N. 174 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 aprile 2009
Ordinanza del 28 aprile 2009 emessa dal g.i.p. del Tribunale di Perugia nel procedimento penale a carico di M. S. R.. Reati e pene - Circostanze attenuanti generiche - Recidiva reiterata ex art. 99, quarto comma, cod. pen., in relazione a taluno dei delitti di cui all'art. 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen., puniti con una pena non inferiore nel minimo a cinque anni - Inapplicabilita' dei criteri di cui all'art. 133, secondo comma, cod. pen., in particolare del comportamento susseguente al reato - Irrazionalita' - Violazione del principio della finalita' rieducativa della pena. - Codice penale, art. 62-bis, secondo comma, sostituito dall'art. 1 della legge 5 dicembre 2005, n. 251. - Costituzione, artt. 3 e 27, comma terzo.(GU n.24 del 16-6-2010 )
IL TRIBUNALE Letti gli atti del procedimento a carico di M. S. R. nato il 7 novembre 19, attualmente dimorante in A. S. S. via delle P. nei confronti del quale il p.m. ha chiesto il rinvio a giudizio in relazione ai reati di: omicidio premeditato ex artt. 575, 577 c.p., in danno di C. S., commesso in concorso con C. P. e R. M. (nelle more deceduto) in P. il 28 settembre 2007; soppressione di cadavere ex artt. 61 n. 2, 411 c.p., in concorso con C. P. e R. M. in P. e G. tra il 28 e il 30 settembre 2007; detenzione e porto illegale di pistola cal. 357 ex artt. 2 e 4 legge n. 895/1967, commesso in concorso con C. e R. in P. il 28 settembre 2007; rapina aggravata ex artt. 628, terzo comma n. 1 c.p., in concorso con C., R. e C. S. in P. l'11 agosto 2007; detenzione e porto di pistola cal. 7,65 in concorso con C., R. e C.S., . in P., l'11 agosto 2007; rapina aggravata ex art. 628, comma 3 n. 1 c.p., in concorso con C. e R. , in M. il 18 ottobre 2007; incendio doloso ex art. 423 c.p. in concorso con C. e R n. P. l'11 ottobre 2007; tentato incendio doloso ex artt. 56, 423 c.p. in concorso con C. e R . in C. il 25 ottobre 2007; contraffazione di documenti, ex artt. 477, 482 c.p., in concorso con terzi, in P. tra il dicembre 2007 e il gennaio 2008; costituzione di associazione per delinquere armata, ex art. 416, quarto comma c.p., in concorso con C., R., C., B., G.C. e L. in P., e provincia e in altre localita' del territorio nazionale fino al 10 aprile 2008; detenzione e porto di armi comuni da sparo ex artt. 2 e 4, legge n. 895/1967 in concorso con C., R., C., B., G., C., L., in P. e altri luoghi del territorio nazionale fino al 10 aprile 2008; detenzione e porto di armi con canna tagliata e matricola abrasa, ex articoli 2 e 23 legge n. 110/1975 in concorso con C., R., C., B. G., L. in P., e altri luoghi del territorio nazionale fino al 10 aprile 2008; ricettazione di armi con matricola abrasa, ex art. 648 c.p., in concorso con C., R., C., B., G., C., L., in P. e altri luoghi del territorio nazionale data da accertare; atteso che il p.m. ha parimenti chiesto il rinvio a giudizio dei citati C., R., B. e C. rilevato che la posizione di R., M., attesone il sopravvenuto decesso, e' stata separata; considerato che contro gli imputati M. e C. in relazione ai delitti di incendio e tentato incendio doloso si sono costituiti parte civile Mazzasette Alberto, quale legale rappresentante di G. S.r.l., e M. P., quale legale rappresentante di A. C. O.; atteso che tutti gli imputati hanno chiesto nel corso dell'udienza preliminare del 2 aprile 2009 la definizione del processo con giudizio abbreviato, solo quanto al C. condizionato all'escussione di un teste; rilevato che i predetti sono stati ammessi al rito richiesto e che all'udienza del 24 aprile 2009, sentito il teste, le parti hanno discusso oralmente sulla base degli atti acquisiti; considerato che in data odierna, in sede di repliche, il P. M. ha chiesto che sia sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 62-bis secondo comma c.p., per contrasto con gli artt. 27 e 3 Cost; rilevato in effetti che in sede di conclusioni il p.m. ha chiesto irrogarsi a M. la pena di anni 16 di reclusione, previa concessione delle attenuanti generiche (equivalenti, come precisato in sede di repliche) e applicazione della riduzione ex art. 442 c.p.p., ritenendo l'attenuazione di pena giustificata dall'eccezionale collaborazione fornita in sede di indagini da M. il quale, dopo aver ammesso gli addebiti, ha reso dichiarazioni decisive per far luce sull'attivita' criminosa addebitabile ad un ulteriore gruppo di soggetti, poi raggiunti da ordinanza applicativa di misura cautelare; considerato tuttavia che allo stato le invocate attenuanti risultano non concedibili, in quanto il M. recidivo reiterato, deve fra l'altro rispondere del delitto di cui agli articoli 575, 577 c.p., che rientra tra quelli di cui all'art. 407, comma 2, lettera a) c.p.p., puniti con pena non inferiore nel minimo ad anni cinque, per i quali le attenuanti generiche possono essere fondate solo sui parametri di cui all'art. 133, primo comma nn. 1) e 2) c.p. e non invece sui parametri di cui al secondo comma dell'art. 133 c.p., comprendente anche il comportamento susseguente al reato, nozione in cui puo' farsi rientrare (ove non specificamente prevista come causa di attenuazione di pena) anche la collaborazione prestata in fase di indagini; ritenuto che il riformulato art. 62-bis, secondo comma c.p. sembra porsi in contrasto con gli articoli 3 e 27 Cost. e che dunque, previa separazione della posizione del M., come da autonoma ordinanza, deve essere sollevata questione di legittimita' costituzionale di detta norma, O s s e r v a 1 - Il legislatore dispone di ampia discrezionalita' nella configurazione dei reati e delle circostanze aggravanti o attenuanti e nella previsione dei limiti edittali, mentre il giudice deve a sua volta procedere alla determinazione della pena da irrogare in concreto entro i limiti stabiliti e nell'esercizio della sfera di discrezionalita' riservatagli. Ma tanto il legislatore quanto il giudice non possono prescindere dalla considerazione delle finalita' della pena, in primis dalla necessaria destinazione della sanzione penale alla rieducazione del condannato. Ed invero, a coronamento di una lenta evoluzione interpretativa, la Corte costituzionale ha rilevato nelle sentenza n. 313/1990 che, se la pena non puo' non avere un contenuto afflittivo e se ad essa ineriscono caratteri di difesa sociale e di prevenzione generale, tuttavia non puo' in alcun modo pregiudicarsi la finalita' rieducativa espressamente consacrata dall'art. 27, terzo comma Cost., non essendo consentito strumentalizzare l'individuo per fini generali di politica criminale o privilegiare la soddisfazione di bisogni collettivi di stabilita' e sicurezza. Secondo la Corte costituzionale in pratica la finalita' rieducativa non e' estranea alla legittimazione e alla funzione della pena. La circostanza che, secondo il tenore della norma costituzionale, la pena debba tendere alla rieducazione sta ad indicare una qualita' essenziale di essa nel suo contenuto ontologico, a partire dalla fase della previsione fino a quella della sua estinzione, dovendosi correlare al verbo «tendere» la concreta possibilita' di una divaricazione tra la finalita' e l'adesione ad essa del soggetto da rieducare. In pratica, tutto cio' implica che la finalita' rieducativa rilevi non solo nella fase dell'esecuzione, come affermato in precedenti e anche remote sentenze della Corte costituzionale (si consideri ad es. la sentenza n. 12/1966), ma piu' in generale, in quanto connaturata alla pena, in ogni fase, compresa quella della previsione e della sua irrogazione, dovendosi ritenere che il precetto dell'art. 27, terzo comma Cost. vincoli sia il legislatore sia il giudice della cognizione, prima che il giudice della sorveglianza. Del resto sul piano della disciplina positiva si era concretamente stabilito che la finalita' risocializzante dovesse essere tenuta presente dal giudice gia' in sede di sostituzione della pena detentiva agli effetti degli articoli 53 e segg. legge n. 689/1981, segno evidente di una diretta influenza, per cosi' dire ontologica, della rieducazione e della risocializzazione. 2. - Va a questo punto aggiunto che, pronunciandosi sulla diversa questione della legittimita' costituzionale di pene fisse, la Corte costituzionale ha piu' volte rilevato (cfr. sentenze n. 50/1980 e 299/1992) che l'individualizzazione della pena, in modo da tenere conto dell'effettiva entita' e delle specifiche esigenze dei singoli casi, si pone come naturale attuazione e sviluppo dei principi costituzionali tanto di ordine generale (principio di uguaglianza) quanto attinenti direttamente alla materia penale, tanto piu' che lo stesso principio di legalita' della pena ex art. 25, secondo comma Cost. si inserisce in un sistema, in cui si esige la differenziazione piu' che l'uniformita'. In tale quadro, si e' osservato che ha un ruolo centrale la discrezionalita' giudiziale, nell'ambito dei criteri segnati dalla legge. L'adeguamento della pena ai casi concreti contribuisce cosi', secondo la Corte costituzionale, a rendere il piu' possibile personale la responsabilita' penale, in ossequio a quanto previsto dall'art. 27, primo comma Cost., e ad assicurare una pena quanto piu' possibile finalizzata, nella prospettiva dell'art. 27, terzo comma Cost. Il soddisfacimento di tali presupposti e di tali finalita' costituisce anche uno strumento per l'attuazione dell'uguaglianza di fronte alla pena, intesa come proporzione della pena rispetto alle personali responsabilita' e alle esigenze di risposta che ne conseguono. La sentenza n. 299/1992 aggiunge anche che l'individuazione del disvalore oggettivo dei fatti-reato tipici e quindi del loro diverso grado di offensivita' spetta al legislatore, competendo al giudice di valutare la particolarita' del caso singolo onde individualizzare la pena, stabilendo quella adeguata al caso concreto nella cornice posta dai limiti edittali. 3. - Orbene, lo strumento tradizionalmente piu' duttile, al fine di consentire al giudice di adeguare la pena alle peculiarita' del caso concreto, al di la' della determinazione del trattamento sanzionatorio entro i limiti edittali, e' rappresentato dalla possibilita' di concedere all'imputato le attenuanti generiche di cui all'art. 62-bis c.p., come introdotto dall'art. 2, d.lgs. n. 288/1944. E' infatti previsto che il giudice possa prendere in considerazione circostanze diverse da quelle tipizzate, qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena. A tal fine si afferma che debba aversi riguardo in linea di massima ai parametri indicati dall'art. 133 c.p., anche se si registra un contrasto tra pronunce che richiedono la valutazione comparativa del parametro prescelto con gli altri contemplati dalla norma e l'indicazione della ragione giustificativa della ravvisata prevalenza (Cass. VI, 4 febbraio 2003, Mariani) e pronunce che invece ritengono sufficiente l'indicazione del parametro reputato prevalente (Cass. I, 6 ottobre 1995, Biondo e Cass. II, 16 gennaio 1996, Romeo). Sta di fatto che l'art. 133 c.p. delimita l'ambito della discrezionalita' del giudice, ancorandola alla valutazione della gravita' del reato e della capacita' a delinquere del reo, l'una e l'altra desumibili dalla valutazione sintetica dei parametri all'uopo individuati. Ed allora si comprende che la concessione o meno delle attenuanti generiche debba basarsi su una globale valutazione della gravita' del fatto e della capacita' a delinquere (Cass. I, 3 febbraio 2006, Cariolo), se del caso lumeggiata da un elemento che in concreto assume carattere prevalente, sia pur ai fini del diniego della concessione (Cass. VI, 24 settembre 2008, Caridi). 4. - In tale quadro generale si colloca la previsione dettata dal secondo comma dell'art. 62-bis c.p., come riformulato dall'art. 1, legge 5 dicembre 2005, n. 251. E' infatti stabilito che ai fini dell'applicazione della diminuzione di pena contemplata dal primo comma non si tiene conto dei criteri di cui all'art. 133, primo comma, n. 3) e di quelli di cui al secondo comma, nei casi previsti dall'art. 99, quarto comma, in relazione ai delitti di cui all'art. 407, comma 2, lettera a) c.p.p., ove puniti con pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni. In pratica, ricorrendo l'ipotesi della recidiva reiterata in relazione a taluno dei delitti sopra menzionati, si introduce una sorta di presunzione di preponderanza del parametro negativo costituito dai precedenti dell'imputato, che puo' essere vinta solo dal riferimento alla natura, alla specie, ai mezzi, all'oggetto, al tempo, al luogo e ad ogni altra modalita' dell'azione (art. 133, primo comma, n. 1) o dal riferimento alla gravita' del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato (art. 133, primo comma, n. 2). Se nonche' una siffatta disciplina tradisce la ratio complessiva della norma dettata dall'art. 62-bis, primo comma, c.p. e soprattutto tradisce il senso del riferimento all'art. 133 c.p., che implica una discrezionale valutazione dei parametri delineati, in modo da adeguare al caso concreto il giudizio sulla gravita' del reato e sulla capacita' a delinquere del reo. A ben guardare la rigida preclusione introdotta espropria il giudice del potere di valutare adeguatamente le peculiarita' del caso concreto e pervenire cosi' alla definizione del trattamento sanzionatorio piu' conforme alle esigenze di risocializzazione e di rieducazione del reo (il che, come nel caso di specie, finisce per dare luogo alla predeterminazione della pena ex lege, in assenza di altre ragioni di attenuazione). Tutto cio' assume particolare rilievo quando, a fronte del disvalore astrattamente riveniente dal parametro costituito dai precedenti penali dell'imputato, come tale incidente sulla capacita' a delinquere del reo, possano individuarsi altri parametri rilevanti ai fini del medesimo giudizio sulla capacita' a delinquere, che risultino in concreto idonei a contrastare la valenza negativa di quei precedenti: e' il caso dell'imputato che abbia tenuto una condotta susseguente al reato particolarmente significativa, tale da far presumere che egli abbia intrapreso un percorso di rivisitazione della condotta anteatta e da far apparire poco significativo il dato personologico sotteso alle precedenti condanne. La presunzione, basata solo su esigenze di difesa sociale, risulta cosi' in contrasto con la precisa direttiva riveniente dall'art. 27, terzo comma Cost., giacche' irrigidisce il trattamento sanzionatorio, fino ad allontanarlo dal concreto perseguimento delle esigenze di risocializzazione e di rieducazione, che postulano (non solo l'esecuzione, ma anche) l'irrogazione di una pena adeguata al loro soddisfacimento. In altre parole sembra incongruo privilegiare in astratto solo uno dei parametri valutativi della capacita' a delinquere, disconoscendo a priori la possibilita' di individuare parametri ugualmente o maggiormente idonei a lumeggiare quella capacita' ed a fondare una diminuzione di pena, in termini conformi al dettato costituzionale. 5. - L'assunto appare tanto piu' fondato se confrontato con l'irrazionalita' della scelta operata dal legislatore di attribuire rilievo alla recidiva reiterata solo nel caso dei reati di cui all'art. 407, comma 2, lettera a) c.p.p. per i quali sia prevista una pena non inferiore nel minimo a cinque anni. In realta' il significato personologico di un elemento di valutazione non puo' essere diverso a seconda del tipo di delitti e men che mai a seconda del minimo della pena edittale per essi prevista. Fra l'altro si registra la non corrispondenza tra la previsione dettata dall'art. 99, comma 5 c.p., che stabilisce l'obbligatorieta' dell'applicazione della recidiva nel caso di reati di cui all'art. 407 comma 2, lettera a) c.p.p., e quella dettata dall'art. 62-bis secondo comma c.p., che invece aggiunge l'ulteriore parametro della pena non inferiore al minimo. La disciplina disvela in realta' il preponderante rilievo attribuito alle ragioni di difesa sociale e di prevenzione generale, chiaramente espresse attraverso il riferimento a quei parametri aggiuntivi, ma risulta in concreto irrazionale. In primo luogo si determina un'incongrua commistione tra parametri personologici e profili afferenti alla gravita' del fatto, attribuendosi rilievo decisivo ai primi in quanto associati ai secondi, sulla base di valutazioni predeterminate e astratte, senza considerare che il profilo afferente alla personalita' del reo non puo' che concorrere alla formulazione di un giudizio sintentico sulla concreta capacita' a delinquere, solo all'interno di tale valutazione potendo trovare l'eventuale contemperamento. In secondo luogo si finisce per prevedere un trattamento ingiustificatamente diverso di situazioni che rispetto alla concessione delle attenuanti generiche e alla rilevanza della recidiva reiterata sono in realta' identiche (si pensi a reati parimenti compresi tra quelli di cui all'art. 407, comma 2, lettera a) c.p.p. e con pena identica nel massimo ma non nel minimo, come l'estorsione aggravata e la rapina aggravata, rispetto ai quali l'art. 62-bis secondo comma c.p. finisce per incidere in modo del tutto diverso, o a reati pur rilevanti, come l'estorsione non aggravata, che hanno una pena non inferiore nel minimo a cinque anni, per i quali tuttavia la recidiva reiterata non osta in alcun modo alla possibilita' di individuare i presupposti per la concessione delle attenuanti generiche sulla base di taluno degli altri parametri di cui all'art. 133, secondo comma c.p.). In altre parole la preclusione alla concessione delle attenuanti generiche viene fatta discendere da una circostanza inerente alla persona del colpevole associata ad un coacervo disomogeneo di titoli di reati, delineati dall'art. 407, comma 2, lettera a) c.p.p., ulteriormente qualificato dal minimo della pena edittale, peraltro non sempre indicativo neppure della gravita' del reato (la rapina aggravata con pena massima di anni venti infatti finisce per essere trattata come l'estorsione non aggravata con pena massima di anni dieci, senza alcuna razionalita' delle scelte neppure in termini di prevenzione generale). Correlativamente si produce l'anomalo effetto di condurre all'irrogazione di pene identiche in presenza di situazioni che possono considerarsi assolutamente diverse: vale il caso di specie, in cui al deceduto R. M., parimenti recidivo reiterato e fino all'ultimo irriducibile, sarebbe dovuta se del caso applicarsi la medesima pena che, sulla base della vigente disciplina, dovrebbe irrogarsi al collaborante M. Ad abundantiam si puo' osservare come si allarghi a dismisura e, a quanto pare, ingiustificatamente la distanza tra il regime di favore dettato da norme speciali, quale ad esempio quella di cui all'art. 8, legge n. 203/1991, e la disciplina ordinaria, valida per i reati che non riguardino la criminalita' mafiosa: nel primo caso non vi sono preclusioni di sorta pur a fronte di una storia criminale cospicua, mentre nel secondo, in presenza delle altre condizioni lumeggiate (che peraltro sono spesso ricorrenti nei contesti criminali), neppure una efficace o addirittura eccezionale collaborazione potrebbe trovare il riscontro di una circostanza attenuante, pregiudicando, si badi, anche l'attivita' di accertamento e repressione dei reati, che non potrebbe piu' trovare il favorevole abbrivio di collaborazioni meritevoli di un qualche riconoscimento premiale. 6. - L'analisi che precede consente dunque di affermare che non e' manifestamente infondata per contrasto con gli articoli 27, terzo comma e 3 Cost. la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 62-bis secondo comma c.p., come riformulato dall'art. 1, legge 5 dicembre 2005, n. 251, nella parte in cui nel caso di cui all'art. 99, 4 comma c.p. in relazione ai delitti di cui all'art. 407, comma 2, lettera a) c.p.p., per i quali sia prevista una pena non inferiore nel minimo a cinque anni, non consente di desumere la possibilita' di concedere le attenuanti generiche anche dai parametri di cui all'art. 133, secondo comma c.p., in particolare dal comportamento del reo susseguente al reato. 7. - Siffatta questione nel caso di specie e' rilevante, in quanto si e' gia' visto come, su richiesta del p. m., debba entrarsi nel merito dell'applicabilita' all'imputato M. delle attenuanti generiche sulla base di un comportamento susseguente al reato (e' invece in questa sede irrilevante la diversa questione della preclusione ex art. 69/quarto comma c.p. del giudizio di prevalenza, a fronte della qualita' di recidivo reiterato). Ed invero risulta che l'imputato non solo ha ammesso gli addebiti e comunque quelli principali, costituiti dall'imputazione di omicidio e occultamento del cadavere, ma soprattutto ha nel corso delle indagini tenuto una condotta largamente collaborativa (definita dal p.m. in udienza di eccezionale rilievo), che ha consentito di emettere nei confronti di numerosi altri soggetti e per gravi reati un'ordinanza applicativa di custodia cautelare, essenzialmente fondata sulle dichiarazioni del prevenuto (all'uopo e' stata prodotta l'ordinanza richiamata, dalla quale si evince la qualita' del contributo fornito). L'imputato ha in tal modo palesato un contegno di inequivoca discontinuita' con il suo passato e di rivisitazione della travagliata condotta anteatta. Va in effetti osservato che il Mrisulta condannato per plurimi e gravi reati, peraltro commessi tutti in epoca assai remota. Tra detti reati figura anche quello di omicidio, ma in quel caso gli e' stata riconosciuta l'attenuante della minima partecipazione. D'altro canto il M. ha fruito in passato dell'attenuante della collaborazione di cui all'art. 8, legge n. 203/1991, essendo stato sottoposto anche alla speciale protezione riservata ai collaboratori di giustizia. Scaduti i termini del relativo contratto, il M. e' ricaduto nel crimine, riportando una modesta condanna per fatti legati alla prostituzione e rendendosi l'artefice della creazione di un sodalizio, ruotante intorno ad un locale notturno da lui gestito e finalizzato soprattutto alla commissione di reati contro il patrimonio, all'interno del quale e' maturata l'ideazione e l'esecuzione dell'omicidio di C. S. per cui e' causa. Sta di fatto che l'elemento sopravvenuto, rappresentato dalla prestata efficace collaborazione, al pari dei precedenti penali - ma piu' di essi - si proietta verso il futuro e dunque verso la definizione di un trattamento sanzionatorio corrispondente alle concrete e attuali esigenze di rieducazione e puo' dunque considerarsi meritevole di considerazione quale comportamento susseguente al reato, idoneo a giustificare un'attenuazione di pena ai sensi dell'art. 62-bis, primo comma c.p., nel quadro di una globale valutazione degli indici di cui all'art. 133, secondo comma c.p. Poiche' l'imputato e' recidivo reiterato e deve fra l'altro rispondere del delitto di omicidio aggravato dalla premeditazione, rientrante tra quelli evocati dall'art. 62-bis, secondo comma c.p., tale elemento non potrebbe essere preso in considerazione (non ricorrendo nella specie elementi tali da far apparire rilevanti i parametri di cui all'art. 133, primo comma, n. 1 e 2 c.p.). Di qui la necessita' di sollevare la questione di legittimita' costituzionale nei termini suesposti.
P. Q. M. Visto l'art. 23, legge n. 87/1953; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata per contrasto con gli articoli 3 e 27, terzo comma Cost. la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 62-bis, secondo comma c.p., come riformulato dall'art. 1, legge 5 dicembre 2005, n. 251, nella parte in cui, nel caso di recidivo reiterato ex art. 99, quarto comma c.p., chiamato a rispondere di taluno dei delitti di cui all'art. 407, comma 2, lettera a) c.p.p., per il quale sia prevista una pena non inferiore nel minimo a cinque anni, non consente di fondare sui parametri di cui al secondo comma dell'art. 133 c.p., in particolare sul comportamento susseguente al reato, la concessione dell'attenuante di cui all'art. 62-bis, primo comma c.p. Sospende il processo e ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Dispone che l'ordinanza, di cui e' data lettura in udienza al p.m. e al difensore dell'imputato, nonche' alle parti civili, rappresentate dai difensori, sia notificata all'imputato assente. Dispone inoltre che l'ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti della Camera e del Senato della Repubblica. Perugia, 28 aprile 2009 Il giudice: Ricciarelli