N. 220 ORDINANZA 9 - 17 giugno 2010

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Ordinamento penitenziario - Detenuti sottoposti al regime speciale di
  detenzione - Previsione di limiti di  durata  e  di  frequenza  dei
  colloqui visivi e telefonici con  i  propri  difensori  -  Ritenuta
  disparita' di trattamento rispetto ai detenuti  non  sottoposti  al
  regime speciale, con lesione del diritto di difesa e del  principio
  del  giusto  processo  -  Coincidenza  di  oggetto   tra   giudizio
  principale e procedimento incidentale di costituzionalita'  nonche'
  carenza assoluta di motivazione sulla rilevanza della  questione  -
  Inammissibilita'. 
- Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 41-bis,  comma  2-quater,  lett.
  b). 
- Costituzione, artt. 3, 24, secondo comma, e 111, terzo comma. 
(GU n.25 del 23-6-2010 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Franco
  GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Maria
  Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe
  FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  41-bis,  comma
2-quater, lettera b), della legge  26  luglio  1975,  n.  354  (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e   sull'esecuzione   delle   misure
privative e limitative della liberta'), promosso  dal  Magistrato  di
sorveglianza di Cuneo con ordinanza del 18 dicembre 2009, iscritta al
n. 21  del  registro  ordinanze  2010  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 6, 1ª serie speciale, dell'anno 2010. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio del 26  maggio  2010  il  Giudice
relatore Gaetano Silvestri. 
    Ritenuto  che  il  Magistrato  di  sorveglianza  di  Cuneo,   con
ordinanza del 18 dicembre 2009, ha sollevato -  in  riferimento  agli
artt. 3, 24, secondo comma, e 111, terzo comma, della Costituzione  -
questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  41-bis,  comma
2-quater, lettera b), della legge  26  luglio  1975,  n.  354  (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e   sull'esecuzione   delle   misure
privative e limitative della liberta'), nella parte  in  cui  prevede
che i detenuti sottoposti al regime speciale  di  detenzione  possano
avere colloqui con i propri difensori solo  per  un  massimo  di  tre
volte alla settimana, di persona o  a  mezzo  del  telefono,  per  la
stessa durata stabilita quanto ai colloqui con i familiari; 
        che il giudice a quo e' investito del reclamo proposto da  un
detenuto per il quale e' stata disposta,  a  norma  dell'art.  41-bis
ord. pen., la sospensione delle regole trattamentali; 
        che detto reclamo, avanzato ai sensi dell'art. 35 ord.  pen.,
avrebbe  ad  oggetto  «la  nuova  disciplina»  prevista  dalla  norma
censurata, introdotta nel testo dell'art. 41-bis mediante  l'art.  2,
comma 25, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in  materia
di sicurezza pubblica); 
        che  il  rimettente  rileva,  in  via  preliminare,  come  la
giurisprudenza  costituzionale  abbia  stabilito  che  la  condizione
detentiva non implica il difetto di tutela delle posizioni giuridiche
soggettive  degli  interessati,   anche   nei   loro   rapporti   con
l'Amministrazione penitenziaria, e  che  tale  tutela  deve  assumere
carattere giurisdizionale (e' citata la sentenza n. 26 del 1999); 
        che lo stesso  rimettente  prosegue  osservando  come,  nella
perdurante assenza di una  organica  disciplina  degli  strumenti  di
tutela, la giurisprudenza ordinaria abbia provveduto  ad  individuare
una  sede  processuale  immediatamente  utile   all'esercizio   della
giurisdizione,  e  cioe'  il  procedimento  di  reclamo  disciplinato
dall'art. 14-ter dello stesso ordinamento penitenziario (e' citata la
sentenza delle Sezioni unite penali della Cassazione n. 5 del 2003); 
        che nella specie,  dunque,  il  giudice  a  quo  ha  disposto
procedersi nell'indicata sede giurisdizionale,  con  conseguente  sua
legittimazione a sollevare questione di legittimita' costituzionale; 
        che nei confronti del reclamante il Ministro della giustizia,
con provvedimento del 19 novembre 2009, ha decretato  la  sospensione
delle regole ordinarie,  tra  l'altro,  quanto  ai  «colloqui  con  i
familiari e conviventi con frequenza  superiore  complessivamente  ad
uno al mese e di durata  superiore  ad  un'ora  (art.  18,  legge  n.
354/1975) a prescindere dal numero di persone ammesse  a  colloquio»,
prescrivendo inoltre che «detti colloqui» avvengano «con le modalita'
di cui all'art. 41-bis, comma  2-quater,  lettera  b)»  della  stessa
legge n. 354 del 1975; 
        che, in base citato provvedimento ex art. 41-bis  ord.  pen.,
la Direzione della Casa circondariale  di  Cuneo  avrebbe  «applicato
direttamente, dando avviso ai detenuti ristretti in tale  regime,  la
normativa dettata dalla legge n. 94 del 15 luglio 2009», limitando  i
colloqui con i difensori «ad un massimo di tre volte alla  settimana,
una telefonata o un colloquio della stessa durata di quelli  previsti
con i familiari»; 
        che la parte reclamante, con l'atto introduttivo del giudizio
principale, ha eccepito in ordine  alla  legittimita'  costituzionale
della disciplina introdotta nel 2009, per l'ingiustificata disparita'
di trattamento istituita tra i detenuti soggetti al  regime  speciale
(si tratti di imputati o condannati) e tutti  gli  altri  detenuti  i
quali, «pur trovandosi in identiche situazioni giuridiche,  non  sono
soggetti a tale restrizione»; 
        che  il  rimettente,  facendo  propri  i  rilievi  difensivi,
aggiunge che una discriminazione non giustificata sarebbe  introdotta
anche rispetto ai detenuti  in  espiazione  di  pena  per  i  delitti
elencati all'art. 4-bis ord. pen., per i quali le norme regolamentari
prevedono restrizioni nei colloqui solo con riguardo ai familiari; 
        che la sperequazione  varrebbe  a  colpire -  con  violazione
concomitante  dell'art.   24,   secondo   comma,   Cost. -   detenuti
generalmente protagonisti di plurime e complesse vicende giudiziarie,
spesso ristretti lontano dai luoghi di origine e dalla residenza  dei
loro difensori, e cioe' proprio  persone  che  avrebbero  il  maggior
bisogno di flessibilita' e  di  libera  durata  nei  colloqui  con  i
difensori medesimi; 
        che il diritto  delle  persone  ristrette  nella  liberta'  a
conferire con un difensore non potrebbe essere compresso, se non  nei
limiti eventualmente disposti dalla legge a tutela di altri interessi
costituzionalmente garantiti, cosi'  come  riconosciuto  dalla  Corte
costituzionale  anche  con   riguardo   alla   fase   esecutiva   del
procedimento (e' citata la sentenza n. 212 del 1997); 
        che il giudice a quo, a tale proposito, rammenta come,  prima
della novella attuata con  la  legge  n.  94  del  2009,  soltanto  i
colloqui con persone appena private della liberta' a fini  cautelari,
nei casi eccezionali indicati all'art. 104 del  codice  di  procedura
penale, potessero subire limitazioni; 
        che,  per  altro,  tali   limitazioni   consistono   in   una
preclusione  dalla  durata   assai   breve,   attuata   mediante   un
provvedimento giudiziale a carattere individuale e non imposta,  come
nella specie, da una regola generale ed inderogabile; 
        che, a parere del rimettente, contrasta con il  principio  di
uguaglianza e con il diritto di difesa una disciplina  che  limita  i
contatti tra detenuto e difensore a tre  colloqui  settimanali  della
durata di un'ora, in alternativa ad altrettanti  colloqui  telefonici
della durata di dieci minuti, salva la possibilita' di corrispondenza
epistolare; 
        che l'illegittimita' della norma censurata deriverebbe  anche
dalla  violazione  del  terzo  comma  dell'art.   111,   Cost.,   non
assicurando la legge che la persona accusata  disponga  del  tempo  e
delle condizioni necessarie per preparare la propria difesa; 
        che le descritte limitazioni all'esercizio della  difesa  non
potrebbero giustificarsi alla luce  di  un  bilanciamento  con  altri
interessi costituzionalmente garantiti,  perche'  nella  specie  tali
interessi non sarebbero «individuati»; 
        che non potrebbe affermarsi, in  particolare,  l'esigenza  di
prevenire contatti tra i  reclusi  particolarmente  pericolosi  e  le
organizzazioni  criminali  di  riferimento,  perche'  in  tal  senso,
valendo comunque il divieto assoluto di ascolto e  di  documentazione
del tenore dei colloqui con i difensori, le limitazioni di  carattere
temporale non presenterebbero alcuna utilita'; 
        che  sarebbe  irragionevole,  d'altra  parte,  il  necessario
frazionamento  delle  comunicazioni,  che  a  parere  del  rimettente
impedirebbe finanche il  «cumulo»  dei  tempi  a  disposizione  degli
interessati; 
        che  neppure  ragioni  di  economia  della   spesa   pubblica
potrebbero sottendere ai limiti concernenti  i  colloqui  telefonici,
visto che l'onere relativo e' posto a carico del detenuto; 
        che   nessuna   delle   indicate    lesioni    di    principi
costituzionali, secondo il giudice a  quo,  potrebbe  essere  evitata
mediante una interpretazione «adeguatrice»; 
        che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  nel
giudizio mediante atto depositato in data 2 marzo 2010, chiedendo che
sia dichiarata  la  inammissibilita'  ovvero  la  infondatezza  della
questione sollevata; 
        che il rimettente, infatti, non avrebbe dato alcuna  concreta
indicazione  sull'oggetto  del  reclamo  presentato   dal   detenuto,
«riconducendo le censure di illegittimita' costituzionale alla  norma
"in se'" e non  in  quanto  applicabile  al  caso  concreto  pendente
davanti al giudice»; 
        che la questione, in ogni caso, sarebbe infondata, posto  che
le  restrizioni  connesse  al  regime   speciale,   comprese   quelle
concernenti  i  colloqui,  sarebbero  giustificate  dall'esigenza  di
contenere la pericolosita' di determinati soggetti,  individuati  non
secondo una  logica  presuntiva,  ma  in  esito  ad  una  valutazione
specifica ed individuale; 
        che detta giustificazione varrebbe anche  riguardo  al  nuovo
regime  dei  colloqui  difensivi,  le   cui   restrizioni   sarebbero
compatibili con  l'esercizio  effettivo  del  diritto  di  difesa,  e
tuttavia concorrerebbero a  garantire  la  necessaria  riduzione  dei
rapporti tra detenuti di accertata pericolosita' e «mondo esterno»; 
        che si tratterebbe, in altre parole, di un  bilanciamento  la
cui  legittimita'  sarebbe  gia'  stata  riconosciuta   dalla   Corte
costituzionale, di fronte all'esigenza di difendere  «i  cittadini  e
l'ordine giuridico», e a condizione che  il  diritto  di  difesa  del
singolo non sia sostanzialmente soppresso, con conseguente violazione
dell'art. 24, Cost.; 
        che andrebbe  parimenti  esclusa,  secondo  la  difesa  dello
Stato,  la  pretesa  violazione  dell'art.  3,  Cost.,   perche'   la
situazione dei detenuti soggetti  al  regime  speciale  non  potrebbe
essere comparata a quella dei detenuti per i quali non sussistono, in
astratto od in concreto,  i  presupposti  per  la  sospensione  delle
regole trattamentali; 
        che  neppure  sussisterebbe,  infine,  un  contrasto  tra  la
disposizione  censurata  e  l'art.  111,  Cost.,   poiche',   secondo
l'Avvocatura  generale,  tale  norma  non  attiene  alla  tutela  dei
rapporti tra la persona accusata  ed  il  proprio  difensore  (tutela
rimessa all'art. 24 Cost.), ma alla sola organizzazione del  processo
ed ai rapporti tra la persona inquisita ed il giudice; 
        che la disposizione costituzionale  citata  garantirebbe,  in
ogni caso, le sole condizioni «necessarie»  alla  preparazione  della
difesa, cioe' le condizioni indispensabili in  vista  d'una  efficace
azione difensiva, le quali sarebbero assicurate, in astratto come nel
caso concreto, da una disciplina che  pur  sempre  consente  ripetuti
colloqui settimanali tra i detenuti ed i rispettivi difensori. 
    Considerato  che  il  Magistrato  di  sorveglianza  di  Cuneo  ha
sollevato - in riferimento agli artt. 3, 24, secondo  comma,  e  111,
terzo  comma,  della   Costituzione -   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 41-bis, comma 2-quater,  lettera  b),  della
legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario  e
sull'esecuzione delle misure privative e limitative della  liberta'),
nella parte in cui  prevede  che  i  detenuti  sottoposti  al  regime
speciale di detenzione possano avere colloqui con i propri  difensori
solo per un massimo di tre volte alla settimana, di persona o a mezzo
del telefono, per la stessa durata stabilita quanto ai colloqui con i
familiari; 
        che il  procedimento  principale,  condotto  in  applicazione
dell'art.  14-ter  ord.  pen.,  sembra  introdotto  da   un   reclamo
direttamente rivolto «avverso la nuova disciplina prevista  dall'art.
41-bis [...] in  materia  di  colloqui  visivi  e  telefonici  con  i
difensori», e dunque al  solo  scopo  di  sindacare  la  legittimita'
costituzionale di una norma di legge; 
        che la coincidenza  di  oggetto  tra  giudizio  principale  e
procedimento  incidentale  di   incostituzionalita',   per   costante
giurisprudenza di questa Corte, e' causa  di  inammissibilita'  della
questione (da ultimo, sentenza n. 38 del 2009); 
        che il rimettente, in ogni caso, ha precluso  ogni  possibile
controllo sulla rilevanza della  questione  sollevata,  omettendo  di
indicare se  il  reclamante  avesse  richiesto  colloqui  in  eccesso
rispetto al limite attualmente consentito, se detti colloqui  fossero
pertinenti a specifici procedimenti o  adempimenti  per  i  quali  si
ponessero esigenze difensive altrimenti non assicurabili, se  fossero
intervenuti    provvedimenti    di    rigetto    dell'Amministrazione
penitenziaria; 
        che l'assoluta carenza di motivazione in punto  di  rilevanza
e' causa di manifesta inammissibilita' della questione (da ultimo, ex
multis, ordinanza n. 311 del 2009). 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 41-bis, comma 2-quater, lettera
b), della legge  26  luglio  1975,  n.  354  (Norme  sull'ordinamento
penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative  e  limitative
della liberta'), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24,  secondo
comma, e 111, terzo comma,  della  Costituzione,  dal  Magistrato  di
sorveglianza di Cuneo con l'ordinanza in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 giugno 2010. 
 
                       Il Presidente: Amirante 
 
 
                       Il redattore: Silvestri 
 
 
                      Il cancelliere: Di Paola 
 
    Depositata in cancelleria il 17 giugno 2010. 
 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola