N. 171 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 settembre 2009
Ordinanza del 30 ottobre 2009 emessa dal Tribunale dei minorenni di Roma sull'istanza proposta dal P.M. presso il Tribunale dei minorenni di Roma. Straniero - Espulsione amministrativa - Espulsione di genitore straniero non comunitario nei cui confronti e' stato in precedenza emesso provvedimento ablativo o limitativo della potesta' sul figlio minore ai sensi degli artt. 330 o 333 cod. civ. - Obbligo del questore, prima dell'esecuzione del decreto espulsivo, di richiedere il nulla osta del Tribunale per i minorenni - Mancata previsione - Conseguente assoggettamento del medesimo Tribunale alla rigida alternativa di consentire automaticamente il ricongiungimento del figlio prima dell'attuazione dell'espulsione, ovvero di trattenere il figlio nel territorio nazionale rendendone irreversibile la separazione dal genitore espulso - Lesione, nel primo caso, dei diritti inviolabili dell'uomo (in particolare, della persona in formazione del minore) nonche' del dovere dello Stato di provvedere perche' siano assolti i compiti dei genitori in caso di loro perdurante incapacita' - Violazione, nel secondo caso, delle previsioni sul mantenimento della relazione tra figlio e genitore contenute nella Convenzione sui diritti del fanciullo e nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, nonche' degli obblighi a garanzia del rispetto della vita privata e familiare derivanti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. - Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 3. - Costituzione, artt. 2, 10, secondo comma, 30, secondo comma, e 117, primo comma, in relazione all'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (sez. III, sentenza 26 febbraio 2004, Gorgolu c. Germania; sez. I, sentenza 13 luglio 2000, Giunta e Scozzari c. Italia; sez. I, sentenza 17 luglio 2008, X c. Croazia); Regolamento (CE) n. 2201/2003 del 27 novembre 2003; Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, art. 9; Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, art. 24, n. 3.(GU n.24 del 16-6-2010 )
IL TRIBUNALE PER I MINORENNI Nella Camera di Consiglio del 18 settembre 2009 ha pronunciato la seguente ordinanza. Il giorno 8 giugno 2009 il P.M. presso questo Tribunale ha chiesto nuova apertura di un procedimento ai sensi degli artt. 330 e 333 c.c., quindi per la verifica dell'esercizio della potesta' genitoriale, nei confronti della sig.ra Q.M.S.C., nata il 1 19 , a M. (Filippine), madre del minore V.B.S., nato a Roma il 5 20. Un precedente procedimento svoltosi dinanzi a questo Tribunale si era concluso con decreto definitivo del 22 maggio 2007 che, limitando la potesta' di entrambi i genitori ai sensi dell'art. 333 c.c., aveva confermato la misura di protezione dell'inserimento del bambino in una casa famiglia, facendo divieto a chiunque di prelievo e con incarico ai servizi sociali competenti di favorire ed intensificare la relazione tra il bambino e la madre. In attuazione di quel decreto al genitore era stata consentita nel periodo successivo la frequentazione del figlio, svoltasi in maniera regolare con frequenza di due incontri a settimana; i servizi specialistici incaricati di osservare il progredire della relazione genitoriale avevano ripetutamente espresso una valutazione positiva dei progressi compiuti dalla madre, segnalando il forte legame affettivo stabilito con il figlio e l'accresciuta consapevolezza del ruolo genitoriale, pur restando ancora in parte attuali i seri motivi di inadeguatezza per cui era stata limitata la sua potesta' genitoriale. Si confermava invece come marginale e scarsamente responsabilizzato il ruolo genitoriale paterno. Il giorno 28 ottobre 2008 a Q.M.S.C. e' stata applicata su richiesta formulata ai sensi dell'art. 444 c.p.p. la pena di mesi sei di reclusione ed € 2.000,00 di multa, per il reato di cui all'art. 73, configurandosi l'ipotesi lieve di cui al comma quinto, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 commesso in Roma il precedente 24 ottobre. E' stata per questa ragione detenuta presso la Casa Circondariale di Rebibbia sino al 24 aprile 2009, quindi direttamente trasferita al Centro di Identificazione ed Espulsione (C.I.E) di Ponte Galeria dopo che, lo stesso giorno in cui cessava la detenzione, le era stato notificato un decreto di espulsione emesso ai sensi dell'art. 13, commi secondo, quarto e quinto del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, con contestuale ordine di trattenimento nel C.I.E. per indisponibilita' al momento di vettore aereo e per necessita' di procedere ad accertamenti supplementari sull'identita' e nazionalita'. La Questura di Roma, ufficio immigrazione, con nota del giorno 11 maggio 2009 ha dato notizia a questo Tribunale della condizione di detenzione amministrativa in cui, a quel momento, si trovava la Q. ed ha chiesto contestualmente, dopo aver appreso dal servizio sociale che la donna aveva un figlio in Italia per cui questo Tribunale ha emesso provvedimenti di protezione, «se nulla osti all'espulsione della straniera o se, di contro, si vogliano impartire diverse disposizioni». Nel ricorso che apre questo giudizio il P.M. ha chiesto, anche riferendosi a questa comunicazione, che fosse valutata la possibilita' di ricongiungimento con la madre, comunque riservando richieste istruttorie ulteriori. Poco dopo la richiesta del P.M., al Tribunale e' pervenuta la notizia dell'avvenuta esecuzione dell'espulsione della Q., il cui figlio e' rimasto invece in Italia nella struttura in cui e' inserito da tempo. Questa in sintesi la vicenda. Ritiene il Tribunale, ad esito della discussione nella Camera di Consiglio del 18 settembre 2009, che per le ragioni che seguono si debba dubitare della legittimita' costituzionale, con riferimento agli artt. 2, 10 comma secondo, 30 comma secondo e 117 comma primo della Costituzione, del comma 3 dell'art. 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, come sostituito dall'art. 12 comma 1 lett. a) della legge 30 luglio 2002, n. 189, recante modifiche alla normativa in materia di immigrazione e di asilo, nella parte in cui non prevede che, prima di eseguire l'espulsione, il questore debba richiedere il nulla osta al Tribunale per i minorenni quando destinatario del provvedimento espulsivo sia il genitore di un minore per il quale il Tribunale ha in precedenza disposto con provvedimento ai sensi dell'art. 333 o 330 c.c. la limitazione o l'ablazione della potesta'. Non vi e' dubbio che, nell'attuale assetto normativo, il Tribunale minorile non ha alcun potere in ordine all'esecuzione del provvedimento espulsivo, come chiaramente desumibile dall'attuale formulazione del comma 3 dell'art. 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, che prevede la necessaria richiesta di nulla osta all'autorita' giudiziaria solo «Quando lo straniero e' sottoposto a procedimento penale e non si trova in stato di custodia cautelare in carcere». Quindi pur in presenza di una prassi ripetuta secondo cui l'autorita' di polizia in questi casi prima di procedere ad espulsione fa richiesta di nulla osta al Tribunale minorile, non vi e' dubbio che nessuna pronuncia possa emettere il Tribunale al riguardo, in quanto un eventuale provvedimento di tal genere si configurerebbe come abnorme perche' adottato in assoluta carenza di potere. La conseguenza e' che in tutti i casi in cui, come quello attuale, l'espulsione venga eseguita nei confronti di un genitore straniero non comunitario, la cui potesta' sia stata in precedenza incisa da un provvedimento giudiziale di limitazione o ablazione, il Tribunale per i minorenni e' posto di fronte ad un'alternativa che in ogni caso sembra porsi in conflitto con i principi costituzionali. Se infatti il Tribunale consente il ricongiungimento del minore al genitore, in applicazione quindi del principio esposto dall'art. 19 comma secondo lett. a) del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 che considera «il diritto a seguire il genitore o l'affidatario espulsi» un limite al generale divieto di espulsione dei minorenni, inevitabilmente espone il figlio al rischio del ripetersi proprio di quelle condizioni di pregiudizio che sono all'origine della pronuncia limitativa della potesta' e che, come nel caso in questione, non sono effettivamente cessate. Si tratta del rischio, non meramente ipotetico ma gia' valutato nel pregresso giudizio, di lesione di diritti inviolabili dell'uomo, in particolare della persona in formazione del minore, riconosciuti dal precetto costituzionale espresso dall'art. 2 della costituzione a tutela dei quali il comma secondo dell'art. 30 della costituzione prevede un dovere da parte dello Stato perche' siano comunque assolti i compiti dei genitori in tutti i casi di loro perdurante incapacita'. Un dovere posto a protezione dell'integrita' dello sviluppo della persona del minore che come tale non deve soffrire restrizioni o condizionamenti in ragione della cittadinanza ed opera allo stesso modo nel caso di minori cittadini e di minori stranieri, comunitari o non. Per altro il principio di universalita' dei diritti del minore informa anche la normazione positiva in tema di adozione, come desumibile dagli art. 8 e 37-bis della legge 4 maggio 1983, n. 184 che prevedono il dovere da parte dell'autorita' giudiziaria nazionale di accertare la condizione di abbandono di un minore straniero che si trova sul territorio nazionale non diversamente da quanto previsto nel caso di minore cittadino italiano. Lo stesso principio e' stato affermato da tempo proprio nella materia adozionale con riferimento ai minori stranieri dalla giurisprudenza costituzionale che ha dichiarato l'illegittimita' dell'art. 76 della legge 4 maggio 1983, n. 184 «nella parte in cui preclude l'applicazione dell'art. 37 alle procedure gia' iniziate nei confronti di minore straniero in stato di abbandono in Italia» facendo riferimento proprio ai «doveri inderogabili di solidarieta' richiamati dallo stesso art. 2 Cost. (che) appaiono essere quelli dell'autorita' deputata dalle leggi ordinarie a dare effettiva tutela ed esercizio ai diritti umani, tra cui, nella specie dell'abbandonato, il diritto alla famiglia degli affetti in mancanza della famiglia di sangue. Il che conduce al collegamento con la previsione generale dell'art. 2 di quella specifica di cui all'art. 30 secondo comma della Costituzione» (Corte costituzionale, sentenza del 18 luglio 1986 n. 199). Di questo principio, infine, costituisce espressione, seppure in ambito diverso, anche la normativa comunitaria in materia, segnatamente l'art. 15 del Regolamento (CE) n. 2201/03 del Consiglio del 27 novembre 2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale ed in materia di responsabilita' genitoriale che, costituendo una riserva di giurisdizione sovranazionale in favore dei minori in tutti i casi di provvedimenti incidenti la responsabilita' genitoriale, proprio per questa ragione subordina un'eventuale pronuncia declinatoria della giurisdizione da parte del giudice nazionale alla previa accettazione della competenza da parte del giudice del paese di origine del minore (sul punto in particolare il comma 5 dell'art. 15), proprio al fine di evitare che un vuoto di giurisdizione sui diritti del minore mentre si trova al di fuori del proprio territorio nazionale si traduca in un affievolimento o in un vuoto della tutela dei suoi diritti fondamentali. Per altro la pronuncia declinatoria della giurisdizione si configura nel sistema delineato dal Regolamento comunitario espressamente come ipotesi eccezionale, dovendo di regola farsi applicazione del criterio di vicinanza meglio rispondente ad assicurare effettivita' alla tutela dell'interesse del minore (dodicesimo considerando). In questa vicenda l'assenza di specifici accordi bilaterali tra gli stati, come nel caso delle relazioni tra l'Italia e le Filippine, non puo' comportare comunque un trattamento ed un livello di tutele deteriore, rispetto a quello invece riconosciuto ad un minore cittadino italiano o comunitario, senza confliggere appunto con gli artt. 2 e 30 comma secondo costituzione. Per questa ragione ad avviso del Tribunale la soluzione secondo cui, nel caso di espulsione del genitore la cui potesta' e' stata incisa da pronuncia giudiziale, si debba sempre ed automaticamente consentire il ricongiungimento del figlio prima dell'attuazione dell'espulsione si porrebbe in contrasto con l'art. 2 e 30 comma secondo costituzione. Diversi ed inevitabili motivi di conflitto con i precetti costituzionali configura pero' anche la decisione alternativa, che si traduce nel trattenimento del minore sul territorio nazionale con conseguente separazione dal genitore espulso; in questa eventualita' infatti la decisione viene a porsi in contrasto con i precetti espressi dagli art. 10 comma secondo e dall'art. 117 comma primo della costituzione. Va in premessa considerato che nel caso di espulsione la cesura del rapporto tra genitore e figlio, trattenuto sul territorio nazionale, si configura come sostanzialmente irreversibile, tenuto conto della durata del divieto di reingresso che, secondo quando stabilito dal comma 14 dell'art. 13 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, come sostituito dall'art. 12 comma 1 lett. h) della legge 30 luglio 2002, n. 189, anche nella misura piu' ridotta comunque non puo' in ogni caso essere inferiore al quinquennio (nel caso in questione la durata non e' stata ridotta e pertanto il divieto di reingresso viene ad operare per un decennio che costituisce quasi l'intero arco della minore eta' del figlio). Una conseguenza tanto radicale sembra al Tribunale che si ponga in contrasto in primo luogo con l'art. 10 comma secondo della Costituzione, secondo cui «La condizione giuridica dello straniero e' regolata dalla legge in conformita' delle norme e dei trattati internazionali» in quanto confliggente con gli obblighi derivanti all'Italia dall'adesione alla Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176, che prevede all'art. 9 che la separazione del fanciullo dai propri genitori possa avvenire solo se le autorita' competenti ritengono che questa decisione sia «necessaria nell'interesse preminente del fanciullo» (comma primo) ed in tale eventualita' «tutte le parti interessate devono avere la possibilita' di partecipare alle deliberazioni e far conoscere le loro opinioni» (comma secondo). E' pur vero che la stessa disposizione contempla al comma quarto l'ipotesi in cui la separazione sia «il risultato di provvedimenti adottati da uno stato parte», tra questi facendo espressa menzione anche del provvedimento di espulsione, ma anche in questo caso resta fermo l'obbligo dello Stato parte di comunicare almeno «le informazioni essenziali concernenti il luogo ove si trova il familiare». Proprio questo obbligo verrebbe pero' ad essere violato quando, in conseguenza dell'espulsione, l'allontanamento del genitore dal figlio, per un periodo certamente non transitorio, venisse a configurare una condizione che necessariamente prelude alla declaratoria di abbandono prima ed alla sentenza di adozione poi, da cui consegue per legge l'interruzione di ogni rapporto tra il figlio ed il genitore (art. 27 comma terzo della legge 4 maggio 1983, n. 184), quindi anche il divieto per lo Stato parte di fornire al genitore le informazioni sul figlio, quanto meno successivamente alla pronuncia di cui all'art. 25 della legge 4 maggio 1983, n. 184. Per altro lo stesso diritto di mantenere la relazione tra il figlio ed il genitore ha trovato riconoscimento all'art. 24 n. 3 della Carta dei diritti fondamentali proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, atto che secondo la giurisprudenza costituzionale pur formalmente privo tuttora di efficacia giuridica, costituisce comunque un riferimento «per il suo carattere espressivo di principi comuni degli ordinamenti europei» (Corte cost., sentenza del 23 novembre 2006, n. 393 p. 6.2.); infatti la disposizione richiamata afferma che «ogni bambino ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora cio' sia contrario al suo interesse». Per ragioni almeno in parte diverse, ad avviso del Tribunale si configurano motivi di contrasto con il comma primo dell'art. 117 costituzione, secondo l'interpretazione della Corte costituzionale espressa nella sentenza 22 ottobre 2007, n. 349, in specie al p.6.2., con riferimento all'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata dal Presidente della Repubblica italiana in forza dell'autorizzazione conferitagli dalla legge 4 agosto 1955, n. 484. L'esame infatti della giurisprudenza convenzionale sul punto pone in luce, ad avviso del Tribunale, un duplice profilo di non conformita' della disposizione impugnata con il principio espresso dall'art. 8 della C.E.D.U.: la mancanza di un criterio di pertinenza tra il provvedimento espulsivo e l'incidenza di questo sul «diritto al rispetto della sua vita privata e familiare» e, sotto il profilo piu' propriamente processuale, la violazione del diritto del genitore a partecipare personalmente ai procedimenti giudiziali che incidono su questo diritto. Quanto al primo profilo, la Corte Edu ha affermato che, nel caso di divieto di custodia e di accesso imposto ad un genitore nei confronti del figlio, per decidere se il divieto sia «necessario in una societa' democratica» si debba valutare «se alla luce del caso nel suo insieme, le ragioni addotte per giustificare questa misura sono pertinenti ed adeguate» alla stregua di quanto disposto dall'art. 8 paragrafo 2 della C.E.D.U. (sez. III, sentenza del 26 febbraio 2004, Gorgulu contro Germania, § 41). Ha anche precisato che qualsiasi provvedimento che comporti la decadenza della potesta' genitoriale e la separazione del minore da genitore deve essere oggetto di continua vigilanza da parte dell'autorita' giudiziarie per evitare che l'interruzione della convivenza o addirittura dei rapporti si traduca in una violazione dell'interesse stesso del minore (sez. I, sentenza del 13 luglio 2000, Giunta e Scozzari c. Italia, § 169 ss.). Quanto invece al secondo, con riferimento quindi ai diritti processuali riconosciuti alle parti in questo tipo di procedimenti, la Corte ha affermato che, anche se l'art. 8 non contiene disposizioni esplicite al riguardo, comunque i servizi pubblici debbono coinvolgere i genitori naturali e tener conto delle loro opinioni ed in particolare ha precisato che «i genitori, di regola, hanno il diritto di essere ascoltati e di essere pienamente informati» sulle decisioni riguardanti i figli (sez. I, sentenza del 17 luglio 2008, X c. Croazia, § 48 e 49). Alla luce dei principi richiamati, la normativa nazionale, presenta profili di dubbia conformita' con l'art. 8 C.E.D.U., come interpretato dalla giurisprudenza della Corte Edu, sia perche' l'espulsione determina la separazione del genitore dal figlio senza che il provvedimento amministrativo di espulsione abbia pertinenza alcuna con la relazione personale che lega il genitore al figlio, sia perche' l'allontanamento del genitore dal territorio nazionale, impedendogli definitivamente la partecipazione al procedimento, viola il suo diritto di essere ascoltato ed informato, non altrimenti surrogabile dall'attivita' difensiva svolta dal procuratore eventualmente da questi nominato. Infatti in questo tipo di procedimenti la partecipazione personale del genitore non solo rende, come di regola, piu' efficace ed agevole l'espletamento dell'attivita' difensiva da parte del procuratore nominato, ma costituisce il contenuto privilegiato dello stesso procedimento giudiziale che e' esclusivamente incentrato sull'evoluzione della relazione tra il genitore ed il figlio, tenuto conto del criterio generale per cui in questi procedimenti assumono rilevanza anche i mutamenti ed i fatti nuovi intervenuti in corso di giudizio. Ne consegue che l'allontanamento del genitore dal territorio nazionale non solo rende piu' gravoso ed incerto l'esercizio del mandato difensivo, ma predetermina necessariamente lo stesso esito del giudizio. Di questa peculiarita' si dimostra consapevole la giurisprudenza della Corte Edu menzionata laddove attribuisce rilievo decisivo alla personale partecipazione al procedimento del genitore. Queste le ragioni per cui la separazione dal figlio conseguente all'espulsione del genitore presenta ad avviso del Tribunale profili di contrasto con l'art. 117 comma primo costituzione in relazione all'art. 8 della C.E.D.U. Non sembra al Tribunale che altri rimedi consenta l'ordinamento per ovviare al contrasto con i precetti costituzionali richiamati che l'alternativa decisionale indicata in precedenza profila e che quindi la soluzione indicata con la pronuncia additiva della Corte rappresenti l'esito necessario per porre soluzione al contrasto. In particolare non risulta diversamente risolvibile la questione facendo ricorso al comma terzo dell'art. 31 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 che consente ad Tribunale minorile di autorizzare la permanenza o il reingresso del familiare del minore; pur ritenendo infatti che «la deroga alle altre disposizioni della presente legge» possa ritenersi operante anche nei confronti del divieto di reingresso di cui al comma 14 dell'art. 13 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, restano comunque da considerare diversi profili che evidenziano l'inefficacia del rimedio: prima di tutto il provvedimento in questione comunque presuppone un'iniziativa di parte che potrebbe non sussistere senza che questo comportamento possa essere interpretato come implicita rinuncia all'esercizio della potesta' genitoriale, in secondo luogo, anche in presenza di istanza del genitore espulso, non sempre necessariamente ricorre il presupposto della sussistenza per il minore dei «gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico», infine l'autorizzazione al reingresso comunque non escluderebbe la cesura gia' avvenuta con l'espulsione nel rapporto tra il genitore ed il figlio ne' assicurerebbe il reingresso che potrebbe essere impedito da ragioni affatto diverse, in primis economiche. Ad avviso del Tribunale solo una decisione che consenta di estendere all'ipotesi descritta la necessaria richiesta di nulla osta all'autorita' giudiziaria e' in grado di assicurare la compatibilita' tra l'attuazione della misura espulsiva del genitore ed il rispetto dei principi costituzionali richiamati posti a tutela del minore. Del resto dell'esigenza di assicurare compatibilita' tra i contrastanti valori in gioco si e' dimostrato consapevole anche il legislatore che, a seguito dell'introduzione all'art. 13 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 del comma 2-bis operata con l'art. 2 comma primo lett. c) n. 1 del d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 5, in attuazione delle direttiva 2003/86/CE relativa al diritto al ricongiungimento familiare, ha escluso ogni automatismo tra la condizione di irregolarita' dello straniero e l'emissione del provvedimento di espulsione quando questi abbia esercitato il diritto al ricongiungimento familiare o sia egli stesso familiare ricongiunto, richiedendo in questi casi che l'autorita' amministrativa competente tenga conto anche «della natura e della effettivita' dei vincoli familiari dell'interessato, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale, nonche' dell'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il paese di origine». Se questi criteri debbono guidare, in una valutazione necessariamente discrezionale, l'amministrazione competente al momento di valutare l'opportunita' di emettere provvedimento espulsivo, interrompendo quindi l'automatismo tra condizione di irregolarita' e provvedimento espulsivo, appare ragionevole ritenere che il potere di effettuare una stessa valutazione discrezionale debba essere attribuito all'autorita' giudiziaria minorile nel momento attuativo del provvedimento ogni volta che occorra contemperare appunto l'efficacia dell'ordine di espulsione con l'esistenza di legami familiari in ordine ai quali sia in precedenza intervenuta pronuncia dell'autorita' giudiziaria. Infine, la questione indicata riveste ad avviso del Tribunale anche rilevanza decisiva nel giudizio in corso, certamente prima che l'espulsione fosse eseguita, risultando se fondata idonea a sospenderla, non di meno anche dopo l'esecuzione dell'espulsione stessa, dal momento che quando la Corte non ritenesse fondati i dubbi di legittimita' prospettati, altra soluzione non potrebbe adottare il Tribunale che l'apertura di procedimento ai sensi dell'art. 8 della legge 4 maggio 1983, n. 184, dovendo a quel punto configurarsi il provvedimento espulsivo come causa di forza maggiore certamente non transitoria tenendo conto appunto della durata decennale del divieto di reingresso.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del comma terzo dell'art. 13 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 per contrasto con gli artt. 2, 10 comma secondo, 30 comma secondo e 117 comma primo della Costituzione, nella parte in cui non prevede che, prima di eseguire l'espulsione, l'autorita' procedente debba richiedere il nulla osta al Tribunale per i minorenni quando destinatario del provvedimento espulsivo sia il genitore di un minore nei confronti del quale il Tribunale ha emesso provvedimento incidente sulla potesta' ai sensi degli artt. 333 e 330 c.c.; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso; Ordina che a cura della cancelleria l'ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sia notificata al P.M., unica parte processuale non essendo ritualmente costituiti in giudizio i genitori, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri; Ordina a cura della cancelleria la comunicazione dell'ordinanza anche ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Roma, il 18 settembre 2009 Il presidente: Rivellese Il giudice estensore: Cottatellucci