N. 174 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 aprile 2009

Ordinanza del 28 aprile 2009  emessa  dal  g.i.p.  del  Tribunale  di
Perugia nel procedimento penale a carico di M. S. R.. 
 
Reati e pene - Circostanze attenuanti generiche - Recidiva  reiterata
  ex art. 99, quarto comma, cod. pen.,  in  relazione  a  taluno  dei
  delitti di cui all'art. 407, comma 2, lett. a),  cod.  proc.  pen.,
  puniti con una pena non  inferiore  nel  minimo  a  cinque  anni  -
  Inapplicabilita' dei criteri di cui all'art.  133,  secondo  comma,
  cod. pen., in particolare del comportamento susseguente al reato  -
  Irrazionalita'  -  Violazione   del   principio   della   finalita'
  rieducativa della pena. 
- Codice penale, art. 62-bis, secondo comma, sostituito  dall'art.  1
  della legge 5 dicembre 2005, n. 251. 
- Costituzione, artt. 3 e 27, comma terzo. 
(GU n.24 del 16-6-2010 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Letti gli atti del procedimento a carico di M. S.  R.  nato il  7
novembre 19, attualmente dimorante in A.  S.  S.  via  delle  P.  nei
confronti del quale il p.m.  ha  chiesto  il  rinvio  a  giudizio  in
relazione ai reati di: 
    omicidio premeditato ex artt. 575, 577 c.p., in danno di  C.  S.,
commesso in concorso con C. P. e R. M. (nelle more deceduto) in P. il
28 settembre 2007; 
    soppressione di cadavere ex artt. 61 n. 2, 411 c.p., in  concorso
con C. P. e R. M. in P. e G. tra il 28 e il 30 settembre 2007; 
    detenzione e porto illegale di pistola cal. 357 ex artt.  2  e  4
legge n. 895/1967, commesso in concorso con C.  e  R.  in  P.  il  28
settembre 2007; 
    rapina aggravata ex artt. 628, terzo comma n. 1 c.p., in concorso
con C., R. e C. S. in P. l'11 agosto 2007; 
    detenzione e porto di pistola cal. 7,65 in concorso con C., R.  e
C.S., . in P., l'11 agosto 2007; 
    rapina aggravata ex art. 628, comma 3 n. 1 c.p., in concorso  con
C. e R. , in M. il 18 ottobre 2007; 
    incendio doloso ex art. 423 c.p. in concorso con C.  e  R  n.  P.
l'11 ottobre 2007; 
    tentato incendio doloso ex artt. 56, 423 c.p. in concorso con  C.
e R . in C. il 25 ottobre 2007; 
    contraffazione di documenti, ex artt. 477, 482 c.p., in  concorso
con terzi, in P. tra il dicembre 2007 e il gennaio 2008; 
    costituzione di associazione per delinquere armata, ex art.  416,
quarto comma c.p., in concorso con C., R., C., B., G.C. e L. in P., e
provincia e in altre localita' del territorio nazionale  fino  al  10
aprile 2008; 
    detenzione e porto di armi comuni da sparo ex artt. 2 e 4,  legge
n. 895/1967 in concorso con C., R., C., B., G., C., L., in P. e altri
luoghi del territorio nazionale fino al 10 aprile 2008; 
    detenzione e porto di armi con canna tagliata e matricola abrasa,
ex articoli 2 e 23 legge n. 110/1975 in concorso con C., R.,  C.,  B.
G., L. in P., e altri luoghi del  territorio  nazionale  fino  al  10
aprile 2008; 
    ricettazione di armi con matricola abrasa, ex art. 648  c.p.,  in
concorso con C., R., C., B., G., C., L., in P.  e  altri  luoghi  del
territorio nazionale data da accertare; 
    atteso che il p.m. ha parimenti chiesto il rinvio a giudizio  dei
citati C., R., B. e C. 
    rilevato che la posizione di R.,  M.,  attesone  il  sopravvenuto
decesso, e' stata separata; 
    considerato che contro gli imputati  M.  e  C.  in  relazione  ai
delitti di incendio e tentato  incendio  doloso  si  sono  costituiti
parte civile Mazzasette Alberto, quale legale  rappresentante  di  G.
S.r.l., e M. P., quale legale rappresentante di A. C. O.; 
    atteso  che  tutti  gli  imputati   hanno   chiesto   nel   corso
dell'udienza  preliminare  del  2  aprile  2009  la  definizione  del
processo con giudizio abbreviato,  solo  quanto  al  C.  condizionato
all'escussione di un teste; 
    rilevato che i predetti sono stati ammessi al  rito  richiesto  e
che all'udienza del 24 aprile 2009, sentito il teste, le parti  hanno
discusso oralmente sulla base degli atti acquisiti; 
    considerato che in data odierna, in sede di repliche, il P. M. ha
chiesto che sia sollevata questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 62-bis secondo comma c.p., per contrasto con gli artt. 27 e
3 Cost; 
    rilevato in effetti che in sede di conclusioni il p.m. ha chiesto
irrogarsi a M. la pena di anni 16 di reclusione,  previa  concessione
delle attenuanti generiche (equivalenti, come precisato  in  sede  di
repliche)  e  applicazione  della  riduzione  ex  art.  442   c.p.p.,
ritenendo  l'attenuazione  di  pena   giustificata   dall'eccezionale
collaborazione fornita in sede di indagini da M. il quale, dopo  aver
ammesso gli addebiti, ha reso dichiarazioni  decisive  per  far  luce
sull'attivita' criminosa  addebitabile  ad  un  ulteriore  gruppo  di
soggetti, poi raggiunti da ordinanza applicativa di misura cautelare; 
    considerato  tuttavia  che  allo  stato  le  invocate  attenuanti
risultano non concedibili, in quanto il M. recidivo  reiterato,  deve
fra l'altro rispondere del delitto di  cui  agli  articoli  575,  577
c.p., che rientra tra quelli di cui all'art. 407, comma 2, lettera a)
c.p.p., puniti con pena non inferiore nel minimo ad anni cinque,  per
i quali le attenuanti  generiche  possono  essere  fondate  solo  sui
parametri di cui all'art. 133, primo comma nn. 1) e  2)  c.p.  e  non
invece sui parametri di cui al  secondo  comma  dell'art.  133  c.p.,
comprendente anche il comportamento susseguente al reato, nozione  in
cui puo' farsi rientrare (ove non specificamente prevista come  causa
di attenuazione di pena) anche la collaborazione prestata in fase  di
indagini; 
    ritenuto che il  riformulato  art.  62-bis,  secondo  comma  c.p.
sembra porsi in contrasto con gli articoli 3 e 27 Cost. e che dunque,
previa  separazione  della  posizione  del  M.,  come   da   autonoma
ordinanza,  deve   essere   sollevata   questione   di   legittimita'
costituzionale di detta norma, 
 
                            O s s e r v a 
 
    1 -  Il  legislatore  dispone  di  ampia  discrezionalita'  nella
configurazione dei reati e delle circostanze aggravanti o  attenuanti
e nella previsione dei limiti edittali, mentre il giudice deve a  sua
volta  procedere  alla  determinazione  della  pena  da  irrogare  in
concreto entro i limiti stabiliti e  nell'esercizio  della  sfera  di
discrezionalita' riservatagli. 
    Ma tanto il legislatore quanto il giudice non possono prescindere
dalla considerazione delle finalita'  della  pena,  in  primis  dalla
necessaria destinazione della sanzione penale alla  rieducazione  del
condannato. 
    Ed invero, a coronamento di una lenta evoluzione  interpretativa,
la Corte costituzionale ha rilevato nelle sentenza n.  313/1990  che,
se la pena non puo' non avere un contenuto afflittivo e  se  ad  essa
ineriscono caratteri di difesa sociale  e  di  prevenzione  generale,
tuttavia  non  puo'  in  alcun  modo   pregiudicarsi   la   finalita'
rieducativa espressamente consacrata dall'art. 27, terzo comma Cost.,
non essendo consentito strumentalizzare l'individuo per fini generali
di politica criminale o  privilegiare  la  soddisfazione  di  bisogni
collettivi di stabilita' e sicurezza. 
    Secondo  la  Corte  costituzionale  in   pratica   la   finalita'
rieducativa non e' estranea alla legittimazione e alla funzione della
pena. 
    La circostanza che, secondo il tenore della norma costituzionale,
la pena debba tendere alla rieducazione sta ad indicare una  qualita'
essenziale di essa nel suo contenuto ontologico, a partire dalla fase
della previsione  fino  a  quella  della  sua  estinzione,  dovendosi
correlare  al  verbo  «tendere»  la  concreta  possibilita'  di   una
divaricazione tra la finalita' e l'adesione ad essa del  soggetto  da
rieducare. 
    In pratica, tutto  cio'  implica  che  la  finalita'  rieducativa
rilevi  non  solo  nella  fase  dell'esecuzione,  come  affermato  in
precedenti e anche remote sentenze  della  Corte  costituzionale  (si
consideri ad es. la sentenza n. 12/1966), ma  piu'  in  generale,  in
quanto connaturata alla pena, in ogni  fase,  compresa  quella  della
previsione  e  della  sua  irrogazione,  dovendosi  ritenere  che  il
precetto dell'art. 27, terzo comma Cost. vincoli sia  il  legislatore
sia  il  giudice  della  cognizione,  prima  che  il  giudice   della
sorveglianza. 
    Del  resto  sul  piano   della   disciplina   positiva   si   era
concretamente stabilito  che  la  finalita'  risocializzante  dovesse
essere tenuta presente dal giudice gia' in sede di sostituzione della
pena detentiva agli effetti  degli  articoli  53  e  segg.  legge  n.
689/1981, segno evidente di una diretta  influenza,  per  cosi'  dire
ontologica, della rieducazione e della risocializzazione. 
    2. - Va a questo punto aggiunto che, pronunciandosi sulla diversa
questione della legittimita' costituzionale di pene fisse,  la  Corte
costituzionale ha piu' volte rilevato (cfr.  sentenze  n.  50/1980  e
299/1992) che l'individualizzazione della pena,  in  modo  da  tenere
conto dell'effettiva entita' e delle specifiche esigenze dei  singoli
casi, si pone  come  naturale  attuazione  e  sviluppo  dei  principi
costituzionali tanto di ordine generale  (principio  di  uguaglianza)
quanto attinenti direttamente alla materia penale, tanto piu' che  lo
stesso principio di legalita' della pena ex art.  25,  secondo  comma
Cost. si inserisce in un sistema, in cui si esige la differenziazione
piu' che l'uniformita'. In tale quadro, si e'  osservato  che  ha  un
ruolo  centrale  la  discrezionalita'  giudiziale,  nell'ambito   dei
criteri segnati dalla legge. 
    L'adeguamento della pena ai  casi  concreti  contribuisce  cosi',
secondo  la  Corte  costituzionale,  a  rendere  il  piu'   possibile
personale la responsabilita' penale, in ossequio  a  quanto  previsto
dall'art. 27, primo comma Cost., e ad assicurare una pena quanto piu'
possibile finalizzata, nella prospettiva dell'art.  27,  terzo  comma
Cost. 
    Il soddisfacimento  di  tali  presupposti  e  di  tali  finalita'
costituisce anche uno strumento per l'attuazione dell'uguaglianza  di
fronte alla pena, intesa come proporzione della  pena  rispetto  alle
personali  responsabilita'  e  alle  esigenze  di  risposta  che   ne
conseguono. 
    La sentenza n. 299/1992 aggiunge anche che  l'individuazione  del
disvalore oggettivo dei fatti-reato tipici e quindi del loro  diverso
grado di offensivita' spetta al legislatore, competendo al giudice di
valutare la particolarita' del caso singolo onde individualizzare  la
pena, stabilendo quella adeguata al caso concreto nella cornice posta
dai limiti edittali. 
    3. - Orbene, lo strumento tradizionalmente piu' duttile, al  fine
di consentire al giudice di adeguare la pena  alle  peculiarita'  del
caso  concreto,  al  di  la'  della  determinazione  del  trattamento
sanzionatorio  entro  i  limiti  edittali,  e'  rappresentato   dalla
possibilita' di concedere all'imputato le attenuanti generiche di cui
all'art.  62-bis  c.p.,  come  introdotto  dall'art.  2,  d.lgs.   n.
288/1944. 
    E'  infatti  previsto  che   il   giudice   possa   prendere   in
considerazione circostanze diverse da quelle  tipizzate,  qualora  le
ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena. 
    A tal fine si afferma che  debba  aversi  riguardo  in  linea  di
massima ai  parametri  indicati  dall'art.  133  c.p.,  anche  se  si
registra un contrasto tra  pronunce  che  richiedono  la  valutazione
comparativa del parametro prescelto con gli altri  contemplati  dalla
norma e l'indicazione della ragione  giustificativa  della  ravvisata
prevalenza (Cass. VI, 4 febbraio 2003, Mariani) e pronunce che invece
ritengono sufficiente l'indicazione del parametro reputato prevalente
(Cass. I, 6 ottobre 1995, Biondo e Cass. II, 16 gennaio 1996, Romeo). 
    Sta  di  fatto  che  l'art.  133  c.p.  delimita  l'ambito  della
discrezionalita' del  giudice,  ancorandola  alla  valutazione  della
gravita' del reato e della capacita' a delinquere del  reo,  l'una  e
l'altra desumibili dalla valutazione sintetica dei parametri all'uopo
individuati. 
    Ed allora si comprende che la concessione o meno delle attenuanti
generiche debba basarsi su una globale valutazione della gravita' del
fatto e della capacita' a  delinquere  (Cass.  I,  3  febbraio  2006,
Cariolo), se del caso lumeggiata  da  un  elemento  che  in  concreto
assume carattere prevalente,  sia  pur  ai  fini  del  diniego  della
concessione (Cass. VI, 24 settembre 2008, Caridi). 
    4. - In tale quadro generale si colloca la previsione dettata dal
secondo comma dell'art. 62-bis c.p., come  riformulato  dall'art.  1,
legge 5 dicembre 2005, n. 251. 
    E'  infatti  stabilito  che  ai  fini   dell'applicazione   della
diminuzione di pena contemplata dal primo comma non  si  tiene  conto
dei criteri di cui all'art. 133, primo comma, n. 3) e  di  quelli  di
cui al secondo comma, nei casi previsti dall'art. 99,  quarto  comma,
in relazione ai delitti di cui all'art.  407,  comma  2,  lettera  a)
c.p.p., ove puniti con pena della reclusione non inferiore nel minimo
a cinque anni. 
    In pratica, ricorrendo  l'ipotesi  della  recidiva  reiterata  in
relazione a taluno dei delitti sopra  menzionati,  si  introduce  una
sorta  di  presunzione  di  preponderanza  del   parametro   negativo
costituito dai precedenti dell'imputato, che puo' essere  vinta  solo
dal riferimento alla natura, alla specie, ai mezzi,  all'oggetto,  al
tempo, al luogo e ad ogni  altra  modalita'  dell'azione  (art.  133,
primo comma, n. 1) o dal riferimento alla gravita' del  danno  o  del
pericolo cagionato alla persona offesa dal  reato  (art.  133,  primo
comma, n. 2). 
    Se nonche' una siffatta disciplina tradisce la ratio  complessiva
della norma dettata dall'art. 62-bis, primo comma, c.p. e soprattutto
tradisce il senso del riferimento all'art. 133 c.p., che implica  una
discrezionale  valutazione  dei  parametri  delineati,  in  modo   da
adeguare al caso concreto il giudizio  sulla  gravita'  del  reato  e
sulla capacita' a delinquere del reo. 
    A ben guardare la  rigida  preclusione  introdotta  espropria  il
giudice del potere di valutare adeguatamente le peculiarita' del caso
concreto  e  pervenire  cosi'  alla   definizione   del   trattamento
sanzionatorio piu' conforme alle esigenze di risocializzazione  e  di
rieducazione del reo (il che, come nel caso di  specie,  finisce  per
dare luogo alla predeterminazione della pena ex lege, in  assenza  di
altre ragioni di attenuazione). 
    Tutto cio'  assume  particolare  rilievo  quando,  a  fronte  del
disvalore  astrattamente  riveniente  dal  parametro  costituito  dai
precedenti penali dell'imputato, come tale incidente sulla  capacita'
a delinquere del reo, possano individuarsi altri parametri  rilevanti
ai fini del medesimo  giudizio  sulla  capacita'  a  delinquere,  che
risultino in concreto idonei a contrastare  la  valenza  negativa  di
quei precedenti: e'  il  caso  dell'imputato  che  abbia  tenuto  una
condotta susseguente al reato particolarmente significativa, tale  da
far presumere che egli abbia intrapreso un percorso di  rivisitazione
della condotta anteatta e da far apparire poco significativo il  dato
personologico sotteso alle precedenti condanne. 
    La presunzione,  basata  solo  su  esigenze  di  difesa  sociale,
risulta cosi'  in  contrasto  con  la  precisa  direttiva  riveniente
dall'art. 27, terzo comma Cost., giacche' irrigidisce il  trattamento
sanzionatorio, fino ad allontanarlo dal concreto perseguimento  delle
esigenze di risocializzazione e di rieducazione, che  postulano  (non
solo l'esecuzione, ma anche) l'irrogazione di una  pena  adeguata  al
loro soddisfacimento. 
    In altre parole sembra incongruo privilegiare  in  astratto  solo
uno  dei  parametri  valutativi   della   capacita'   a   delinquere,
disconoscendo a  priori  la  possibilita'  di  individuare  parametri
ugualmente o maggiormente idonei a lumeggiare quella capacita'  ed  a
fondare una diminuzione di  pena,  in  termini  conformi  al  dettato
costituzionale. 
    5. - L'assunto appare  tanto  piu'  fondato  se  confrontato  con
l'irrazionalita' della scelta operata dal legislatore  di  attribuire
rilievo alla recidiva reiterata  solo  nel  caso  dei  reati  di  cui
all'art. 407, comma 2, lettera a) c.p.p. per i quali sia prevista una
pena non inferiore nel minimo a cinque anni. 
    In  realta'  il  significato  personologico  di  un  elemento  di
valutazione non puo' essere diverso a seconda del tipo di  delitti  e
men che mai a  seconda  del  minimo  della  pena  edittale  per  essi
prevista. 
    Fra l'altro si registra la non corrispondenza tra  la  previsione
dettata dall'art. 99, comma 5 c.p., che stabilisce  l'obbligatorieta'
dell'applicazione della recidiva nel caso di reati  di  cui  all'art.
407 comma 2, lettera a) c.p.p., e  quella  dettata  dall'art.  62-bis
secondo comma c.p., che invece aggiunge l'ulteriore  parametro  della
pena non inferiore al minimo. 
    La  disciplina  disvela  in  realta'  il  preponderante   rilievo
attribuito alle ragioni di difesa sociale e di prevenzione  generale,
chiaramente espresse  attraverso  il  riferimento  a  quei  parametri
aggiuntivi, ma risulta in concreto irrazionale. 
    In  primo  luogo  si  determina  un'incongrua   commistione   tra
parametri personologici e profili afferenti alla gravita' del  fatto,
attribuendosi rilievo  decisivo  ai  primi  in  quanto  associati  ai
secondi, sulla base di valutazioni predeterminate e  astratte,  senza
considerare che il profilo afferente alla personalita'  del  reo  non
puo' che concorrere alla formulazione di un giudizio sintentico sulla
concreta capacita' a delinquere, solo all'interno di tale valutazione
potendo trovare l'eventuale contemperamento. 
    In  secondo  luogo  si  finisce  per  prevedere  un   trattamento
ingiustificatamente  diverso  di   situazioni   che   rispetto   alla
concessione  delle  attenuanti  generiche  e  alla  rilevanza   della
recidiva reiterata sono  in  realta'  identiche  (si  pensi  a  reati
parimenti compresi tra quelli di cui all'art. 407, comma  2,  lettera
a) c.p.p. e con pena identica nel massimo ma  non  nel  minimo,  come
l'estorsione aggravata e  la  rapina  aggravata,  rispetto  ai  quali
l'art. 62-bis secondo comma c.p. finisce per  incidere  in  modo  del
tutto diverso,  o  a  reati  pur  rilevanti,  come  l'estorsione  non
aggravata, che hanno una pena non inferiore nel minimo a cinque anni,
per i quali tuttavia la recidiva reiterata non  osta  in  alcun  modo
alla possibilita' di individuare i  presupposti  per  la  concessione
delle attenuanti generiche sulla base di taluno degli altri parametri
di cui all'art. 133, secondo comma c.p.). 
    In altre parole la preclusione alla concessione delle  attenuanti
generiche viene fatta discendere da  una  circostanza  inerente  alla
persona del colpevole associata ad un coacervo disomogeneo di  titoli
di reati, delineati  dall'art.  407,  comma  2,  lettera  a)  c.p.p.,
ulteriormente qualificato dal minimo della  pena  edittale,  peraltro
non sempre indicativo neppure della gravita'  del  reato  (la  rapina
aggravata con pena massima di anni venti infatti finisce  per  essere
trattata come l'estorsione non aggravata con  pena  massima  di  anni
dieci, senza alcuna razionalita' delle scelte neppure in  termini  di
prevenzione generale). 
    Correlativamente  si  produce  l'anomalo  effetto   di   condurre
all'irrogazione di pene  identiche  in  presenza  di  situazioni  che
possono considerarsi assolutamente diverse: vale il caso  di  specie,
in cui al  deceduto  R.  M.,  parimenti  recidivo  reiterato  e  fino
all'ultimo irriducibile, sarebbe dovuta se  del  caso  applicarsi  la
medesima pena che, sulla  base  della  vigente  disciplina,  dovrebbe
irrogarsi al collaborante M. 
    Ad abundantiam si puo' osservare come si allarghi a dismisura  e,
a quanto pare, ingiustificatamente  la  distanza  tra  il  regime  di
favore dettato da norme speciali, quale  ad  esempio  quella  di  cui
all'art. 8, legge n. 203/1991, e la disciplina ordinaria, valida  per
i reati che non riguardino la criminalita' mafiosa:  nel  primo  caso
non vi sono preclusioni di sorta pur a fronte di una storia criminale
cospicua, mentre nel secondo,  in  presenza  delle  altre  condizioni
lumeggiate  (che  peraltro  sono  spesso  ricorrenti   nei   contesti
criminali),  neppure   una   efficace   o   addirittura   eccezionale
collaborazione potrebbe  trovare  il  riscontro  di  una  circostanza
attenuante, pregiudicando, si badi, anche l'attivita' di accertamento
e repressione dei reati, che non potrebbe piu' trovare il  favorevole
abbrivio di collaborazioni meritevoli di  un  qualche  riconoscimento
premiale. 
    6. - L'analisi che precede consente dunque di affermare  che  non
e' manifestamente infondata per contrasto con gli articoli 27,  terzo
comma e 3 Cost. la questione di legittimita' costituzionale dell'art.
62-bis secondo comma c.p., come  riformulato  dall'art.  1,  legge  5
dicembre 2005, n. 251, nella parte in cui nel caso  di  cui  all'art.
99, 4 comma c.p. in relazione ai delitti di cui all'art.  407,  comma
2, lettera a) c.p.p., per i quali sia prevista una pena non inferiore
nel minimo a cinque anni, non consente di desumere la possibilita' di
concedere le attenuanti generiche anche dai parametri di cui all'art.
133, secondo comma c.p., in particolare  dal  comportamento  del  reo
susseguente al reato. 
    7. - Siffatta questione nel  caso  di  specie  e'  rilevante,  in
quanto si e' gia' visto come, su richiesta del p. m., debba  entrarsi
nel  merito  dell'applicabilita'  all'imputato  M.  delle  attenuanti
generiche sulla base di un comportamento  susseguente  al  reato  (e'
invece  in  questa  sede  irrilevante  la  diversa  questione   della
preclusione ex art. 69/quarto comma c.p. del giudizio di  prevalenza,
a fronte della qualita' di recidivo reiterato). 
    Ed invero risulta che l'imputato non solo ha ammesso gli addebiti
e comunque quelli principali, costituiti dall'imputazione di omicidio
e occultamento del  cadavere,  ma  soprattutto  ha  nel  corso  delle
indagini tenuto una condotta largamente collaborativa  (definita  dal
p.m. in  udienza  di  eccezionale  rilievo),  che  ha  consentito  di
emettere nei confronti di numerosi altri soggetti e per  gravi  reati
un'ordinanza  applicativa  di  custodia   cautelare,   essenzialmente
fondata sulle dichiarazioni del prevenuto (all'uopo e' stata prodotta
l'ordinanza  richiamata,  dalla  quale  si  evince  la  qualita'  del
contributo fornito). 
    L'imputato ha in tal modo  palesato  un  contegno  di  inequivoca
discontinuita'  con  il  suo  passato  e   di   rivisitazione   della
travagliata condotta anteatta. 
    Va in effetti osservato che il Mrisulta condannato per plurimi  e
gravi reati, peraltro commessi tutti in epoca assai remota. 
    Tra detti reati figura anche quello di omicidio, ma in quel  caso
gli e' stata riconosciuta l'attenuante della minima partecipazione. 
    D'altro canto il M. ha fruito in  passato  dell'attenuante  della
collaborazione di cui all'art. 8, legge n.  203/1991,  essendo  stato
sottoposto anche alla speciale protezione riservata ai  collaboratori
di giustizia. 
    Scaduti i termini del relativo contratto, il M. e'  ricaduto  nel
crimine, riportando  una  modesta  condanna  per  fatti  legati  alla
prostituzione  e  rendendosi  l'artefice  della   creazione   di   un
sodalizio, ruotante intorno ad un locale notturno da  lui  gestito  e
finalizzato  soprattutto  alla  commissione  di   reati   contro   il
patrimonio,  all'interno  del  quale  e'   maturata   l'ideazione   e
l'esecuzione dell'omicidio di C. S. per cui e' causa. 
    Sta di fatto che  l'elemento  sopravvenuto,  rappresentato  dalla
prestata efficace collaborazione, al pari dei precedenti penali -  ma
piu' di essi -  si  proietta  verso  il  futuro  e  dunque  verso  la
definizione  di  un  trattamento  sanzionatorio  corrispondente  alle
concrete  e  attuali  esigenze  di   rieducazione   e   puo'   dunque
considerarsi  meritevole  di   considerazione   quale   comportamento
susseguente al reato, idoneo a giustificare un'attenuazione  di  pena
ai sensi dell'art. 62-bis,  primo  comma  c.p.,  nel  quadro  di  una
globale valutazione degli indici di cui all'art. 133,  secondo  comma
c.p. 
    Poiche' l'imputato e'  recidivo  reiterato  e  deve  fra  l'altro
rispondere del delitto di omicidio  aggravato  dalla  premeditazione,
rientrante tra quelli evocati dall'art. 62-bis, secondo  comma  c.p.,
tale elemento  non  potrebbe  essere  preso  in  considerazione  (non
ricorrendo nella specie elementi tali da  far  apparire  rilevanti  i
parametri di cui all'art. 133, primo comma, n. 1 e 2 c.p.). 
    Di qui la necessita' di sollevare la  questione  di  legittimita'
costituzionale nei termini suesposti. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visto l'art. 23, legge n. 87/1953; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata  per  contrasto
con  gli  articoli  3  e  27,  terzo  comma  Cost.  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art.  62-bis,  secondo  comma  c.p.,
come riformulato dall'art. 1, legge 5 dicembre 2005,  n.  251,  nella
parte in cui, nel caso di recidivo reiterato ex art. 99, quarto comma
c.p., chiamato a rispondere di taluno dei  delitti  di  cui  all'art.
407, comma 2, lettera a) c.p.p., per il quale sia prevista  una  pena
non inferiore nel minimo a cinque anni, non consente di  fondare  sui
parametri di cui al secondo comma dell'art. 133 c.p., in  particolare
sul   comportamento   susseguente   al    reato,    la    concessione
dell'attenuante di cui all'art. 62-bis, primo comma c.p. 
    Sospende il processo e ordina la  trasmissione  degli  atti  alla
Corte costituzionale. 
    Dispone che l'ordinanza, di cui e' data  lettura  in  udienza  al
p.m.  e  al  difensore  dell'imputato,  nonche'  alle  parti  civili,
rappresentate dai difensori, sia notificata all'imputato assente. 
    Dispone inoltre che l'ordinanza sia notificata al Presidente  del
Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti della Camera e  del
Senato della Repubblica. 
        Perugia, 28 aprile 2009 
 
                       Il giudice: Ricciarelli