N. 198 SENTENZA 7 - 10 giugno 2010

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Fallimento e procedure concorsuali  -  Oneri  fiscali  -  Sentenza  o
  verbale di conciliazione - Rilascio della copia, per  l'inserimento
  del  credito  nello  stato  passivo,   subordinato   al   pagamento
  dell'imposta di registro - Irragionevolezza della  condizione,  con
  lesione   della    tutela    giurisdizionale    -    Illegittimita'
  costituzionale in parte qua. 
- D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 66, comma 2. 
- Costituzione, artt. 3 e 24. 
(GU n.24 del 16-6-2010 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino
  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe   TESAURO,   Paolo   Maria
  NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                               Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 66 del  decreto
del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986 n.  131  (Approvazione
del  testo  unico  delle  disposizioni   concernenti   l'imposta   di
registro), promosso dal Giudice delegato del Tribunale  ordinario  di
Trani,  nel  procedimento  vertente  tra  la  Factorit  S.p.A.  e  il
cancelliere del Tribunale ordinario di Trani, con  ordinanza  del  15
aprile 2009, iscritta  al  n.  241  del  registro  ordinanze  2009  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  40,  prima
serie speciale, dell'anno 2009. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio del 14  aprile  2010  il  giudice
relatore Alfio Finocchiaro. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Il Giudice delegato del Tribunale ordinario  di  Trani,  nel
corso del  procedimento  camerale  promosso  con  ricorso,  ai  sensi
dell'art. 745 del codice di procedura civile, dalla societa' Factorit
S.p.A. avverso il rifiuto del cancelliere del Tribunale  -  motivato,
ai sensi dell'articolo 66, comma 1, del decreto del Presidente  della
Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle
disposizioni  concernenti  l'imposta  di   registro),   dal   mancato
versamento dell'imposta di registro sull'atto - di  rilasciare  copia
autentica del verbale  di  conciliazione,  con  il  quale  era  stato
definito un giudizio di  opposizione  allo  stato  passivo  ai  sensi
dell'art. 98 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina  del
fallimento,   del   concordato    preventivo,    dell'amministrazione
controllata  e  della  liquidazione  coatta  amministrativa),   testo
originario, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e  24  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dello  stesso
art. 66 del d.P.R. n. 131 del 1986 - rectius: art. 66, comma 2, dello
stesso d.P.R. - nella parte in cui non consente il rilascio di  copia
dell'atto conclusivo (sentenza  o  verbale  di  conciliazione)  della
causa di opposizione allo stato passivo fallimentare, ai  fini  della
variazione di  quest'ultimo,  prima  del  pagamento  dell'imposta  di
registro. 
    Il  rimettente  premette  che,  con  avviso  di  liquidazione   e
contestuale irrogazione di sanzione, l'Agenzia delle entrate di Trani
aveva liquidato l'imposta di registro relativa al  verbale  di  detta
conciliazione di € 83.994,72, calcolandola  in  misura  proporzionale
anziche' fissa, e che per  tale  ragione  la  Factorit  S.p.A.  aveva
proposto ricorso alla Commissione  tributaria  provinciale  di  Bari,
invocando l'errata applicazione dell'art. 40 del d.P.R.  n.  131  del
1986. In pendenza di detto giudizio tributario, e, quindi, nelle more
della  registrazione  dell'atto  e  del  pagamento  dell'imposta,  la
Factorit S.p.A. aveva chiesto alla cancelleria del Tribunale di Trani
il rilascio di copia autentica  del  verbale  di  conciliazione  onde
poter  procedere  al   deposito   della   stessa   presso   l'Ufficio
fallimentare ai fini della variazione dello stato passivo. A  seguito
del rifiuto del cancelliere, la Factorit  S.p.A.  aveva  promosso  il
giudizio nel corso del quale  e'  stata  sollevata  la  questione  di
legittimita' costituzionale. 
    Il giudice a quo osserva che l'art.  66  del  citato  d.P.R.,  al
comma 1, stabilisce il divieto  per  cancellieri  e  segretari  degli
organi giurisdizionali di rilasciare  originali,  copie  ed  estratti
degli atti soggetti a registrazione in termine fisso, da essi formati
o autenticati,  se  non  dopo  la  registrazione  degli  stessi,  con
relativo  pagamento  dell'imposta,  prevedendo,  al  secondo   comma,
tassative eccezioni al divieto di rilascio di copia  di  atti,  nelle
more della registrazione. A tali deroghe, previste  dal  legislatore,
si  e'  aggiunta  quella  introdotta  dalla  sentenza   della   Corte
costituzionale n. 522 del 2002, che  ha  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale  della  norma  nella  parte  in  cui  non  ammette  la
possibilita' del rilascio dell'originale o della copia della sentenza
o di altro provvedimento giurisdizionale che debba essere  utilizzato
per  procedere   alla   esecuzione   forzata,   anche   prima   della
registrazione. 
    Secondo il rimettente, le ragioni poste a  base  della  decisione
della Corte sarebbero invocabili anche nella  fattispecie  in  esame.
Infatti, il  giudizio  di  opposizione  allo  stato  passivo  di  cui
all'art. 98 del r.d. n. 267 del 1942, testo originario,  si  conclude
con  una  sentenza  che,  qualora  passata  in   giudicato,   accerta
definitivamente  il  credito  e  costituisce  titolo  per   la   c.d.
variazione dello stato passivo fallimentare, adempimento rimesso alla
cancelleria ad impulso di parte. 
    Non dissimile dal caso esaminato sarebbe la definizione, avvenuta
nel caso  di  specie,  del  giudizio  con  verbale  di  conciliazione
giudiziale che ha accertato definitivamente il credito  da  ammettere
al passivo. 
    Anche  in  tale  ipotesi,  la  variazione  dello  stato   passivo
costituirebbe il momento di raccordo tra il giudizio di  opposizione,
ormai concluso, ed il procedimento concorsuale in corso, raccordo che
consente al creditore di ottenere effettiva  tutela  del  diritto  di
credito  accertato,   attraverso   la   partecipazione   ai   riparti
predisposti dagli organi fallimentari. Sicche', pur in assenza di una
condanna nei confronti  della  curatela  fallimentare,  non  potrebbe
negarsi  che  l'effettiva  attuazione  giurisdizionale  del   diritto
vantato dal creditore concorsuale si  concretizza  con  l'inserimento
del credito nello stato passivo. Anzi, tale iter  procedimentale,  in
pendenza del fallimento, rappresenterebbe l'unica forma di tutela del
creditore concorsuale, non potendo costui far valere il  suo  diritto
al di fuori del concorso dei creditori, ai sensi degli artt. 51 e  52
legge fall. 
    Pertanto, condizionare il rilascio della  copia  del  verbale  di
conciliazione  all'effettivo  pagamento  dell'imposta   di   registro
equivarrebbe  ad  impedire  l'attuazione  del  diritto   di   credito
accertato  giurisdizionalmente,  tanto  piu'  la'  dove,  come  nella
specie, penda contenzioso proprio in ordine alla  legittimita'  della
pretesa tributaria sul quantum debeatur e il tributo richiesto  abbia
anche consistenza notevole. Verrebbero cosi' violati  sia  l'art.  24
della Costituzione, che assicura la possibilita' non solo astratta  e
teorica di agire in giudizio per la tutela dei  propri  diritti,  sia
l'art.  3  della  Costituzione,  per  l'ingiustificata  irragionevole
differenza di trattamento a seconda  che  il  debitore  da  aggredire
esecutivamente sia fallito ovvero in bonis, poiche' solo nel  secondo
caso, giusta il tenore dell'art. 66 del d.P.R.  n.  131  del  1986  a
seguito della sentenza di questa Corte n. 522 del 2002, il  creditore
potrebbe, in pendenza di  registrazione,  ottenere  subito  la  copia
dell'atto indispensabile alla  realizzazione  del  diritto  accertato
giudizialmente, promuovendo l'esecuzione forzata. 
    In punto di rilevanza della questione, il rimettente, ribadita la
natura giurisdizionale del procedimento camerale  regolato  dall'art.
745 cod. proc. civ., gia' affermata da questa Corte, sottolinea  che,
nella specie, l'esito del  procedimento  a  quo  e'  condizionato  da
quello della questione sollevata, non potendosi, neanche  in  via  di
interpretazione,    ricondurre    la    soluzione    del     problema
all'applicazione di taluna delle deroghe previste dal  secondo  comma
del citato art. 66. 
    2. - Nel giudizio innanzi alla Corte e' intervenuto il Presidente
del  Consiglio  dei  ministri,  con  il  patrocinio   dell'Avvocatura
generale dello Stato, che  ha  concluso  per  la  infondatezza  della
questione. 
    Premette l'Autorita'  intervenuta  che  i  principi  espressi  da
questa  Corte  con  la  richiamata  sentenza  n.  522  del  2002   si
riferiscono a fattispecie diversa da quella dalla quale trae  origine
la questione di costituzionalita' in esame, trattandosi in quel caso,
a differenza che in questo, di instaurare una procedura esecutiva, in
relazione alla quale e' stato ritenuto  prevalente  l'interesse  alla
difesa del soggetto esecutante su quello dello Stato alla riscossione
dell'imposta. 
    Cio' posto, l'Avvocatura rileva  che  la  disposizione  censurata
deve essere coordinata con l'art. 65 del  d.P.R.  n.  131  del  1986,
finalizzato ad evitare che le parti omettano la  registrazione  degli
atti che sono soggetti a tale obbligo in un termine fisso. Al fine di
valutare  la  conformita'  a  Costituzione  della  norma   censurata,
dovrebbe, quindi, verificarsi la  prevalenza  o  meno  dell'interesse
dello Stato alla riscossione dei  tributi  rispetto  al  contrapposto
interesse privato a far valere determinati diritti parimenti tutelati
dalla Costituzione. 
    Al riguardo, l'Avvocatura ricorda che la citata sentenza  n.  522
del 2002 ha sottolineato che l'interesse alla riscossione dei tributi
e' posto dall'art. 53  Cost.  sullo  stesso  piano  di  ogni  diritto
individuale.   La    costituzionalizzazione    dell'interesse    alla
riscossione dei tributi potrebbe, dunque, giustificare i  divieti  di
cui all'art. 66 censurato. 
    Del  resto  -  conclude  l'Autorita'  intervenuta  -  lo   stesso
legislatore, la' dove non ha  ritenuto  prevalente  l'interesse  alla
riscossione delle imposte, ha individuato, nell'esercizio  della  sua
discrezionalita', le eccezioni al principio del divieto  di  rilascio
di documenti relativi ad atti non registrati (art. 66, comma  2,  del
d.P.R. n. 131 del 1986). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Giudice delegato del Tribunale ordinario di Trani  dubita
della legittimita' costituzionale dell'art. 66 del d.P.R.  26  aprile
1986,  n.  131  (Approvazione  del  testo  unico  delle  disposizioni
concernenti l'imposta di registro) - rectius: art. 66, comma 2, dello
stesso d.P.R. - nella parte in cui non consente il rilascio di  copia
dell'atto conclusivo (sentenza  o  verbale  di  conciliazione)  della
causa di opposizione allo stato passivo fallimentare, ai  fini  della
variazione di  quest'ultimo,  prima  del  pagamento  dell'imposta  di
registro, per violazione dell'art. 3  della  Costituzione,  sotto  il
profilo della ingiustificata disparita' di trattamento di  situazioni
analoghe, in funzione della circostanza che il debitore da  aggredire
sia fallito ovvero  in  bonis,  poiche'  solo  nel  secondo  caso  il
creditore potrebbe, in pendenza della registrazione, ottenere  subito
la copia dell'atto, indispensabile  alla  realizzazione  del  diritto
accertato giudizialmente, promuovendo l'azione forzata;  nonche'  per
violazione  dell'art.  24  della  Costituzione,   per   l'impedimento
all'attuazione del diritto di credito accertato giurisdizionalmente. 
    2. - La questione e' fondata. 
    2.1. - L'art. 66, comma 1, del d.P.R. n. 131 del 1986  stabilisce
che «i soggetti indicati nell'art.  10,  lettere  b)  e  c),  possono
rilasciare  originali,  copie  ed  estratti  degli  atti  soggetti  a
registrazione in termine fisso da loro  formati  o  autenticati  solo
dopo che gli stessi sono stati registrati».  Il  successivo  comma  2
prevede che la disposizione indicata non si applica ad una  serie  di
atti tassativamente enunciati. 
    Questa Corte ha gia' dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale
della norma censurata nella parte in cui non  prevede  che  la  norma
contenuta nel comma 1 dello stesso art. 66 non si applica al rilascio
dell'originale o della copia della sentenza o di altro  provvedimento
giurisdizionale   che   debba   essere   utilizzato   per   procedere
all'esecuzione forzata (sentenza n. 522 del 2002). 
    La decisione muove dalla considerazione che la  legge  9  ottobre
1971, n. 825 (Delega legislativa al Governo della Repubblica  per  la
riforma  tributaria),  ha  imposto  al  legislatore  delegato,   come
principio  direttivo,  di  eliminare  «ogni  impedimento  fiscale  al
diritto dei cittadini di agire in giudizio per la tutela  dei  propri
diritti ed interessi legittimi» (articolo 7, n. 7). 
    In attuazione di tale principio, l'art. 63 del d.P.R. 26  ottobre
1972, n. 634 (Disciplina dell'imposta di registro), il cui  contenuto
e' poi sostanzialmente confluito nell'art. 65 del d.P.R. n.  131  del
1986, ha soppresso il divieto di utilizzazione in  giudizio  di  atti
non registrati previsto dalla disciplina precedente,  stabilendo,  in
luogo dello stesso, l'obbligo del cancelliere di inviarli all'Ufficio
del registro. 
    «Il legislatore della riforma» - osserva la citata sentenza - «ha
pertanto   ritenuto    che    la    situazione    di    inadempimento
dell'obbligazione relativa  all'imposta  di  registro,  emergente  in
occasione del processo di cognizione, non  puo'  avere  l'effetto  di
precluderne lo svolgimento e la conclusione. E' chiaro il giudizio di
valore cosi' espresso, per cui,  nel  bilanciamento  tra  l'interesse
fiscale alla riscossione dell'imposta e quello  all'attuazione  della
tutela  giurisdizionale,  il  primo  e'   ritenuto   sufficientemente
garantito dall'obbligo imposto al cancelliere di informare  l'ufficio
finanziario dell'esistenza dell'atto non registrato, ponendolo  cosi'
in grado di  procedere  alla  riscossione.  Discipline  di  contenuto
sostanzialmente identico sono state introdotte - sia  pure  in  tempi
diversi - per le imposte  di  successione,  di  bollo  e  sul  valore
aggiunto». 
    Considerando il bilanciamento fra i due interessi alla  luce  del
principio secondo cui la garanzia della tutela giurisdizionale  posta
dall'articolo  24,  primo  comma,  Cost.  comprende  anche  la   fase
dell'esecuzione forzata, la quale  e'  diretta  a  rendere  effettiva
l'attuazione del provvedimento giurisdizionale,  la  scelta  compiuta
dalla norma di cui si  tratta  e'  stata  ritenuta  da  questa  Corte
irragionevole  e  contrastante  con  l'art.  24  della   Costituzione
(sentenza n. 321 del 1998). 
    Tale scelta comportava che la valutazione  di  bilanciamento  fra
l'interesse all'effettivita' della tutela  giurisdizionale  e  quello
alla riscossione dei tributi fosse effettuata,  per  i  due  tipi  di
processo,  in   modo   irragionevolmente   diverso:   l'inadempimento
dell'obbligazione  tributaria  -  che  pure  non   ha   precluso   lo
svolgimento del processo  di  cognizione  fino  all'emanazione  della
sentenza (o di altro provvedimento esecutivo) ed ha determinato  solo
la comunicazione da parte del cancelliere  all'ufficio  del  registro
degli atti non registrati - impediva infatti che alla sentenza (o  al
provvedimento esecutivo) fosse data attuazione  mediante  l'esercizio
della tutela giurisdizionale in via esecutiva. 
    I principi posti a base della richiamata sentenza  si  attagliano
anche alla fattispecie in esame. Infatti, posto che la  conciliazione
giudiziale accerta  il  credito  da  ammettere  al  passivo,  l'unico
sistema attraverso il quale il creditore  puo'  ottenere  tutela  del
proprio diritto e' quello della partecipazione al riparto  attraverso
l'inserimento  del  credito  nello  stato   passivo.   Pertanto,   la
esclusione di tale possibilita', prima della registrazione dell'atto,
pone il creditore in una condizione analoga a quella in cui  viene  a
trovarsi il creditore cui sia inibita la esecuzione  forzata  per  il
mancato rilascio della copia della sentenza che ne abbia accertato il
credito,   prima   della   registrazione    dell'atto.    Condizione,
quest'ultima, presa appunto  in  considerazione  e  tutelata  con  la
declaratoria di illegittimita'  costituzionale  di  cui  alla  citata
sentenza n. 522 del 2002. 
    Ne' puo' accedersi alla tesi dell'Avvocatura dello Stato, secondo
cui appartiene in ogni caso  alla  discrezionalita'  del  legislatore
attribuire prevalenza all'interesse alla riscossione delle imposte e,
quindi, legittimare il divieto di rilascio di documenti  relativi  ad
atti non  registrati,  trovando,  invece,  tale  discrezionalita'  un
limite insuperabile con riferimento alle ipotesi in cui,  come  nella
specie, il divieto sia, per le stesse ragioni esposte nella  sentenza
da ultimo richiamata, irragionevole. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 66,  comma  2,
del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile  1986,  n.  131
(Approvazione  del  testo  unico   delle   disposizioni   concernenti
l'imposta di registro),  nella  parte  in  cui  non  prevede  che  la
disposizione di cui al comma 1 non si applichi al rilascio  di  copia
dell'atto conclusivo (sentenza  o  verbale  di  conciliazione)  della
causa di opposizione allo stato passivo fallimentare, ai  fini  della
variazione di quest'ultimo. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 giugno 2010. 
 
                       Il Presidente: Amirante 
 
 
                      Il redattore: Finocchiaro 
 
 
                      Il cancelliere: Di Paola 
 
    Depositata in cancelleria il 10 giugno 2010. 
 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola