N. 247 SENTENZA 5 - 8 luglio 2010

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Commercio - Norme della Regione Veneto in  materia  di  commercio  su
  aree pubbliche - Divieto del commercio su aree pubbliche  in  forma
  itinerante nei centri storici dei comuni con popolazione  superiore
  ai  cinquantamila  abitanti  -  Denunciata   lesione   di   diritti
  inviolabili degli stranieri regolari, del diritto al lavoro  e  dei
  principi di uguaglianza, di parita' di trattamento  dei  lavoratori
  stranieri regolari, di liberta' dell'iniziativa economica privata e
  di  sussidiarieta'   verticale,   nonche'   asserita   compressione
  dell'autonomia comunale e violazione della  competenza  legislativa
  esclusiva dello Stato in materia  di  tutela  della  concorrenza  -
  Esclusione - Non fondatezza della questione. 
- Legge della Regione Veneto 6 aprile 2001,  n.  10,  art.  4,  comma
  4-bis, introdotto dall'art. 16 della legge della Regione Veneto  25
  febbraio 2005, n. 7. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 4, 5, 10, primo  comma,  41,  117,  commi
  primo e secondo, lett. e), e 118; d.lgs. 9  luglio  2003,  n.  215,
  art. 2, comma 1, lett. b); Convenzione OIL 24 giugno 1975, n.  143,
  ratificata dalla legge 10 aprile 1981, n. 158. 
(GU n.28 del 14-7-2010 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO Giudice, Paolo MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,
  Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Gaetano SILVESTRI, Sabino  CASSESE,
  Maria  Rita  SAULLE,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,   Giuseppe   FRIGO,
  Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 4-bis,
della legge della Regione Veneto 6 aprile 2001, n. 10 (Nuove norme in
materia di commercio su  aree  pubbliche),  introdotto  dall'art.  16
della legge della Regione Veneto 25 febbraio 2005, n. 7 (Disposizioni
di riordino  e  semplificazione  normativa  -  collegato  alla  legge
finanziaria 2004 in materia di miniere,  acque  minerali  e  termali,
lavoro, artigianato, commercio e  veneti  nel  mondo),  promosso  dal
Tribunale  amministrativo  regionale  del  Veneto  nel   procedimento
vertente tra «Associazione  dei  venditori  ambulanti  immigrati  con
licenze di commercio itinerante» e il Comune di Venezia ed altri  con
ordinanza del  23  marzo  2009,  iscritta  al  n.  186  del  registro
ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 27, prima serie speciale, dell'anno 2009. 
    Visti l'atto di costituzione del Comune di Venezia nonche' l'atto
di intervento della Regione Veneto; 
    Udito  nell'udienza  pubblica  dell'8  giugno  2010  il   Giudice
relatore Paolo Grossi; 
    Uditi gli avvocati Federico Sorrentino per il Comune di  Venezia,
Luigi Manzi e Bruno Barel per la Regione Veneto. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. -  Con  ordinanza  emessa  il  23  marzo  2009,  il  Tribunale
amministrativo regionale del Veneto ha sollevato, in riferimento agli
artt. 2, 3, 4, 5, 10, primo comma, 41, 117, primo  e  secondo  comma,
lettera e), e  118  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 4, comma 4-bis, della  legge  della  Regione
Veneto 6 aprile 2001, n. 10 (Nuove norme in materia di  commercio  su
aree pubbliche), introdotto dall'art. 16 della  legge  della  Regione
Veneto  25  febbraio  2005,  n.  7  (Disposizioni   di   riordino   e
semplificazione normativa - collegato alla legge finanziaria 2004  in
materia di miniere, acque minerali e  termali,  lavoro,  artigianato,
commercio e veneti nel mondo), secondo cui «E' vietato  il  commercio
su aree pubbliche in forma itinerante nei centri storici  dei  comuni
con popolazione superiore ai cinquantamila abitanti». 
    Il rimettente premette di essere stato adito a seguito di ricorso
proposto dalla «Associazione dei venditori  ambulanti  immigrati  con
licenza  di  commercio  itinerante»  e   da   altri   due   cittadini
extracomunitari,  entrambi  in   possesso   di   autorizzazione   per
l'esercizio di attivita' di commercio «su area di tipo  B  (in  forma
itinerante), a carattere permanente per il settore  merceologico  non
alimentare». I ricorrenti - sottolinea  il  giudice  a  quo  -  hanno
impugnato per incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere  e
vizio di motivazione l'ordinanza contingibile ed urgente adottata dal
Sindaco del Comune di Venezia il 13 giugno 2008, prot. n. 255264, con
la quale - sul presupposto della ritenuta sussistenza di pericoli per
la sicurezza urbana e l'incolumita' pubblica e sulla base della norma
censurata - e' stato «vietato il trasporto senza giustificato  motivo
di mercanzia in grandi  sacchi  di  plastica  e  borsoni  nel  centro
storico del Comune di Venezia» ed e' stato sancito che  «il  predetto
trasporto, se accompagnato con la sosta prolungata nello stesso luogo
o in aree limitrofe deve essere considerato come atto direttamente ed
immediatamente finalizzato alla vendita su  area  pubblica  in  forma
itinerante ed  in  quanto  facenti  parte  sostanziale  dell'atto  di
vendita, rientrando nella fattispecie  prevista  e  sanzionata  dalla
vigente legislazione regionale». 
    Rilevata  la  legittimazione  dei  ricorrenti  ed  il  perdurante
interesse  degli  stessi,  malgrado  l'ordinanza   impugnata   avesse
efficacia  sino  al  31  dicembre  2008,  avendo  tale  provvedimento
prodotto medio tempore effetti, il Giudice a quo  ritiene  che,  alla
stregua  delle  doglianze  espresse,  la  questione  di  legittimita'
costituzionale «assume carattere  logicamente  prioritario»  rispetto
all'esame delle doglianze oggetto del giudizio, e che,  inoltre,  non
sia possibile pervenire  ad  una  interpretazione  costituzionalmente
orientata della disposizione, atteso il suo tenore letterale. 
    Nel merito, il Tar osserva come sarebbe innanzitutto  violata  la
competenza statale in materia di concorrenza, a norma degli artt.  41
e 117, secondo  comma,  lettera  e),  Cost.,  poiche'  il  «commercio
itinerante costituisce una delle forme attraverso cui si  esplica  la
liberta' di iniziativa economica consistente nel  commercio  su  aree
pubbliche», come provato anche dalla disciplina dettata dall'art.  28
del  decreto  legislativo  31  marzo  1998,  n.  114  (Riforma  della
disciplina relativa al settore del commercio, a  norma  dell'articolo
4, comma 4, della L. 15 marzo 1997, n. 59), che prevede «una sorta di
catalogo dei limiti» che, in base all'art. 41 Cost.,  possono  essere
imposti alla liberta' di iniziativa  economica  a  fronte  di  valori
costituzionalmente rilevanti. 
    Le Regioni, quindi, pur potendo intervenire in tale settore per i
profili  inerenti  alle  materie  di  propria  competenza  (quali  il
commercio e l'urbanistica),  non  potrebbero  eludere  la  competenza
statale in materia di concorrenza, ne' i principi di proporzionalita'
ed adeguatezza. Sicche', per il  rimettente,  il  divieto  introdotto
dalla norma contestata, finirebbe per comportare una irragionevole  e
contraddittoria «eliminazione di una delle  modalita'  attraverso  le
quali, per la  normativa  statale,  puo'  essere  svolta  l'attivita'
commerciale». 
    Quanto alla dedotta violazione degli artt. 3, 5 e 118  Cost.,  il
Tar sottolinea che tanto la normativa statale  che  quella  regionale
innanzi  richiamate  demandano  ai  Comuni  l'adozione  di   appositi
provvedimenti per limitare l'esercizio del  commercio  itinerante  su
aree pubbliche. La competenza  comunale  trova,  dunque,  la  propria
ragion  d'essere  nella  necessita'  di  non  porre  limiti  che  non
rispondano a  specifiche  esigenze  connesse  alle  peculiarita'  del
territorio. La disposizione censurata  opera,  invece,  in  modo  del
tutto indifferenziato in ambiti territoriali  disomogenei,  in  guisa
tale da comprimere irragionevolmente  l'autonomia  comunale,  privata
della possibilita' di differenziare  fra  loro  le  varie  situazioni
territoriali, sociali ed economiche, nonche' di governare  l'elemento
della   disomogeneita'   distinguendo   tra   il   commercio   svolto
legittimamente (come nella specie) e quello abusivo. 
    Ritenuto, poi, che il commercio itinerante «riguarda  attualmente
in modo prevalente se non esclusivo la  piccola  imprenditoria  degli
extracomunitari», per il  Tar  risulterebbero,  infine,  violati  gli
artt. 2, 3, 4,  10,  primo  comma,  41  e  117,  primo  comma,  Cost.
Vietando, infatti, soltanto tale  tipo  di  commercio,  esso  sarebbe
discriminato rispetto ad altre forme di commercio su aree  pubbliche,
quali quelle su posteggi  dati  in  concessione  in  sede  fissa.  La
previsione  censurata  comprometterebbe,  pertanto,  la  liberta'  di
iniziativa economica  e  il  diritto  al  lavoro,  riconosciuti  come
diritti inviolabili agli stranieri regolari,  per  i  quali  vale  il
principio di parita' di trattamento sancito dalla Convenzione OIL  24
giugno 1975, n. 143, ratificata dalla legge 10 aprile  1981,  n.  158
(Ratifica ed esecuzione  delle  convenzioni  numeri  92,  133  e  143
dell'Organizzazione internazionale del lavoro), anche se si tratti di
lavoratori autonomi, con conseguente violazione dell'art.  10,  primo
comma, Cost. Per altro verso, la normativa in questione introdurrebbe
un effetto discriminatorio indiretto, secondo quanto  prevede  l'art.
2, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215
(Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parita' di  trattamento
tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine  etnica).
Cio', in particolare, alla luce dei principi affermati,  in  tema  di
diritti da riconoscere ai cittadini extracomunitari e  del  carattere
«universale dei diritti fondamentali, come il  diritto  al  lavoro  e
alla libera  iniziativa  economica,  del  cittadino  extracomunitario
regolare». 
    2. - Si e' costituito in giudizio il Comune di Venezia, chiedendo
la declaratoria di non  fondatezza  della  sollevata  questione,  con
riferimento a tutti gli evocati profili. 
    In particolare, riguardo alle censure riferite agli  artt.  41  e
117, secondo comma, lettera e),  Cost.,  il  Comune  -  affermata  la
riconducibilita' della  regolamentazione  de  qua  alla  materia  del
commercio (ex art. 117, quarto comma, Cost.)  e  non  gia'  a  quella
della tutela della concorrenza - deduce che, comunque, e'  lo  stesso
legislatore statale (nel d.lgs. n. 114  del  1998)  a  prevedere  che
siano le Regioni a fissare i criteri  generali  per  l'individuazione
delle aree in cui e' consentito il commercio in forma itinerante, con
la possibilita' di precludere tale attivita' nelle aree aventi valore
archeologico, storico, artistico e ambientale, nonche' per motivi  di
viabilita', di carattere igienico sanitario o  per  altri  motivi  di
pubblico  interesse,  tutti  riscontrabili  nel  centro  storico   di
Venezia. 
    Quanto alle denunciate violazioni degli artt. 5 e  118  Cost,  il
Comune rileva che la norma  censurata  non  sposta  verso  l'alto  la
titolarita'  delle   competenze   amministrative   in   materia,   ma
semplicemente si limita a  porre  un  limite  legislativo  al  potere
discrezionale demandato alle amministrazioni comunali; il divieto  di
commercio nei centri storici di cui alla legge censurata,  lungi  dal
configurarsi quale mero criterio astratto, si riempie di contenuto in
considerazione di una scelta pianificatoria che resta  di  competenza
dei Comuni, ai quali e' consentita l'adozione di soluzioni  calibrate
e ponderate rispetto alle specifiche realta'. 
    Riguardo alle residue censure riferite agli artt. 2, 3, 10, 41  e
117, primo comma, Cost., il Comune di Venezia osserva come, in  primo
luogo, non sia condivisibile il  presupposto  stesso  della  asserita
discriminazione derivante  dal  rilievo  che  il  commercio  su  aree
pubbliche in forma itinerante riguardi in modo prevalente la  piccola
imprenditoria degli  extracomunitari.  Dedotta  l'inconferenza  della
evocazione  dell'art.  10,  primo  comma,  Cost.  ed   affermata   la
inapplicabilita' della Convenzione  OIL  ai  commercianti,  la  parte
esclude  altresi'  la  possibilita'  di  qualificare  il  diritto  ad
esercitare il commercio come diritto inviolabile ai sensi degli artt.
2 e 4 Cost. 
    3. - Nel giudizio e' intervenuta la Regione Veneto  la  quale  ha
concluso, anch'essa, per la infondatezza della proposta questione. 
    Soffermatasi, in particolare, sulla possibilita' per  le  Regioni
ed i Comuni, di vietare o limitare il  commercio  anche  al  fine  di
conciliarne  l'esercizio   con   il   valore   costituzionale   della
salvaguardia dei beni culturali (ai sensi degli artt.  10  e  52  del
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante  il  «Codice  dei
beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della L.  6
luglio 2002, n. 137», ed in riferimento all'art. 9 Cost.), la Regione
analizza   la   portata   della   normativa   oggetto   di   censura,
sottolineandone gli aspetti per i quali la stessa deve ritenersi  del
tutto aderente alle linee gia' tracciate dalla legislazione statale e
non esorbitante dai confini propri della disciplina del commercio, in
aderenza  all'indirizzo   generale,   ormai   consolidato,   teso   a
salvaguardare e valorizzare i beni culturali in tutti i settori della
legislazione regionale. 
    Sul versante, poi, delle singole  censure,  la  Regione  contesta
l'assunto del Tribunale rimettente secondo il quale  la  legislazione
statale sul commercio rappresenterebbe normativa destinata a tutelare
la concorrenza. Anzitutto, infatti, lo stesso d.lgs. n. 114 del 1998,
prevede che l'esercizio del  commercio  possa  essere  subordinato  a
divieti e vincoli in presenza di situazioni particolari,  bilanciando
fra loro esigenze contrapposte. In linea  piu'  generale,  si  rileva
che, dopo la riforma costituzionale del 2001  e  l'attribuzione  alle
Regioni  della  competenza  legislativa  esclusiva  in   materia   di
commercio, queste  ultime  non  sono  piu'  condizionate  nella  loro
autonomia dalla legislazione statale in materia, sicche' quest'ultima
non puo', di per se', essere  ora  «riletta»  come  disciplina  della
tutela della concorrenza. Per la Regione, dunque, la norma oggetto di
contestazione assicurerebbe un  contemperamento  ragionevole  tra  la
liberta'  dei  commercianti  ambulanti  e  «limitatissime  eccezioni,
oggettivamente  motivate  dall'esigenza  di  tutelare  alcuni  centri
storici particolarmente fragili e delicati», non  potendosi  peraltro
ravvisare alcuna  discriminazione  o  turbativa  sul  versante  della
concorrenza tra differenti categorie di operatori economici. 
    Quanto alla  dedotta  lesione  del  principio  di  sussidiarieta'
verticale e della autonomia comunale, la Regione  deduce,  anzitutto,
che il principio di sussidiarieta' verticale non viene in discorso in
ipotesi in cui, come nella specie, la legge non attribuisca  funzioni
amministrative, ma individui essa stessa un  divieto  che  limiti  le
normali attribuzioni amministrative. Inoltre, l'autonomia comunale si
configura proprio in funzione delle scelte del legislatore. In  terzo
luogo,  la  legge  regionale  contestata  attribuisce  ai  Comuni  un
significativo spazio di intervento.  In  quarto  luogo,  l'intervento
legislativo e' stato attuato in via del tutto sussidiaria,  avendo  i
Comuni avuto quattro anni di tempo per individuare  le  aree  ove  il
commercio ambulante deve essere limitato o  vietato.  D'altra  parte,
l'intervento legislativo regionale  e'  stato  il  piu'  circoscritto
possibile e trova base normativa nella discrezionalita' insita  nella
disciplina del commercio. 
    Con riferimento  agli  ultimi  profili  di  censura,  la  Regione
sottolinea infine come il divieto introdotto sia «del tutto  coerente
e corrispondente alle esigenze di tutela  dei  valori  in  gioco,  in
quanto e' specificamente il commercio in forma itinerante ad avere un
impatto particolarmente negativo sulle parti piu' fragili e  preziose
delle principali  citta'  d'arte»,  rendendo  dunque  ragionevole  la
diversa disciplina  rispetto  al  commercio  su  aree  pubbliche  con
posteggio fisso. 
    3.1.  -  Nell'imminenza  dell'udienza,  la  Regione   Veneto   ha
depositato una articolata memoria integrativa  in  cui  ribadisce  ed
argomenta ulteriormente le proprie difese. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Tribunale amministrativo  regionale  del  Veneto  censura
l'art. 4, comma 4-bis, della legge  della  Regione  Veneto  6  aprile
2001, n. 10 (Nuove norme in materia di commercio su aree  pubbliche),
introdotto dall'art. 16 della legge della Regione Veneto 25  febbraio
2005, n. 7 (Disposizioni di riordino e  semplificazione  normativa  -
collegato alla legge finanziaria 2004 in materia  di  miniere,  acque
minerali e termali,  lavoro,  artigianato,  commercio  e  veneti  nel
mondo), in base al quale «E' vietato il commercio su  aree  pubbliche
in forma itinerante nei centri storici  dei  comuni  con  popolazione
superiore ai cinquantamila abitanti». 
    A giudizio del rimettente, la norma sarebbe  contraria:  a)  agli
artt. 41 e 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione,  posto
che il «commercio itinerante costituisce una delle  forme  attraverso
cui si esplica la liberta' di iniziativa economica» e che le  Regioni
- pur potendo intervenire in tale settore per i profili inerenti alle
materie di propria competenza (quali il commercio e l'urbanistica)  -
non possono eludere la competenza statale in materia di  concorrenza,
ne' i principi di  proporzionalita'  ed  adeguatezza,  attraverso  un
divieto «assoluto, inderogabile, generalizzato, non  giustificato  da
concrete e localizzabili esigenze»; b) agli artt. 3, 5 e  118  Cost.,
in quanto la norma censurata opera in modo del tutto  indifferenziato
in ambiti territoriali  disomogenei,  in  guisa  tale  da  comprimere
irragionevolmente l'autonomia comunale, privata della possibilita' di
differenziare fra loro le varie situazioni territoriali,  sociali  ed
economiche, nonche'  di  governare  l'elemento  della  disomogeneita'
distinguendo tra  il  commercio  svolto  legittimamente  (come  nella
specie) e quello abusivo; c) agli artt. 2, 3, 4, 10, primo comma,  41
e 117,  primo  comma,  Cost.,  poiche'  (ritenuto  che  il  commercio
itinerante «riguarda attualmente in modo prevalente se non  esclusivo
la piccola imprenditoria degli extracomunitari») la norma  censurata:
1) limiterebbe la liberta' di iniziativa economica e  il  diritto  al
lavoro,  riconosciuti  come  diritti   inviolabili   agli   stranieri
regolari; 2)  violerebbe  il  principio  di  parita'  di  trattamento
sancito dalla Convenzione OIL 24  giugno  1975,  n.  143,  ratificata
dalla legge 10 aprile 1981, n.  158  (Ratifica  ed  esecuzione  delle
convenzioni numeri 92, 133 e 143  dell'Organizzazione  internazionale
del lavoro), con conseguente violazione dell'art.  10,  primo  comma,
Cost.; 3) introdurrebbe un effetto discriminatorio indiretto, secondo
quanto prevede l'art. 2, comma 1, lettera b), del decreto legislativo
9 luglio 2003, n. 215 (Attuazione della direttiva 2000/43/CE  per  la
parita' di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e
dall'origine  etnica);  4)  infine,  discriminerebbe  tale  tipo   di
commercio rispetto ad altre forme di  commercio  su  aree  pubbliche,
quali quelle su posteggi dati in concessione in sede fissa. 
    2. - La legge regionale n. 10 del 2001 regolamenta, ai sensi  del
Titolo X del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della
disciplina relativa al settore del commercio, a  norma  dell'articolo
4, comma 4, della L. 15 marzo 1997, n. 59), l'esercizio del commercio
su aree pubbliche (art.  1),  nelle  due  forme  del  commercio  "con
posteggio" (art. 3) e del commercio «in forma itinerante» (art. 4). 
    In particolare, quanto alla determinazione delle zone in cui puo'
essere svolta l'attivita', l'art. 2, comma  1,  lettera  b),  prevede
l'individuazione, da  parte  dei  Comuni,  delle  aree  «nelle  quali
l'esercizio del  commercio  e'  vietato  o  sottoposto  a  condizioni
particolari per motivi di viabilita', di carattere igienico-sanitario
o per altri motivi di  pubblico  interesse,  nonche'  per  motivi  di
salvaguardia di aree aventi valore architettonico, storico, artistico
e ambientale». E,  con  specifico  riferimento  alla  disciplina  del
«rilascio delle autorizzazioni per il commercio in forma itinerante»,
l'art. 4, comma 3, nel sancire  che  tale  tipo  di  commercio  «puo'
essere svolto su qualsiasi  area  pubblica»,  esclude  dall'esercizio
dell'attivita' le aree espressamente  interdette  dal  Comune.  Sotto
questo profilo, peraltro,  la  disciplina  regionale  si  conforma  a
quanto previsto dall'art. 28, comma 16, del d.lgs. n. 114  del  1998,
secondo  cui  -  nello  stabilire  l'ambito  e  le  modalita'   dello
svolgimento di tale peculiare forma di commercio (art. 28, comma  15)
- i Comuni individuano, «altresi' le aree aventi valore archeologico,
storico, artistico e ambientale nelle quali l'esercizio del commercio
[...] e' vietato o sottoposto a condizioni particolari ai fini  della
salvaguardia delle aree predette»  e  possono  stabilire  «divieti  e
limitazioni  all'esercizio  anche  per  motivi  di   viabilita',   di
carattere igienico-sanitario o per altri motivi di pubblico interesse
[...]». 
    Infine, dopo l'entrata in vigore della  legge  costituzionale  18
ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte  seconda  della
Costituzione),  la  Regione  Veneto  ha  apportato  alcune  modifiche
all'art. 4 della legge regionale in esame: l'art. 16, comma 1,  della
legge regionale 25 febbraio 2005, n. 7 (Disposizioni  di  riordino  e
semplificazione normativa - collegato alla legge finanziaria 2004  in
materia di miniere, acque minerali e  termali,  lavoro,  artigianato,
commercio e veneti nel mondo), ha aggiunto il censurato comma  4-bis,
che appunto vieta «il commercio su aree pubbliche in forma itinerante
nei  centri  storici  dei  comuni  con   popolazione   superiore   ai
cinquantamila abitanti»; a sua volta, l'art. 13 della legge regionale
16 agosto 2007, n. 21 (Disposizioni  di  riordino  e  semplificazione
normativa - collegato alla  legge  finanziaria  2006  in  materia  di
imprenditoria, flussi migratori, attivita' estrattive, acque minerali
e termali, commercio, artigianato e industria), ha aggiunto il  comma
4-ter, secondo il quale «In deroga a quanto previsto al comma 4-bis i
comuni possono rilasciare appositi nulla osta  solo  per  particolari
manifestazioni o eventi». 
    3. - La prima censura mossa dal rimettente riguarda la violazione
del combinato disposto degli artt. 41 e 117, secondo  comma,  lettera
e),  Cost.,  dedotta  sull'assunto  che  il   «commercio   itinerante
costituisce una delle forme attraverso cui si esplica la liberta'  di
iniziativa economica» e che le Regioni - pur potendo  intervenire  in
tale  settore  per  i  profili  inerenti  alle  materie  di   propria
competenza (quali il commercio e l'urbanistica) - non possono eludere
la competenza statale in materia di concorrenza, ne'  i  principi  di
proporzionalita' ed adeguatezza,  attraverso  un  divieto  «assoluto,
inderogabile,  generalizzato,  non   giustificato   da   concrete   e
localizzabili esigenze». 
    3.1. - La censura non e' fondata. 
    In  termini  generali,  va  rilevato  che   questa   Corte,   con
giurisprudenza costante (da ultimo, sentenze n. 52 del 2010 e n.  237
del 2009), ha ritenuto che, per individuare la materia in cui  devono
essere ascritte  le  disposizioni  oggetto  di  censure,  non  assuma
rilievo  dirimente  la  mera  qualificazione  che  di  esse  da'   il
legislatore  (statale  o  regionale),  ma  occorra  fare  riferimento
all'oggetto della disciplina stessa, tenendo conto della sua ratio  e
tralasciandone  gli  aspetti   marginali   e   riflessi,   cosi'   da
identificare  correttamente   e   compiutamente   anche   l'interesse
tutelato. 
    Per non limitarsi alla,  pur  inequivoca,  intitolazione  («Nuove
norme in materia di commercio su aree  pubbliche»),  appare  indubbio
che le disposizioni della legge  in  esame  -  avendo  quale  oggetto
specifico la normativa regionale del commercio su  aree  pubbliche  -
siano  riconducibili  immediatamente  alla  materia  «commercio»,  di
competenza residuale delle regioni (sentenze  n.  165  e  n.  64  del
2007); e che anche il contenuto della disposizione censurata  risulti
coerente alla ratio perseguita  dalla  medesima  legge,  essendo  del
tutto naturale che,  nell'ambito  di  una  generale  regolamentazione
della specifica attivita' del commercio  in  forma  itinerante,  vada
ricompresa anche la possibilita' di  disciplinarne  nel  concreto  lo
svolgimento, nonche' quella di vietarne l'esercizio in ragione  della
particolare situazione di talune aree metropolitane  (centri  storici
dei Comuni con popolazione superiore  a  cinquantamila  abitanti,  di
modo che l'esercizio del commercio  stesso  avvenga  entro  i  limiti
qualificati  invalicabili  della  tutela  dei   beni   ambientali   e
culturali.   Infatti,   la   ratio   del   divieto   trova   altresi'
giustificazione nello scopo di garantire, indirettamente,  attraverso
norme che ne salvaguardino la ordinata fruizione,  la  valorizzazione
dei maggiori centri storici delle citta' d'arte del  Veneto  a  forte
vocazione turistica. 
    D'altronde,  di  tale  esigenza  si  e'  fatto  carico  anche  il
legislatore statale con il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
(Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10
della L. 6 luglio 2002, n. 137), che  -  rendendo  esplicito  che  le
pubbliche piazze, le vie, le strade  e  gli  altri  spazi  urbani  di
interesse artistico o storico rientrano fra i beni culturali,  e  che
essi sono pertanto oggetto di tutela ai fini della conservazione  del
patrimonio artistico e del decoro urbano (art. 10, comma  4,  lettera
g) - ha ribadito, in conformita' di quanto gia'  stabilito  dall'art.
28, comma 16, del d.lgs. n. 114 del 1998, che i  Comuni  «individuano
le aree pubbliche aventi valore archeologico,  storico,  artistico  e
paesaggistico  nelle  quali  vietare  o   sottoporre   a   condizioni
particolari l'esercizio del commercio» (art. 52). 
    3.2. - Si deve a questo punto sottolineare che  il  rimettente  -
nel formulare la menzionata censura riferita agli  artt.  41  e  117,
secondo comma, lettera e), Cost.  -  muove  dal  presupposto  che  il
d.lgs. n. 114 del 1998  costituisca  legislazione  statale  a  tutela
della concorrenza e come tale  continui  a  condizionare  l'autonomia
legislativa regionale anche dopo la riforma costituzionale del  2001,
che pure ha attribuito alle Regioni competenza legislativa  residuale
in materia di commercio. 
    Va, tuttavia, rilevato che l'assunto su cui si basa tale premessa
e' gia' stato esplicitamente smentito da questa  Corte,  la  quale  -
ritenuto che «a seguito della modifica del Titolo V  della  Parte  II
della Costituzione, la materia "commercio" rientra  nella  competenza
esclusiva  residuale  delle  Regioni,  ai  sensi  del  quarto   comma
dell'art. 117 Cost.» - ha chiarito che  «il  decreto  legislativo  31
marzo 1998, n. 114 [...] si applica, ai sensi dell'art. 1,  comma  2,
della legge 5 giugno 2003, n. 131,  soltanto  alle  Regioni  che  non
abbiano emanato una  propria  legislazione  nella  suddetta  materia»
(ordinanza n. 199 del 2006), cosa che  la  Regione  Veneto  ha  fatto
appunto con la norma censurata, aggiunta alla legge regionale  n.  10
del 2001 dall'art. 16 della legge regionale n. 7 del 2005. 
    D'altra  parte,  altrettanto  errata  si   appalesa   l'ulteriore
affermazione del giudice  a  quo,  secondo  cui  l'attuale  normativa
regionale si discosterebbe in maniera rilevante da quella dettata dal
d.lgs. n. 114 del 1998; infatti - pur dovendosi ribadire che, dopo la
riforma costituzionale del 2001  e  l'attribuzione  della  competenza
legislativa residuale in materia di «commercio» alle Regioni,  queste
ultime non sono condizionate nella loro  autonomia  dalla  precedente
legislazione statale in tema di commercio ben potendo  «autonomamente
rispondere alle esigenze di cui intendeva farsi carico la [...] norma
statale, valutando l'opportunita'  di  esercitare  in  tal  senso  la
propria competenza legislativa»  (sentenza  n.  1  del  2004)  -,  e'
agevole  rilevare  come  la  legge  regionale  si  muova  in  stretta
concordanza con quella statale,  che  gia'  attribuiva  alle  Regioni
poteri di programmazione  in  materia  di  limiti  agli  insediamenti
commerciali allo specifico fine di salvaguardare i centri  storici  e
l'arredo urbano (art. 6, comma  2,  lettera  b;  art.  10,  comma  1,
lettera b; art. 28, comma 12, d.lgs. n. 114 del 1998). 
    3.3. - Nel merito, dunque, il profilo di censura prospettato  dal
rimettente (anche in quanto fondato sul presupposto, qui smentito, di
una asserita antinomia della norma censurata rispetto alle ragioni di
tutela della concorrenza che il Tar attribuisce alle disposizioni del
d.lgs. n. 114 del 1998, assunto quasi a parametro interposto) non  e'
condivisibile.  Cio',  sia  con   riferimento   (come   detto)   alla
impossibilita' di ritenere oggi la potesta' residuale  delle  Regioni
in materia  di  commercio  condizionata  da  tale  normativa  statale
preesistente alla riforma costituzionale del 2001 (sentenza n. 1  del
2004 ed ordinanza n. 199 del 2006, citate), sia in  quanto  la  norma
regionale  censurata  (per  il  suo  limitato   ambito   applicativo,
riconnesso alla specificita'  della  situazione  dei  singoli  centri
storici interessati) non  risulta  connotata  da  quella  particolare
rilevanza macroeconomica che  giustifica,  ai  sensi  dell'art.  117,
secondo comma, lettera e), Cost., l'intervento esclusivo dello Stato,
attraverso misure di  considerevole  entita',  come  tali  idonee  ad
incidere sull'equilibrio economico generale, mediante la riduzione  o
l'eliminazione  di  vincoli  al  libero  esplicarsi  della  capacita'
imprenditoriale e della competizione tra le imprese, che (come  tale)
non  puo'  tollerare  differenziazioni   nel   territorio   nazionale
(sentenze n. 45 del 2010 e n. 14 del 2004). 
    La norma censurata,  pertanto,  non  produce  alcuna  lesione  di
regole a tutela della concorrenza, giacche' il divieto sancito  dalla
Regione Veneto non incide, ne' direttamente ne' indirettamente, sulla
liberta' di concorrenza; esso si colloca infatti -  senza  introdurre
discriminazioni fra differenti categorie di operatori  economici  che
esercitano l'attivita' in posizione identica o analoga - nel  diverso
solco della  semplice  regolamentazione  territoriale  del  commercio
(disciplinata in coerenza con  la  salvaguardia  dei  beni  culturali
caratterizzanti la specifica realta'  del  territorio  regionale)  ed
appare razionalmente  giustificato  dalle  concrete  e  localizzabili
esigenze di tutela di altri interessi di rango costituzionale. 
    Ne' risulta  violato  il  principio  di  cui  all'art.  41  Cost.
(peraltro evocato dal  rimettente  in  connessione  con  l'art.  117,
secondo  comma,  lettera  e,  Cost.).  Infatti,   questa   Corte   ha
costantemente  negato  che  sia  «configurabile  una  lesione   della
liberta' d'iniziativa economica allorche' l'apposizione di limiti  di
ordine generale al suo esercizio corrisponda  all'utilita'  sociale»,
purche', per un verso, l'individuazione di quest'ultima  «non  appaia
arbitraria» e, «per altro verso, gli interventi del  legislatore  non
la perseguano mediante misure  palesemente  incongrue»  (ex  plurimis
sentenze n. 152 del 2010 e n. 167 del  2009).  Come  gia'  detto,  la
disposizione censurata assicura un contemperamento ragionevole fra la
liberta' dell'esercizio del commercio  su  aree  pubbliche  in  forma
itinerante (la cui autorizzazione,  peraltro,  abilita  all'esercizio
della relativa attivita' in tutto il territorio  nazionale:  art.  4,
comma 2, della legge regionale n. 10 del 2001)  e  l'introduzione  di
limitate eccezioni,  oggettivamente  motivate  dall'esigenza  di  non
superare i limiti posti a tutela  dei  centri  storici  delle  grandi
citta' d'arte della Regione. 
    4. - Il Tar deduce, altresi', la violazione degli artt.  3,  5  e
118 Cost. (quest'ultimo parametro richiamato quale espressione  della
sussidiarieta' cosiddetta verticale), in quanto  la  norma  censurata
opererebbe in modo del tutto indifferenziato in  ambiti  territoriali
disomogenei,  in   guisa   tale   da   comprimere   irragionevolmente
l'autonomia comunale, privata della possibilita' di differenziare fra
loro le varie situazioni territoriali, sociali ed economiche, nonche'
di governare l'elemento  della  disomogeneita'  distinguendo  tra  il
commercio svolto legittimamente (come nella specie) e quello abusivo. 
    4.1. - Anche queste censure non sono fondate. 
    Innanzitutto, l'evocato principio  di  sussidiarieta'  verticale,
sotteso all'art. 118 Cost., attiene propriamente  al  riparto  fra  i
diversi   livelli   di   governo   dell'esercizio   delle    funzioni
amministrative, cosi' come astrattamente previste e  modellate  dalla
legislazione di  riferimento.  Esso  non  viene  percio'  in  rilievo
allorche', come nella specie, il legislatore  regionale  (nell'ambito
di una propria competenza)  non  istituisca  o  attribuisca  funzioni
amministrative (ne' sposti verso l'alto la titolarita' delle relative
competenze), bensi' imponga esso stesso un divieto, il quale concorre
a definire i limiti di legge entro i  quali  deve  svolgersi  poi  la
normale attivita' amministrativa di attuazione (sentenza n.  128  del
2010). 
    In secondo luogo, va rilevato che la legge regionale  n.  10  del
2001 tiene comunque conto del ruolo dei Comuni,  e  ne  valorizza  le
competenze e le scelte pianificatorie, con riferimento (tra l'altro),
sia alla individuazione delle altre «aree nelle quali l'esercizio del
commercio e' vietato o sottoposto a condizioni particolari per motivi
di viabilita', di carattere igienico sanitario o per altri motivi  di
pubblico interesse, nonche' per motivi di salvaguardia di aree aventi
valore architettonico, storico,  artistico  e  ambientale»  (art.  2,
comma 1, lettera b), sia al  rilascio  delle  autorizzazioni  per  il
commercio sulle aree pubbliche in forma itinerante (art. 4, comma 1),
sia, soprattutto, alla possibilita' di derogare  al  divieto  di  cui
alla norma impugnata «per particolari manifestazioni o eventi»  (art.
4, comma 4-ter). 
    Ne' si configura un vizio derivante dalla asserita  equiparazione
(che con tutta evidenza non sussiste) tra chi  svolge  legittimamente
l'attivita' di commercio itinerante (il quale, pur dovendo sottostare
allo specifico divieto, puo', come gia' detto, operare liberamente su
tutto il residuo territorio non solo regionale ma  nazionale)  e  chi
commerci abusivamente, senza alcun titolo che  lo  legittimi  a  tale
attivita'. 
    5. - Il Tar lamenta, infine, la violazione degli artt. 2,  3,  4,
10, primo comma, 41 e 117,  primo  comma,  Cost.,  poiche'  la  norma
impugnata: a) limiterebbe la liberta' di iniziativa  economica  e  il
diritto  al  lavoro,  riconosciuti  come  diritti  inviolabili   agli
stranieri  regolari;  b)  violerebbe  il  principio  di  parita'   di
trattamento sancito dalla Convenzione OIL 143/1975, ratificata  dalla
legge n. 158 del 1981 (con conseguente violazione dell'art. 10, primo
comma, Cost.); c) introdurrebbe un effetto discriminatorio indiretto,
secondo quanto prevede l'art. 2, comma 1, lettera b), del  d.lgs.  n.
215 del 2003; d)  infine,  discriminerebbe  tale  tipo  di  commercio
rispetto ad altre forme di commercio su aree pubbliche, quali  quelle
su posteggi dati in concessione in sede fissa. 
    5.1. - Le censure non sono fondate. 
    Il rimettente, nel formularle, muove dalla premessa  secondo  cui
il commercio itinerante «riguarda attualmente in modo  prevalente  se
non esclusivo la piccola imprenditoria degli extracomunitari»;  e  in
cio' ravvisa una discriminazione (diretta e/o indiretta) per il  solo
fatto che un divieto avente carattere generale e indistinto  riferito
ad una categoria  di  operatori  economici,  nei  fatti  verrebbe  ad
incidere  maggiormente  sugli  extracomunitari  regolari  muniti   di
autorizzazione al commercio itinerante. 
    Tale argomentazione non puo' essere  condivisa.  La  disposizione
censurata non attribuisce alcuna rilevanza,  esplicita  o  implicita,
alla  nazionalita'  degli  operatori  muniti  di  autorizzazione   al
commercio su aree pubbliche in  forma  itinerante,  la  quale  assume
quindi valore di circostanza di mero fatto. Il  contenuto  precettivo
della  norma   ha   carattere   generale   ed   obiettivo   (ancorato
esclusivamente alle  modalita'  di  svolgimento  di  detta  peculiare
attivita') e non possiede alcuna valenza  discriminatoria,  prescinde
completamente dalla provenienza, appartenenza etnica, cittadinanza  o
condizione  giuridica  soggettiva  di  chi  esercita  quel  tipo   di
commercio. 
    L'erroneita' del presupposto porta al superamento dei profili  di
incostituzionalita' sopra riportati alle lettere a), b) e c), che  il
rimettente ritiene conseguenza dell'asserita discriminazione  operata
dalla  norma  censurata  nei  confronti  dei  commercianti  ambulanti
extracomunitari. 
    Infine, neppure sussiste la dedotta disparita' di trattamento tra
chi esercita il commercio su aree pubbliche in forma itinerante e chi
lo esercita su  posteggi  in  sede  fissa  (ex  art.  3  della  legge
regionale n. 10 del 2001). L'eterogeneita' (anche  sotto  il  profilo
della diversita' di requisiti  e  regolamentazione)  delle  attivita'
messe a confronto non consente di affermare  la  sussistenza  di  una
violazione  del  principio  di  uguaglianza,  che  viceversa   appare
salvaguardato ove si consideri che  il  divieto  di  cui  alla  norma
censurata si applica anche  agli  operatori  del  commercio  su  aree
pubbliche in sede fissa, allorquando i medesimi  si  avvalgano  della
facolta'  (loro  attribuita  dal  comma  3  del  citato  art.  3)  di
esercitare il commercio anche in forma itinerante. 
    La qual cosa dimostra  ulteriormente  come  il  divieto  espresso
dalla norma censurata, lungi  dall'operare  discriminazioni  di  tipo
soggettivo, trovi la sua giustificazione nella obiettiva esigenza  di
regolamentare  tale  attivita'  nel  rispetto  di  peculiari  realta'
territoriali quali i centri storici delle citta' d'arte (sentenza  n.
388 del 1992). 
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 4, comma 4-bis, della legge della Regione Veneto  6  aprile
2001, n. 10 (Nuove norme in materia di commercio su aree  pubbliche),
introdotto dall'art. 16 della legge della Regione Veneto 25  febbraio
2005, n. 7 (Disposizioni di riordino e  semplificazione  normativa  -
collegato alla legge finanziaria 2004 in materia  di  miniere,  acque
minerali e termali,  lavoro,  artigianato,  commercio  e  veneti  nel
mondo), sollevata - in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 5,  10,  primo
comma, 41, 117, primo e  secondo  comma,  lettera  e),  e  118  della
Costituzione - dal Tribunale amministrativo regionale del Veneto, con
l'ordinanza indicata in epigrafe. 
        Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2010. 
 
                       Il Presidente: Amirante 
 
 
                        Il redattore: Grossi 
 
 
                      Il cancelliere: Di Paola 
 
    Depositata in cancelleria l'8 luglio 2010. 
 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola