetersi proprio  di
quelle condizioni di pregiudizio che sono all'origine della pronuncia
limitativa della potesta' e che, come nel caso in questione, non sono
effettivamente cessate. 
    Si tratta del rischio, non meramente ipotetico ma  gia'  valutato
nel pregresso giudizio, di lesione di diritti inviolabili  dell'uomo,
in particolare della persona in formazione del  minore,  riconosciuti
dal precetto costituzionale espresso dall'art. 2 della costituzione a
tutela dei quali il comma secondo  dell'art.  30  della  costituzione
prevede un dovere da parte dello Stato perche' siano comunque assolti
i  compiti  dei  genitori  in  tutti  i  casi  di   loro   perdurante
incapacita'. 
    Un dovere posto a protezione dell'integrita' dello sviluppo della
persona del minore che come tale  non  deve  soffrire  restrizioni  o
condizionamenti in ragione della cittadinanza ed  opera  allo  stesso
modo nel caso di minori cittadini e di minori stranieri, comunitari o
non. 
    Per altro il principio di universalita' dei  diritti  del  minore
informa anche la  normazione  positiva  in  tema  di  adozione,  come
desumibile dagli art. 8 e 37-bis della legge 4 maggio  1983,  n.  184
che prevedono il dovere da parte dell'autorita' giudiziaria nazionale
di accertare la condizione di abbandono di un minore straniero che si
trova sul territorio nazionale non diversamente  da  quanto  previsto
nel caso di minore cittadino italiano. 
    Lo stesso principio e' stato affermato  da  tempo  proprio  nella
materia  adozionale  con  riferimento  ai  minori   stranieri   dalla
giurisprudenza  costituzionale  che  ha  dichiarato  l'illegittimita'
dell'art. 76 della legge 4 maggio 1983, n. 184 «nella  parte  in  cui
preclude l'applicazione dell'art. 37 alle procedure gia' iniziate nei
confronti di minore  straniero  in  stato  di  abbandono  in  Italia»
facendo riferimento proprio ai «doveri inderogabili  di  solidarieta'
richiamati dallo stesso art. 2 Cost.  (che)  appaiono  essere  quelli
dell'autorita' deputata dalle leggi ordinarie a dare effettiva tutela
ed   esercizio   ai   diritti   umani,   tra   cui,   nella    specie
dell'abbandonato, il diritto alla famiglia degli affetti in  mancanza
della famiglia di sangue. Il  che  conduce  al  collegamento  con  la
previsione generale dell'art. 2 di quella specifica di  cui  all'art.
30 secondo comma della Costituzione» (Corte costituzionale,  sentenza
del 18 luglio 1986 n. 199). 
    Di questo principio, infine, costituisce espressione, seppure  in
ambito  diverso,  anche  la   normativa   comunitaria   in   materia,
segnatamente l'art. 15 del Regolamento (CE) n. 2201/03 del  Consiglio
del 27 novembre 2003 relativo alla competenza,  al  riconoscimento  e
all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale ed in  materia
di  responsabilita'  genitoriale  che,  costituendo  una  riserva  di
giurisdizione sovranazionale in favore dei minori in tutti i casi  di
provvedimenti incidenti la responsabilita' genitoriale,  proprio  per
questa ragione subordina un'eventuale  pronuncia  declinatoria  della
giurisdizione da parte del giudice nazionale alla previa accettazione
della competenza da parte del giudice del paese di origine del minore
(sul punto in particolare il comma 5 dell'art. 15), proprio  al  fine
di evitare che un vuoto  di  giurisdizione  sui  diritti  del  minore
mentre si trova al di  fuori  del  proprio  territorio  nazionale  si
traduca in un affievolimento o in un  vuoto  della  tutela  dei  suoi
diritti fondamentali. 
    Per  altro  la  pronuncia  declinatoria  della  giurisdizione  si
configura  nel  sistema   delineato   dal   Regolamento   comunitario
espressamente come  ipotesi  eccezionale,  dovendo  di  regola  farsi
applicazione  del  criterio  di  vicinanza  meglio   rispondente   ad
assicurare  effettivita'  alla  tutela  dell'interesse   del   minore
(dodicesimo considerando). 
    In questa vicenda l'assenza di specifici accordi  bilaterali  tra
gli stati, come nel caso delle relazioni tra l'Italia e le Filippine,
non puo' comportare comunque un trattamento ed un livello  di  tutele
deteriore,  rispetto  a  quello  invece  riconosciuto  ad  un  minore
cittadino italiano o comunitario, senza confliggere appunto  con  gli
artt. 2 e 30 comma secondo costituzione. 
    Per questa ragione ad avviso del Tribunale la  soluzione  secondo
cui, nel caso di espulsione del genitore la  cui  potesta'  e'  stata
incisa da pronuncia giudiziale, si debba  sempre  ed  automaticamente
consentire  il  ricongiungimento  del  figlio  prima  dell'attuazione
dell'espulsione si porrebbe in contrasto con  l'art.  2  e  30  comma
secondo costituzione. 
    Diversi  ed  inevitabili  motivi  di  conflitto  con  i  precetti
costituzionali configura pero' anche la decisione alternativa, che si
traduce nel trattenimento del minore  sul  territorio  nazionale  con
conseguente separazione dal genitore espulso; in questa  eventualita'
infatti la decisione viene  a  porsi  in  contrasto  con  i  precetti
espressi dagli art. 10 comma secondo  e  dall'art.  117  comma  primo
della costituzione. 
    Va in premessa considerato che nel caso di espulsione  la  cesura
del  rapporto  tra  genitore  e  figlio,  trattenuto  sul  territorio
nazionale, si configura come  sostanzialmente  irreversibile,  tenuto
conto della durata del divieto  di  reingresso  che,  secondo  quando
stabilito dal comma 14 dell'art. 13 del d.lgs.  25  luglio  1998,  n.
286, come sostituito dall'art. 12 comma 1 lett.  h)  della  legge  30
luglio 2002, n. 189, anche nella misura  piu'  ridotta  comunque  non
puo' in ogni caso  essere  inferiore  al  quinquennio  (nel  caso  in
questione la durata non e' stata ridotta e  pertanto  il  divieto  di
reingresso viene ad operare per un  decennio  che  costituisce  quasi
l'intero arco della minore eta' del figlio). 
    Una conseguenza tanto radicale sembra al Tribunale che  si  ponga
in contrasto in  primo  luogo  con  l'art.  10  comma  secondo  della
Costituzione, secondo cui «La condizione giuridica dello straniero e'
regolata dalla legge  in  conformita'  delle  norme  e  dei  trattati
internazionali» in quanto confliggente  con  gli  obblighi  derivanti
all'Italia dall'adesione alla Convenzione sui diritti  del  fanciullo
fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva  ai
sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176, che prevede all'art. 9  che
la separazione del fanciullo dai propri genitori possa avvenire  solo
se  le  autorita'  competenti  ritengono  che  questa  decisione  sia
«necessaria nell'interesse preminente del fanciullo» (comma primo) ed
in tale eventualita' «tutte le  parti  interessate  devono  avere  la
possibilita' di partecipare alle deliberazioni  e  far  conoscere  le
loro  opinioni»  (comma  secondo).  E'  pur  vero   che   la   stessa
disposizione  contempla  al  comma  quarto  l'ipotesi   in   cui   la
separazione sia «il risultato di provvedimenti adottati da uno  stato
parte», tra questi facendo espressa menzione anche del  provvedimento
di espulsione, ma anche in questo caso resta  fermo  l'obbligo  dello
Stato  parte  di  comunicare  almeno  «le   informazioni   essenziali
concernenti il luogo ove si trova il familiare». 
    Proprio questo obbligo verrebbe pero' ad essere  violato  quando,
in conseguenza dell'espulsione,  l'allontanamento  del  genitore  dal
figlio,  per  un  periodo  certamente  non  transitorio,  venisse   a
configurare  una  condizione   che   necessariamente   prelude   alla
declaratoria di abbandono prima ed alla sentenza di adozione poi,  da
cui consegue per legge l'interruzione di ogni rapporto tra il  figlio
ed il genitore (art. 27 comma terzo della legge  4  maggio  1983,  n.
184), quindi anche il divieto  per  lo  Stato  parte  di  fornire  al
genitore le informazioni sul figlio, quanto meno successivamente alla
pronuncia di cui all'art. 25 della legge 4 maggio 1983, n. 184. 
    Per altro lo stesso diritto di  mantenere  la  relazione  tra  il
figlio ed il genitore ha trovato  riconoscimento  all'art.  24  n.  3
della Carta dei diritti fondamentali proclamata a Nizza il 7 dicembre
2000,  atto  che  secondo  la   giurisprudenza   costituzionale   pur
formalmente  privo  tuttora  di  efficacia   giuridica,   costituisce
comunque un riferimento «per il suo carattere espressivo di  principi
comuni degli ordinamenti  europei»  (Corte  cost.,  sentenza  del  23
novembre 2006, n. 393 p. 6.2.); infatti  la  disposizione  richiamata
afferma che «ogni bambino ha  diritto  di  intrattenere  regolarmente
relazioni personali e contatti diretti  con  i  due  genitori,  salvo
qualora cio' sia contrario al suo interesse». 
    Per ragioni almeno in parte diverse, ad avviso del  Tribunale  si
configurano motivi di contrasto con  il  comma  primo  dell'art.  117
costituzione, secondo l'interpretazione  della  Corte  costituzionale
espressa nella sentenza 22 ottobre 2007, n. 349, in specie al p.6.2.,
con riferimento all'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il  4
novembre 1950, ratificata dal Presidente della Repubblica italiana in
forza dell'autorizzazione conferitagli dalla legge 4 agosto 1955,  n.
484. 
    L'esame infatti della giurisprudenza convenzionale sul punto pone
in  luce,  ad  avviso  del  Tribunale,  un  duplice  profilo  di  non
conformita' della disposizione impugnata con  il  principio  espresso
dall'art. 8 della C.E.D.U.: la mancanza di un criterio di  pertinenza
tra il provvedimento espulsivo e l'incidenza di questo  sul  «diritto
al rispetto della sua vita privata e familiare» e, sotto  il  profilo
piu' propriamente processuale, la violazione del diritto del genitore
a partecipare personalmente ai procedimenti giudiziali  che  incidono
su questo diritto. 
    Quanto al primo profilo, la Corte Edu ha affermato che, nel  caso
di divieto di custodia e  di  accesso  imposto  ad  un  genitore  nei
confronti del figlio, per decidere se il divieto sia  «necessario  in
una societa' democratica» si debba valutare «se alla  luce  del  caso
nel suo insieme, le ragioni addotte per  giustificare  questa  misura
sono  pertinenti  ed  adeguate»  alla  stregua  di  quanto   disposto
dall'art. 8 paragrafo 2 della C.E.D.U. (sez.  III,  sentenza  del  26
febbraio 2004, Gorgulu contro Germania, § 41). 
    Ha anche precisato che qualsiasi provvedimento  che  comporti  la
decadenza della potesta' genitoriale e la separazione del  minore  da
genitore  deve  essere  oggetto  di  continua  vigilanza   da   parte
dell'autorita'  giudiziarie  per  evitare  che  l'interruzione  della
convivenza o addirittura dei rapporti si traduca  in  una  violazione
dell'interesse stesso del minore (sez.  I,  sentenza  del  13  luglio
2000, Giunta e Scozzari c. Italia, § 169 ss.). 
    Quanto invece al  secondo,  con  riferimento  quindi  ai  diritti
processuali riconosciuti alle parti in questo tipo  di  procedimenti,
la  Corte  ha  affermato  che,  anche  se  l'art.  8   non   contiene
disposizioni esplicite  al  riguardo,  comunque  i  servizi  pubblici
debbono coinvolgere i genitori naturali  e  tener  conto  delle  loro
opinioni ed in particolare ha precisato che «i genitori,  di  regola,
hanno  il  diritto  di  essere  ascoltati  e  di  essere   pienamente
informati» sulle decisioni riguardanti i figli (sez. I, sentenza  del
17 luglio 2008, X c. Croazia, § 48 e 49). 
    Alla  luce  dei  principi  richiamati,  la  normativa  nazionale,
presenta profili di dubbia conformita' con l'art.  8  C.E.D.U.,  come
interpretato  dalla  giurisprudenza  della  Corte  Edu,  sia  perche'
l'espulsione determina la separazione del genitore dal  figlio  senza
che il provvedimento amministrativo di  espulsione  abbia  pertinenza
alcuna con la relazione personale che lega il genitore al figlio, sia
perche'  l'allontanamento  del  genitore  dal  territorio  nazionale,
impedendogli definitivamente la partecipazione al procedimento, viola
il suo diritto di  essere  ascoltato  ed  informato,  non  altrimenti
surrogabile   dall'attivita'   difensiva   svolta   dal   procuratore
eventualmente da questi nominato. 
    Infatti  in  questo  tipo  di  procedimenti   la   partecipazione
personale del genitore non solo rende, come di regola, piu'  efficace
ed agevole  l'espletamento  dell'attivita'  difensiva  da  parte  del
procuratore nominato, ma costituisce il contenuto privilegiato  dello
stesso  procedimento  giudiziale  che  e'  esclusivamente  incentrato
sull'evoluzione della relazione tra il genitore ed il figlio,  tenuto
conto del criterio generale per cui in questi  procedimenti  assumono
rilevanza anche i mutamenti ed i fatti nuovi intervenuti in corso  di
giudizio. 
    Ne consegue che  l'allontanamento  del  genitore  dal  territorio
nazionale non solo rende piu'  gravoso  ed  incerto  l'esercizio  del
mandato difensivo, ma predetermina necessariamente  lo  stesso  esito
del giudizio. 
    Di questa peculiarita' si dimostra consapevole la  giurisprudenza
della Corte Edu menzionata laddove attribuisce rilievo decisivo  alla
personale partecipazione al procedimento del genitore. 
    Queste le ragioni per cui la separazione dal  figlio  conseguente
all'espulsione del genitore presenta ad avviso del Tribunale  profili
di contrasto con l'art. 117 comma  primo  costituzione  in  relazione
all'art. 8 della C.E.D.U. 
    Non sembra al Tribunale che altri rimedi  consenta  l'ordinamento
per ovviare al contrasto con i precetti costituzionali richiamati che
l'alternativa decisionale indicata in precedenza profila e che quindi
la  soluzione  indicata  con  la  pronuncia  additiva   della   Corte
rappresenti l'esito necessario per porre soluzione al contrasto. 
    In particolare non risulta diversamente risolvibile la  questione
facendo ricorso al comma terzo dell'art.  31  del  d.lgs.  25  luglio
1998, n. 286 che consente ad Tribunale  minorile  di  autorizzare  la
permanenza o il reingresso del familiare del  minore;  pur  ritenendo
infatti che «la deroga alle altre disposizioni della presente  legge»
possa  ritenersi  operante  anche  nei  confronti  del   divieto   di
reingresso di cui al comma 14 dell'art. 13 del d.lgs. 25 luglio 1998,
n.  286,  restano  comunque  da  considerare  diversi   profili   che
evidenziano  l'inefficacia   del   rimedio:   prima   di   tutto   il
provvedimento in questione comunque presuppone un'iniziativa di parte
che potrebbe non sussistere  senza  che  questo  comportamento  possa
essere  interpretato  come  implicita  rinuncia  all'esercizio  della
potesta' genitoriale, in secondo luogo, anche in presenza di  istanza
del  genitore  espulso,  non  sempre   necessariamente   ricorre   il
presupposto  della  sussistenza  per  il  minore  dei  «gravi  motivi
connessi con lo sviluppo  psicofisico»,  infine  l'autorizzazione  al
reingresso comunque non escluderebbe  la  cesura  gia'  avvenuta  con
l'espulsione  nel  rapporto  tra  il  genitore  ed  il   figlio   ne'
assicurerebbe il reingresso che potrebbe essere impedito  da  ragioni
affatto diverse, in primis economiche. 
    Ad avviso del  Tribunale  solo  una  decisione  che  consenta  di
estendere all'ipotesi descritta la necessaria richiesta di nulla osta
all'autorita' giudiziaria e' in grado di assicurare la compatibilita'
tra l'attuazione della misura espulsiva del genitore ed  il  rispetto
dei principi costituzionali richiamati posti a tutela del minore. 
    Del  resto  dell'esigenza  di  assicurare  compatibilita'  tra  i
contrastanti valori in gioco si e' dimostrato  consapevole  anche  il
legislatore che, a seguito dell'introduzione all'art. 13  del  d.lgs.
25 luglio 1998, n. 286 del comma 2-bis operata  con  l'art.  2  comma
primo lett. c) n. 1 del d.lgs. 8 gennaio 2007, n.  5,  in  attuazione
delle direttiva 2003/86/CE relativa al  diritto  al  ricongiungimento
familiare,  ha  escluso  ogni  automatismo  tra  la   condizione   di
irregolarita' dello straniero  e  l'emissione  del  provvedimento  di
espulsione   quando   questi   abbia   esercitato   il   diritto   al
ricongiungimento familiare o sia egli stesso  familiare  ricongiunto,
richiedendo in questi casi che l'autorita' amministrativa  competente
tenga conto anche «della natura  e  della  effettivita'  dei  vincoli
familiari  dell'interessato,  della  durata  del  suo  soggiorno  nel
territorio nazionale, nonche'  dell'esistenza  di  legami  familiari,
culturali o sociali con il paese di origine». 
    Se  questi  criteri   debbono   guidare,   in   una   valutazione
necessariamente  discrezionale,   l'amministrazione   competente   al
momento  di  valutare  l'opportunita'   di   emettere   provvedimento
espulsivo,  interrompendo  quindi  l'automatismo  tra  condizione  di
irregolarita' e provvedimento espulsivo, appare ragionevole  ritenere
che il potere di  effettuare  una  stessa  valutazione  discrezionale
debba  essere  attribuito  all'autorita'  giudiziaria  minorile   nel
momento  attuativo  del  provvedimento   ogni   volta   che   occorra
contemperare  appunto  l'efficacia  dell'ordine  di  espulsione   con
l'esistenza di legami familiari in ordine ai quali sia in  precedenza
intervenuta pronuncia dell'autorita' giudiziaria. 
    Infine, la questione indicata riveste  ad  avviso  del  Tribunale
anche rilevanza decisiva nel giudizio in corso, certamente prima  che
l'espulsione  fosse  eseguita,  risultando  se   fondata   idonea   a
sospenderla, non di  meno  anche  dopo  l'esecuzione  dell'espulsione
stessa, dal momento che quando la Corte non ritenesse fondati i dubbi
di legittimita' prospettati, altra soluzione non potrebbe adottare il
Tribunale che l'apertura di procedimento ai sensi dell'art.  8  della
legge 4 maggio 1983, n. 184, dovendo a  quel  punto  configurarsi  il
provvedimento espulsivo come causa di forza maggiore  certamente  non
transitoria tenendo conto appunto della durata decennale del  divieto
di reingresso. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale del comma terzo dell'art. 13  del  d.lgs.
25 luglio 1998, n. 286 per  contrasto  con  gli  artt.  2,  10  comma
secondo, 30 comma secondo e 117 comma primo della Costituzione, nella
parte in  cui  non  prevede  che,  prima  di  eseguire  l'espulsione,
l'autorita' procedente debba richiedere il nulla  osta  al  Tribunale
per i minorenni quando destinatario del provvedimento  espulsivo  sia
il genitore di un minore nei confronti  del  quale  il  Tribunale  ha
emesso provvedimento incidente sulla potesta' ai  sensi  degli  artt.
333 e 330 c.c.; 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale e sospende il giudizio in corso; 
    Ordina che a cura della cancelleria l'ordinanza  di  trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale sia notificata  al  P.M.,  unica
parte processuale non essendo ritualmente costituiti  in  giudizio  i
genitori, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri; 
    Ordina a cura della cancelleria la  comunicazione  dell'ordinanza
anche ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
    Cosi' deciso in Roma, il 18 settembre 2009 
 
                      Il presidente: Rivellese 
 
 
                 Il giudice estensore: Cottatellucci