N. 208 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 maggio 2010
Ordinanza del Giudice di pace di Pontassieve dell'11 maggio 2010 nel procedimento penale a carico di Rexhamataj Kongres. Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato - Configurazione della fattispecie come reato - Violazione del principio di offensivita' del reato - Violazione del principio di sussidiarieta' dell'illecito penale - Violazione del principio di uguaglianza e del principio di personalita' della responsabilita' penale - Irragionevolezza sotto diversi profili - Disparita' di trattamento rispetto al reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998 - Violazione del principio di materialita' - Lesione dei diritti inviolabili dell'uomo - Contrasto con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione - Lesione del diritto di difesa. - Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis, aggiunto dall'art. 1, comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. - Costituzione, artt. 2, 3, 24, 25, 27 e 97.(GU n.28 del 14-7-2010 )
IL GIUDICE DI PACE L'avv. Carla De Santis ha emesso l'ordinanza di rimessione nel processo penale a carico del sig. Rexhamataj Kongres, nato a Tropoje (Albania) il 9 marzo 1987, elettivamente domiciliato presso il difensore d'ufficio avv. Giulia Ragazzo del Foro di Firenze con studio in Firenze via Pasquini n. 1, libero contumace, assistito e difeso dall'avv. Giulia Ragazzo, imputato del reato p. e p. dall'art. 10-bis, d.lgs. n. 286/1998, perche' «si tratteneva nel territorio dello Stato in violazione delle norme previste dal medesimo d.lgs. in quanto privo di permesso di soggiorno. Accertato in Rufina (Firenze) in data 23 dicembre 2009.», all'udienza ha pronunciato la seguente ordinanza: Premesso che: in data 23 dicembre 2009 la Stazione Carabinieri Toscana inviava alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze richiesta prot. n. 26/24 - 0/2009 di autorizzazione alla citazione ai sensi dell'art. 20-bis d.lgs. n. 274/2000 e successive modifiche di Rexhahmataj Kongres, identificato a mezzo passaporto albanese, in relazione all'art. 10-bis, d.lgs. n. 286/1998, perche' «si tratteneva nel territorio dello Stato in violazione delle norme previste dal medesimo d.lgs. in quanto privo di permesso di soggiorno. Accertato in Rufina (Firenze) in data 23 dicembre 2009.»; con provvedimento del 24 dicembre 2009, n. 2766/2009, reg. mod. 21-bis la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze autorizzava la Polizia Giudiziaria alla presentazione dell'imputato davanti al giudice di pace di Pontassieve per l'udienza del 7 gennaio 2010 alla quale compariva il solo difensore d'ufficio; in tale udienza il Pubblico Ministero sollevava questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del d.lgs. n. 286/1998 in relazione agli artt. 2, 3 comma 1 e 25, comma 2 Cost. per i motivi illustrati con nota scritta contestualmente depositata e chiedeva la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; il difensore dell'imputato sollevava parimenti eccezione di legittimita' costituzionale della norma richiamata in relazione ai medesimi articoli, associandosi alla richiesta del Pubblico Ministero. Rilevanza delle questioni sollevate. L'imputato veniva tratto a giudizio perche' si tratteneva nel territorio dello Stato in violazione dell'art. 10 del d.lgs. n. 268/1998, in quanto privo di permesso di soggiorno. La disposizione all'esame introduce un nuovo reato proprio dello straniero, la cui condotta consiste nel far ingresso o nel trattenersi nel territorio dello Stato in violazione delle norme contenute nello stesso decreto legislativo e nell'art. 1 della legge n. 68/2007. Trattasi di contravvenzione punita con ammenda da € 5.000,00 a 100.00,00, per la quale e' stata espressamente esclusa la possibilita' di estinzione del reato per oblazione. La questione di legittimita' costituzionale risulta pertanto pregiudizievole e rilevante ai fini della decisione. Non manifesta infondatezza delle questioni sollevate. Sussiste, infatti, la non manifesta infondatezza delle questioni sollevate in relazione all'art. 10-bis del d.lgs. n. 286/1998 come introdotto dall'art. 1, comma 16, legge 15 luglio 2009, n. 94 in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, 27, 97 della Costituzione; Sussiste, inoltre, la violazione dei principi di ragionevolezza, proporzionalita' e sussidiarieta' della legge penale di cui agli artt. 3, 25, 27 della Costituzione; A) Violazione degli artt. 25 e 27 della Costituzione. 1) Violazione del cd. principio di offensivita' del reato (nullum crimen sine iniuria), ricavabile dagli articoli 25 e 27 della Costituzione: il reato deve sostanziarsi anche nella offesa di uno specifico bene giuridico, non essendo concepibile un reato senza offesa, e dunque al legislatore e' preclusa l'introduzione, per finalita' di mera deterrenza, di sanzioni che non si ricolleghino a fatti colpevoli, ma piuttosto a modi di essere ovvero ad una mera disobbedienza priva di disvalore (anche potenziale) per un determinato bene giuridico protetto; invece con il reato di clandestinita' il legislatore ha previsto l'incriminazione di condotte che, in se' considerate, non hanno alcuna idoneita' offensiva di un bene giuridico (non potendo certo sostenersi che il solo fatto che un soggetto tenti di entrare illegalmente nel territorio dello Stato sia idoneo a cagionare una lesione al bene della sicurezza pubblica: come e' stato autorevolmente ricordato dalla Corte Costituzionale, nelle sentenze n. 22 del 2 febbraio 2007 e n. 78 del 16 marzo 2007, e come meglio si dira' innanzi, non puo' ritenersi che il clandestino sia, per il solo fatto della sua clandestinita', un pericolo per l'ordine pubblico), essendo invece l'ingresso o la presenza illegale del singolo straniero espressione di una condizione individuale, dello status di migrante (condizione spesso non riconducibile ad una condotta volontaria e consapevole dell'agente, costretto a fuggire per ragioni di sopravvivenza ed a subire la sottrazione dei propri documenti da parte dei sodalizi criminali che ne organizzano il trasferimento nel territorio nazionale). 2) Violazione del principio di sussidiarieta' dell'illecito penale: il ricorso alla sanzione penale nel nostro ordinamento deve ammettersi esclusivamente come extrema ratio, quando cioe' la tutela del bene giuridico non possa essere raggiunta adeguatamente attraverso altri strumenti dell'ordinamento giuridico. Nel caso di specie il reale obiettivo perseguito dalla nuova fattispecie incriminatrice e' costituito dall'allontanamento dello straniero irregolare dal territorio dello Stato, obiettivo che - gia' prima della introduzione del reato - era possibile raggiungere mediante le diverse ipotesi di espulsione in via amministrativa previste dal testo unico sull'immigrazione. La perseguibilita' penale del clandestino e', sotto tale profilo, assolutamente neutra, non agevolando ne' condizionando in alcun modo le procedure di espulsione, che restano ancorate ai presupposti giustificativi e fattuali gia' previsti dall'ordinamento. La celebrazione del processo penale, per l'effetto, comportera' solo un dispendio di energie, senza aver conseguito risultati ulteriori o diversi rispetto a quelli gia' conseguibili con la normativa previgente: il diritto penale viene dunque completamente asservito alle funzioni di polizia preordinate alla gestione della immigrazione irregolare. 3) Violazione del principio di uguaglianza e del principio di personalita' della responsabilita' penale, ricavabile da piu' punti: a) poiche' per effetto del quinto comma dell'art. 10-bis nel caso in cui l'autore dell'azione criminosa sia espulso o respinto, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere, e poiche' l'esecuzione dei provvedimenti di espulsione e di respingimento e' rimessa alla discrezionalita' ed alla disponibilita' di mezzi dell'autorita' amministrativa, senza che nessun rilievo ricoprano a tal fine la volonta' e le azioni dello straniero, ne deriva che l'accertamento giurisdizionale di condotte identiche produce effetti diversi (sentenza di condanna o di non luogo a procedere) a causa di circostanze assolutamente estranee alla sfera di intervento degli imputati; b) non e' stata attribuita alcuna rilevanza alla presenza di giustificati motivi che abbiano determinato le condotte punite, a differenza di quanto previsto nell'analoga (e molto piu' grave) ipotesi delittuosa di cui all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998; cio' determina una ingiustificata disparita' di trattamento tra gli autori dei due reati, entrambi tesi a colpire la stessa situazione soggettiva (il clandestino o lo straniero divenuto clandestino). Non e' superfluo ricordare in proposito che proprio la presenza della clausola del giustificato motivo ha portato la Corte costituzionale a ritenere non costituzionalmente illegittimo l'art. 14, comma 5-ter, del testo unico, poiche' grazie ad essa puo' in concreto evitarsi «che la sanzione penale scatti allorche' - anche al di fuori della presenza di vere e proprie cause di giustificazione - l'osservanza del precetto appaia concretamente inesigibile» per ragioni riconducibili «a situazioni ostative di particolare pregnanza, che incidano sulla stessa possibilita' oggettiva o soggettiva, di adempiere all'intimazione, escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa» (Corte costituzionale, sentenza n. 5 del 13 gennaio 2004); per altro verso il sistema delineato dal legislatore del 2009 appare palesemente irrazionale, avendo generato un conflitto, sia sul piano logico che su quello pragmatico, tra le due fattispecie in oggetto: tutti i presupposti richiesti per l'emanazione del provvedimento del Questore (decreto prefettizio di espulsione, impossibilita' di dare esecuzione all'espulsione coattiva, impossibilita' di trattenere lo straniero negli appositi Centri di permanenza o inutile decorso del termine massimo di permanenza in tali strutture), infatti, in tanto avevano ragione di esistere in quanto non era previsto un reato di immigrazione o soggiorno clandestini e la sanzione penale era correlata alla sola violazione dell'ordine questorile di allontanamento. Ora che e' stata introdotta la nuova figura dell'ingresso e del soggiorno illegale, a prescindere dall'esistenza di giustificati motivi, lo straniero viene immediatamente sanzionato senza il ricorso di alcuno di quei presupposti richiesti per l'integrazione del reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, t.u. imm. Dunque potrebbe darsi il caso di un soggetto, gia' condannato per il reato di ingresso o soggiorno clandestino che, non espulso manu militari, ma intimato di lasciare il territorio dello Stato, possa ivi legittimamente trattenersi perche' sorretto da un «giustificato motivo»: con un evidente ed insanabile contrasto nella posizione di uno Stato che, da un lato, punisce lo straniero non solo ab origine, ma anche divenuto clandestino e, dall'altro, lo autorizza a trattenersi perche' munito di un giustificato motivo; c) non si ravvisa alcuna ragione che precluda all'agente di estinguere il reato a lui ascritto mediante oblazione; l'aver precluso l'operativita' di una causa di estinzione prevista dall'ordinamento per tutte le ipotesi contravvenzionali punite con la sola pena dell'ammenda ha dunque determinato una ingiustificata disparita' di trattamento, e la creazione di una sorta di «regime speciale» riservato ad una intera categoria di soggetti, gli stranieri clandestini. B) Violazione dell'art. 3 della Costituzione. 1.1. Sotto il profilo della irragionevolezza della scelta legislativa per identita' di ratio rispetto all'istituti espulsivi di natura amministrativa. Tale norma appare, anzitutto, in contrasto con l'art. 3 Cost., sotto il profilo dell'irragionevolezza della scelta legislativa di criminalizzare l'ingresso e la permanenza clandestini nello Stato italiano; infatti, pur riconoscendo che compete al legislatore un generale potere «di regolare la materia dell'immigrazione, in correlazione ai molteplici interessi pubblici da essa coinvolti ed ai gravi problemi connessi a flussi migratori incontrollati» (v. C. Cost. sent. n. 5/2004), facendo buon uso della sfera di discrezionalita' sua propria, l'azione di tale organo costituzionale trova limiti insuperabili nell'osservanza dei principi fondamentali del sistema penale stabiliti dalla Costituzione e nell'adozione di soluzioni orientate a canoni di ragionevolezza e di razionalita' finalistica; la irragionevolezza della nuova fattispecie criminosa e' chiaramente evidenziata dalla carenza di un pur minimo fondamento giustificativo: la penalizzazione di una condotta dovrebbe intervenire, come extrema ratio, in tutti i casi in cui non sia possibile individuare altri strumenti idonei al raggiungimento dello scopo. Ora, l'obiettivo perseguito dalla nuova fattispecie incriminatrice e' costituito dall'allontanamento dello straniero irregolare dal territorio dello Stato. Esso e' chiaramente desumibile dalle svariate previsioni, accessorie alla fattispecie incriminatrice, aventi ad oggetto proprio l'espulsione dello straniero: tale misura e', infatti, prevista come sanzione sostitutiva irrogabile dal giudice di pace ai sensi dell'art. 16 d.lgs. n. 286/1987, appositamente modificato per comprendervi, tra i presupposti, la sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 10-bis (cosi' alterando, anche con l'espressa introduzione dell'art. 62-bis, il sistema sanzionatorio disegnato dal d.lgs. n. 274/2000, che prescriveva, all'art. 62, dopo la descrizione delle sanzioni tipiche di cui agli artt. 52 e ss., l'espresso divieto di applicazione delle altre misure sostitutive di pene detentive brevi); inoltre, la effettiva espulsione dello straniero in via amministrativa costituisce causa di non procedibilita' dell'azione penale, il che rende plasticamente evidente quale sia l'interesse primario perseguito dal legislatore; infine, non e' richiesto alcun nulla osta dell'Autorita' Giudiziaria per l'esecuzione dell'espulsione in via amministrativa, al chiaro scopo di non creare intralci alla predetta operazione. Orbene, l'evidente finalita' della nuova fattispecie incriminatrice, strumentale all'allontanamento dello straniero irregolare dal territorio dello Stato, ne sottolinea l'assoluta inutilita' e, dunque, la mancanza di una ratio giustificatrice, perche' lo stesso obiettivo era perfettamente raggiungibile prima dell'introduzione della nuova figura di reato, mediante l'adozione dell'espulsione coattiva in via amministrativa ai sensi dell'art. 13, comma 4, d.lgs. n. 286/1998. Ne' la nuova norma modifica in alcun modo i presupposti necessari per l'espulsione, perche' anche la misura sostitutiva eventualmente disposta dal giudice di pace, eseguibile con le modalita' di cui all'art. 13, comma 4, puo' essere adottata soltanto quando non ricorrano la cause ostative indicate nell'art. 14, comma 1; e le difficolta' di' carattere amministrativo ed organizzativo che fino ad oggi hanno ostacolato la piena applicazione dell'espulsione manu militari non verranno certo meno con l'introduzione della nuova figura di reato. Dunque l'ambito di applicazione della nuova fattispecie coincide perfettamente con quello della preesistente misura amministrativa dell'espulsione, sia sotto il profilo dei soggetti destinatari (stranieri entrati o trattenuti irregolarmente nel territorio dello Stato), sia sotto quello della ratio giustificativa. Il che significa che c'era gia' nell'ordinamento italiano uno strumento ritenuto idoneo al raggiungimento dello scopo (tanto che esso non e' stato oggetto di alcuna modifica normativa) e l'adozione dello strumento penale resta priva di ogni giustificazione. 1.2. Palese ed irragionevole disparita' di trattamento sotto il profilo sanzionatorio. La irragionevolezza della nuova fattispecie penale emerge anche sotto il profilo sanzionatorio, considerato nel suo complesso, comprensivo, quindi, non solo della pena dell'ammenda da 5.000 a 10.000 euro, ma anche del divieto di applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena (conseguente alla individuazione della competenza in capo al giudice di pace, secondo quanto disposto dalla lettera s-bis) dell'art. 4, comma 2, d.lgs. n. 274/2000, introdotta dall'art. 1, comm 17, lett. a) della nuova legge) e della facolta' concessa al giudice di pace di sostituire la pena pecuniaria con una sanzione piu' grave, quale quella dell'espulsione dallo Stato per un periodo non inferiore a cinque anni (unico caso di misura sostitutiva piu' grave della sanzione principale sostituita, nessuno potendo dubitare della maggiore afflittivita' dell'espulsione rispetto alla mera ammenda, sia pure non oblazionabile, tenuto anche conto delle conseguenze penali della violazione del provvedimento dell'autorita' giudiziaria). Tale regolamentazione, infatti, introduce una palese ed irragionevole disparita' di trattamento tra soggetti ugualmente destinatari della predetta sanzione sostitutiva. Da un lato, essa potra' essere comminata a soggetti condannati, anche con sentenza ex art. 444 c.p.p., per un reato non colposo, ad una pena detentiva non superiore a due anni e sempre che non ricorrano le condizioni per ordinare la sospensione condizionale della pena ex art. 163 c.p. (come previsto dall'originario art. 16 d.lgs. n. 286/1998, non modificato sul punto); dall'altro lato essa potra' colpire soggetti condannati alla sola pena pecuniaria, ex art. 10-bis d.lgs. n. 286/1998, quindi per un reato certamente meno grave di quelli che, soli, originariamente giustificavano l'adozione della misura sostitutiva in oggetto, senza alcuna possibilita', per il giudice, di renderla concretamente inefficace mediante la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Del resto e' prevedibile che la sanzione sostitutiva in questione sara' la pena generalmente adottata dal giudice di pace, laddove non ricorrano le cause ostative di cui all'art. 14, comma 1, stante l'assoluta carenza di efficacia deterrente dell'ammenda prevista. La pena da 5.000 a 10.000 euro di ammenda, infatti, pur dichiarata espressamente non oblazionabile ex art. 162 c.p. (con l'evidente obiettivo di dare concreta effettivita' alla sanzione prescritta) appare, ad ogni persona di buonsenso, assolutamente priva di un benche' minimo effetto deterrente: anzitutto, perche' chi e' spinto ad emigrare da condizioni di vita insostenibili, per sfuggire alle quali e' disposto a sfidare la morte affrontando i c.d. viaggi della speranza, non potra' certo indietreggiare di fronte al rischio di una mera sanzione pecuniaria, per quanto elevata e non oblazionabile; ma anche perche' lo straniero clandestino, prevedibilmente, non avra' mai, in concreto, i mezzi economici per pagare la somma a cui sara' condannato dal giudice, rendendo inutile anche ogni tentativo di esecuzione coattiva; mentre la conversione della pena pecuniaria, ad opera del magistrato di sorveglianza ex art. 660 c.p.p., nelle misure del lavoro sostitutivo o dell'obbligo di permanenza domiciliare, ai sensi dell'art. 55, d.lgs. n. 274/2000 (prevista per i casi di insolvenza nei reati di competenza del giudice di pace) appare difficilmente attuabile, anche a prescindere dal contrasto, sul piano logico, con la nuova figura criminosa (paradossalmente il clandestino sarebbe chiamato a svolgere, sia pure a titolo gratuito, un lavoro di pubblica utilita'), per la concreta difficolta' dell'immigrato clandestino a reperire un domicilio stabile. 1.3. Irragionevole disparita' di trattamento sotto il profilo sanzionatorio rispetto all'art. 14 t.u. L'art. 3 Cost. appare violato sotto un altro specifico profilo, concernente la irragionevole disparita' di trattamento tra la nuova fattispecie e quella di cui all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998, che prevede la punibilita' dello straniero inottemperante all'ordine di allontanamento del Questore solo quando lo stesso si trattenga nel territorio dello Stato oltre il termine stabilito e «senza giustificato motivo». Due condizioni che non si ritrovano nella nuova figura criminosa, cosicche' e' sufficiente, per es., il venir meno, per un qualche motivo, del permesso di soggiorno perche' sia immediatamente e automaticamente integrata una ipotesi di trattenimento illecito, senza alcuna possibilita', per l'interessato, di addurre una qualche giustificazione o di usufruire di un termine per potersi allontanare. Senza contare che, in virtu' della attribuzione della competenza a conoscere della nuova fattispecie al giudice di pace, risulta disegnato un sottosistema sanzionatorio addirittura piu' gravoso di quello previsto per il piu' grave delitto, non essendo possibili ne' la concessione della sospensione condizionale, ne' una riduzione di pena conseguente all'adozione di un rito alternativo (per l'espresso divieto di applicazione dei predetti istituti al rito davanti al giudice di pace ex artt. 2 e 60 d.lgs. n. 74/2000). Ma, al di la' della irrazionale e ingiustificata disparita' di trattamento tra le due fattispecie criminose, entrambe tese a colpire la stessa situazione soggettiva (lo straniero ab origine o divenuto clandestino), e' da rilevare come le stesse siano irrimediabilmente contrastanti tra loro, sia sul piano logico che su quello pragmatico: tutti i presupposti richiesti per l'emanazione del provvedimento del Questore (decreto prefettizio di espulsione, impossibilita' di dare esecuzione all'espulsione coattiva, impossibilita' di trattenere lo straniero negli appositi Centri di permanenza o inutile decorso del termine massimo di permanenza in tali strutture), infatti, in tanto avevano ragione di esistere in quanto non era previsto un reato di immigrazione o soggiorno clandestini e la sanzione penale era correlata alla sola violazione dell'ordine questorile di allontanamento. Ora che e' stata introdotta la nuova figura dell'ingresso e del soggiorno illegale, a prescindere dall'esistenza di giustificati motivi, lo straniero viene immediatamente sanzionato senza il ricorso di alcuno di quei presupposti richiesti per l'integrazione del reato di cui all'art. 14, comma 5-ter. Dunque potrebbe darsi il caso di un soggetto, gia' condannato per il reato di ingresso o trattenimento clandestino che, non espulso manu militari, ma intimato di lasciare il territorio dello Stato, possa ivi legittimamente trattenersi perche' sorretto da un «giustificato motivo»: con un evidente ed insanabile contrasto nella posizione di uno Stato che, da un lato, punisce lo straniero non solo ab origine, ma anche divenuto clandestino e, dall'altro, lo autorizza a trattenersi perche' munito di un giustificato motivo. Va peraltro richiamata, al riguardo, la sentenza della Corte Cost. n. 5/2004, che ha salvato la costituzionalita' dell'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998 proprio grazie ad una interpretazione costituzionalmente orientata della clausola «senza giustificato motivo», considerata, al pari di altre simili rinvenibili nell'ordinamento, una «valvola di sicurezza» del meccanismo repressivo, atta ad evitare «che la sanzione penale scatti allorche' - anche al di fuori della presenza di vere e proprie cause di giustificazione - l'osservanza del precetto appaia concretamente inesigibile» per i piu' svariati motivi, ma comunque riconducibili «a situazioni ostative di particolare pregnanza, che incidano sulla stessa possibilita', soggettiva od oggettiva, di adempiere all'intimazione, escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa», come le situazioni di cui all'art. 14, comma 1, la «condizione di assoluta impossidenza dello straniero», il «mancato rilascio, da parte della competente autorita' diplomatica o consolare, dei documenti necessari, pure sollecitamente e diligentemente richiesti». Dunque il nuovo reato di immigrazione clandestina non appare conforme alla Costituzione (e dovra', quindi, soccombere nel contrasto evidenziato) proprio perche' punisce indiscriminatamente ed automaticamente tutti i soggetti irregolarmente presenti nel territorio dello Stato, senza tenere conto dell'eventuale esistenza di situazioni legittimanti tale presenza. C) Violazione dell'art. 25 della Costituzione. Il nuovo art. 10-bis d.lgs. n. 286/1998 appare, ancora, in contrasto con l'art. 3 Cost. nonche' con l'art. 25, comma 2 Cost., avuto riguardo alla configurazione di una fattispecie penale discriminatoria, perche' fondata su particolari condizioni personali e sociali, anziche' su fatti e comportamenti riconducibili alla volonta' del soggetto attivo; Infatti, cio' che la nuova fattispecie incriminatrice sanziona e' solo apparentemente una condotta (l'azione dell'ingresso e l'omissione del mancato allontanamento), in realta' in se' e per se' del tutto neutra agli effetti penalistici, mentre il vero oggetto della incriminazione e' la mera condizione personale dello straniero, costituita dal mancato possesso di un titolo abilitativo all'ingresso e alla successiva permanenza nel territorio dello Stato, che e', poi, la condizione tipica del migrante economico e, dunque, anche una condizione sociale, cioe' propria di una categoria di persone. Una situazione in realta' priva di una qualche significativita' sotto il profilo della pericolosita' sociale (perche' l'ingresso e la presenza illegali nel territorio statale non costituiscono fatti lesivi di un qualche bene meritevole di tutela penale: sentenza n. 78/2007 della Corte costituzionale) e, tra l'altro, difficilmente riconducibile ad una condotta volontaria e consapevole dello straniero migrante, essendo costui costretto, di regola, a fuggire dal proprio stato di appartenenza per ragioni di sopravvivenza e a subire la sottrazione dei propri documenti (ove esistenti) da parte delle compagini criminali che organizzano i viaggi della speranza o si «prendono cura» di lui nel luogo di destinazione. La criminalizzazione del migrante economico, dunque, appare in contrasto sia con il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost., che vieta ogni discriminazione fondata, tra l'altro, su condizioni personali e sociali, sia con la fondamentale garanzia costituzionale secondo cui si puo' essere puniti solo per fatti materiali (art. 25, comma 2 Cost.). La Corte costituzionale si e' gia' espressa in modo in equivoco sul punto, stabilendo, nella sentenza n. 78 del 2007, in tema di applicabilita' delle misure alternative alla detenzione agli stranieri clandestini, che «il mancato possesso di un titolo abilitativo alla permanenza nel territorio dello Stato» costituisce «una condizione soggettiva» «che, di per se', non e' univocamente sintomatica di una particolare pericolosita' sociale.»; dal che (oltre che da altri argomenti) consegue «l'impossibilita' di individuare nella esigenza di rispetto delle regole in materia di ingresso e soggiorno in detto territorio (nazionale, n.d.r.) una ragione giustificativa della radicale discriminazione dello straniero sul piano dell'accesso al percorso rieducativo, cui la concessione delle misure alternative e' funzionale». Tra l'altro la nuova fattispecie renderebbe sostanzialmente inapplicabile la citata sentenza della Corte Cost. e, dunque, inaccessibili le misure alternative alla detenzione a stranieri clandestini condannati a pene detentive, perche', sanzionando penalmente la clandestinita' dello straniero, essa collega a tale condizione un implicito, quanto ingiustificato e irrazionale, giudizio di pericolosita' sociale, che e' di per se' incompatibile - come ammesso dalla stessa Corte Cost. - «con il perseguimento di un percorso riabilitativo attraverso qualsiasi misura alternativa». Le conclusioni cui e' pervenuta la Corte cost. nella sentenza da ultimo citata costituiscono del resto la conferma di un percorso iniziato nel 1968, con la declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 708 c.p. (v. sent. n. 110), limitatamente alla parte in cui faceva riferimento alle condizioni personali di condannato per mendicita', di ammonito, di sottoposto a misura di sicurezza personale e a cauzione di buona condotta; proseguito nel 1971, con la sentenza n. 14, con cui veniva dichiarata la incostituzionalita' dell'art. 707 c.p., limitatamente alla parte in cui faceva riferimento alle stesse condizioni soggettive; ed infine sviluppato e portato a compimento con la sentenza n. 370 del 1996, con la quale veniva dichiarata l'incostituzionalita' tout court del residuo art. 708 c.p., sottolineando «l'irragionevolezza della limitazione delle condizioni soggettive punibili a una sola categoria di persone» individuata attraverso la riferibilita' di un fatto di per se' neutro (come il possesso di denaro o di oggetti di valore) ad un soggetto pregiudicato per alcune classi di precedenti penali. Non pare superfluo sottolineare, per meglio comprendere l'assimilazione della condizione di migrante clandestino a quella dei soggetti nei cui confronti si riteneva giustificato il sospetto di pericolosita', che il codice albertino del 1839 ricomprendeva, tra gli altri, anche «gli stranieri clandestini». D) Violazione dell'art. 2 della Costituzione. La nuova fattispecie appare, infine, in contrasto con l'art. 2 Cost., che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarieta' politica, economica e sociale. «Gli squilibri e le forti tensioni che caratterizzano le societa' piu' avanzate producono condizioni di estrema emarginazione, si' che non si puo' non cogliere con preoccupata inquietudine l'affiorare di tendenze, o anche soltanto tentazioni, volte a nascondere la miseria e a considerare le persone in condizioni di poverta' come pericolose e colpevoli». «Ma la coscienza sociale ha compiuto un ripensamento a fronte di comportamenti un tempo ritenuti pericolo incombente per una ordinata convivenza e la societa' civile - consapevole dell'insufficienza dell'azione dello Stato - ha attivato autonome risposte, come testimoniano le organizzazioni di volontariato che hanno tratto la loro ragion d'essere, e la loro regola, dal valore costituzionale della solidarieta'». Con queste parole lungimiranti, perfettamente applicabili anche ai nuovi poveri di oggi, gli stranieri migranti, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 519 del 1995, dichiaro' l'illegittimita' costituzionale del reato di mendicita' di cui all'art. 670 c.p., non potendosi ritenere in alcun modo necessitato il ricorso alla regola penale per sanzionare la mera mendicita' non invasiva che, risolvendosi un una semplice richiesta di aiuto, non poteva dirsi porre seriamente in pericolo i beni giuridici della tranquillita' pubblica e dell'ordine pubblico. Allo stesso modo lo spirito solidaristico di cui e' impregnata la Carta Costituzionale dovrebbe impedire l'adozione di misure puramente repressive per risolvere il problema dell'immigrazione; lo straniero migrante non puo' essere considerato pericoloso per l'ordine o la tranquillita' pubblica e colpevole per il solo fatto di esistere; e il fenomeno dell'immigrazione di massa nei paesi c.d. industrializzati non puo' essere affrontato in via generale ed indiscriminata con lo strumento penale. La nuova fattispecie criminosa pregiudica indirettamente anche alcuni diritti inviolabili dell'uomo, quale, in particolare, il diritto alla propria identita' personale e alla cittadinanza fin dal momento della nascita (diritto riconosciuto dall'art. 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo adottata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dall'Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176). L'art. 6, comma 2, d.lgs. n. 286/1998, infatti, e' stato modificato dall'art. 1, comma 22, lett. g) della nuova legge nel senso di rendere obbligatoria l'esibizione agli uffici della pubblica amministrazione dei documenti inerenti al soggiorno anche per i provvedimenti inerenti agli atti di stato civile o all'accesso a pubblici servizi, con esclusione delle sole prestazioni sanitarie di cui all'art. 35, d.lgs. n. 286/1998 e delle prestazioni scolastiche obbligatorie. E' evidente che, sanzionando penalmente anche la mera presenza clandestina, si mette lo straniero nell'impossibilita' di regolarizzare, anche sussistendone i presupposti, la propria posizione, cosi', per es., condannando il figlio di genitori stranieri irregolari ad essere privato della propria identita' e della cittadinanza ed esponendolo ad azioni volte a falsi riconoscimenti da parte di terzi, per fini illeciti e in violazione della legge sull'adozione. Lo stesso dicasi per il diritto all'istruzione superiore o per altri diritti connessi all'erogazione di servizi pubblici, anche a prescindere dall'obbligo, gravante ex art. 331 c.p.p., su tutti i pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio, di denunciare reati procedibili d'ufficio di cui siano venuti a conoscenza nell'esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio (che viene, peraltro, in gioco quando non esistano altre norme che impongono l'esibizione dei documenti di soggiorno). Conseguente all'introduzione della nuova fattispecie criminosa e' anche la specifica violazione del diritto del minore ad un sano sviluppo psicofisico, posto a base del provvedimento del Tribunale per i minorenni, ex art. 31, comma 3, d.lgs. n. 286/1998, di autorizzazione all'ingresso o alla permanenza in Italia del familiare del minore, per un periodo di tempo determinato, in deroga alle altre disposizioni del testo unico, quando cio' sia reso necessario da gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore che si trovi in territorio italiano, tenuto conto della sua eta' e delle sue condizioni di salute. Lo straniero presente irregolarmente in Italia non potra', evidentemente, inoltrare, alcuna richiesta di autorizzazione al Tribunale per i minorenni, pena la sua denuncia e certa condanna per il reato in oggetto, stante la mancanza di una qualche clausola derogatoria e di un meccanismo di sospensione del procedimento penale, contestualmente alla presentazione dell'istanza e di successivo proscioglimento, in caso di concessione dell'autorizzazione, sulla falsariga di quanto previsto dall'art. 10-bis, comma 6, d.lgs. cit. per le domande di protezione internazionale di cui al d.lgs. 19 novembre 2007, n. 251. La questione sollevata e' sicuramente rilevante nel caso di specie, l'imputato essendo chiamato a rispondere del reato di ingresso/soggiorno illegale nel territorio dello Stato ai sensi dell'art. 10-bis, d.lgs. n. 286/1998 come introdotto dalla legge citata. E) Violazione dell'art. 97 della Costituzione. Il suddetto sistema e' diretto ad ottenere l'espulsione dello straniero, ma detto risultato era gia' conseguibile con la procedura amministrativa, per cui il procedimento penale, sospetto di incostituzionalita', costituisce un semplice duplicato. La previsione di due distinti procedimenti diretti ad ottenere lo stesso fine, viola il principio della ragionevolezza, nonche' l'art. 7, comma 1 della Costituzione, per il quale i pubblici uffici devono essere organizzati secondo disposizioni di legge in modo che siano assicurati i principi di buon andamento e di imparzialita' dell'amministrazione. Si rileva, infatti, che l'applicazione della sanzione sostitutiva dell'espulsione al posto dell'ammenda potrebbe risultare difficilmente applicabile, con evidente irragionevolezza, posto che detta sanzione sostitutiva e' da un lato subordinata alla condizione che non ricorrano le cause ostative indicate nell'art. 14, comma 1 del d.lgs. n. 286/1998 e dall'altro dalla possibilita' che il piu' celere procedimento amministrativo abbia provveduto all'espulsione dello straniero. F) Violazione dell'art. 24 della Costituzione. L'8 agosto 2009 al momento dell'entrata in vigore dall'art. 10-bis del d.lgs. n. 286/1998 come introdotto dall'art. 1, comma 16, legge 15 luglio 2009, n. 94, tutti gli stranieri irregolari che si trovavano in Italia erano in ipotesi sanzionabili con la contravvenzione ivi prevista se non si fossero spontaneamente allontanati dal territorio nazionale. Non e' stato, infatti, previsto un termine ed una modalita' operativa affinche' detti soggetti potessero ottemperare al precetto legislativo con evidente contrasto con l'art. 24, comma 2 della Costituzione.
P. Q. M. Il giudice di pace di Pontassieve, avv. Carla De Santis; Visti gli artt. 134 e ss. della Costituzione e 23 della legge n. 87 dell'11 marzo 1953; Ritenuta la rilevanza ai fini del giudizio e la non manifesta infondatezza solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del d.lgs. n. 286/1998, per contrasto con gli artt. 2, 3, 24, 25, 27, 97 della Costituzione della Repubblica italiana. Sospende il presente processo e ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Manda alla Cancelleria per la notifica della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei Deputati. Cosi' deciso in Pontassieve, l'11 maggio 2010 Il giudice di pace: De Santis