N. 219 ORDINANZA 9 - 17 giugno 2010

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Ordinamento  penitenziario  -  Licenze  agli  internati  -  Internato
  sottoposto alla misura di sicurezza della casa di lavoro - Divieto,
  secondo l'interpretazione adottata  dalla  Procura  generale  della
  Corte di cassazione, di concedere piu' licenze quindicinali in  via
  continuativa,  finalizzate   alla   fruizione   di   un   programma
  extramurario  di   risocializzazione   ovvero   di   un   programma
  terapeutico per superare la tossicodipendenza o  l'alcooldipendenza
  - Denunciata  violazione  del  principio  di  uguaglianza,  nonche'
  asserita incidenza sul diritto alla salute - Impropria richiesta di
  avallo interpretativo - Manifesta inammissibilita' delle questioni. 
- Legge 26 luglio  1975,  n.  354,  art.  53,  secondo  comma,  primo
  periodo. 
- Costituzione, artt. 3 e 32. 
(GU n.25 del 23-6-2010 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Franco
  GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Maria
  Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe
  FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
nei giudizi di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  53,  secondo
comma, primo periodo, della legge  26  luglio  1975,  n.  354  (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e   sull'esecuzione   delle   misure
privative e limitative della liberta'), promossi  dal  Magistrato  di
sorveglianza di Modena con ordinanze del 22 luglio (n. 3  ordinanze),
del 19 e del 22 agosto 2009, rispettivamente iscritte ai nn. da 316 a
320 del registro ordinanze 2009 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 2, 1ª serie speciale, dell'anno 2010. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del 26  maggio  2010  il  Giudice
relatore Gaetano Silvestri. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 22 luglio 2009 (r.o. n.  316  del
2009), il Magistrato di  sorveglianza  di  Modena  ha  sollevato,  in
riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 53,  secondo  comma,  primo  periodo,  della
legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario  e
sull'esecuzione delle misure privative e limitative della  liberta'),
nella parte in cui, secondo l'interpretazione adottata dalla  Procura
generale della Corte di cassazione, non consente che  siano  concesse
all'internato, sottoposto alla misura  di  sicurezza  della  casa  di
lavoro, piu' licenze quindicinali in  via  continuativa,  finalizzate
alla fruizione di un programma extramurario di risocializzazione; 
        che il giudice  a  quo  riferisce  di  dover  decidere  sulle
istanze, presentate da un soggetto  internato  a  far  tempo  dal  18
aprile 2008, presso la  Casa  di  lavoro  di  Saliceta  San  Giuliano
(Modena), in esecuzione della  misura  di  sicurezza  della  casa  di
lavoro per la durata di due anni; 
        che le istanze  hanno  ad  oggetto  la  concessione  di  piu'
periodi di licenza continuativi, finalizzati  alla  prosecuzione  del
rapporto  di  collaborazione  con  la  facolta'  di   Scienza   della
formazione presso l'Universita' degli studi di L'Aquila; 
        che la  direzione  dell'istituto  penitenziario  ha  espresso
parere favorevole,  rappresentando  che  l'internato  si  trovava  in
licenza da lungo tempo, che «durante questo periodo all'esterno [...]
si e' laureato a pieni voti ed  ha  iniziato  una  collaborazione  di
lavoro con l'Universita'»,  e  che  l'Ufficio  esecuzione  penale  di
Pescara, con precedenti note, ha valutato positivamente  il  percorso
esterno dell'interessato; 
        che il giudice a quo evidenzia come, in casi simili a  quello
odierno, fosse solito  concedere  piu'  licenze  di  quindici  giorni
ciascuna, posto che, per un verso, gli internati non possono accedere
alla misura alternativa dell'affidamento in prova, anche di carattere
terapeutico, prevista dall'art. 94 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.  309
(Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli  stupefacenti
e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,  cura  e  riabilitazione   dei
relativi stati di tossicodipendenza), e che,  per  altro  verso,  non
potrebbe  essere  concessa  la  licenza  di  riadattamento   sociale,
prevista dall'art. 53, secondo comma,  secondo  periodo,  ord.  pen.,
della  durata  massima  di  trenta  giorni  all'anno,   perche'   non
finalizzata a scopi riabilitativi e incompatibile  temporalmente  con
l'attuazione di un programma terapeutico; 
        che, nel caso di specie, non sarebbe concedibile  neppure  la
licenza finale di esperimento, prevista dal  citato  art.  53,  primo
comma,  in  riferimento  agli  ultimi  sei  mesi   del   periodo   di
internamento che precede il riesame di pericolosita', in quanto  tale
termine non e' ancora maturato; 
        che inoltre, prosegue il rimettente, a differenza  di  quanto
accade per i detenuti semiliberi -  per  i  quali,  tra  l'altro,  la
licenza si configura come istituto premiale ed incontra il limite  di
quarantacinque giorni  all'anno  -,  nessuna  disposizione  di  legge
stabilisce un tetto massimo di licenze concedibili agli internati; 
        che comunque,  per  questi  ultimi,  non  rivestirebbe  alcun
significato la regola del rientro  in  istituto  tra  una  licenza  e
l'altra, essendo gli stessi sottoposti ex lege alla liberta' vigilata
durante il periodo di licenza; 
        che la concedibilita' di  licenze  quindicinali  continuative
agli internati sarebbe confermata, a  contrario,  dalla  disposizione
contenuta nell'art. 30-ter,  primo  comma,  ord.  pen.,  in  tema  di
permessi premio, nella quale, oltre al gia' ricordato  tetto  massimo
di fruibilita' annua di quarantacinque giorni, e' previsto il  limite
di durata di quindici giorni «ogni volta», con una  precisazione  che
varrebbe proprio ad impedire  la  concessione  dei  permessi  in  via
continuativa; 
        che  dunque,  a  parere  del  giudice  a  quo,  una  maggiore
flessibilita'  nell'applicazione  dello  strumento   della   licenza,
all'interno  del  sistema  delle  misure  di  sicurezza,  andrebbe  a
compensare la mancata previsione di istituti corrispondenti a  talune
misure alternative alla detenzione, posto che  «lo  stesso  risultato
pratico  non  segregante  puo'  essere   conseguito   attraverso   la
strutturazione di licenze»; 
        che,  diversamente,  si  realizzerebbe   una   ingiustificata
disparita' di trattamento tra il detenuto - il quale puo' accedere  a
misure finalizzate a programmi terapeutici  e  di  risocializzazione,
lasciando l'istituto di detenzione anche molti anni prima del momento
di  fine-pena  -  e  l'internato,   il   quale   «dovrebbe   rimanere
necessariamente segregato (se gli  e'  stata  applicata  la  casa  di
lavoro per due anni) almeno  un  anno  e  sei  mesi  prima  di  poter
accedere ad esperienze extramurarie continuative»; 
        che, inoltre, nei casi in  cui  allo  stesso  soggetto  debba
essere applicata la misura di sicurezza della  casa  di  lavoro  dopo
l'esecuzione di condanna a pena detentiva, e quest'ultima  sia  stata
espiata in regime di affidamento  in  prova,  si  determinerebbe  una
ingiustificata  interruzione  del   percorso   di   risocializzazione
iniziato durante la fase di  espiazione  della  pena,  a  fronte  del
carattere non retributivo della misura di sicurezza; 
        che  il  rimettente  procede  ad   elencare   le   molteplici
situazioni che, secondo «una  diffusa  e  ventennale  interpretazione
degli Uffici di sorveglianza», sarebbero ricomprese nel  concetto  di
gravi esigenze, e dunque consentirebbero la concessione di licenze in
via continuativa: il soggiorno e la  frequentazione  di  parenti,  il
soggiorno in appartamento protetto,  la  sottoposizione  a  programma
terapeutico presso il Sert ovvero presso comunita' terapeutica, anche
psichiatrica, l'assistenza a parenti handicappati ovvero  affetti  da
gravi malattie, lo svolgimento di attivita' lavorativa; 
        che,  a  parere  del  giudice  a   quo,   tale   applicazione
dell'istituto  della  licenza  sarebbe  l'esito  dell'«unica  esegesi
costituzionalmente orientata» della norma censurata, come  confermato
anche dalla sentenza n. 107 del 2009 [recte: n. 208 del  2009]  della
Corte costituzionale, in cui si trova affermato  che  «risulta  ormai
presente nella disciplina sulle  misure  di  sicurezza  il  principio
secondo il quale  si  deve  escludere  l'automatismo  che  impone  al
giudice di disporre comunque la misura detentiva,  anche  quando  una
misura meno drastica, e in particolare una misura piu' elastica e non
segregante come la liberta' vigilata,  accompagnata  da  prescrizioni
stabilite dal giudice medesimo, si riveli  capace,  in  concreto,  di
soddisfare contemporaneamente le esigenze  di  cura  e  tutela  della
persona interessata e di controllo della sua pericolosita' sociale»; 
        che,  peraltro,  in  senso   opposto   alla   interpretazione
prescelta, il rimettente segnala che,  secondo  la  Procura  generale
della Corte cassazione, le  licenze  continuative  in  questione,  in
quanto non intervallate da un rientro in  istituto,  sarebbero  state
emesse dallo stesso rimettente «con  grave  violazione  di  legge,  e
segnatamente dell'art. 53 O.P.,  in  quanto  le  dette  licenze  sono
suddivise "solo formalmente e apparentemente in piu' distinte licenze
della durata di 15 giorni ciascuna [...] in aperto contrasto  con  la
succitata disposizione  di  legge  che  prevede  la  possibilita'  di
concedere licenze di tal fatta solo per gravi  esigenze  personali  o
familiari e per un periodo non superiore a quindici giorni"»; 
        che l'opzione  interpretativa  fatta  propria  dalla  Procura
generale della  Corte  di  cassazione,  secondo  il  rimettente,  non
potrebbe essere considerata «come un semplice parere od  opinione  di
parte dato che nella materia  penitenziaria  puo'  prevalere -  sulle
decisioni del  giudice -  una  semplice  volonta',  anche  del  tutto
sfornita di  motivazione,  espressa  dall'organo  dell'accusa»,  come
confermato dalla previsione contenuta nell'art. 4-bis,  comma  3-bis,
della legge n. 354 del 1975, che vieta la  concessione  dei  benefici
penitenziari ai detenuti ed internati per delitti dolosi, qualora  il
Procuratore  nazionale  antimafia  o  il   procuratore   distrettuale
comunichi  l'attualita'   di   collegamenti   con   la   criminalita'
organizzata; 
        che, pur precisando di  non  ignorare  che  la  questione  di
costituzionalita' e'  inammissibile  se  l'autorita'  rimettente  non
«motiva circa l'assenza di opzioni interpretative  costituzionalmente
orientate», il giudice a quo evidenzia come, nel caso di specie, tale
opzione sia «accusata di grave violazione di legge»; 
        che, di conseguenza, l'art. 53, secondo comma, primo periodo,
ord. pen., «cosi' come  interpretato  dalla  Procura  generale  della
Cassazione», risulterebbe in contrasto con l'art. 3 Cost., in  quanto
determina una ingiustificata disparita' di trattamento  tra  detenuti
ed internati, avuto riguardo alla fruibilita' di un preciso programma
extramurario di risocializzazione; 
        che il Magistrato di  sorveglianza  di  Modena,  con  quattro
ordinanze di analogo tenore (r. o. nn. 317, 318, 319, 320  del  2009,
deliberate il 22 luglio, il 19  agosto  e  il  22  agosto  2009),  ha
sollevato, in riferimento agli artt.  3  e  32  Cost.,  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  53,  secondo  comma,   primo
periodo, della legge n. 354 del 1975, nella  parte  in  cui,  secondo
l'interpretazione adottata dalla  Procura  generale  della  Corte  di
cassazione, non consente che siano concesse all'internato, sottoposto
alla  misura  di  sicurezza  della  casa  di  lavoro,  piu'   licenze
quindicinali in via continuativa, finalizzate alla  fruizione  di  un
programma   terapeutico   contro    la    tossicodipendenza    ovvero
l'alcooldipendenza; 
        che nel procedimento da cui promana l'ordinanza r.o.  n.  317
del 2009  il  giudice  a  quo  e'  chiamato  a  valutare  le  istanze
presentate da un soggetto «gia' internato» presso la Casa  di  lavoro
di Saliceta San Giuliano (Modena), il quale chiede la concessione  di
piu' periodi di licenza continuativi, finalizzati alla  fruizione  di
un programma  terapeutico  contro  la  tossicodipendenza  presso  una
comunita' di recupero ove era stato collocato, in regime  di  arresti
domiciliari, dal Tribunale di Genova; 
        che  la  relazione  della  citata  comunita',  allegata  alle
istanze, da' atto  che  l'internato  sta  seguendo  proficuamente  il
programma terapeutico; 
        che l'istante, secondo quanto precisato dal  rimettente,  «al
termine  della  pena  detentiva,  deve  essere  internato  presso  il
menzionato Istituto  penitenziario  in  esecuzione  della  misura  di
sicurezza della casa di lavoro per anni tre»; 
        che il giudice  a  quo,  richiamate  le  argomentazioni  gia'
esposte in riferimento all'ordinanza r.o. n. 316  del  2009,  osserva
come, nel caso di specie, l'unico modo per assicurare la prosecuzione
del programma terapeutico risieda  nella  concessione  delle  licenze
quindicinali in via continuativa; 
        che   il   rimettente   evidenzia   come    l'interpretazione
restrittiva, fatta propria dalla  Procura  generale  della  Corte  di
cassazione, sarebbe produttiva di una  ingiustificata  disparita'  di
trattamento tra gli internati e i detenuti, con evidenti ricadute sul
diritto alla salute; 
        che  infatti,  mentre  l'internato  sottoposto  a  misura  di
sicurezza detentiva  potrebbe  fruire  di  un  programma  terapeutico
soltanto  negli  ultimi  sei  mesi  di  applicazione  della   misura,
attraverso  la  concessione  della  licenza  finale  di  esperimento,
prevista dall'art. 53, secondo comma, seconda parte,  ord.  pen.,  il
detenuto  in  esecuzione  di  pena,  nelle  analoghe  condizioni   di
tossicodipendenza, puo' fruirne negli ultimi sei anni di pena, e  con
vincoli meno intensi  di  quelli  ai  quali  e'  sottoposto  ex  lege
l'internato in licenza; 
        che, pertanto, se non si accede alla lettura della norma  che
consente  la  concessione  di  piu'  licenze  continuative,  si  nega
all'internato il diritto di curarsi, tenuto conto  che  non  esistono
programmi terapeutici della durata di quindici giorni; 
        che, per il resto, sono svolti gli stessi  argomenti  esposti
nell'ordinanza r.o. n. 316 del 2009; 
        che nel procedimento da cui promana l'ordinanza  n.  318  del
2009 il giudice a quo  riferisce  di  dover  decidere  sulle  istanze
presentate da un soggetto internato presso la Casa di  reclusione  di
Castelfranco Emilia (Modena), il quale chiede la concessione di  piu'
periodi  di  licenza  continuativi  per  fruire   di   un   programma
terapeutico  contro  la  tossicodipendenza  e,  contestualmente,  per
esercitare attivita' lavorativa; 
        che la  Direzione  dell'istituto  penitenziario  ha  espresso
parere  favorevole  alla  concessione  delle   licenze,   in   quanto
necessarie alla prosecuzione del programma sopra indicato; 
        che il rimettente  precisa  che  l'istante  e'  internato  in
esecuzione della misura di sicurezza della  casa  di  lavoro  per  la
durata di due anni, la cui applicazione e'  iniziata  il  25  ottobre
2008, «sicche' il periodo minimo  verra'  a  scadere  il  24  ottobre
2010»; 
        che, nel prosieguo dell'ordinanza, sono riportati gli  stessi
argomenti esposti nelle ordinanze r.o. n. 316 e n. 317 del 2009; 
        che, nel procedimento da cui promana l'ordinanza r.o. n.  319
del 2009, il  giudice  a  quo  e'  chiamato  a  valutare  le  istanze
presentate da un soggetto internato presso la Casa di  reclusione  di
Castelfranco Emilia (Modena), il quale chiede la concessione di  piu'
periodi di licenza continuativi finalizzati alla fruizione, per tutta
la durata della misura di  sicurezza,  di  un  programma  terapeutico
contro  la  tossicodipendenza  presso  il  Sert  di  Vicenza,  resosi
disponibile come da nota del 7 luglio 2009; 
        che, nel prosieguo dell'ordinanza, sono riportati gli  stessi
argomenti esposti nelle ordinanze r.o. n. 316 e n. 317 del 2009; 
        che, nel procedimento da cui promana l'ordinanza r.o. n.  320
del 2009, il  giudice  a  quo  e'  chiamato  a  valutare  le  istanze
presentate da un soggetto internato  presso  la  Casa  di  lavoro  di
Saliceta San Giuliano (Modena), il quale  chiede  la  concessione  di
piu' periodi di licenza continuativi per  «strutturare  un  programma
terapeutico contro la tossicodipendenza presso il Sert di Genova che,
a tal fine, gli ha fissato diversi appuntamenti», come da nota  dello
stesso Sert; 
        che il rimettente  precisa  che  l'istante  e'  internato  in
esecuzione della misura di sicurezza della  casa  di  lavoro  per  la
durata di due anni; 
        che, nel prosieguo dell'ordinanza, sono riportati gli  stessi
argomenti esposti nelle ordinanze r.o. n. 316 e n. 317 del 2009; 
        che, con atti di identico tenore, e' intervenuto in  ciascuno
dei giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   la
questione sia dichiarata manifestamente inammissibile; 
        che la difesa dello Stato evidenzia come la norma  che  detta
la disciplina delle  licenze  quindicinali  agli  internati  non  sia
censurata  secondo  interpretazione  fatta  propria  dal  rimettente,
bensi' nella lettura offertane dalla Procura generale della Corte  di
cassazione; 
    che  dunque,  se  anche  l'opzione  interpretativa  adottata  dal
rimettente  sia  qualificata  dalla  citata  Procura  generale   come
violazione di legge, cio' non varrebbe  ad  esonerare  il  rimettente
dall'applicazione   della   norma   nel   rispetto    dei    principi
costituzionali; 
        che inoltre sarebbe privo di pertinenza il richiamo,  operato
dal giudice a quo, alla disposizione contenuta nell'art. 4-bis, comma
3-bis, ord. pen. che attribuisce efficacia preclusiva, ai fini  della
concessione dei benefici penitenziari ai detenuti ed  agli  internati
per  reati  dolosi,  alla  comunicazione  del  Procuratore  nazionale
antimafia  o  del   Procuratore   distrettuale   dell'attualita'   di
collegamenti  tra  il  detenuto  o  l'internato  e  la   criminalita'
organizzata; 
        che,  infatti,  la  particolare  competenza  attribuita  agli
indicati organi inquirenti e' circoscritta a ben definite  situazioni
e non puo' incidere sulla potesta' interpretativa delle previsioni in
materia di licenze agli internati, che spetta  in  via  esclusiva  ai
competenti organi giurisdizionali; 
        che,  pertanto,  la  questione  risulterebbe   manifestamente
inammissibile in quanto fondata  su  un'interpretazione  della  legge
difforme da quella che il giudice  a  quo  reputa  costituzionalmente
imposta. 
    Considerato che il Magistrato di sorveglianza di  Modena  dubita,
in riferimento all'art. 3 della Costituzione (r.o. n. 316 del  2009),
della legittimita' costituzionale dell'art. 53, secondo comma,  primo
periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 354  (Norme  sull'ordinamento
penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative  e  limitative
della  liberta'),  nella  parte  in  cui,  secondo  l'interpretazione
adottata dalla  Procura  generale  della  Corte  di  cassazione,  non
consente che siano concesse all'internato, sottoposto alla misura  di
sicurezza della casa di lavoro,  piu'  licenze  quindicinali  in  via
continuativa, finalizzate alla fruizione di un programma extramurario
di risocializzazione; 
        che lo stesso rimettente, con quattro  ordinanze  di  analogo
tenore (r.o. nn. 317, 318, 319, 320 del 2009), dubita, in riferimento
agli artt. 3 e 32  Cost.,  della  legittimita'  costituzionale  della
medesima disposizione, nella parte in cui, secondo  l'interpretazione
adottata dalla  Procura  generale  della  Corte  di  cassazione,  non
consente che siano concesse all'internato, sottoposto alla misura  di
sicurezza della casa di lavoro,  piu'  licenze  quindicinali  in  via
continuativa, finalizzate alla fruizione di un programma  terapeutico
per superare la tossicodipendenza o l'alcooldipendenza; 
        che, preliminarmente,  rilevata  la  parziale  identita'  dei
parametri evocati e  la  coincidenza  delle  argomentazioni  poste  a
fondamento delle censure,  le  questioni  vanno  riunite  per  essere
decise con un'unica pronuncia; 
        che il giudice a quo, il quale deve provvedere in  merito  ad
istanze di concessione di licenze quindicinali continuative  avanzate
da soggetti sottoposti alla misura di sicurezza della casa di lavoro,
ritiene  che  l'opzione  interpretativa  restrittiva,  che  vieta  la
concessione  delle  licenze  come  richieste,   sia   produttiva   di
ingiustificata disparita' di trattamento tra internati  sottoposti  a
misure di sicurezza detentive e detenuti in esecuzione di  pena,  con
incidenza anche sul diritto alla salute, nei casi in cui  le  licenze
siano finalizzate alla fruizione di un programma  terapeutico  contro
la tossicodipendenza; 
        che il rimettente evidenzia come, a differenza dei  detenuti,
gli internati  non  possano  accedere  alle  misure  alternative  che
consentono  periodi  anche  prolungati  di  permanenza   all'esterno,
funzionali  a  percorsi  di  risocializzazione  ovvero  di  carattere
terapeutico, e come,  pertanto,  l'unica  esegesi  costituzionalmente
orientata  della  norma  censurata  sarebbe  quella  che  ammette  la
concessione delle licenze in via continuativa; 
        che lo stesso rimettente riconduce il divieto di  concessione
di licenze quindicinali in via continuativa  al  censurato  art.  53,
secondo comma, primo periodo,  ord.  pen.  «cosi'  come  interpretato
dalla Procura generale della Corte di cassazione»,  sul  rilievo  che
tale interpretazione non potrebbe essere considerata alla stregua  di
un «semplice parere  od  opinione  di  parte»,  poiche'  nel  sistema
penitenziario le posizioni  assunte  dall'organo  inquirente  possono
risultare vincolanti, come accade per  la  concessione  dei  benefici
penitenziari ai detenuti ed internati per delitti dolosi, che risulta
vietata nei casi in cui  il  Procuratore  nazionale  antimafia  o  il
procuratore distrettuale comunichi l'attualita' di  collegamenti  con
la criminalita' organizzata; 
        che il giudice a  quo,  peraltro,  non  fornisce  indicazioni
sulla rilevanza dell'opzione interpretativa attribuita  alla  Procura
generale della Corte di cassazione in riferimento ai  procedimenti  a
quibus, ne' attribuisce alla predetta  opzione  le  connotazioni  del
diritto vivente; 
        che  dunque   nella   specie,   ed   a   parte   ogni   altra
considerazione,  il  dubbio  di  legittimita'  costituzionale   cosi'
prospettato si risolve in  un  improprio  tentativo  di  ottenere  da
questa Corte l'avallo della  (diversa)  interpretazione  della  norma
propugnata   dal   rimettente,   con   uso   evidentemente   distorto
dell'incidente di costituzionalita' (ex plurimis,  ordinanze  n.  150
del 2009, n. 161 del 2007, n. 114 del 2006); 
        che, di conseguenza, le questioni debbono  essere  dichiarate
manifestamente inammissibili. 
    Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,
n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per  i  giudizi  davanti
alla Corte costituzionale. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Riuniti i giudizi, 
    Dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  delle   questioni   di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  53,  secondo  comma,   primo
periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 354  (Norme  sull'ordinamento
penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative  e  limitative
della liberta'), sollevate, in riferimento agli artt. 3  e  32  della
Costituzione, dal  Magistrato  di  sorveglianza  di  Modena,  con  le
ordinanze in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 giugno 2010. 
 
                       Il Presidente: Amirante 
 
 
                       Il redattore: Silvestri 
 
 
                      Il cancelliere: Di Paola 
 
    Depositata in cancelleria il 17 giugno 2010. 
 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola