N. 205 ORDINANZA 7 - 10 giugno 2010

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo penale - Immediatezza della  deliberazione  e  immutabilita'
  del giudice - Rinnovazione del dibattimento dopo il mutamento della
  persona fisica del giudice - Necessita', secondo  l'interpretazione
  della Cassazione a sezioni unite, di  procedere  alla  riassunzione
  della prova dichiarativa, in caso di richiesta di  parte  e  sempre
  che l'atto non risulti impossibile - Eccezione di  inammissibilita'
  della questione per insufficiente descrizione della  fattispecie  e
  difetto di motivazione sulla rilevanza - Reiezione. 
- Codice di procedura penale, art. 525, comma 2. 
- Costituzione, artt. 3, 101 e 111. 
Processo penale - Immediatezza della  deliberazione  e  immutabilita'
  del giudice - Rinnovazione del dibattimento dopo il mutamento della
  persona fisica del giudice - Necessita', secondo  l'interpretazione
  della Cassazione a sezioni unite, di  procedere  alla  riassunzione
  della prova dichiarativa, in caso di richiesta di  parte  e  sempre
  che  l'atto  non  risulti  impossibile  -  Asserita  ingiustificata
  disparita' di trattamento rispetto a fattispecie similari,  nonche'
  denunciata  violazione   dei   principi   di   ragionevolezza,   di
  uguaglianza dei giudici dinanzi alla legge e di ragionevole  durata
  del  processo  -  Questione  analoga  ad  altre   gia'   dichiarate
  manifestamente  infondate  -  Inidoneita'  degli   evocati   tertia
  comparationis - Manifesta infondatezza della questione. 
- Codice di procedura penale, art. 525, comma 2. 
- Costituzione, artt. 3, 101 e 111. 
(GU n.24 del 16-6-2010 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO Giudice, Paolo MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,
  Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,
  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,
  Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente: 
 
                              Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 525,  comma  2,
del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale  di  Roma  nel
procedimento penale a carico di A. M., con ordinanza  del  28  aprile
2009, iscritta al n. 279 del registro  ordinanze  2009  e  pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, 1ª  serie  speciale,
dell'anno 2009. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio del 26  maggio  2010  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 28 aprile 2009, il  Tribunale  di
Roma, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento  agli
artt. 3, 101 e 111  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art.  525,  comma  2,  del  codice  di  procedura
penale, «nella parte in cui prevede che  alla  deliberazione  debbano
concorrere a pena di nullita' assoluta gli stessi giudici  che  hanno
partecipato al dibattimento»; 
    che il rimettente premette che, nel giudizio  a  quo,  una  parte
dell'istruzione dibattimentale, consistita nell'escussione di  alcuni
testi, e' stata espletata dinanzi ad  altro  giudice-persona  fisica,
che in precedenza era «assegnatario del ruolo»; 
    che   a   fronte   del   consenso    del    pubblico    ministero
all'utilizzazione delle prove gia' assunte  ai  sensi  dell'art.  511
cod. proc.  pen.,  la  difesa  ha  invece  chiesto  che  l'istruzione
dibattimentale svolta venga rinnovata in ossequio all'art. 525, comma
2, cod. proc. pen.; 
    che  il  giudice  a  quo  dubita,  tuttavia,  della  legittimita'
costituzionale di tale disposizione sotto plurimi profili; 
    che il rimettente assume preliminarmente che  il  problema  della
perdurante    valenza    probatoria    dell'attivita'     istruttoria
dibattimentale gia' compiuta, nel caso  di  mutamento  della  persona
fisica  del  giudicante,  sarebbe  stato  gia'  risolto  dalla  Corte
costituzionale in senso opposto a quello indicato dalle sezioni unite
della Corte di cassazione nella sentenza 15 gennaio 1999-17  febbraio
1999, n. 2; 
    che, infatti, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 17  del
1994,  ha  dichiarato  infondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale della disposizione combinata degli  artt.  238  e  512
cod. proc. pen., ritenendo ammissibile, ai sensi dell'art.  511  cod.
proc.  pen.,   l'acquisizione   mediante   lettura   (o   indicazione
sostitutiva) dei verbali delle dichiarazioni rese dai  testi  escussi
dinanzi al precedente collegio o al diverso giudice-persona fisica, a
prescindere dall'esame del dichiarante (come  confermerebbe  altresi'
l'ordinanza di questa Corte n. 99 del 1996); 
    che - cio' posto -  la  disposizione  censurata  si  porrebbe  in
contrasto,  anzitutto,  con  i   principi   di   eguaglianza   e   di
ragionevolezza  (art.  3  Cost.),  tenuto   conto   del   fatto   che
l'utilizzabilita' di atti di natura probatoria formatisi  davanti  ad
un diverso giudice e' prevista da numerose disposizioni del codice di
rito; 
    che essa e' considerata, in  specie,  nell'art.  238  cod.  proc.
pen., il quale disciplina l'acquisizione  dei  verbali  di  prove  di
altri procedimenti penali, assunte  tanto  nell'incidente  probatorio
che nel dibattimento; nell'art. 26 cod. proc.  pen.,  secondo  cui  i
verbali delle prove assunte dinanzi ad  altro  giudice,  incompetente
per materia, conservano la loro validita'; nell'art.  33-nonies  cod.
proc. pen., in forza  del  quale  l'inosservanza  delle  disposizioni
sulla  composizione  collegiale  o  monocratica  del  tribunale   non
determina l'inutilizzabilita' delle prove gia' acquisite; e,  ancora,
nell'art. 42 cod. proc. pen., ove si prevede che,  nelle  ipotesi  di
astensione e ricusazione, il provvedimento che accoglie  la  relativa
dichiarazione stabilisce se ed  in  quale  parte  gli  atti  compiuti
dinanzi al giudice astenutosi o ricusato conservino efficacia; 
    che a maggior ragione, pertanto,  nell'ipotesi  «fisiologica»  di
mutamento della persona fisica del giudice - ad esempio, per  effetto
di tramutamenti o aspettative -  gli  atti  in  questione  dovrebbero
rimanere efficaci; 
    che la norma impugnata si porrebbe in contrasto anche con  l'art.
101 Cost., in base al quale - cosi' come e' letto  dal  rimettente  -
«tutti i giudici sono uguali dinanzi alla legge»; 
    che il giudice chiamato a sostituire il collega  dovrebbe  essere
considerato, percio', «a quest'ultimo uguale», tanto piu' che non  si
versa nemmeno nella situazione di «sospetto» contemplata dall'art. 42
cod. proc. pen., con riguardo ai casi di astensione o di ricusazione; 
    che detto principio non  sarebbe,  di  contro,  rispettato  nella
situazione in esame,  stante  il  diverso  trattamento  riservato  al
giudice subentrato rispetto a quello  previsto  per  i  casi,  dianzi
indicati, di prove acquisite dinanzi ad altri giudici; 
    che risulterebbe violato, infine, l'art. 111 Cost., in forza  del
quale il processo deve avere  una  ragionevole  durata:  ritenere  il
giudice vincolato, nel caso in esame, dalla  richiesta  di  parte  di
rinnovazione  dell'istruzione  dibattimentale  -  e  cio'  sebbene  i
verbali delle prove testimoniali facciano gia'  parte  del  fascicolo
per il dibattimento, trattandosi di prove assunte nel contraddittorio
tra le parti - significherebbe, infatti, dilatare  irrazionalmente  i
tempi processuali, favorendo l'estinzione dei reati per prescrizione;
esito,  questo,  tanto  meno  accettabile  in   una   situazione   di
«emergenza», quale quella indotta dalle numerose condanne dello Stato
italiano ad opera della Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,  per
l'eccessiva durata dei processi; 
    che  nel  giudizio  di  costituzionalita'   e'   intervenuto   il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione  sia
dichiarata inammissibile o infondata; 
    che, a parere della difesa  dello  Stato,  la  questione  sarebbe
inammissibile,   avendo   il   rimettente   omesso   di    descrivere
compiutamente la fattispecie concreta e di motivare sulla  rilevanza:
in particolare, il giudice a quo non avrebbe precisato se il  riesame
dei testi escussi  sia  o  meno  necessario  nella  specie  (e  cio',
considerata la sussistenza di «situazioni di maggior rischio  per  la
genuinita' della prova in cui  detto  riesame  e'  escluso»);  se  la
rinnovazione  dibattimentale  sia  o  meno  possibile  e  con   quale
prevedibile  allungamento  dei  tempi  processuali;  se,   infine   e
soprattutto, tale allungamento comporti il rischio della prescrizione
del reato per cui si procede; 
    che,  nel  merito,  la  questione  sarebbe  comunque   priva   di
fondamento, in quanto basata su censure  gia'  piu'  volte  disattese
dalla Corte costituzionale. 
    Considerato che il Tribunale di Roma dubita, in riferimento  agli
artt.  3,  101  e  111   della   Costituzione,   della   legittimita'
costituzionale dell'art.  525,  comma  2,  del  codice  di  procedura
penale, nella parte in cui prevede che  «alla  deliberazione  debbano
concorrere a pena di nullita' assoluta i medesimi giudici  che  hanno
partecipato al dibattimento»; 
    che, al di  la'  della  generica  formulazione  del  petitum,  il
rimettente si duole segnatamente della disciplina delle modalita'  di
rinnovazione del dibattimento dopo il mutamento  del  giudice-persona
fisica, quale risultante alla luce dell'interpretazione accolta dalle
sezioni unite della Corte di cassazione (sentenza 15 gennaio  1999-17
febbraio 1999, n. 2) e recepita dalla giurisprudenza di  legittimita'
successiva; 
    che, alla stregua di tale consolidato  indirizzo  interpretativo,
il principio di immutabilita'  del  giudice,  enunciato  dalla  norma
censurata,  impone  di  procedere  all'integrale   rinnovazione   del
dibattimento ogni qualvolta intervengano  cambiamenti  della  persona
del giudice monocratico o della composizione del collegio; 
    che, in tale evenienza - conformemente a quanto gia' affermato da
questa Corte con la sentenza n. 17 del 1994 - i verbali  delle  prove
assunte  dal  precedente  giudice,   in   quanto   documentativi   di
un'attivita' legittimamente compiuta, confluiscono nel fascicolo  per
il dibattimento a disposizione del nuovo giudice e,  quindi,  possono
essere utilizzati per la  decisione  attraverso  lo  strumento  della
lettura; 
    che  siffatta  conclusione  va  tuttavia  coordinata  con  quanto
previsto dell'art. 511, comma 2, cod. proc.  pen.,  secondo  cui  «la
lettura dei verbali di dichiarazioni e' disposta  solo  dopo  l'esame
della persona che le ha rese, a meno che l'esame  non  abbia  luogo»:
dal che si  desume  come  -  al  di  fuori  dell'ipotesi  eccezionale
regolata dall'art. 190-bis cod. proc. pen. -  il  nuovo  giudice  sia
legittimato  ad  utilizzare  le  prove  dichiarative  precedentemente
assunte, tramite semplice lettura, solo qualora detto  esame  non  si
compia,  o   per   volonta'   delle   parti   -   manifestata   anche
implicitamente, con la mancata richiesta di una nuova escussione  del
dichiarante - ovvero per sopravvenuta impossibilita' di essa; 
    che in sostanza, dunque, il nuovo  giudice  deve  procedere  alla
riassunzione  della  prova  dichiarativa  ove  una  parte  ne  faccia
richiesta, sempre che l'atto non risulti impossibile:  e  proprio  da
siffatto vincolo scaturirebbe - secondo il giudice a quo - la lesione
dei parametri costituzionali evocati; 
    che, cio' puntualizzato, l'eccezione  di  inammissibilita'  della
questione per insufficiente descrizione della fattispecie  e  difetto
di motivazione sulla rilevanza,  formulata  dall'Avvocatura  generale
dello Stato, non e' fondata; 
    che  la  descrizione   della   vicenda   processuale,   contenuta
nell'ordinanza di rimessione,  e'  in  effetti  assai  sintetica,  ma
comunque sufficiente a consentire la verifica della rilevanza; 
    che il giudice a quo riferisce, infatti, di  dover  rinnovare  il
dibattimento  nel  processo  principale,  essendo  subentrato  ad  un
collega a seguito di normali avvicendamenti negli uffici  giudiziari;
deduce, altresi', che  davanti  al  precedente  giudice  erano  stati
escussi alcuni testimoni  e  che  mentre  il  pubblico  ministero  ha
consentito  all'utilizzazione  delle  relative   dichiarazioni,   nel
dibattimento rinnovato, tramite  semplice  lettura  dei  verbali,  la
difesa ha chiesto, invece, un nuovo esame dei dichiaranti:  richiesta
che  il  rimettente  dovrebbe  accogliere,  in  base  al  consolidato
indirizzo interpretativo dianzi ricordato; 
    che l'assenza di situazioni che rendano  impossibile  il  riesame
dei testimoni e  la  circostanza  che  non  si  versi  nelle  ipotesi
soggette all'eccezionale regime derogatorio di cui  all'art.  190-bis
cod. proc. pen. (se tale, almeno, e' il senso del  riferimento  della
difesa dello  Stato  alle  «situazioni  di  maggior  rischio  per  la
genuinita' della prova in cui  detto  riesame  e'  escluso»)  possono
ritenersi implicite in quanto riferito; 
    che tanto meno, poi - contrariamente a quanto assume l'Avvocatura
dello Stato - puo' ritenersi che il giudice  a  quo  fosse  tenuto  a
quantificare  il  prevedibile  allungamento  dei  tempi   processuali
prodotto  dalla  ripetizione  dell'esame  e  a  precisare   se   esso
rischiasse effettivamente di  provocare  la  prescrizione  del  reato
oggetto di giudizio; 
    che, in  tal  modo,  si  confonde,  infatti,  la  valutazione  di
rilevanza con quella di non  manifesta  infondatezza:  il  rimettente
censura, in  riferimento  al  principio  di  ragionevole  durata  del
processo, un effetto negativo ascrivibile in  termini  generali  alla
norma  censurata,  che  non  deve  necessariamente  ricorrere   nella
situazione di specie; la questione  resta  in  ogni  caso  rilevante,
perche'  il  suo  accoglimento  eviterebbe  al  rimettente  di  dover
accogliere l'istanza della  difesa  di  rinnovazione  dell'esame  dei
testi; 
    che, quanto al merito, non sussiste, in realta', alcun  contrasto
fra la costante giurisprudenza di legittimita'  e  il  precedente  di
questa Corte citato dal rimettente (sentenza n.  17  del  1994),  nel
quale, anzi, si sottolinea che, in caso di sostituzione  del  giudice
in corso di dibattimento, la lettura del verbale del precedente esame
testimoniale e' legittima solo dopo nuovo esame del teste, salvo  che
questo non abbia luogo (come nel caso di sopravvenuta morte del teste
medesimo); regola, questa, poi ribadita anche  nell'ordinanza  n.  99
del 1996, pure evocata dal rimettente; 
    che, per converso, questa Corte ha  gia'  piu'  volte  dichiarato
manifestamente infondate questioni analoghe  a  quella  odierna,  con
pronunce successive alla citata decisione delle sezioni  unite  della
Corte di cassazione, totalmente ignorate dal giudice a quo (ordinanze
n. 318 del 2008; n. 67 del 2007; n. 418 del 2004; n. 73 del 2003;  n.
59 del 2002; n. 431 e n. 399 del 2001); 
    che la Corte ha rilevato, in specie, come la  disciplina  oggetto
di scrutinio si correli al  principio  di  immediatezza,  che  ispira
l'impianto del codice di rito e di cui la  regola  dell'immutabilita'
del giudice costituisce strumento attuativo: principio che postula  -
salve le deroghe espressamente previste - l'identita' tra il  giudice
che acquisisce le prove e il giudice che decide; 
    che la disciplina censurata risulta, in tale  ottica,  tutt'altro
che irrazionale: la parte che chiede la rinnovazione  dell'esame  del
dichiarante  esercita  infatti  il  proprio  diritto,  garantito  dal
principio di immediatezza, «all'assunzione  della  prova  davanti  al
giudice chiamato a decidere» (ordinanze n. 318 del 2008,  n.  67  del
2007 e n. 418 del 2004); 
    che,  con  specifico  riferimento   alle   censure   dall'odierno
rimettente, questa Corte ha escluso, altresi', che sia  configurabile
una violazione dell'art.  3  Cost.,  sotto  il  profilo  del  diverso
trattamento riservato a fattispecie identiche o similari; 
    che, in particolare, si e' rilevato come sia erroneo il richiamo,
quale tertium comparationis, all'art. 238 cod. proc. pen., in tema di
acquisizione dei verbali di prove provenienti da altro  procedimento,
il quale non consente affatto - in presenza della richiesta di  nuovo
esame avanzata da una delle parti - di utilizzare mediante lettura le
precedenti dichiarazioni assunte da diverso giudice (ordinanza n. 399
del 2001; in senso conforme, ordinanze n. 59 del 2002 e  n.  431  del
2001); 
    che il comma  5  dell'art.  238  cod.  proc.  pen.  fa,  infatti,
espressamente salvo il diritto delle parti di ottenere l'esame  delle
persone le cui dichiarazioni  sono  state  acquisite;  mentre  l'art.
511-bis cod. proc. pen., nel prevedere che il giudice dia lettura dei
verbali degli atti  indicati  dall'art.  238,  richiama  il  comma  2
dell'art. 511 cod. proc. pen., che, come  gia'  ricordato,  prescrive
che sia data lettura dei verbali di dichiarazioni solo  dopo  l'esame
del dichiarante, salvo che questo non abbia luogo; 
    che parimenti non probante e' stato ritenuto il riferimento  agli
artt.  26  e  33-nonies  cod.  proc.  pen.,  i  quali   stabiliscono,
rispettivamente, che «l'inosservanza delle norme sulla competenza non
produce  l'inefficacia   delle   prove   gia'   acquisite»,   e   che
«l'inosservanza delle disposizioni sulla  composizione  collegiale  o
monocratica del tribunale  non  determina  [...]  l'inutilizzabilita'
delle prove gia' acquisite»; 
    che nelle ipotesi indicate si assiste, infatti, ad un cambiamento
delle persone fisiche dei giudicanti: con la conseguenza che  possono
ritenersi comunque applicabili, in difetto di indicazioni  contrarie,
le regole valevoli in via generale in caso di mutamento del  giudice,
ivi compresa quella sottoposta a censura (ordinanza n. 67 del 2007); 
    che tale considerazione  e'  pienamente  estensibile  anche  alle
ulteriori  fattispecie  dell'astensione  e  della   ricusazione   del
giudice, invocate dall'odierno rimettente; 
    che la previsione dell'art.  42,  comma  2,  cod.  proc.  pen.  -
secondo la quale «il provvedimento che accoglie la  dichiarazione  di
astensione o di ricusazione dichiara se e in  quale  parte  gli  atti
compiuti precedentemente dal giudice astenutosi o ricusato conservano
efficacia»  -  vale,  difatti,  a  delimitare  l'area  del  possibile
recupero dell'attivita' istruttoria gia' espletata,  ma  non  esclude
che, entro tale area - assistendosi, di nuovo, ad un mutamento  della
persona fisica  del  giudicante  -  trovino  applicazione  le  regole
generali relative a tale evenienza; 
    che questa  Corte  ha  gia'  avuto  modo,  per  altro  verso,  di
qualificare - in rapporto  ad  analoga  censura  -  come  «del  tutto
incongrue» le considerazioni sulla cui base il  rimettente  prospetta
la violazione dell'art. 101 Cost. (ordinanza n. 399 del 2001); 
    che nella norma costituzionale ora citata non si legge affatto  -
come vuole il rimettente - che «tutti i giudici sono  uguali  dinanzi
alla legge», ma che i giudici «sono soggetti  soltanto  alla  legge»:
principio che non risulta  minimamente  scalfito  dall'applicabilita'
della disciplina in questione, volta a tutela di  un  diverso  valore
(quello di immediatezza); 
    che quanto, poi, alla ragionevole durata del processo (art.  111,
secondo comma, Cost.) - in assunto compromessa  dalla  necessita'  di
rinnovare prove acquisite nella pienezza  del  contraddittorio  -  la
Corte ha gia' reiteratamente  rilevato  come  detto  principio  debba
essere contemperato, alla luce dello stesso richiamo al  concetto  di
«ragionevolezza»  che  compare  nella  formula  normativa,   con   il
complesso delle altre garanzie costituzionali, rilevanti nel processo
penale: garanzie la cui attuazione  positiva  e'  insindacabile,  ove
frutto - come nella specie - di scelte non prive di una valida  ratio
(ordinanze n. 318 del 2008, n. 67 del 2007, n. 418 del 2004 e n.  399
del 2001); 
    che,  in  senso  contrario,  il  giudice  a  quo   rimarca   come
l'eccessiva durata dei processi sia stata causa di reiterate condanne
dello Stato  italiano  da  parte  della  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo, e  percio'  fonte  di  «notevoli  esborsi  per  l'Erario»:
fenomeno che, colorandosi dei tratti di una vera e propria «emergenza
per il paese», imporrebbe il «ripudio di  ogni  attivita'  ripetitiva
eliminabile senza arrecare pregiudizio ai diritti fondamentali  delle
parti», legittimando, cosi', la convinzione che i tempi  siano  ormai
«maturi»  per  la  declaratoria  di   illegittimita'   costituzionale
dell'art. 525, comma 2, cod. proc. pen. nei sensi auspicati; 
    che, in replica a tali considerazioni, va peraltro osservato  che
il diritto «all'assunzione della prova davanti al giudice chiamato  a
decidere» - diritto che, in base  alla  ricordata  giurisprudenza  di
questa  Corte,  la  parte  esercita  nel  chiedere  la   rinnovazione
dell'esame del dichiarante - si raccorda, almeno per  quanto  attiene
all'imputato, anche  alla  garanzia  prevista  dall'art.  111,  terzo
comma, Cost., nella parte in cui riconosce alla «persona accusata  di
un reato [...] la facolta', davanti al giudice, di interrogare  o  di
far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico»  e
«di ottenere la convocazione e  l'interrogatorio  di  persone  a  sua
difesa nelle stesse condizioni dell'accusa»; 
    che  viene  quindi  in   rilievo,   a   tale   riguardo,   quanto
reiteratamente affermato proprio  dalla  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo - dalle cui censure, secondo il rimettente,  l'accoglimento
della questione dovrebbe mettere l'Italia al riparo  -  in  relazione
all'omologa previsione dell'art. 6, paragrafo 3,  lettera  d),  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata
con legge 4 agosto 1955, n. 848 (previsione che e' servita da modello
a quella dell'art. 111 Cost., dianzi ricordata):  e,  cioe',  che  la
possibilita', per l'imputato, di  confrontarsi  con  i  testimoni  in
presenza del giudice che dovra' poi decidere sul merito delle  accuse
costituisce una garanzia del processo  equo,  in  quanto  permette  a
quest'ultimo  di  formarsi  un'opinione  circa  la  credibilita'  dei
testimoni fondata su un'osservazione diretta del loro  comportamento;
con la conseguenza che ogni  mutamento  di  composizione  dell'organo
giudicante  deve  comportare,  di  norma,  una  nuova  audizione  del
testimone le cui  dichiarazioni  possano  apparire  determinanti  per
l'esito del processo (sentenza 27  settembre  2007,  Reiner  e  altri
contro Romania; sentenza 30  novembre  2006,  Grecu  contro  Romania;
sentenza  10  febbraio  2005,  Graviano  contro  Italia;  sentenza  4
dicembre 2003, Milan contro Italia; sentenza 9  luglio  2002,  P.  K.
contro Finlandia); 
    che la ratio giustificatrice della rinnovazione della  prova  non
si richiama, dunque, ad una presunta  incompletezza  o  inadeguatezza
della originaria  escussione,  ma  si  fonda  sulla  opportunita'  di
mantenere  un  diverso  e  diretto  rapporto  tra  giudice  e  prova,
particolarmente quella dichiarativa,  non  garantito  dalla  semplice
lettura dei verbali: vale a dire la diretta percezione, da parte  del
giudice  deliberante,  della  prova  stessa  nel  momento  della  sua
formazione, cosi' da poterne cogliere tutti i  connotati  espressivi,
anche quelli di carattere non verbale, particolarmente  prodotti  dal
metodo dialettico dell'esame e del controesame; connotati che possono
rivelarsi  utili  nel  giudizio  di  attendibilita'   del   risultato
probatorio, cosi' da  poterne  poi  dare  compiutamente  conto  nella
motivazione ai sensi  di  quanto  previsto  dall'art.  546  comma  1,
lettera e), cod. proc. pen.; 
    che e' ben vero che l'anzidetto diritto della  parte  alla  nuova
audizione  non  e'  assoluto,  ma   modulabile   (entro   limiti   di
ragionevolezza) dal legislatore:  nei  ricordati  precedenti,  questa
Corte ha fatto, in effetti,  riferimento  alla  possibilita'  che  il
legislatore  introduca  «presidi  normativi  volti  a  prevenire   il
possibile uso strumentale  e  dilatorio»  del  diritto  in  questione
(ordinanze n. 318 del 2008 e n. 67 del 2007); mentre la stessa  Corte
di Strasburgo ha riconosciuto che esso ammette eccezioni; 
    che cio' non toglie, tuttavia, che il riesame del dichiarante, in
presenza di una richiesta  di  parte,  continui  a  rappresentare  la
regola: il che priva di ogni validita' la ricordata  convinzione  del
rimettente, riguardo al  fatto  che  «i  tempi  [siano]  maturi»  per
l'accoglimento della questione di costituzionalita' proposta; 
    che tale regola nel processo penale costituisce uno  dei  profili
del diritto alla prova, strumento necessario del diritto di azione  e
di  difesa,  da  riconoscere  lungo  l'arco  di  tutto  il  complesso
procedimento probatorio, quale diritto alla ricerca della prova, alla
sua introduzione nel processo, alla partecipazione diretta  alla  sua
acquisizione davanti al giudice terzo e imparziale,  da  ultimo  alla
sua valutazione  ai  fini  della  decisione  da  parte  dello  stesso
giudice; 
    che si tratta di regola costituente uno degli aspetti  essenziali
del modello processuale accusatorio, espresso dal vigente  codice  di
procedura penale; 
    che per tali  ragioni  la  sua  osservanza  e'  presidiata  dalla
massima sanzione processuale, vale a dire dalla nullita' assoluta; 
    che  la  questione  va   dichiarata,   pertanto,   manifestamente
infondata. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
 
                          Per questi motivi 
 
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 525, comma  2,  del  codice  di
procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 101  e  111
della Costituzione, dal Tribunale di Roma con l'ordinanza indicata in
epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 giugno 2010. 
 
                       Il Presidente: Amirante 
 
 
                         Il redattore: Frigo 
 
 
                      Il cancelliere: Di Paola 
 
    Depositata in cancelleria il 10 giugno 2010. 
 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola