N. 206 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 aprile 2010

Ordinanza del Giudice di  pace  di  Lecce  del  19  aprile  2010  nel
procedimento penale a carico di Mbaye Aboul Khadre. 
 
Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello  Stato
  - Configurazione della fattispecie  come  reato  -  Violazione  del
  principio di offensivita' del reato - Violazione del  principio  di
  sussidiarieta' dell'illecito penale - Violazione del  principio  di
  uguaglianza e del principio di personalita'  della  responsabilita'
  penale - Inosservanza degli obblighi internazionali  in  materia  -
  Irragionevolezza sotto diversi profili - Disparita' di  trattamento
  rispetto al reato di cui all'art. 14, comma 5-ter,  del  d.lgs.  n.
  286 del 1998 - Violazione del principio di materialita'  -  Lesione
  dei diritti inviolabili dell'uomo - Contrasto con il  principio  di
  buon andamento della pubblica amministrazione - Lesione del diritto
  di difesa. 
- Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art.  10-bis,  aggiunto
  dall'art. 1, comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 24, 25, 27, 97 e 117, in  relazione  agli
  artt. 5 e 6 del  Protocollo  addizionale  della  Convenzione  delle
  Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale. 
(GU n.28 del 14-7-2010 )
 
                         IL GIUDICE DI PACE 
 
    L'Avv. Rochira  Cosimo,  ha  emesso  l'ordinanza  di  rimessione,
decidendo sul fascicolo penale intestato  all'imputato  Mbaye  Abdoul
Khadre  nato  a  Saint  Louis  (Senegal)  il  31  luglio   1967   nel
procedimento contrassegnato con il n. NR. 613/10 R.G.N.R, NR.  121/10
R. G. G.P., elettivamente domiciliato presso il difensore di  fiducia
avv. Centonze Salvatore, per il reato  di  cui  all'art.  10-bis  del
d.lgs. n. 286/1998 come introdotto dall'art. 1, comma  16,  legge  15
luglio 2009, n. 94, «per  avere,  quale  cittadino  straniero,  fatto
ingresso  ed  essersi  trattenuto  nel  territorio  dello  stato   in
violazione delle disposizioni  del  medesimo  decreto  legislativo  e
dell'art. 1 della legge n. 68/2007 essendo privo di valido titolo  di
soggiorno. 
    Reato commesso in Lecce 4 marzo 2010». 
    La Procura della Repubblica  di  Lecce  in  data  22  marzo  2010
autorizzava la presentazione immediata a giudizio per l'udienza del 9
aprile 2010, nella quale verificata la  regolarita'  delle  notifiche
avvenute in data 24 marzo 2010, come in atti, il giudicante  rinviava
per la discussione  il  processo  all'udienza  straordinaria  del  19
aprile 2010. 
    Alla predetta udienza, veniva acquisita la relazione di  servizio
inerente l'accertamento effettuato  in  data  4  marzo  2010;  l'avv.
Centonze  rinunciava   all'esame   dei   verbalizzanti   e   chiedeva
l'assoluzione dell'imputato ai  sensi  dell'art.  530  c.p.p.  ed  in
subordine insisteva nella questione  di  legittimita'  costituzionale
come da memoria prodotta. 
    Il Pubblico ministero rilevava la mancanza di prova dell'avvenuta
espulsione  dell'imputato  dal  territorio   nazionale   e   chiedeva
affermarsi la penale responsabilita' dell'imputato stesso  in  ordine
al reato di cui al capo di imputazione e  la  condanna  del  medesimo
all'ammendo di € 5.000,00. 
    Sussistenza dei presupposti di cui agli artt.  134  e  ss.  della
Costituzione e 23 della legge n. 87 dell'11 marzo 1953. 
 
         I presupposto - Rilevanza delle questioni sollevate 
 
    Atteso che gli elementi di prova acquisiti consentono di ritenere
astrattamente provata la responsabilita' dell'imputato  in  relazione
alla contravvenzione suddetta a lui contestata, sussiste la rilevanza
della questione costituzionale sollevata; 
    L'avv. Centonze non ha richiesto alcuna prova contraria,  ne'  ha
dedotto la sussistenza di una causa di giustificazione o di esimenti. 
    L'imputato Mbaye Abdoul Khadre, destinatario del provvedimento di
espulsione, emesso dal Prefetto di Lecce in data 4 marzo 2010  e  del
contestuale ordine del Questore di Lecce  a  lasciare  il  territorio
dello Stato entro 5 giorni dalla data di notifica avvenuta il 4 marzo
2010, clandestino privo di  permesso  di  soggiorno  o  di  carta  di
soggiorno, se la norma non  fosse  sospetta  di  incostituzionalita',
dovrebbe essere dichiarato responsabile del reato di cui al  capo  di
imputazione e punito ai sensi dell'art. 10-bis del d.lgs. n. 286/1998
come introdotto dall'art. 1 comma 16, legge 15 luglio  2009,  n.  94,
disposizione che introduce un nuovo reato proprio dello straniero, la
cui  condotta  consiste  nel  far  ingresso  o  nel  trattenersi  nel
territorio dello Stato in  violazione  delle  norme  contenute  nello
stesso decreto legislativo e nell'art. 1 della legge n.  68/2007.  Si
tratta di una contravvenzione punita con un'ammenda da 5.000 a 10.000
euro, per la quale e' stata espressamente esclusa la possibilita'  di
estinzione del reato per oblazione. 
    La questione  di  legittimita'  costituzionale  risulta  pertanto
pregiudiziale e rilevante ai fini della decisione. 
 
II presupposto - Non Manifesta infondatezza delle questioni sollevate 
 
    Sussiste, infatti, la non manifesta infondatezza di talune  delle
questioni sollevate dell'art. 10-bis  del  d.lgs.  n.  286/1998  come
introdotto dall'art. 1, comma 16, legge 15  luglio  2009,  n.  94  in
riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, 27, 97, 117 della Costituzione; 
    Sussiste, inoltre, la violazione dei principi di  ragionevolezza,
proporzionalita' e sussidiarieta' della legge penale di cui agli art.
3, 25, 27 della Costituzione; 
A) Violazione degli artt. 25 e 27 della Costituzione. 
    1) violazione del cd. principio di offensivita' del reato (nullum
crimen sine  iniuria),  ricavabile  dagli  articoli  25  e  27  della
Costituzione: il reato deve sostanziarsi anche nella  offesa  di  uno
specifico bene giuridico, non  essendo  concepibile  un  reato  senza
offesa, e dunque  al  legislatore  e'  preclusa  l'introduzione,  per
finalita' di mera deterrenza, di sanzioni che non si  ricolleghino  a
fatti colpevoli, ma piuttosto a modi di essere  ovvero  ad  una  mera
disobbedienza  priva  di  disvalore   (anche   potenziale)   per   un
determinato  bene  giuridico  protetto;  invece  con  il   reato   di
clandestinita'  il  legislatore  ha  previsto   l'incriminazione   di
condotte  che,  in  se'  considerate,  non  hanno  alcuna   idoneita'
offensiva di un bene giuridico (non potendo certo sostenersi  che  il
solo  fatto  che  un  soggetto  tenti  di  entrare  illegalmente  nel
territorio dello Stato sia idoneo a cagionare  una  lesione  al  bene
della sicurezza pubblica:  come  e'  stato  autorevolmente  ricordato
dalla Corte costituzionale, nelle sentenze n. 22 del 2 febbraio  2007
e n. 78 del 16 marzo 2007, e come meglio si dira' innanzi,  non  puo'
ritenersi che il  clandestino  sia,  per  il  solo  fatto  della  sua
clandestinita', un pericolo per l'ordine  pubblico),  essendo  invece
l'ingresso o la presenza illegale del singolo  straniero  espressione
di una condizione individuale, dello status di  migrante  (condizione
spesso non riconducibile ad una  condotta  volontaria  e  consapevole
dell'agente, costretto a fuggire per ragioni di  sopravvivenza  ed  a
subire la sottrazione dei propri  documenti  da  parte  dei  sodalizi
criminali  che  ne  organizzano  il  trasferimento   nel   territorio
nazionale). 
    2)  Violazione  del  principio  di  sussidiarieta'  dell'illecito
penale: il ricorso alla sanzione penale nel nostro  ordinamento  deve
ammettersi esclusivamente come extrema ratio, quando cioe' la  tutela
del  bene  giuridico  non  possa   essere   raggiunta   adeguatamente
attraverso altri strumenti dell'ordinamento giuridico.  Nel  caso  di
specie,  il  reale  obiettivo  perseguito  dalla  nuova   fattispecie
incriminatrice  e'  costituito  dall'allontanamento  dello  straniero
irregolare dal territorio dello Stato, obiettivo  che  -  gia'  prima
della introduzione del reato - era possibile raggiungere mediante  le
diverse ipotesi di espulsione  in  via  amministrativa  previste  dal
testo  unico  sull'immigrazione.  La   perseguibilita'   penale   del
clandestino  e',  sotto  tale  profilo,  assolutamente  neutra,   non
agevolando  ne'  condizionando  in  alcun  modo   le   procedure   di
espulsione, che restano  ancorate  ai  presupposti  giustificativi  e
fattuali gia' previsti dall'ordinamento. 
    La celebrazione del processo penale, per  l'effetto,  comportera'
solo  un  dispendio  di  energie,  senza  aver  conseguito  risultati
ulteriori o diversi  rispetto  a  quelli  gia'  conseguibili  con  la
normativa previgente: il diritto penale  viene  dunque  completamente
asservito alle funzioni di polizia preordinate  alla  gestione  della
immigrazione irregolare. 
    3) Violazione del principio di uguaglianza  e  del  principio  di
personalita' della responsabilita' penale, ricavabile da piu' punti: 
        a) poiche' per effetto del quinto comma dell'art. 10-bis  nel
caso in cui l'autore dell'azione criminosa sia espulso o respinto, il
giudice pronuncia sentenza  di  non  luogo  a  procedere,  e  poiche'
l'esecuzione dei provvedimenti di espulsione e  di  respingimento  e'
rimessa  alla  discrezionalita'  ed  alla  disponibilita'  di   mezzi
dell'autorita' amministrativa, senza che nessun rilievo  ricoprano  a
tal fine la volonta' e le  azioni  dello  straniero,  ne  deriva  che
l'accertamento giurisdizionale di condotte identiche produce  effetti
diversi (sentenza di condanna o di non luogo a procedere) a causa  di
circostanze assolutamente estranee alla  sfera  di  intervento  degli
imputati; 
        b) non e' stata attribuita alcuna rilevanza alla presenza  di
giustificati motivi che abbiano determinato  le  condotte  punite,  a
differenza di quanto  previsto  nell'analoga  (e  molto  piu'  grave)
ipotesi  delittuosa  di  cui  all'art.  14,  comma  5-ter  d.lgs.  n.
286/1998; cio' determina una ingiustificata disparita' di trattamento
tra gli autori dei due reati,  entrambi  tesi  a  colpire  la  stessa
situazione  soggettiva  (il  clandestino  o  lo  straniero   divenuto
clandestino). Non e' superfluo ricordare in proposito che proprio  la
presenza della clausola del giustificato motivo ha portato  la  Corte
costituzionale a ritenere non costituzionalmente  illegittimo  l'art.
14, comma 5-ter, del testo unico, poiche'  grazie  ad  essa  puo'  in
concreto evitarsi «che la sanzione penale scatti allorche' - anche al
di fuori della presenza di vere e proprie cause di giustificazione  -
l'Osservanza  del  precetto  appaia  concretamente  inesigibile»  per
ragioni  riconducibili  «a   situazioni   ostative   di   particolare
pregnanza,  che  incidano  sulla  stessa  possibilita'  oggettiva   o
soggettiva,  di  adempiere   all'intimazione,   escludendola   ovvero
rendendola difficoltosa o pericolosa» (Corte costituzionale, sentenza
n. 5 del 13 gennaio 2004); per altro verso il sistema  delineato  dal
legislatore del 2009 appare palesemente irrazionale, avendo  generato
un conflitto, sia sul piano logico che su quello pragmatico,  tra  le
due  fattispecie  in  oggetto:  tutti  i  presupposti  richiesti  per
l'emanazione del provvedimento del Questore (decreto  prefettizio  di
espulsione,  impossibilita'   di   dare   esecuzione   all'espulsione
coattiva, impossibilita' di trattenere lo  straniero  negli  appositi
Centri di  permanenza  o  inutile  decorso  del  termine  massimo  di
permanenza in tali strutture), infatti, in tanto avevano  ragione  di
esistere in quanto non  era  previsto  un  reato  di  immigrazione  o
soggiorno clandestini e la sanzione penale era  correlata  alla  sola
violazione dell'ordine questorile di allontanamento. Ora che e' stata
introdotta la nuova figura dell'ingresso e del soggiorno illegale,  a
prescindere dall'esistenza di giustificati motivi, lo straniero viene
immediatamente  sanzionato  senza  il  ricorso  di  alcuno  di   quei
presupposti richiesti per l'integrazione del reato  di  cui  all'art.
14, comma 5-ter, t.u. imm. 
    Dunque potrebbe darsi il caso di un soggetto, gia' condannato per
il reato di ingresso o soggiorno clandestino che,  non  espulso  manu
militari, ma intimato di lasciare il territorio  dello  Stato,  possa
ivi legittimamente trattenersi perche' sorretto da  un  «giustificato
motivo»: con un evidente ed insanabile contrasto nella  posizione  di
uno Stato che, da un lato, punisce lo straniero non solo ab  origine,
ma  anche  divenuto  clandestino  e,  dall'altro,  lo   autorizza   a
trattenersi perche' munito di un giustificato motivo; 
        c) non si ravvisa alcuna ragione che precluda  all'agente  di
estinguere  il  reato  a  lui  ascritto  mediante  oblazione;  l'aver
precluso  l'operativita'  di  una  causa   di   estinzione   prevista
dall'ordinamento per tutte le ipotesi contravvenzionali punite con la
sola pena  dell'ammenda  ha  dunque  determinato  una  ingiustificata
disparita' di trattamento, e la creazione di  una  sorta  di  «regime
speciale»  riservato  ad  una  intera  categoria  di  soggetti,   gli
stranieri clandestini. 
B) Violazione dell'art. 117 della Costituzione. 
    Inoltre, si dubita della legittimita' costituzionale della  norma
rispetto  all'art.  117  della  Costituzione,  con  riferimento  agli
obblighi internazionali assunti dall'Italia in materia di trattamento
dei  migranti.  Infatti,  da  tale  norma   costituzionale   discende
«l'obbligo del legislatore ordinario di rispettare le norme poste dai
trattati e dalle convenzioni internazionali, con la  conseguenza  che
la norma nazionale incompatibile con gli "obblighi internazionali" di
cui all'art. 117, primo comma, viola per cio' stesso  tale  parametro
costituzionale,  che   realizza   un   rinvio   mobile   alla   norma
convenzionale di volta in volta  conferente,  la  quale  da'  vita  e
contenuto a quegli obblighi internazionali genericamente evocati.  Ne
consegue che al giudice comune spetta interpretare la  norma  interna
in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei
quali cio' sia permesso dai testi delle norme e qualora cio' non  sia
possibile, ovvero qualora dubiti  della  compatibilita'  della  norma
interna con la disposizione convenzionale  "interposta"  proporre  la
relativa  questione  di  legittimita'  costituzionale   rispetto   al
parametro dell'art. 117,  primo  comma,  della  Costituzione».  Sotto
questo  profilo  risulta   necessario   esaminare   la   legittimita'
costituzionale delle norme impugnate attraverso il loro confronto con
norme contenute negli accordi internazionali stipulati dall'Italia. A
tal proposito, viene  in  rilievo,  in  particolare,  il  "Protocollo
addizionale  della  Convenzione  delle  Nazioni   Unite   contro   la
criminalita' organizzata transnazionale per combattere il traffico di
migranti", sottoscritto nel corso della conferenza di Palermo  (12-15
dicembre 2000). In particolare, l'art. 6 del Protocollo  prevede  che
«ogni Stato Parte  adotta  misure  legislative...  per  conferire  il
carattere di reato ai sensi del suo diritto interno (...)» ad  alcune
condotte (traffico di migranti, fabbricazione di falsi  documenti  di
viaggio, fatto di permettere ad una persona che non  e'  cittadina  o
residente  permanente  di  rimanere  nello  Stato  interessato  senza
soddisfare i  requisiti  necessari  per  permanere  legalmente  nello
Stato,  ecc.),  mentre  l'art.  5  stabilisce  che  «i  migranti  non
diventano  assoggettati  all'azione  penale  fondata   sul   presente
Protocollo per il fatto di essere stati oggetto delle condotte di cui
all'art. 6» e l'art. 16  obbliga  gli  Stati  contraenti  a  prendere
«misure  adeguate,  comprese  quelle  di  carattere  legislativo   se
necessario, per preservare e tutelare i  diritti  delle  persone  che
sono state oggetto delle condotte  di  cui  all'art.  6»,  nonche'  a
fornire  «un'assistenza  adeguata  ai  migranti  la   cui   vita,   o
incolumita', e' in pericolo dal fatto di essere stati  oggetto  delle
condotte di cui all'art. 6».  Si  ritiene  che  la  norma  impugnata,
comportando  l'incriminazione  di  persone  che  si  trovano  in  una
condizione in  relazione  alla  quale  si  e'  assunto  l'impegno  di
assisterle e proteggerle,  versi  in  una  condizione  di  insanabile
contraddizione nei confronti delle disposizioni appena enunciate. 
C) Violazione dell'art. 3 della Costituzione. 
    1.1.  sotto  il  profilo  della  irragionevolezza  della   scelta
legislativa per identita' di ratio rispetto all'istituti espulsivi di
natura amministrativa. 
    Tale norma appare, anzitutto, in contrasto con  l'art.  3  Cost.,
sotto il profilo dell'irragionevolezza della  scelta  legislativa  di
criminalizzare l'ingresso e la  permanenza  clandestini  nello  Stato
italiano; infatti, pur riconoscendo che  compete  al  legislatore  un
generale  potere  «di  regolare  la  materia  dell'immigrazione,   in
correlazione ai molteplici interessi pubblici da essa coinvolti ed ai
gravi problemi connessi a  flussi  migratori  incontrollati»  (v.  C.
cost.  sent.  n.  5/2004),  facendo   buon   uso   della   sfera   di
discrezionalita' sua propria, l'azione di tale organo  costituzionale
trova limiti insuperabili nell'Osservanza dei  principi  fondamentali
del sistema penale stabiliti dalla Costituzione  e  nell'adozione  di
soluzioni orientate a canoni  di  ragionevolezza  e  di  razionalita'
finalistica; la irragionevolezza della nuova fattispecie criminosa e'
chiaramente evidenziata dalla carenza di  un  pur  minimo  fondamento
giustificativo:  la   penalizzazione   di   una   condotta   dovrebbe
intervenire, come extrema ratio, in tutti  i  casi  in  cui  non  sia
possibile individuare altri strumenti idonei al raggiungimento  dello
scopo. 
    Ora,   l'obiettivo    perseguito    dalla    nuova    fattispecie
incriminatrice  e'  costituito  dall'allontanamento  dello  straniero
irregolare dal territorio dello Stato. Esso e' chiaramente desumibile
dalle    svariate    previsioni,    accessorie    alla    fattispecie
incriminatrice,  aventi  ad  oggetto   proprio   l'espulsione   dello
straniero:  tale  misura  e',   infatti,   prevista   come   sanzione
sostitutiva irrogabile dal giudice di  pace  ai  sensi  dell'art.  16
d.lgs. n. 286/1987, appositamente modificato per comprendervi, tra  i
presupposti, la sentenza di condanna per il  reato  di  cui  all'art.
10-bis (cosi' alterando, anche con l'espressa introduzione  dell'art.
62-bis, il sistema sanzionatorio disegnato dal  d.lgs.  n.  274/2000,
che prescriveva, all'art. 62,  dopo  la  descrizione  delle  sanzioni
tipiche  di  cui  agli  artt.  52  e  ss.,  l'espresso   divieto   di
applicazione delle altre misure sostitutive di pene detentive brevi);
inoltre, l'effettiva espulsione dello straniero in via amministrativa
costituisce causa di non procedibilita' dell'azione  penale,  il  che
rende  plasticamente  evidente   quale   sia   l'interesse   primario
perseguito dal legislatore; infine, non e' richiesto alcun nulla osta
dell'Autorita' Giudiziaria per l'esecuzione  dell'espulsione  in  via
amministrativa, al chiaro scopo di non creare intralci alla  predetta
operazione. 
    Orbene,   l'evidente   finalita'    della    nuova    fattispecie
incriminatrice,  strumentale   all'allontanamento   dello   straniero
irregolare dal  territorio  dello  Stato,  ne  sottolinea  l'assoluta
inutilita' e, dunque,  la  mancanza  di  una  ratio  giustificatrice,
perche' lo stesso obiettivo  era  perfettamente  raggiungibile  prima
dell'introduzione della nuova figura di  reato,  mediante  l'adozione
dell'espulsione coattiva in via amministrativa ai sensi dell'art. 13,
comma 4, d.lgs. n. 286/1998. 
    Ne' la nuova norma modifica in alcun modo i presupposti necessari
per l'espulsione, perche' anche la misura  sostitutiva  eventualmente
disposta dal giudice di pace, eseguibile  con  le  modalita'  di  cui
all'art. 13, comma  4,  puo'  essere  adottata  soltanto  quando  non
ricorrano la cause ostative indicate nell'art.  14,  comma  1;  e  le
difficolta' di carattere amministrativo ed organizzativo che fino  ad
oggi hanno ostacolato  la  piena  applicazione  dell'espulsione  manu
militari non verranno  certo  meno  con  l'introduzione  della  nuova
figura di reato. 
    Dunque l'ambito di applicazione della nuova fattispecie  coincide
perfettamente con quello  della  preesistente  misura  amministrativa
dell'espulsione,  sia  sotto  il  profilo  dei  soggetti  destinatari
(stranieri entrati o trattenuti irregolarmente nel  territorio  dello
Stato), sia sotto quello della ratio giustificativa. Il che significa
che c'era  gia'  nell'ordinamento  italiano  uno  strumento  ritenuto
idoneo al raggiungimento dello scopo (tanto che  esso  non  e'  stato
oggetto di alcuna modifica normativa) e  l'adozione  dello  strumento
penale resta priva di ogni giustificazione. 
    1.2. Palese ed irragionevole disparita' di trattamento  sotto  il
profilo sanzionatorio. 
    La irragionevolezza della nuova fattispecie penale  emerge  anche
sotto  il  profilo  sanzionatorio,  considerato  nel  suo  complesso,
comprensivo, quindi, non solo della  pena  dell'ammenda  da  5.000  a
10.000 euro, ma anche del divieto di applicazione del beneficio della
sospensione condizionale della pena (conseguente alla  individuazione
della competenza in capo al giudice di pace, secondo quanto  disposto
dalla lettera s-bis)  dell'art.  4,  comma  2,  d.lgs.  n.  274/2000,
introdotta dall'art. 1, comma 17, lett. a) della nuova legge) e della
facolta' concessa al giudice di pace di sostituire la pena pecuniaria
con una sanzione piu' grave, quale quella dell'espulsione dallo Stato
per un periodo non inferiore a cinque  anni  (unico  caso  di  misura
sostitutiva piu' grave della sanzione principale sostituita,  nessuno
potendo  dubitare  della   maggiore   afflittivita'   dell'espulsione
rispetto alla mera ammenda, sia pure non oblazionabile, tenuto  anche
conto della conseguenze penali  della  violazione  del  provvedimento
dell'autorita' giudiziaria). 
    Tale  regolamentazione,  infatti,   introduce   una   palese   ed
irragionevole  disparita'  di  trattamento  tra  soggetti  ugualmente
destinatari della predetta sanzione sostitutiva.  Da  un  lato,  essa
potra' essere comminata a soggetti condannati, anche con sentenza  ex
art. 444 c.p.p., per un reato non colposo, ad una pena detentiva  non
superiore a due anni e sempre che non  ricorrano  le  condizioni  per
ordinare la sospensione condizionale della  pena  ex  art.  163  c.p.
(come previsto  dall'originario  art.  16  d.lgs.  n.  286/1998,  non
modificato sul punto); dall'altro lato essa potra'  colpire  soggetti
condannati alla sola  pena  pecuniaria,  ex  art.  10-bis  d.lgs.  n.
286/1998, quindi per un reato certamente meno grave  di  quelli  che,
soli,  originariamente   giustificavano   l'adozione   della   misura
sostitutiva in oggetto, senza alcuna possibilita', per il giudice, di
renderla  concretamente  inefficace  mediante  la   concessione   del
beneficio della sospensione condizionale della pena. 
    Del resto e' prevedibile che la sanzione sostitutiva in questione
sara' la pena generalmente adottata dal giudice di pace, laddove  non
ricorrano le cause ostative di  cui  all'art.  14,  comma  1,  stante
l'assoluta carenza di efficacia deterrente dell'ammenda prevista. 
    La  pena  da  5.000  a  10.000  euro  di  ammenda,  infatti,  pur
dichiarata espressamente non oblazionabile  ex  art.  162  c.p.  (con
l'evidente obiettivo di  dare  concreta  effettivita'  alla  sanzione
prescritta) appare, ad ogni persona di buonsenso, assolutamente priva
di un benche' minimo effetto deterrente: anzitutto,  perche'  chi  e'
spinto ad emigrare da condizioni di vita insostenibili, per  sfuggire
alle quali e' disposto a sfidare la morte affrontando i  c.d.  viaggi
della speranza, non potra' certo indietreggiare di fronte al  rischio
di  una  mera  sanzione  pecuniaria,  per  quanto   elevata   e   non
oblazionabile;   ma   anche   perche'   lo   straniero   clandestino,
prevedibilmente, non avra' mai, in concreto, i  mezzi  economici  per
pagare la somma a cui sara' condannato dal giudice, rendendo  inutile
anche ogni tentativo di esecuzione coattiva;  mentre  la  conversione
della pena pecuniaria, ad opera del  magistrato  di  sorveglianza  ex
art. 660 c.p.p., nelle misure del lavoro sostitutivo  o  dell'obbligo
di permanenza domiciliare, ai sensi dell'art. 55 d.lgs.  n.  274/2000
(prevista per i casi  di  insolvenza  nei  reati  di  competenza  del
giudice di pace) appare difficilmente attuabile, anche a  prescindere
dal contrasto, sul  piano  logico,  con  la  nuova  figura  criminosa
(paradossalmente il clandestino sarebbe chiamato a svolgere, sia pure
a titolo gratuito, un lavoro di pubblica utilita'), per  la  concreta
difficolta'  dell'immigrato  clandestino  a  reperire  un   domicilio
stabile. 
    1.3. Irragionevole disparita' di  trattamento  sotto  il  profilo
sanzionatorio rispetto all'art. 14 t.u. 
    L'art. 3 cost. appare violato sotto un altro  specifico  profilo,
concernente la irragionevole disparita' di trattamento tra  la  nuova
fattispecie e quella di cui  all'art.  14,  comma  5-ter,  d.lgs.  n.
286/1998, che prevede la punibilita' dello  straniero  inottemperante
all'ordine di allontanamento del Questore solo quando  lo  stesso  si
trattenga nel territorio dello Stato oltre  il  termine  stabilito  e
«senza giustificato motivo». Due  condizioni  che  non  si  ritrovano
nella nuova figura criminosa, cosicche' e' sufficiente,  ad  esempio,
il venir meno, per un  qualche  motivo,  del  permesso  di  soggiorno
perche' sia immediatamente e automaticamente integrata una ipotesi di
trattenimento illecito, senza alcuna possibilita', per l'interessato,
di addurre una qualche giustificazione o di usufruire di  un  termine
per potersi allontanare. 
    Senza contare che, in virtu' della attribuzione della  competenza
a conoscere della nuova  fattispecie  al  giudice  di  pace,  risulta
disegnato un sottosistema sanzionatorio addirittura piu'  gravoso  di
quello previsto per il piu' grave delitto, non essendo possibili  ne'
la concessione della sospensione condizionale, ne' una  riduzione  di
pena conseguente all'adozione di un rito alternativo (per  l'espresso
divieto di applicazione dei predetti  istituti  al  rito  davanti  al
giudice di pace ex artt. 2 e 60 d.lgs. n. 74/2000).  Ma,  al  di  la'
della irrazionale e ingiustificata disparita' di trattamento  tra  le
due  fattispecie  criminose,  entrambe  tese  a  colpire  la   stessa
situazione  soggettiva  (lo   straniero   ab   origine   o   divenuto
clandestino), e' da rilevare come le stesse  siano  irrimediabilmente
contrastanti tra loro, sia sul piano logico che su quello pragmatico:
tutti i presupposti richiesti per l'emanazione del provvedimento  del
Questore (decreto prefettizio di espulsione, impossibilita'  di  dare
esecuzione all'espulsione coattiva, impossibilita' di  trattenere  lo
straniero negli appositi Centri di permanenza o inutile  decorso  del
termine massimo di permanenza in tali strutture), infatti,  in  tanto
avevano ragione di esistere in quanto non era previsto  un  reato  di
immigrazione  o  soggiorno  clandestini  e  la  sanzione  penale  era
correlata   alla   sola   violazione   dell'ordine   questorile    di
allontanamento. 
    Ora che e' stata introdotta la nuova figura dell'ingresso  e  del
soggiorno illegale,  a  prescindere  dall'esistenza  di  giustificati
motivi, lo straniero viene immediatamente sanzionato senza il ricorso
di alcuno di quei presupposti richiesti per l'integrazione del  reato
di cui all'art. 14, comma 5-ter. 
    Dunque potrebbe darsi il caso di un soggetto, gia' condannato per
il reato di ingresso o trattenimento  clandestino  che,  non  espulso
manu militari, ma intimato di lasciare  il  territorio  dello  Stato,
possa  ivi  legittimamente  trattenersi  perche'   sorretto   da   un
«giustificato motivo»: con un evidente ed insanabile contrasto  nella
posizione di uno Stato che, da un lato, punisce lo straniero non solo
ab origine, ma anche divenuto clandestino e, dall'altro, lo autorizza
a trattenersi perche' munito di un giustificato motivo. 
    Va peraltro richiamata, al  riguardo,  la  sentenza  della  Corte
cost. n. 5/2004, che ha salvato la  costituzionalita'  dell'art.  14,
comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998 proprio grazie ad una interpretazione
costituzionalmente  orientata  della  clausola  «senza   giustificato
motivo»,  considerata,  al   pari   di   altre   simili   rinvenibili
nell'ordinamento,  una  «valvola   di   sicurezza»   del   meccanismo
repressivo, atta ad evitare che la sanzione penale scatti allorche' -
anche al  di  fuori  della  presenza  di  vere  e  proprie  cause  di
giustificazione -  l'osservanza  del  precetto  appaia  concretamente
inesigibile» per i piu' svariati motivi, ma comunque riconducibili «a
situazioni ostative di  particolare  pregnanza,  che  incidano  sulla
stessa  possibilita',   soggettiva   od   oggettiva,   di   adempiere
all'intimazione,  escludendola  ovvero  rendendola   difficoltosa   o
pericolosa», come le situazioni di  cui  all'art.  14,  comma  1,  la
«condizione di assoluta impossidenza dello  straniero»,  il  «mancato
rilascio,  da  parte  della  competente   autorita'   diplomatica   o
consolare,   dei   documenti   necessari,   pure   sollecitamente   e
diligentemente richiesti». 
    Dunque il nuovo reato  di  immigrazione  clandestina  non  appare
conforme  alla  Costituzione  (e  dovra',  quindi,   soccombere   nel
contrasto evidenziato) proprio perche' punisce indiscriminatamente ed
automaticamente  tutti  i  soggetti   irregolarmente   presenti   nel
territorio dello Stato, senza tenere conto  dell'eventuale  esistenza
di situazioni legittimanti tale presenza. 
D) Violazione dell'art. 25 della Costituzione. 
    Il nuovo art. 10  bis  d.lgs.  n.  286/1998  appare,  ancora,  in
contrasto con l'art. 3 Cost. nonche' con l'art. 25,  comma  2  Cost.,
avuto  riguardo  alla  configurazione  di  una   fattispecie   penale
discriminatoria, perche' fondata su particolari condizioni  personali
e sociali, anziche'  su  fatti  e  comportamenti  riconducibili  alla
volonta' del soggetto attivo. 
    Infatti, cio' che la nuova fattispecie incriminatrice sanziona e'
solo  apparentemente   una   condotta   (l'azione   dell'ingresso   e
l'omissione del mancato allontanamento), in realta' in se' e per  se'
del tutto neutra agli effetti penalistici,  mentre  il  vero  oggetto
della incriminazione e' la mera condizione personale dello straniero,
costituita dal mancato possesso di un titolo abilitativo all'ingresso
e alla successiva permanenza nel territorio dello Stato, che e', poi,
la condizione tipica del migrante  economico  e,  dunque,  anche  una
condizione sociale, cioe' propria di una categoria di persone. 
    Una situazione in realta' priva di una  qualche  significativita'
sotto il profilo della pericolosita' sociale (perche' l'ingresso e la
presenza illegali nel  territorio  statale  non  costituiscono  fatti
lesivi di un qualche bene meritevole di tutela  penale:  sentenza  n.
78/2007 della Corte costituzionale)  e,  tra  l'altro,  difficilmente
riconducibile  ad  una  condotta  volontaria  e   consapevole   dello
straniero migrante, essendo costui costretto, di  regola,  a  fuggire
dal proprio stato di appartenenza per ragioni di  sopravvivenza  e  a
subire la sottrazione dei propri documenti (ove esistenti)  da  parte
delle compagini criminali che organizzano i viaggi della  speranza  o
si «prendono cura» di lui nel luogo di destinazione. 
    La criminalizzazione del migrante economico,  dunque,  appare  in
contrasto sia con il principio di  uguaglianza  sancito  dall'art.  3
Cost., che  vieta  ogni  discriminazione  fondata,  tra  l'altro,  su
condizioni personali e sociali,  sia  con  la  fondamentale  garanzia
costituzionale secondo cui si  puo'  essere  puniti  solo  per  fatti
materiali (art. 25, comma 2 Cost.). 
    La Corte costituzionale si e' gia' espressa in modo  in  equivoco
sul punto, stabilendo, nella sentenza n. 78  del  2007,  in  tema  di
applicabilita'  delle  misure  alternative   alla   detenzione   agli
stranieri  clandestini,  che  «il  mancato  possesso  di  un   titolo
abilitativo alla permanenza nel territorio dello  Stato»  costituisce
«una condizione soggettiva che,  di  per  se',  non  e'  univocamente
sintomatica di  una  particolare  pericolosita'  sociale.»;  dal  che
(oltre  che  da  altri  argomenti)  consegue   «l'impossibilita'   di
individuare nella esigenza di rispetto delle  regole  in  materia  di
ingresso e soggiorno in detto territorio  (nazionale,  n.  d.r.)  una
ragione giustificativa della radicale discriminazione dello straniero
sul piano dell'accesso al percorso rieducativo,  cui  la  concessione
delle misure alternative e' funzionale». 
    Tra l'altro,  la  nuova  fattispecie  renderebbe  sostanzialmente
inapplicabile  la  citata  sentenza  della  Corte  cost.  e,  dunque,
inaccessibili le  misure  alternative  alla  detenzione  a  stranieri
clandestini  condannati  a  pene  detentive,   perche',   sanzionando
penalmente la clandestinita' dello straniero,  essa  collega  a  tale
condizione  un  implicito,  quanto  ingiustificato   e   irrazionale,
giudizio di pericolosita' sociale, che e' di per se' incompatibile  -
come ammesso dalla stessa Corte cost. - «con il perseguimento  di  un
percorso riabilitativo attraverso qualsiasi misura alternativa». 
    Le conclusioni cui e' pervenuta la Corte cost. nella sentenza  da
ultimo citata costituiscono del resto  la  conferma  di  un  percorso
iniziato  nel  1968,  con  la  declaratoria  di   incostituzionalita'
dell'art. 708 c.p. (v. sent. n. 110), limitatamente alla parte in cui
faceva  riferimento  alle  condizioni  personali  di  condannato  per
mendicita',  di  ammonito,  di  sottoposto  a  misura  di   sicurezza
personale e a cauzione di buona condotta; proseguito nel 1971, con la
sentenza n. 14, con  cui  veniva  dichiarata  la  incostituzionalita'
dell'art.  707  c.p.,  limitatamente  alla  parte   in   cui   faceva
riferimento alle stesse condizioni soggettive; ed infine sviluppato e
portato a compimento con la sentenza n. 370 del 1996,  con  la  quale
veniva dichiarata l'incostituzionalita' tout court del  residuo  art.
708 c.p., sottolineando «l'irragionevolezza della  limitazione  delle
condizioni soggettive punibili  a  una  sola  categoria  di  persone»
individuata attraverso la riferibilita' di un fatto di per se' neutro
(come il possesso di denaro o di oggetti di valore)  ad  un  soggetto
pregiudicato  per  alcune  classi  di  precedenti  penali.  Non  pare
superfluo sottolineare, per meglio comprendere l'assimilazione  della
condizione di migrante clandestino a  quella  dei  soggetti  nei  cui
confronti si riteneva giustificato il sospetto di pericolosita',  che
il codice albertino del 1839 ricomprendeva, tra gli altri, anche «gli
stranieri clandestini». 
E) Violazione dell'art. 2 della Costituzione. 
    La nuova fattispecie appare, infine, in contrasto  con  l'art.  2
Cost., che riconosce e garantisce i diritti inviolabili  dell'uomo  e
richiede  l'adempimento  dei  doveri  inderogabili  di   solidarieta'
politica, economica e sociale. «Gli squilibri e le forti tensioni che
caratterizzano le societa'  piu'  avanzate  producono  condizioni  di
estrema  emarginazione,  si'  che  non  si  puo'  non  cogliere   con
preoccupata inquietudine l'affiorare di tendenze,  o  anche  soltanto
tentazioni, volte a nascondere la miseria e a considerare le  persone
in condizioni di  poverta'  come  pericolose  e  colpevoli».  «Ma  la
coscienza  sociale  ha  compiuto  un   ripensamento   a   fronte   di
comportamenti un tempo ritenuti pericolo incombente per una  ordinata
convivenza e la  societa'  civile  -  consapevole  dell'insufficienza
dell'azione  dello  Stato  -  ha  attivato  autonome  risposte,  come
testimoniano le organizzazioni di volontariato che  hanno  tratto  la
loro ragion d'essere, e la loro  regola,  dal  valore  costituzionale
della solidarieta'». Con queste  parole  lungimiranti,  perfettamente
applicabili anche ai nuovi poveri di oggi, gli stranieri migranti, la
Corte costituzionale, con la sentenza  n.  519  del  1995,  dichiaro'
l'illegittimita'  costituzionale  del  reato  di  mendicita'  di  cui
all'art. 670 c., non potendosi ritenere in alcun modo necessitato  il
ricorso alla regola penale per  sanzionare  la  mera  mendicita'  non
invasiva che, risolvendosi un una semplice richiesta  di  aiuto,  non
poteva dirsi porre seriamente in  pericolo  i  beni  giuridici  della
tranquillita' pubblica e dell'ordine pubblico. 
    Allo stesso modo lo spirito solidaristico di cui e' impregnata la
Carta costituzionale dovrebbe impedire l'adozione di misure puramente
repressive per risolvere il problema dell'immigrazione; lo  straniero
migrante non puo' essere considerato pericoloso  per  l'ordine  o  la
tranquillita' pubblica e colpevole per il solo fatto di  esistere;  e
il   fenomeno   dell'immigrazione   di   massa   nei    paesi    c.d.
industrializzati non  puo'  essere  affrontato  in  via  generale  ed
indiscriminata con lo strumento penale. 
    La nuova fattispecie criminosa  pregiudica  indirettamente  anche
alcuni diritti  inviolabili  dell'uomo,  quale,  in  particolare,  il
diritto alla propria identita' personale e alla cittadinanza fin  dal
momento  della  nascita  (diritto  riconosciuto  dall'art.  7   della
Convenzione sui diritti del fanciullo  adottata  a  New  York  il  20
novembre 1989 e ratificata dall'Italia con legge 27 maggio  1991,  n.
176). 
    L'art.  6,  comma  2,  d.lgs.  n.  286/1998,  infatti,  e'  stato
modificato dall'art. 1, comma 22, lett.  g)  della  nuova  legge  nel
senso di rendere obbligatoria l'esibizione agli uffici della pubblica
amministrazione dei documenti  inerenti  al  soggiorno  anche  per  i
provvedimenti inerenti agli atti di  stato  civile  o  all'accesso  a
pubblici servizi, con esclusione delle sole prestazioni sanitarie  di
cui all'art. 35, d.lgs. n. 286/1998 e delle  prestazioni  scolastiche
obbligatorie. 
    E' evidente che, sanzionando penalmente anche  la  mera  presenza
clandestina,   si   mette   lo   straniero   nell'impossibilita'   di
regolarizzare,  anche  sussistendone  i   presupposti,   la   propria
posizione,  cosi',  per  es.,  condannando  il  figlio  di   genitori
stranieri irregolari ad essere  privato  della  propria  identita'  e
della  cittadinanza  ed  esponendolo  ad   azioni   volte   a   falsi
riconoscimenti da parte di terzi, per fini illeciti e  in  violazione
della legge sull'adozione. 
    Lo stesso dicasi per il diritto all'istruzione  superiore  o  per
altri diritti connessi all'erogazione di servizi  pubblici,  anche  a
prescindere dall'obbligo, gravante ex art. 331  c.p.p.,  su  tutti  i
pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio,  di  denunciare
reati  procedibili  d'ufficio  di  cui  siano  venuti  a   conoscenza
nell'esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio (che
viene, peraltro,  in  gioco  quando  non  esistano  altre  norme  che
impongono l'esibizione dei documenti di soggiorno). 
    Conseguente all'introduzione della nuova fattispecie criminosa e'
anche la specifica violazione del  diritto  del  minore  ad  un  sano
sviluppo psicofisico, posto a base del  provvedimento  del  Tribunale
peri  minorenni,  ex  art.  31,  comma  3,  d.lgs.  n.  286/1998,  di
autorizzazione all'ingresso o alla permanenza in Italia del familiare
del minore, per un periodo di tempo determinato, in deroga alle altre
disposizioni del testo unico, quando  cio'  sia  reso  necessario  da
gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore  che  si
trovi in territorio italiano, tenuto conto della sua eta' e delle sue
condizioni di salute. 
    Lo  straniero  presente  irregolarmente  in  Italia  non  potra',
evidentemente,  inoltrare,  alcuna  richiesta  di  autorizzazione  al
Tribunale per i minorenni, pena la sua denuncia c certa condanna  per
il reato in oggetto, stante  la  mancanza  di  una  qualche  clausola
derogatoria e  di  un  meccanismo  di  sospensione  del  procedimento
penale,  contestualmente  alla  presentazione   dell'istanza   e   di
successivo    proscioglimento,     in     caso     di     concessione
dell'autorizzazione, sulla falsariga  di  quanto  previsto  dall'art.
10-bis,  comma  6,  d.lgs.  cit.  per  le   domande   di   protezione
internazionale di cui al d.lgs. 19 novembre 2007, n. 251. 
    La questione sollevata  e'  sicuramente  rilevante  nel  caso  di
specie,  l'imputato  essendo  chiamato  a  rispondere  del  reato  di
ingresso/soggiorno illegale  nel  territorio  dello  Stato  ai  sensi
dell'art. 10-bis, d.lgs. n.  286/1998  come  introdotto  dalla  legge
citata. 
F) Violazione dell'art. 97 della Costituzione. 
    Il suddetto sistema e' diretto  ad  ottenere  l'espulsione  dello
straniero, ma detto risultato era gia' conseguibile con la  procedura
amministrativa,  per  cui  il  procedimento   penale,   sospetto   di
incostituzionalita', costituisce un semplice duplicato. 
    La previsione di due distinti procedimenti diretti ad ottenere lo
stesso fine, viola il principio della ragionevolezza, nonche'  l'art.
7, comma l della Costituzione, per il quale i pubblici uffici  devono
essere organizzati secondo disposizioni di legge in  modo  che  siano
assicurati  i  principi  di  buon  andamento   e   di   imparzialita'
dell'amministrazione. 
    Si rileva, infatti, che l'applicazione della sanzione sostitutiva
dell'espulsione   al   posto    dell'ammenda    potrebbe    risultare
difficilmente applicabile, con evidente irragionevolezza,  posto  che
detta sanzione sostitutiva e' da un lato subordinata alla  condizione
che non ricorrano le cause ostative indicate nell'art.  14,  comma  1
del d.lgs. n. 286/1998 e dall'altro dalla possibilita'  che  il  piu'
celere procedimento amministrativo  abbia  provveduto  all'espulsione
della straniero. 
G) Violazione dell'art. 24 della Costituzione. 
    L'8 agosto 2010, al  momento  dell'entrata  in  vigore  dell'art.
10-bis del d.lgs. n. 286/1998 come introdotto dall'art. 1, comma  l6,
legge 15 luglio 2009, n. 94, tutti gli stranieri  irregolari  che  si
trovavano  in  Italia  erano   in   ipotesi   sanzionabili   con   la
contravvenzione  ivi  prevista  se  non  si  fossero   spontaneamente
allontanati dal territorio nazionale. 
    Non e' stato, infatti,  previsto  un  termine  ed  una  modalita'
operativa affinche' detti soggetti potessero ottemperare al  precetto
legislativo con evidente  contrasto  con  l'art.  24  comma  2  della
Costituzione. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il giudice di pace di Lecce avv. Cosimo Rochira; 
    Visti gli artt. 134 e ss. della Costituzione e 23 della legge  n.
87 del 11 marzo 1953; 
    Ritenuta la rilevanza ai fini del giudizio  e  la  non  manifesta
infondatezza solleva  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. l0 bis del d.lgs. n. 286/1998, per contrasto con gli  artt.
2, 3, 24,  25,  27,  97,  117  della  Costituzione  della  Repubblica
italiana. 
    Sospende il presente processo e ordina la trasmissione degli atti
alla Corte costituzionale; 
    Manda alla Cancelleria per la notifica della  presente  ordinanza
al Presidente del Consiglio dei Ministri, al  Presidente  del  Senato
della Repubblica ed al Presidente della Camera dei Deputati. 
        Cosi' deciso in Lecce il 19 aprile 2010 
 
                     Il giudice di pace: Rochira