N. 217 SENTENZA 9 - 17 giugno 2010

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Contenzioso tributario - Tutela cautelare -  Possibilita',  in  unico
  grado, di sospendere la sentenza di  appello  tributaria  impugnata
  con ricorso per Cassazione, in caso di sopravvenuto pericolo di  un
  grave ed irreparabile danno, con carattere  di  irreversibilita'  e
  non altrimenti evitabile - Omessa previsione -  Denunciata  lesione
  del diritto di difesa, dei principi di ragionevolezza,  di  riserva
  di legge in materia  di  prestazioni  patrimoniali  imposte  e  del
  giusto processo, nonche' asserita violazione della  garanzia  della
  tutela   giurisdizionale   avverso   gli   atti   della    pubblica
  amministrazione   -   Mancato   esperimento   del   tentativo    di
  un'interpretazione  conforme  a  Costituzione  della   disposizione
  censurata - Insussistenza del fumus boni iuris e difetto  di  prova
  del periculum in mora nel giudizio  a  quo  -  Carente  motivazione
  sulla rilevanza - Difetto di  rilevanza  -  Inammissibilita'  della
  questione. 
- D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 49, comma 1. 
- Costituzione, artt. 3, 10, 23, 24, 111 e 113;  Convenzione  europea
  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle   liberta'
  fondamentali, art. 6, comma 1, ratificata e  resa  esecutiva  dalla
  legge 4 agosto 1955, n. 848. 
(GU n.25 del 23-6-2010 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino
  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe   TESAURO,   Paolo   Maria
  NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI. 
ha pronunciato la seguente 
 
                               Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  49,  comma  1,
del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n.  546  (Disposizioni  sul
processo tributario in attuazione della delega al  Governo  contenuta
nell'articolo 30 della legge 30 dicembre1991, n. 413), promosso dalla
Commissione tributaria regionale  della  Campania,  nel  procedimento
cautelare vertente tra Giovanni Mario Annunziata  e  l'Agenzia  delle
entrate, ufficio di Nola, con ordinanza  pronunciata  il  13  ottobre
2008, iscritta al n. 322 del registro  ordinanze  2009  e  pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.  3, 1ª  serie  speciale,
dell'anno 2010. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio del 12  maggio  2010  il  Giudice
relatore Franco Gallo. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.  -  Nel  corso  di  un  procedimento  instaurato   a   seguito
dell'istanza  proposta  da  un  contribuente  per  ottenere,  in  via
cautelare, la sospensione dell'esecuzione di una sentenza  tributaria
di secondo grado, la Commissione tributaria regionale della Campania,
con ordinanza pronunciata il  13  ottobre  2008,  ha  sollevato -  in
riferimento agli artt. 3, 23,  24,  111  e  113  della  Costituzione,
nonche', quale norma interposta all'art.  10  Cost.,  in  riferimento
all'art. 6, comma  1,  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il  4
novembre 1950, ratificata ed eseguita con legge  4  agosto  1955,  n.
848 - questione di legittimita' dell'art. 49, comma  1,  del  decreto
legislativo 31 dicembre  1992,  n.  546  (Disposizioni  sul  processo
tributario  in  attuazione  della   delega   al   Governo   contenuta
nell'articolo 30 della legge  30  dicembre1991,  n.  413),  il  quale
stabilisce che «Alle impugnazioni delle  sentenze  delle  commissioni
tributarie si applicano le disposizioni del titolo III, capo  I,  del
libro II del codice di procedura civile, escluso l'art. 337  e  fatto
salvo quanto disposto nel presente decreto». 
    2. - La Commissione tributaria rimettente premette, in  punto  di
fatto, che: a) con propria sentenza n. 417/07/2004, emessa  in  grado
di appello e depositata il  27  aprile  2005,  aveva  rigettato -  in
riforma della sentenza di primo grado ed in accoglimento del  gravame
proposto dall'Agenzia delle  entrate -  il  ricorso  proposto  da  un
contribuente avverso l'avviso di accertamento,  ai  fini  dell'IRPEF,
dei redditi derivanti dalla sua partecipazione  ad  una  societa'  di
persone nell'anno 1993;  b)  il  contribuente  aveva  successivamente
presentato ricorso per cassazione («depositato il  20  giugno  2007»)
avverso la predetta sentenza di appello, deducendo che solo nel  2007
aveva avuto notizia, in occasione della ricezione della notificazione
di una cartella di pagamento, dell'esistenza della citata sentenza di
appello (e, quindi, del correlativo giudizio)  riguardante  il  sopra
menzionato avviso di accertamento; c) il ricorso per  cassazione,  in
particolare,  era  basato  sull'assunto  che  nel  secondo  grado  di
giudizio era stato violato il contraddittorio,  perche'  la  notifica
dell'atto di appello, avvenuta a mezzo  posta  con  la  consegna  del
plico al portiere dell'appellato, non era stata seguita dall'invio di
altra   lettera   raccomandata   per   informare   il    destinatario
dell'avvenuta notificazione e l'appellato contribuente, pertanto, non
aveva avuto notizia del proposto gravame; d) nelle more del  giudizio
di  cassazione,  il  medesimo  contribuente  aveva  presentato   alla
Commissione tributaria regionale un'istanza di  sospensione,  in  via
cautelare, dell'esecuzione dell'impugnata sentenza di secondo  grado,
invocando l'applicazione dell'art. 373 cod. proc. civ. e degli  artt.
47,  49  e  61  del  d.lgs.  n.  546  del  1992   e   deducendo   che
dall'esecuzione   della   sentenza   poteva   derivargli   grave   ed
irreparabile danno,  a  seguito  sia  della  notificazione  nei  suoi
confronti della menzionata cartella di pagamento, basata  sull'avviso
di  accertamento  di  cui  alla  sentenza  di  appello,   sia   della
comunicazione (con nota del 25 luglio 2008) dell'eseguita  iscrizione
ipotecaria immobiliare effettuata - ai sensi dell'art. 77 del  d.P.R.
29 settembre 1973,  n.  602  (Disposizioni  sulla  riscossione  delle
imposte  sul  reddito)  -  a  garanzia,  ad  un  tempo,  del  credito
tributario risultante dalla suddetta sentenza  di  appello  (pari  ad
€ 210.988,62), nonche' di un  ulteriore  credito,  per  altro  titolo
(pari ad altri € 342.951,48). 
    3. -  Il  giudice  rimettente  premette  altresi',  in  punto  di
diritto, che: a) il denunciato comma 1 dell'art. 49 del d.lgs. n. 546
del  1992  esclude   espressamente   l'applicabilita'   al   processo
tributario dell'art. 337  cod.  proc.  civ.  e  quindi,  secondo  «la
giurisprudenza assolutamente  prevalente»,  esclude  l'applicabilita'
anche delle disposizioni menzionate da tale articolo, tra le quali e'
compreso l'art. 373 cod. proc. civ., il  quale  prevede,  al  secondo
periodo del primo comma,  che  «il  giudice  che  ha  pronunciato  la
sentenza  impugnata   puo',   su   istanza   di   parte   e   qualora
dall'esecuzione possa derivare grave ed irreparabile danno,  disporre
con ordinanza non impugnabile che l'esecuzione sia sospesa o che  sia
prestata congrua cauzione»; b) l'interpretazione  della  disposizione
censurata fornita da tale giurisprudenza, secondo cui l'art. 373 cod.
proc. civ. non e' applicabile  al  processo  tributario,  costituisce
«fedele applicazione delle regole ermeneutiche»; c) nella specie, «il
rischio  di  danno  irreparabile  (in  presenza   di   una   sentenza
annullatoria dell'accertamento in primo grado)  nasce  per  la  prima
volta dalla sentenza di appello che ha "ribaltata" la prima sentenza,
sicche' sulla domanda di cautela (che non poteva che essere formulata
dopo la sentenza di appello) mai vi e' stata la pronuncia di  giudice
(ne' mai in precedenza avrebbe potuto esservi)». 
    4. - Tanto premesso, il giudice a quo afferma che la disposizione
denunciata viola: a) il principio di ragionevolezza di  cui  all'art.
3, primo comma, Cost., perche' nel caso in cui - come nella specie  -
la pronuncia di appello abbia riformato la sentenza  di  primo  grado
favorevole  al  contribuente,  irragionevolmente  esclude  la  tutela
cautelare «a fronte di atti impositivi esecutivi per la  prima  volta
emessi in esecuzione di una sentenza di secondo grado»  e,  pertanto,
consente il «sacrificio inevitabile ed irreparabile» dei diritti  del
contribuente, nonostante che il sistema processuale sia stato «creato
a garanzia di diritti  soggettivi  tributari  (a  versare  il  giusto
tributo)» e che la giurisprudenza della Corte di giustizia  CE  tenda
ad  «ampliare  la  sfera  della  tutela  cautelare  e  ad   affermare
l'esigenza della effettiva e sostanziale tutela dei diritti derivanti
dalla normativa comunitaria» (sentenze: Factorame del 19 giugno 1990,
in causa C-231/89;  Zuckerfabrik  del  21  febbraio  1991,  in  cause
C-143/88 e C-92/88; Atlanta del 9 novembre 1989, in  causa  C-465/92;
Kofisa Italia dell'11 gennaio 2001, in causa C-1/99); b) gli artt. 23
e 24 Cost., perche' consente «l'assoggettamento ad esecuzione forzata
[...] senza che in base alla legge il debitore possa adire un giudice
in sede cautelare», pur essendo la disponibilita' di misure cautelari
componente  essenziale   della   tutela   giurisdizionale   garantita
dall'art. 24, Cost. (come sottolineato  da  numerose  pronunce  della
Corte costituzionale); c)  l'art.  113,  Cost.,  perche',  escludendo
«aprioristicamente» un rimedio cautelare avverso l'esecuzione di  una
sentenza di secondo grado che abbia riformato la  sentenza  di  primo
grado favorevole al contribuente, per cio' stesso esclude  anche  che
la tutela giurisdizionale dei  diritti  ed  interessi  legittimi  sia
«sempre»  ammessa,  come  invece  richiesto  dall'evocato   parametro
costituzionale;  d)  gli  artt.  111,  Cost.  e  6,  comma  1,  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali  adottata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  «in
relazione all'art. 10, Cost.», perche' «il ritardo di  giustizia  non
puo' tradursi, nelle more della sentenza della Corte  di  cassazione»
sulla sentenza di appello impugnata, «in  perdita  irreversibile  del
patrimonio  del  contribuente  che,  in  ipotesi,  risultera'   avere
ragione». 
    Il rimettente osserva, infine, che alla prospettata dichiarazione
di illegittimita' costituzionale della  disposizione  denunciata  non
ostano i  precedenti  giurisprudenziali  della  Corte  costituzionale
concernenti l'art. 49 del d.lgs. n. 546 del 1992 (sentenza n. 165 del
2000; ordinanze n. 217 del 2000, n. 325 del 2001 e n. 119 del 2007). 
    In particolare,  con  la  sentenza  n.  165  del  2000  la  Corte
costituzionale ha affermato che la  previsione  di  mezzi  di  tutela
cautelare nelle fasi di giudizio successive alla pronuncia di  merito
sulla domanda, in favore della parte  soccombente  nel  merito,  deve
ritenersi rimessa alla discrezionalita' del legislatore.  Tuttavia  -
osserva il giudice  a  quo  -  tale  pronuncia  riguarda  la  «tutela
ordinaria»  del  contribuente  in  sede  cautelare   e   non   quella
«eccezionale», la cui esigenza sorga cioe', come nel caso di  specie,
solo a seguito della sentenza di appello che, riformando la  sentenza
di primo grado, abbia rigettato il ricorso del  contribuente  avverso
un atto impositivo. 
    Con le ordinanze n. 217 del 2000 e n. 325 del 2001,  la  medesima
Corte ha rilevato, poi, che gli artt. 3 e 24, Cost. non impongono ne'
il doppio grado cautelare  ne'  l'uniformita'  tra  i  vari  tipi  di
processo, con la conseguenza che la previsione di  cui  all'art.  373
cod. proc. civ. puo'  ben  restare  confinata  nel  processo  civile.
Tuttavia - osserva ancora il rimettente -  nella  presente  questione
non si invocano ne' «un parallelismo [...] di  tutela  cautelare  tra
processo   tributario   e   processo   civile   o   anche    processo
amministrativo», «ne' il doppio grado cautelare», ma si richiama solo
la  necessita'  di  garantire  nel  processo  tributario  una  tutela
cautelare, in unico grado, quando per la prima volta, a seguito della
pronuncia di appello, «ne sorgano i presupposti e l'esigenza». 
    Con l'ordinanza n. 119 del 2007, infine, la Corte  costituzionale
ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione  sottopostale
in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., sia perche'  nel  giudizio  a
quo l'istanza di sospensione era stata reiterata dopo il suo rigetto,
in limine dell'appello; sia perche' «l'oggetto del  provvedimento  di
sospensione non potrebbe mai  essere  la  sentenza  che  ha  respinto
l'impugnazione, bensi' semmai  il  provvedimento  impositivo  la  cui
impugnazione e' stata rigettata in primo grado». Tuttavia - argomenta
il medesimo rimettente - la sentenza di  primo  grado,  nel  caso  in
esame, non e'  stata  sfavorevole  al  contribuente  e,  pertanto,  a
differenza dell'ipotesi esaminata dalla citata ordinanza n.  119  del
2007,  l'istanza  di  sospensione  non  e'  stata  ne'  proposta  ne'
rigettata in sede di appello, ma  e'  stata  proposta  solo  dopo  la
sentenza di secondo grado, con riferimento proprio al «"provvedimento
impositivo", ossia» alla «iscrizione a ruolo effettuata  dall'Agenzia
(da cui, a sua volta,  deriva  la  iscrizione  ipotecaria  effettuata
dall'agente della riscossione) in quanto e' tale iscrizione (e la sua
attuazione mediante ipoteca e consequenziale espropriazione  forzata)
a  costituire  il   sopravvenuto   pericolo   di   danno   grave   ed
irreparabile». 
    5. - In ordine  alla  rilevanza  della  sollevata  questione,  il
rimettente afferma che «sussisterebbero nella  specie  i  presupposti
per l'accoglimento dell'istanza  di  sospensione  sia  dell'efficacia
dell'impugnata sentenza di secondo grado,  sia  dell'efficacia  della
iscrizione a ruolo  e  dell'iscrizione  di  ipoteca  emessi,  in  via
consequenziale e derivata ex art. 68, comma 1, lett. c),  d.lgs.  nr.
546/1992». Ad avviso del giudice a quo  sussisterebbero,  infatti,  i
presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora:  a)  quanto
al primo, perche', in base ad una  «delibazione  sommaria  incidenter
tantum e limitatamente ai  [...]  fini  cautelari»,  il  ricorso  per
cassazione proposto  dal  contribuente  e'  fondato,  posto  che  «il
mancato invio della raccomandata  di  conferma»  della  notificazione
effettuata «tramite agente postale con consegna  [...]  al  portiere»
appare «in contrasto con le disposizioni di cui agli artt. 139, comma
4, c.p.c. e 16, comma 2, e 61 d.lgs. nr. 546/1992 [...], 60, comma 1,
D.P.R. nr. 600/1973», soprattutto in  considerazione  del  fatto  che
«l'art. 37, comma 27, lett.a) d.l. nr. 223/2006, conv. con  modifiche
in legge nr. 248/2006 ha chiarito che le notifiche a mezzo  di  messi
di atti o avvisi di accertamento, se effettuata a mani  di  accipiens
diverso dal destinatario, deve  essere  seguita  dalla  c.d.  seconda
raccomandata» e che «siffatta esigenza di  una  seconda  raccomandata
appare ancora piu' pregnante, in caso  di  notifica  a  mezzo  posta,
quando si tratti di notifica di atti di appello»; b) quanto all'altro
presupposto,  perche'  e'  evidente  il   pericolo   del   grave   ed
irreparabile danno «che deriverebbe  al  contribuente  dalla  vendita
forzata dei  18  immobili  ipotecati  [...]  e  dalla  consequenziale
irrecuperabilita' di quei beni, una volta coattivamente alienati»,  a
fronte dell'adeguata salvaguardia dell'interesse dell'amministrazione
finanziaria tramite la «garanzia reale» operante anche nel periodo di
eventuale sospensione dell'efficacia della sentenza di secondo  grado
e della consequenziale iscrizione  ipotecaria,  fino  alla  decisione
della Corte di cassazione. In proposito, il rimettente  aggiunge  che
l'autonoma impugnabilita' del provvedimento di iscrizione  ipotecaria
- prevista dal comma 1, lettera e-bis), dell'art. 19  del  d.lgs.  n.
546 del 1992 - non  fa  venir  meno  la  rilevanza  della  questione,
perche' tale impugnazione puo' essere proposta solo per i vizi propri
dell'iscrizione, senza che il giudice possa sindacare «il presupposto
di essa (nella  fattispecie,  la  sentenza  di  secondo  grado  [...]
impugnata con ricorso per cassazione)». 
    6. - Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  in
giudizio, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata. 
    La difesa dello Stato osserva che la Corte costituzionale  si  e'
costantemente pronunciata nel senso della legittimita' costituzionale
del denunciato art. 49 del d.lgs. n. 546 del 1992 (ordinanze n. 119 e
n. 4 del 2007; n. 325 del 2001; n. 310, n. 217 e n. 165 del  2000)  e
«ritiene che tale orientamento  debba  essere  confermato  anche  nel
presente caso», senza che il giudice possa sindacare «il  presupposto
di essa (nella  fattispecie,  la  sentenza  di  secondo  grado  [...]
impugnata con ricorso per cassazione)». Deduce, al riguardo,  che  la
suddetta disposizione  non  si  pone  in  contrasto  con  alcuno  dei
parametri costituzionali evocati dal rimettente: a) non con l'art. 3,
Cost. - sotto l'aspetto della  parita'  di  trattamento  rispetto  ad
altri sistemi processuali  e  della  ragionevolezza  -,  perche'  non
sussiste alcun principio costituzionalmente rilevante  di  necessaria
uniformita' tra i vari tipi di processo (vengono citate  le  sentenze
n. 18 del 2000 e n. 82 del 1996; nonche' l'ordinanza n. 325 del 2001)
e perche' la spiccata specificita' del processo tributario, nel quale
occorre ricercare  il  contemperamento  tra  la  preminente  esigenza
pubblica di assicurare  il  flusso  delle  entrate  tributarie  e  le
pretese del contribuente, rende non irragionevole  l'attribuzione  di
una  minore  ampiezza  di  poteri  cautelari  all'organo   giudicante
tributario, rispetto a quella dei giudici civili  od  amministrativi;
b) non con l'art. 23 Cost., perche' la  pretesa  dell'amministrazione
tributaria trova il suo fondamento proprio nella legge;  c)  non  con
l'art. 24 Cost.,  perche',  come  sottolineato  dalla  giurisprudenza
costituzionale, «la garanzia costituzionale della  tutela  cautelare»
deve ritenersi «imposta solo fino al momento in cui  non  intervenga,
nel processo, una pronuncia di merito che  accolga  -  con  efficacia
esecutiva - la domanda [...] ovvero la respinga» (sentenze n.  217  e
n. 165 del 2000; ordinanza n. 325 del 2001) e perche' a nulla  rileva
«che, nel caso di specie, non sia stata  possibile,  per  l'andamento
del  processo,  una  doppia  tutela   cautelare   avendo   avuto   il
contribuente ragione nel primo grado e torto  nel  secondo»;  d)  non
«con l'art. 111, Cost.», perche' tale parametro e' stato erroneamente
evocato  -  in  luogo  dell'art.  117,  primo  comma,   Cost. -   con
riferimento all'obbligo internazionale derivante  dall'art.  6  della
Convenzione dei diritti dell'uomo (sentenze  n.  349  e  n.  348  del
2007); e) non con l'art. 113 Cost., «atteso che il  diritto  azionato
dalla parte  pubblica,  che  si  vuole  paralizzare,  e'  attualmente
all'esame della Corte di  cassazione».  L'Avvocatura  generale  dello
Stato sottolinea  infine,  sotto  il  profilo  della  rilevanza,  che
l'iscrizione ipotecaria immobiliare effettuata con  riferimento  alla
sentenza di appello impugnata  per  cassazione  costituisce  un  atto
autonomamente impugnabile e, pertanto, puo'  essere  sospesa  in  via
cautelare, ove da essa possa derivare un danno grave ed irreparabile. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - La Commissione tributaria regionale della Campania  dubita -
in riferimento agli artt. 3, 23, 24, 111 e  113  della  Costituzione,
nonche', quale norma interposta all'art. 10,  Cost.,  in  riferimento
all'art. 6, comma  1,  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il  4
novembre 1950, ratificata ed eseguita con legge  4  agosto  1955,  n.
848 -  della  legittimita'  dell'art.  49,  comma  1,   del   decreto
legislativo 31 dicembre  1992,  n.  546  (Disposizioni  sul  processo
tributario  in  attuazione  della   delega   al   Governo   contenuta
nell'articolo 30 della legge 30 dicembre  1991,  n.  413),  il  quale
stabilisce che «Alle impugnazioni delle  sentenze  delle  commissioni
tributarie si applicano le disposizioni del titolo III, capo  I,  del
libro II del codice di procedura civile, escluso l'art. 337  e  fatto
salvo quanto disposto nel presente decreto». 
    La  suddetta  Commissione  tributaria  afferma   che   la   norma
denunciata viola gli evocati parametri costituzionali,  «nella  parte
in cui non prevede, in unico grado, la  possibilita'  di  sospensione
della sentenza di  appello  tributaria,  impugnata  con  ricorso  per
cassazione, allorquando ivi  sopravvenga,  per  la  prima  volta,  il
pericolo di un  "grave  ed  irreparabile  danno",  con  carattere  di
irreversibilita' e non altrimenti evitabile». In particolare, secondo
la  medesima  Commissione,  la  disposizione  censurata  si  pone  in
contrasto con: a) il principio di ragionevolezza di cui  all'art.  3,
primo comma, Cost., perche', nel caso in cui la pronuncia di  appello
abbia  riformato  la  sentenza   di   primo   grado   favorevole   al
contribuente, irragionevolmente esclude la tutela cautelare «a fronte
di atti impositivi esecutivi per la prima volta emessi in  esecuzione
di una  sentenza  di  secondo  grado»  sfavorevole  all'appellato  e,
pertanto, consente il «sacrificio inevitabile  ed  irreparabile»  dei
diritti del contribuente; b)  gli  artt.  23  e  24,  Cost.,  perche'
prevede l'assoggettamento ad esecuzione forzata [...]  senza  che  in
base  alla  legge  il  debitore  possa  adire  un  giudice  in   sede
cautelare»,  pur  essendo  la  disponibilita'  di  misure   cautelari
componente  essenziale   della   tutela   giurisdizionale   garantita
dall'art. 24, Cost.; c) gli artt. 111, Cost.  e  6,  comma  1,  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950  (ratificata
ed eseguita con legge 4 agosto 1955, n. 848), «in relazione  all'art.
10 Cost.», perche' «il ritardo di giustizia non puo' tradursi,  nelle
more della sentenza della Corte di cassazione» avente ad  oggetto  la
sentenza  di  appello  impugnata,  «in  perdita   irreversibile   del
patrimonio  del  contribuente  che,  in  ipotesi,  risultera'   avere
ragione»; d) l'art. 113, Cost., perche' «aprioristicamente  impedisce
un rimedio cautelare avverso l'attuazione di una pretesa  tributaria,
fondata su una sentenza di secondo grado, che  abbia  "ribaltato"  in
appello,  una  sentenza  di  primo  grado  pienamente  favorevole  al
contribuente» e, pertanto, si  pone  in  contrasto  con  il  precetto
costituzionale secondo  cui  la  tutela  giurisdizionale  dei  propri
diritti ed interessi legittimi e' «sempre» ammessa. 
    2. - La questione e' inammissibile per tre distinti motivi. 
    2.1. - Il primo motivo di inammissibilita' discende dal fatto che
il rimettente, nonostante la  mancanza  di  un  diritto  vivente  sul
punto,  non  ha  esperito  alcun   tentativo   di   interpretare   la
disposizione censurata nel senso che essa consenta l'applicazione  al
processo tributario della sospensione  cautelare  prevista  dall'art.
373 cod. proc. civ., con conseguente  insussistenza  del  prospettato
contrasto con gli evocati parametri costituzionali. 
    Il giudice a quo  muove  da  due  premesse  interpretative:  una,
esplicita,  per   la   quale   la   denunciata   disposizione   vieta
espressamente  l'applicazione,   nel   processo   tributario,   della
sospensione cautelare di cui al citato  art.  373  cod.  proc.  civ.;
l'altra, implicita, per la quale,  ove  si  potesse  prescindere  dal
denunciato comma 1 dell'art. 49  del  d.lgs.  n.  546  del  1992,  la
menzionata sospensione cautelare sarebbe pienamente  compatibile  con
la complessiva disciplina del processo tributario. 
    La prima di tale premesse, tuttavia, non e' argomentata in  alcun
modo dal giudice rimettente, il  quale,  al  riguardo,  si  limita  a
richiamare genericamente la «giurisprudenza assolutamente prevalente»
e ad affermare, altrettanto genericamente, che  tale  interpretazione
della  disposizione  censurata  deriverebbe,  secondo   una   «fedele
applicazione delle regole ermeneutiche», dal divieto di estendere  al
processo tributario l'art. 337 cod. proc. civ.,  il  quale  richiama,
appunto, l'art. 373 dello stesso  codice.  Il  rimettente,  pertanto,
omette di valutare se la disposizione denunciata  sia  interpretabile
diversamente.  Non  tiene  conto,  infatti,  che:  a)  non  v'e',  in
proposito, alcuna  pronuncia  della  Corte  di  cassazione,  ma  solo
contrastanti orientamenti della giurisprudenza  di  merito,  che  non
assurgono a diritto vivente; b) il contenuto normativo dell'art.  337
cod. proc. civ. (inapplicabile al processo tributario, per l'espresso
disposto  della  norma  censurata)  e'  costituito  da   una   regola
(«L'esecuzione  della   sentenza   non   e'   sospesa   per   effetto
dell'impugnazione di essa») e da una  eccezione  alla  stessa  regola
(«salve le disposizioni degli artt. [...] 373 [...]»); c) l'art.  373
consta anch'esso, al primo comma, di una regola (primo  periodo:  «Il
ricorso per cassazione non sospende l'esecuzione della  sentenza»)  e
di una eccezione  (secondo  periodo:  «Tuttavia  il  giudice  che  ha
pronunciato la sentenza impugnata puo', su istanza di parte e qualora
dall'esecuzione possa derivare grave ed irreparabile danno,  disporre
con ordinanza non impugnabile che l'esecuzione sia sospesa o che  sia
prestata  congrua  cauzione»);  d)  l'inapplicabilita'  al   processo
tributario - in forza della disposizione  censurata -  della  regola,
sostanzialmente identica, contenuta nell'art. 337 cod. proc.  civ.  e
nel primo periodo del primo comma dell'art. 373 dello stesso  codice,
non   comporta   necessariamente   l'inapplicabilita'   al   processo
tributario anche  delle  sopraindicate  «eccezioni»  alla  regola  e,
quindi, non  esclude  di  per  se'  la  sospendibilita'  ope  iudicis
dell'esecuzione della sentenza di appello impugnata per cassazione. 
    Da  tale  possibile   interpretazione,   alternativa   a   quella
immotivatamente adottata dal rimettente, conseguirebbe che il comma 1
dell'art. 49 del d.lgs. n. 546  del  1992  non  costituisce  ostacolo
normativo ad applicare al processo tributario l'inibitoria  cautelare
di cui all'art. 373 cod. proc. civ. e che,  pertanto -  nella  stessa
prospettiva del giudice a quo, il quale ritiene l'art. 373 cod. proc.
civ. astrattamente compatibile  con  il  processo  tributario  -,  la
sollevata questione sarebbe irrilevante. Il mancato tentativo di  una
interpretazione  costituzionalmente  orientata   della   disposizione
denunciata si risolve, dunque, nella  carenza  di  motivazione  sulla
rilevanza della questione e nella conseguente inammissibilita'  della
questione medesima. 
    2.2. - Il secondo motivo di inammissibilita' discende  dal  fatto
che, contrariamente a quanto sostenuto dal rimettente,  nella  specie
non  sussiste  il  requisito  del  fumus  boni   iuris   dell'istanza
cautelare. 
    In proposito, il  giudice  a  quo  osserva  che  il  ricorso  per
cassazione proposto dal contribuente avverso la  sentenza  tributaria
di secondo grado sarebbe fondato (sia pure in base  ad  una  sommaria
delibazione), perche' il  contraddittorio  nel  giudizio  di  appello
sarebbe  stato  violato   per   effetto   dell'illegittimita'   della
notificazione  dell'atto  di  appello,  effettuata  «tramite   agente
postale con consegna [...] al portiere»  e  non  seguita  dall'«invio
della raccomandata di conferma» della notificazione stessa,  previsto
dalla legge. 
    Tuttavia il giudice rimettente non considera che la notificazione
di atti a mezzo del  servizio  postale,  ivi  compresi  gli  atti  di
appello nel processo tributario, e' regolata dall'art. 7 della  legge
20 novembre 1982, n. 890 (Notificazioni di atti a mezzo  posta  e  di
comunicazioni a mezzo posta connesse con  la  notificazione  di  atti
giudiziari). In relazione alle diverse formulazioni di tale articolo,
derivanti dalle sue modificazioni legislative,  occorre  distinguere,
per il caso di consegna del piego postale al portiere  dello  stabile
del destinatario, tra le notificazioni effettuate anteriormente al 1°
marzo 2008 e quelle effettuate a partire da tale  data,  cioe'  dalla
data di entrata  in  vigore  del  comma  2-quater  dell'art.  36  del
decreto-legge   31   dicembre   2007,   n.   248,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31 (che ha introdotto
il comma 8 del citato art. 7 della legge  n.  890  del  1982).  Nella
prima ipotesi (cioe' per il periodo anteriore al 1° marzo  2008),  la
notificazione si perfeziona con la consegna del  piego  al  portiere;
nell'altra ipotesi, invece, la legge prevede, dopo  la  consegna  del
piego  al  portiere,  anche  l'invio  al   destinatario,   da   parte
dell'agente  postale,  di  una  lettera  raccomandata  contenente  la
«notizia [...] dell'avvenuta notificazione». In relazione al caso  in
esame, che concerne - come sopra visto - la consegna al portiere  del
piego  contenente  l'atto  di  appello,  la  suddetta   modificazione
dell'art. 7 della legge n. 890 del 1982 non ha  effetti  retroattivi,
come espressamente stabilito dal primo periodo del comma  2-quinquies
dell'art. 36  del  citato  decreto-legge  n.  248  del  2007  e  come
riconosciuto anche dalla giurisprudenza  di  legittimita'  (Corte  di
cassazione civile, sentenza n. 23589 del 2008). Nella specie,  l'atto
di appello e' stato notificato sicuramente prima del 1°  marzo  2008,
perche' la correlativa sentenza di appello  risulta  pronunciata  nel
2004 e depositata nel 2005. Ne deriva che alla notificazione a  mezzo
posta di tale atto di appello era  applicabile  ratione  temporis  la
formulazione originaria dell'art. 7 della  legge  n.  890  del  1982,
secondo la quale l'agente postale, dopo  la  consegna  del  piego  al
portiere,  non  doveva  inviare  al   destinatario   alcuna   lettera
raccomandata. Di qui l'infondatezza  dell'istanza  cautelare  e,  per
l'effetto,  l'inammissibilita',  per  irrilevanza,  della   sollevata
questione. 
    2.3 - Il terzo motivo di inammissibilita' discende dal fatto che,
diversamente da quanto ulteriormente affermato dal rimettente,  nella
specie non v'e' neppure la prova del requisito del periculum in mora. 
    Al riguardo, il rimettente afferma che tale istanza  soddisfa  il
suddetto requisito, perche': a) e' stata notificata  al  contribuente
una  cartella  di  pagamento  comprensiva   del   debito   tributario
risultante dalla sentenza di appello impugnata per cassazione; b)  e'
stata  comunicata  allo  stesso  contribuente  l'avvenuta  iscrizione
ipotecaria effettuata a garanzia del soddisfacimento,  ad  un  tempo,
sia del debito  tributario  risultante  dalla  medesima  sentenza  di
appello, sia di un ulteriore debito, per altro titolo, di importo  di
poco superiore; c) la  cartella  e  l'iscrizione  ipotecaria  possono
essere impugnate (ed eventualmente sospese in via cautelare) solo  in
relazione  a  vizi  propri  di  tali  atti   e   non   in   relazione
all'invalidita' dell'avviso di accertamento da  essi  presupposto  ed
oggetto  della  statuizione  contenuta  nella  sentenza  di   appello
impugnata per cassazione. 
    Va tuttavia rilevato che tali  affermazioni  del  rimettente  non
investono la caratteristica propria ed essenziale  del  periculum  in
mora di cui all'art. 373 cod. proc. civ., cioe' la sussistenza di  un
«danno  grave  ed  irreparabile»  derivante   dall'esecuzione   della
sentenza  impugnata  per  cassazione.  Il  rimettente,  infatti,  non
fornisce alcuna motivazione in ordine ne' alla  situazione  economica
del debitore, ne' alla  possibilita'  per  quest'ultimo  di  evitare,
nelle more, l'esecuzione forzata immobiliare, ne' agli effetti lesivi
irreversibili ed  inadeguatamente  ristorabili  di  tale  esecuzione.
Siffatta motivazione sarebbe stata necessaria anche in considerazione
del consolidato orientamento giurisprudenziale  (tale  da  costituire
«diritto vivente»), secondo il quale, l'«irreparabilita'  del  danno»
di cui all'art. 373 cod. proc. civ. va intesa, quantomeno, nel  senso
di   un   intollerabile   scarto   tra   il   pregiudizio   derivante
dall'esecuzione della sentenza nelle more del giudizio di  cassazione
e le concrete possibilita' di risarcimento in  caso  di  accoglimento
del ricorso per cassazione. Ne consegue l'omessa motivazione circa la
sussistenza  del  periculum  in  mora  e   l'ulteriore   profilo   di
inammissibilita'  della   sollevata   questione,   per   difetto   di
motivazione sulla rilevanza. 
    3. - La riscontrata inammissibilita' della  questione  impedisce,
ovviamente, l'esame del merito e, in  particolare,  non  consente  di
valutare la richiesta del rimettente di procedere ad un riesame della
giurisprudenza di questa Corte relativa all'art.  49,  comma  1,  del
d.lgs. n. 546 del 1992, in tema  di  tutela  cautelare  nel  processo
tributario. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara   inammissibile    la    questione    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 49, comma  1,  del  decreto  legislativo  31
dicembre 1992,  n.  546  (Disposizioni  sul  processo  tributario  in
attuazione della delega al Governo contenuta nell'articolo  30  della
legge  30  dicembre1991,  n.  413),   sollevata   dalla   Commissione
tributaria regionale  della  Campania  con  l'ordinanza  indicata  in
epigrafe, in riferimento agli artt.  3,  23,  24,  111  e  113  della
Costituzione, nonche', quale norma interposta all'art. 10, Cost.,  in
riferimento  all'art.  6,  comma  1,   della   Convenzione   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata ed eseguita con legge 4
agosto 1955, n. 848. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 giugno 2010. 
 
                       Il Presidente: Amirante 
 
 
                         Il redattore: Gallo 
 
 
                      Il cancelliere: Di Paola 
 
    Depositata in cancelleria il 17 giugno 2010. 
 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola