N. 250 SENTENZA 5 - 8 luglio 2010

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello  Stato
  - Configurazione  della  fattispecie  come  reato  -  Eccezione  di
  inammissibilita' della questione perche' priva di attinenza con  il
  processo a quo - Reiezione. 
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis, aggiunto  dall'art.  1,
  comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, art. 25, secondo comma. 
Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello  Stato
  -  Configurazione  della  fattispecie  come  reato   -   Denunciata
  violazione  dei  principi   di   materialita'   e   di   necessaria
  offensivita'  del  reato  -  Esclusione  -  Non  fondatezza   della
  questione. 
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis, aggiunto  dall'art.  1,
  comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, art. 25, secondo comma. 
Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello  Stato
  -  Configurazione  della  fattispecie  come  reato   -   Denunciata
  irragionevole equiparazione di fattispecie eterogenee e di soggetti
  di differente pericolosita' sociale - Esclusione -  Non  fondatezza
  della questione. 
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis, aggiunto  dall'art.  1,
  comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, art. 3. 
Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello  Stato
  - Configurazione  della  fattispecie  come  reato  -  Eccezione  di
  inammissibilita'  della  questione  per  il   carattere   meramente
  eventuale della dedotta lesione dell'art. 2 Cost. - Reiezione. 
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis, aggiunto  dall'art.  1,
  comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, art. 2. 
Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello  Stato
  - Configurazione della fattispecie come reato - Denunciata  lesione
  dei diritti inviolabili dell'uomo e del principio di solidarieta' -
  Esclusione - Non fondatezza della questione. 
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis, aggiunto  dall'art.  1,
  comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, art. 2. 
Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello  Stato
  -  Configurazione  della  fattispecie  come  reato   -   Denunciata
  violazione dei vincoli  derivanti  dall'ordinamento  comunitario  e
  dagli obblighi internazionali - Esclusione - Non  fondatezza  della
  questione. 
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis, aggiunto  dall'art.  1,
  comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, art. 117, primo comma; direttiva 2008/115/CE  del  16
  dicembre 2008. 
Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello  Stato
  -  Configurazione  della  fattispecie  come  reato   -   Denunciata
  violazione dei principi di ragionevolezza e di buon  andamento  dei
  pubblici uffici - Esclusione - Non fondatezza della questione. 
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis, aggiunto  dall'art.  1,
  comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, artt. 3 e 97. 
Straniero - Reato di ingresso e  soggiorno  illegale  nel  territorio
  dello Stato - Mancata previsione, tra gli elementi costitutivi  del
  reato,  dell'assenza  di  un  giustificato  motivo   -   Denunciata
  irrazionale  disparita'   di   trattamento   rispetto   all'analoga
  fattispecie criminosa di cui all'art. 14, comma 5-ter,  del  d.lgs.
  n. 286 del 1998,  nonche'  asserita  violazione  del  principio  di
  colpevolezza - Esclusione - Non fondatezza della questione. 
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis, aggiunto  dall'art.  1,
  comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, artt. 3 e 27. 
Straniero - Reato di ingresso e  soggiorno  illegale  nel  territorio
  dello Stato - Facolta' del  giudice  di  sostituire,  nel  caso  di
  condanna, la pena pecuniaria comminata per il suddetto reato con la
  misura dell'espulsione - Denunciata irrazionalita' del  trattamento
  sanzionatorio - Censura  erroneamente  riferita  alla  disposizione
  impugnata, anziche' a norme distinte non coinvolte nello  scrutinio
  di costituzionalita' - Manifesta inammissibilita' della questione. 
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis, aggiunto  dall'art.  1,
  comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, art. 3. 
Straniero - Reato di ingresso e  soggiorno  illegale  nel  territorio
  dello Stato - Divieto di concessione della sospensione condizionale
  della   pena   -   Denunciata   irrazionalita'   del    trattamento
  sanzionatorio - Censura  erroneamente  riferita  alla  disposizione
  impugnata, anziche' a norme distinte non coinvolte nello  scrutinio
  di costituzionalita' - Omessa motivazione in ordine alla  rilevanza
  e alla non  manifesta  infondatezza  della  questione  -  Manifesta
  inammissibilita'. 
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis, aggiunto  dall'art.  1,
  comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
Straniero - Reato di ingresso e  soggiorno  illegale  nel  territorio
  dello Stato - Sentenza di non luogo  a  procedere  pronunciata  dal
  giudice, allorche' abbia notizia dell'esecuzione dell'espulsione  o
  del  respingimento   dell'autore   del   fatto   -   Eccezione   di
  inammissibilita' della questione  in  quanto rivolta  a  norma  non
  rilevante nel giudizio a quo - Reiezione. 
- D.lgs. 25 luglio 1998, n.  286,  art.  10-bis,  comma  5,  aggiunto
  dall'art. 1, comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, artt. 3 e 27. 
Straniero - Reato di ingresso e  soggiorno  illegale  nel  territorio
  dello Stato - Sentenza di non luogo  a  procedere  pronunciata  dal
  giudice, allorche' abbia notizia dell'esecuzione dell'espulsione  o
  del respingimento dell'autore del fatto - Denunciata violazione dei
  principi di parita' di trattamento e di colpevolezza -  Difetto  di
  rilevanza - Manifesta inammissibilita' della questione. 
- D.lgs. 25 luglio 1998, n.  286,  art.  10-bis,  comma  5,  aggiunto
  dall'art. 1, comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, artt. 3 e 27. 
Straniero - Reato di ingresso e  soggiorno  illegale  nel  territorio
  dello Stato -  Disciplina  transitoria  a  tutela  degli  stranieri
  illegalmente  presenti  nel  territorio  dello  Stato  al   momento
  dell'entrata  in  vigore  della  norma  incriminatrice  -   Mancata
  previsione  -  Denunciata  violazione  del  diritto  di  difesa   -
  Richiesta di pronuncia additiva  dai  contenuti  indefiniti  e  non
  costituzionalmente obbligati  -  Manifesta  inammissibilita'  della
  questione. 
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis, aggiunto  dall'art.  1,
  comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, art. 24, secondo comma. 
Straniero - Reato di ingresso e  soggiorno  illegale  nel  territorio
  dello Stato - Ritenuta introduzione di un obbligo  di  autodenuncia
  nei  confronti  dello   straniero   irregolarmente   presente   sul
  territorio dello Stato che intenda adempiere  l'obbligo  scolastico
  cui sono soggetti  i  figli  minori  -  Denunciata  violazione  del
  diritto di difesa - Censura erroneamente riferita alla disposizione
  impugnata, anziche' a norme distinte non coinvolte nello  scrutinio
  di costituzionalita' - Manifesta inammissibilita' della questione. 
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis, aggiunto  dall'art.  1,
  comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, art. 24, secondo comma. 
Straniero - Reato di ingresso e  soggiorno  illegale  nel  territorio
  dello Stato  -  Mancata  previsione  di  garanzie  a  favore  dello
  straniero che presenti istanza di permanenza nel  territorio  dello
  Stato a  fini  di  tutela  di  un  familiare  minore  -  Denunciata
  irragionevole disparita' di trattamento rispetto allo straniero che
  presenti domanda di  protezione  internazionale,  nonche'  asserita
  violazione del principio nemo tenetur  se  detegere  -  Difetto  di
  rilevanza - Manifesta inammissibilita' della questione. 
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis, aggiunto  dall'art.  1,
  comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, artt. 3 e 24, secondo comma. 
(GU n.28 del 14-7-2010 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino
  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe   TESAURO,   Paolo   Maria
  NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  10-bis  del
decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), aggiunto dall'art.  1,  comma  16,
lettera a), della legge  15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica),  promossi  dal  Giudice  di  pace  di
Lecco, sezione distaccata di Missaglia, con ordinanza del 1°  ottobre
2009 e dal Giudice di pace di Torino  con  ordinanza  del  6  ottobre
2009,  rispettivamente  iscritte  ai  nn.  292  e  300  del  registro
ordinanze 2009 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
nn. 49 e 51, 1ª serie speciale, dell'anno 2009. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio del  9  giugno  2010  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.1. - Con ordinanza del 1° ottobre 2009, il Giudice di  pace  di
Lecco, sezione distaccata di Missaglia, ha sollevato, in  riferimento
agli artt. 3, 27 e 117 della Costituzione, questioni di  legittimita'
costituzionale dell'art. 10-bis del  decreto  legislativo  25  luglio
1998,  n.  286  (Testo  unico  delle  disposizioni   concernenti   la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero), aggiunto dall'art. 1, comma 16, lettera a),  della  legge
15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in  materia  di   sicurezza
pubblica), il quale punisce con l'ammenda da  5.000  a  10.000  euro,
«salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, lo straniero che fa
ingresso  ovvero  si  trattiene  nel  territorio  dello   Stato,   in
violazione delle disposizioni del [citato]  testo  unico  nonche'  di
quelle di cui all'articolo 1 della  legge  28  maggio  2007,  n.  68»
(Disciplina dei soggiorni di breve durata degli stranieri per visite,
affari, turismo e studio). 
    Il giudice a quo  riferisce  di  essere  investito  del  processo
penale nei confronti di un cittadino extracomunitario,  imputato  del
reato previsto dalla norma censurata «perche' faceva  ingresso  e  si
tratteneva nel territorio dello Stato  senza  autorizzazione»  (fatto
che, nel capo di imputazione, viene  indicato  come  commesso  il  13
agosto 2009). 
    L'imputazione trae origine da  un  controllo  effettuato  da  una
pattuglia dei Carabinieri, in esito al quale si era accertato che  lo
straniero - sprovvisto di qualsiasi documento di riconoscimento -  si
trovava illegalmente sul territorio nazionale, non  avendo  richiesto
nel termine di legge il permesso  di  soggiorno  dopo  l'ingresso  in
Italia, avvenuto nel dicembre 2007 attraverso il confine  nella  zona
di Ventimiglia. Nei suoi confronti era stato  quindi  emesso  decreto
prefettizio di espulsione e conseguenziale  ordine  del  Questore  di
Lecco di lasciare il territorio  dello  Stato  entro  cinque  giorni:
provvedimento, quest'ultimo, motivato con l'impossibilita'  tanto  di
procedere ad un immediato  accompagnamento  coattivo  alla  frontiera
dell'espellendo,   essendo   necessario    effettuare    accertamenti
supplementari in ordine alla sua  identita'  e  acquisire  un  valido
documento per l'espatrio; quanto di trattenerlo presso un  centro  di
identificazione  ed  espulsione,  per  indisponibilita'   di   posti.
Parallelamente,  lo  straniero  era  stato  tratto  a  giudizio   per
rispondere della contravvenzione di cui all'art. 10-bis del d.lgs. n.
286 del 1998. 
    Cio' premesso in punto di fatto,  il  rimettente  reputa  che  la
norma impugnata sia costituzionalmente  illegittima  anzitutto  nella
parte in cui non annovera, tra gli elementi costitutivi del reato  da
essa delineato, l'assenza  di  un  «giustificato  motivo»,  cosi'  da
evitare la punizione di soggetti  la  cui  irregolare  permanenza  in
Italia, anche  se  non  coperta  da  una  vera  e  propria  causa  di
giustificazione, risulti comunque  non  «rimproverabile»  per  valide
ragioni oggettive o soggettive. 
    Alla luce di  quanto  affermato  dalla  Corte  costituzionale  in
rapporto al reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n.  286
del 1998 (sono citate le sentenze n. 5 del 2004 e n. 22 del 2007), si
tratterebbe, infatti, di una previsione  indispensabile  al  fine  di
rendere la fattispecie criminosa conforme ai principi di colpevolezza
e  di  proporzionalita'  (art.  27  Cost.),  potendo   essa   trovare
applicazione in  situazioni  disparate,  e  anche  nei  confronti  di
soggetti che non comprendono la lingua  italiana  o  che  entrano  in
contatto per la prima volta con l'ordinamento nazionale. 
    Ne deriverebbe anche la  violazione  dell'art.  3  Cost.,  stante
l'irrazionale  disparita'   di   trattamento   rispetto   all'ipotesi
criminosa di cui al citato art. 14, comma 5-ter,  che  contempla,  di
contro, il  predetto  elemento  negativo.  Le  due  figure  di  reato
risulterebbero, infatti, pienamente assimilabili,  colpendo  entrambe
la permanenza illegale dello straniero nel territorio dello Stato: in
un caso (art. 10-bis), per generica violazione delle norme del d.lgs.
n. 286 del 1998; nell'altro (art. 14, comma 5-ter), per  inosservanza
specifica  dell'ordine  del  questore  di  lasciare   il   territorio
nazionale entro cinque  giorni.  La  differente  natura  dell'obbligo
violato  potrebbe  giustificare,  bensi',  il   diverso   trattamento
sanzionatorio delle  due  ipotesi,  ma  non  l'adozione  di  difformi
criteri di valutazione della rimproverabilita' della condotta. 
    Nel caso di specie, l'omissione censurata avrebbe  impedito  alla
difesa di fornire la prova - in quanto allo  stato  non  rilevante  -
della circostanza che, dopo l'8  agosto  2009  (data  di  entrata  in
vigore della legge n. 94  del  2009),  sarebbe  stato  impossibile  o
quantomeno difficoltoso, per l'imputato, lasciare il territorio dello
Stato prima di divenire destinatario del provvedimento di espulsione. 
    Il rimettente rileva, per altro verso, che, ai sensi del comma  5
dell'art. 10-bis, il giudice deve emettere sentenza di  non  luogo  a
procedere per il reato in esame nel caso  in  cui  lo  straniero  sia
stato materialmente espulso, ovvero respinto ai sensi  dell'art.  10,
comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998. Anche per tale  parte  la  norma
impugnata violerebbe i principi di eguaglianza (art. 3  Cost.)  e  di
colpevolezza (art. 27 Cost.), trattando la medesima condotta in  modo
differenziato a seconda che l'autorita'  amministrativa  -  anche  in
conseguenza di proprie scelte organizzative - riesca ad  eseguire  il
respingimento o  l'espulsione,  o,  al  contrario,  non  avendone  la
possibilita', impartisca  allo  straniero  l'ordine  di  lasciare  il
territorio dello Stato,  a  proprie  spese,  nel  termine  di  cinque
giorni: nel qual caso lo straniero si troverebbe esposto alla  severa
pena - reclusione da uno a quattro  anni  -  prevista  dall'art.  14,
comma 5-ter, per l'inottemperanza a tale ordine. 
    La norma censurata  violerebbe,  da  ultimo,  l'art.  117  Cost.,
ponendosi in contrasto con le previsioni della direttiva  2008/115/CE
del 16 dicembre 2008, recante norme e  procedure  comuni  applicabili
negli Stati membri per il rimpatrio di cittadini di  paesi  terzi  il
cui soggiorno e' irregolare. L'art.  7,  paragrafo  1,  della  citata
direttiva identifica, infatti, la modalita' ordinaria  di  esecuzione
dell'espulsione nel rimpatrio  volontario,  prevedendo  che,  a  tale
fine, debba essere accordato allo straniero «un  periodo  congruo  di
durata compresa fra sette e trenta giorni, fatte salve le deroghe  di
cui paragrafi 2 e 4». 
    La configurazione come reato di qualunque ingresso  o  permanenza
illegale nello Stato mirerebbe ad eludere tale  vincolo  comunitario,
rendendo operante  la  deroga  prevista  dall'art.  2,  paragrafo  2,
lettera b), della direttiva, in forza della quale  gli  Stati  membri
possono decidere di non applicare la direttiva stessa  «ai  cittadini
di paesi terzi sottoposti a rimpatrio come  sanzione  penale  o  come
conseguenza di sanzione penale». In tal modo, la modalita'  ordinaria
di esecuzione dell'espulsione resterebbe l'accompagnamento  immediato
alla  frontiera  a  mezzo   della   forza   pubblica,   conformemente
all'attuale previsione dell'art. 13, comma 4, del d.lgs. n.  286  del
1998. 
    Ne' varrebbe opporre  che  il  termine  per  l'adeguamento  della
legislazione degli Stati  membri  alla  direttiva  -  fissato  al  24
dicembre 2010 (art. 20) - non e' ancora  scaduto.  Alla  data  dell'8
agosto 2009, infatti, la direttiva 2008/115/CE era  gia'  vigente  da
diversi mesi, essendo la stessa entrata in vigore il ventesimo giorno
successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (art. 22).
Di conseguenza - secondo il rimettente -  per  escludere  che  l'art.
10-bis del d.lgs. n. 286  del  1998  sia  contrario  alla  direttiva,
bisognerebbe ipotizzare che la norma interna sia stata emanata con la
volonta' di rimuoverla o modificarla prima della scadenza del termine
ultimo di adeguamento: volonta' non desumibile, per contro, ne' dalla
lettera  della  norma  stessa  -  che  non  reca  alcuna  limitazione
temporale di efficacia - ne' dalla sua ratio. 
    1.2. -  E'  intervenuto  nel  giudizio  di  costituzionalita'  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello  Stato,  chiedendo  che  le  questioni
siano dichiarate infondate, salvo per quanto attiene alla seconda, da
reputare inammissibile. 
    Riguardo alla mancata previsione del  «giustificato  motivo»,  la
difesa dello Stato rileva che la fattispecie criminosa resta comunque
soggetta ai principi generali  in  materia  penale,  che  comprendono
plurime cause di non punibilita', tra cui  la  incolpevole  ignoranza
della norma incriminatrice, l'inesigibilita' del comportamento lecito
e la  «buona  fede»:  donde  l'insussistenza  di  una  disparita'  di
trattamento  rispetto  ad  altre  figure  criminose  previste   dalla
medesima fonte normativa. 
    Con riferimento, poi, alla prevista pronuncia di una sentenza  di
non  luogo  a  procedere  nel  caso  di  avvenuta  espulsione  o   di
respingimento dello straniero, la questione sarebbe inammissibile, in
quanto il rimettente criticherebbe,  in  realta',  l'art.  14,  comma
5-ter,  del  d.lgs.  n.  286  del  1998,  che  non  e'   oggetto   di
contestazione nel giudizio a quo. La  censura  risulterebbe  comunque
infondata, sia perche' le due fattispecie non sarebbero assimilabili,
come  emerge  dal  diverso  trattamento  sanzionatorio;  sia  perche'
l'applicazione  della  pena  dipenderebbe  comunque  dallo  straniero
interessato, che entra o si trattiene  illecitamente  nel  territorio
dello Stato, e non  gia'  dalla  pubblica  amministrazione,  che  non
riesca a respingerlo alla frontiera o ad espellerlo fisicamente. 
    Palesemente insussistente sarebbe, infine, l'asserita  violazione
dell'art. 117 Cost.,  non  essendo  ancora  decorso  il  termine  per
adeguare  l'ordinamento  nazionale  alla   direttiva   invocata   dal
rimettente. 
    2.1. - Con ordinanza emessa il 6 ottobre 2009, nell'ambito di  un
processo penale nei confronti di uno  straniero  imputato  del  reato
previsto dalla stessa norma censurata, il Giudice di pace  di  Torino
ha sollevato plurime  questioni  di  legittimita'  costituzionale  di
detta norma (art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998), in  riferimento
agli artt. 2, 3, 24, secondo comma, 25, secondo comma,  e  97,  primo
comma, Cost. 
    Ad avviso del giudice a quo, sussisterebbe violazione dell'art. 3
Cost. per  contrasto  con  il  principio  di  eguaglianza,  sotto  un
triplice profilo. 
    Anzitutto, perche' - punendo indiscriminatamente chi sia  entrato
o si  sia  trattenuto  illegalmente  nel  territorio  dello  Stato  -
equiparerebbe situazioni  assai  diverse  e  soggetti  di  differente
pericolosita' sociale. Essa colpirebbe,  infatti,  allo  stesso  modo
tanto lo  straniero  che,  entrato  clandestinamente  in  Italia,  vi
rimanga vivendo dei proventi di attivita' criminose, quanto colui  il
quale, anche se entrato irregolarmente o trattenutosi senza permesso,
si  sia  tuttavia  integrato   nella   comunita'   sociale,   vivendo
onestamente; quanto, ancora, chi, entrato legittimamente (a  esempio,
per un soggiorno di breve durata), si sia trattenuto oltre il termine
del visto di ingresso per motivi puramente  contingenti,  non  sempre
configurabili come  cause  di  forza  maggiore  (quali  l'aver  perso
l'aereo o il non aver ricevuto tempestivamente dai parenti all'estero
il denaro necessario per l'acquisto del biglietto di viaggio). 
    Lo stesso legislatore si sarebbe, del  resto,  reso  conto  della
diversita' delle situazioni che possono venire in rilievo,  tanto  da
introdurre, con l'art. 1-ter del decreto-legge 1° luglio 2009, n.  78
(Provvedimenti anticrisi, nonche' proroga  di  termini),  convertito,
con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n.  102,  uno  speciale
regime  per  gli  stranieri  soggiornanti  in  modo  irregolare   che
risultassero svolgere attivita' di assistenza  a  terzi,  consentendo
loro di accedere ad una procedura di  sanatoria  nelle  cui  more  il
procedimento penale rimaneva sospeso. 
    L'irragionevolezza della nuova fattispecie penale si  coglierebbe
anche in rapporto al trattamento sanzionatorio, considerato  nel  suo
complesso: cioe', non soltanto in rapporto  alla  comminatoria  della
pena dell'ammenda da 5.000 a 10.000 euro,  ma  anche  al  divieto  di
sospensione condizionale della stessa (conseguente  alla  devoluzione
del reato alla competenza del giudice di pace: art. 60 del d.lgs.  28
agosto 2000, n. 274, recante «Disposizioni  sulla  competenza  penale
del giudice di pace, a norma dell'art. 14  della  legge  24  novembre
1999, n. 468»),  nonche'  alla  facolta',  concessa  al  giudice,  di
sostituire la pena pecuniaria  con  una  sanzione  notevolmente  piu'
afflittiva, quale l'espulsione per un periodo non inferiore a  cinque
anni (art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998,  come  modificato
dall'art. 1, comma 16, lettera b, della legge n. 94 del  2009).  Tale
ultima previsione sarebbe fonte,  in  specie,  di  una  irragionevole
sperequazione rispetto agli altri soggetti  nei  cui  confronti  puo'
essere disposta l'espulsione come misura  sostitutiva,  i  quali,  ai
sensi del citato art. 16, comma 1, si identificano nei condannati per
reato non colposo ad una pena detentiva non  superiore  a  due  anni,
sempre che non ricorrano le condizioni per ordinarne  la  sospensione
condizionale. 
    Una ulteriore violazione del principio di eguaglianza deriverebbe
dal fatto che la norma censurata, a differenza  dell'art.  14,  comma
5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, non subordina la punibilita' della
permanenza dello straniero nel territorio dello Stato all'assenza  di
un «giustificato motivo»: formula, questa, che - come chiarito  dalla
Corte costituzionale (sentenza n.  5  del  2004)  -  e'  diretta  «ad
escludere la configurabilita' del reato  in  presenza  di  situazioni
ostative di particolare pregnanza, le quali,  anche  senza  integrare
cause di giustificazione in  senso  tecnico,  incidono  sulla  stessa
possibilita' soggettiva od oggettiva  di  adempiere  all'intimazione,
escludendola ovvero rendendola difficoltosa  o  pericolosa».  In  tal
modo,  l'autore  della  contravvenzione  prevista  dall'art.   10-bis
risulterebbe irrazionalmente posto in condizione  deteriore  rispetto
all'autore del delitto di cui all'art. 14, comma 5-ter, che  pure  e'
piu' grave ed assorbe la  contravvenzione  in  forza  della  clausola
«salvo che il fatto costituisca piu' grave reato», con cui  la  norma
impugnata esordisce. 
    Essa violerebbe, inoltre, l'art.  24,  secondo  comma,  Cost.  in
quanto  renderebbe  punibili  tutti  gli   stranieri   irregolarmente
presenti in Italia al momento dell'entrata in vigore della  legge  n.
94 del 2009, i quali non  si  siano  spontaneamente  allontanati  dal
territorio dello Stato; e cio', senza che  siano  stati  previsti  un
termine e una «modalita' operativa» per ottemperare al precetto.  Con
la conseguenza  che  a  detti  soggetti  non  rimarrebbe  che  uscire
clandestinamente dall'Italia per non  autodenunciarsi,  in  contrasto
con il principio nemo tenetur se  detegere,  costituente  espressione
del diritto di difesa. 
    La mancata previsione della  possibilita'  di  un  allontanamento
volontario e delle  relative  modalita'  colliderebbe  anche  con  la
direttiva 2008/115/CE, la quale stabilisce, all'art. 7, che  -  fatta
eccezione per talune specifiche ipotesi - la decisione  di  rimpatrio
debba fissare per la  partenza  volontaria  un  periodo  congruo,  di
durata compresa tra i sette  e  i  trenta  giorni,  prorogabile,  ove
necessario, in rapporto alle circostanze concrete. 
    L'art.  10-bis  del  d.lgs.  n.   286   del   1998   risulterebbe
incompatibile con l'art. 24, secondo  comma,  Cost.  anche  sotto  un
diverso  profilo.  A  mente  dell'art.  38   del   medesimo   decreto
legislativo,  difatti,  i  minori  stranieri  comunque  presenti  sul
territorio dello Stato sono soggetti all'obbligo scolastico, al  pari
dei  loro  coetanei  italiani:  obbligo  del  cui  adempimento   sono
responsabili i genitori, sotto comminatoria di sanzione penale  (art.
731 del codice penale). A tale  riguardo,  l'art.  6,  comma  2,  del
d.lgs. n. 286 del 1998, come modificato dalla legge n. 94  del  2009,
prevede, bensi', che in deroga alla regola generale ivi stabilita, lo
straniero non e' tenuto ad esibire alla  pubblica  amministrazione  i
documenti  attestanti  la  regolarita'  del  suo  soggiorno  ai  fini
dell'ottenimento dei provvedimenti riguardanti - oltre  le  attivita'
sportive  e  ricreative  a  carattere  temporaneo  e  l'accesso  alle
prestazioni sanitarie di cui  all'art.  35  -  anche  le  prestazioni
scolastiche obbligatorie. Tuttavia, mentre l'art. 35,  comma  5,  del
d.lgs. n. 286 del 1998 stabilisce espressamente  che  l'accesso  alle
strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola non  possa
comportare alcun tipo di segnalazione all'autorita', salvi i casi  in
cui sia obbligatorio il  referto  a  parita'  di  condizioni  con  il
cittadino italiano, analoga statuizione non e' ripetuta  in  rapporto
alle prestazioni scolastiche obbligatorie. In tal  modo,  quindi,  lo
straniero - pur non dovendo presentare alcun documento attestante  la
regolarita' del suo soggiorno  ai  fini  dell'iscrizione  dei  propri
figli  a  scuola  -   potrebbe   essere   comunque   segnalato   come
«clandestino» dal personale scolastico che rivesta le  qualifiche  di
cui agli artt. 361 e 362 del codice penale e che venga  a  conoscenza
in  altro  modo  della  sua  condizione  di  irregolarita'.   Stante,
peraltro, la facilita' con la quale detta  condizione  puo'  emergere
nel  corso  dell'attivita'  scolastica,  il   migrante   che   voglia
rispettare   la   legge   posta   a   presidio   del   diritto-dovere
all'istruzione sarebbe costretto, in pratica, ad autodenunciarsi  per
il reato di cui all'art. 10-bis del  d.lgs.  n.  286  del  1998,  con
ulteriore violazione del principio nemo tenetur se detegere. 
    Censurabile sarebbe anche la circostanza che la  norma  impugnata
non preveda  alcuna  forma  di  garanzia  a  favore  dello  straniero
clandestino che intenda chiedere al tribunale  per  i  minorenni,  ai
sensi dell'art. 31 del d.lgs. n. 286  del  1998,  l'autorizzazione  a
permanere  nel  territorio  italiano  per   un   periodo   di   tempo
determinato, anche in deroga alle altre disposizioni del testo unico,
per gravi motivi legati alla tutela di un familiare di  minore  eta'.
Con la presentazione dell'istanza in parola, lo  straniero  verrebbe,
dunque, una volta ancora a  «certificare»  la  propria  posizione  di
irregolarita': con conseguente violazione tanto  del  principio  nemo
tenetur se detegere, quanto dell'art.  3  Cost.,  per  ingiustificata
disparita'  di  trattamento  rispetto  allo   straniero   che   abbia
presentato domanda di protezione internazionale. Il comma 6 dell'art.
10-bis stabilisce, infatti, che in quest'ultimo caso il  procedimento
penale resti sospeso e che l'accoglimento della domanda  comporti  la
declaratoria di non luogo a procedere per il reato in esame. 
    Il rimettente  osserva,  per  altro  verso,  come  la  disciplina
dettata dalla norma impugnata risulti congegnata, nel suo  complesso,
in vista della finalita' - ritenuta prioritaria - di  allontanare  lo
straniero  dal  territorio  dello  Stato.  Ai  fini   dell'esecuzione
dell'espulsione dello straniero sottoposto a procedimento penale  per
il  reato  in  esame  non  e',  infatti,  richiesto  il  nulla   osta
dell'autorita' giudiziaria, e, d'altro canto, una volta acquisita  la
notizia dell'espulsione  o  del  respingimento  dello  straniero,  il
giudice deve pronunciare sentenza di  non  luogo  a  procedere  (art.
10-bis, commi 4 e 5). Gli artt. 16-bis [recte: 62-bis] del d.lgs.  n.
274  del  2000  e  16,  comma  1,  del  d.lgs.  n.  286  del  1998  -
rispettivamente aggiunto e modificato dalla legge n. 94  del  2009  -
prevedono, inoltre, che il giudice di pace, nel pronunciare  condanna
per il reato in  questione,  ove  non  ricorrano  le  cause  ostative
previste dall'art. 14, comma 1,  possa  sostituire  la  pena  con  la
misura dell'espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni. 
    Il risultato dell'allontanamento dello straniero clandestino  dal
territorio dello Stato  era  e  resta,  tuttavia,  gia'  conseguibile
tramite l'espulsione amministrativa;  sicche',  una  volta  accertata
l'illegale presenza del  soggetto  nel  territorio  dello  Stato,  si
aprirebbero  contestualmente  ed  automaticamente  due   procedimenti
aventi lo stesso scopo:  uno  amministrativo  e  l'altro  penale,  il
secondo, peraltro, subordinato al primo, dovendosi concludere con  la
declaratoria  di  non  luogo  a   procedere   ove   il   procedimento
amministrativo - maggiormente celere - abbia concluso  il  suo  «iter
naturale». Assetto, questo, che violerebbe,  oltre  al  principio  di
ragionevolezza, anche quello di buon andamento dei  pubblici  uffici,
di cui all'art. 97, primo comma, Cost., incidendo negativamente sulla
durata dei processi e provocando un inutile incremento di costi. 
    La norma censurata si porrebbe in contrasto, poi, con l'art.  25,
comma 2, Cost.,  venendo  a  sanzionare  penalmente  una  particolare
condizione personale e sociale - in specie, quella di chi versa nella
situazione  di  «clandestino»  per  non   essersi   uniformato   alle
disposizioni del d.lgs. n. 286 del 1998 - anziche' la commissione  di
un  fatto  offensivo  di  un  bene  costituzionalmente  protetto.  Si
tratterebbe, in sostanza, di una «colpa d'autore» o «per il  modo  di
essere dell'agente»: scelta legislativa  da  reputare  inaccettabile,
giacche' l'irrogazione di sanzioni penali potrebbe giustificarsi solo
quando appaia  indispensabile  «per  assicurare  la  conservazione  o
promuovere il progresso della comunita' sociale o quando sussista  il
pericolo che l'individuo commetta fatti  delittuosi».  Nella  specie,
per converso, se pure e' vero che taluni degli stranieri  clandestini
sono dediti al delitto, e'  altrettanto  vero,  tuttavia,  che  molti
altri  prestano  attivita'  lavorativa  -  spesso  in  condizioni  di
sfruttamento - o comunque non  commettono  reati  ne'  minacciano  la
sicurezza collettiva. 
    Risulterebbe violato, infine, l'art. 2  Cost.,  che  riconosce  e
garantisce i diritti inviolabili dell'uomo e  richiede  l'adempimento
dei  doveri  inderogabili  di  solidarieta'  politica,  economica   e
sociale: e cio', a causa dello stato  di  estrema  indigenza  in  cui
versa la quasi totalita' degli immigrati clandestini. 
    Quanto, poi, alla rilevanza delle questioni, essa risulterebbe  -
ad avviso del giudice a quo - evidente.  Lo  straniero  imputato  nel
giudizio principale risulta essere, infatti, entrato in Italia  senza
un regolare visto  ne'  risulta  munito  di  permesso  di  soggiorno,
sicche', allo stato, dovrebbe  essere  «quasi  sicuramente»  ritenuto
colpevole del contestato reato di cui all'art. 10-bis del  d.lgs.  n.
286 del 1998, con possibile  applicazione  della  misura  sostitutiva
dell'espulsione.  Tale  misura  influirebbe,  peraltro,  pesantemente
sulla sua integrazione sociale e sulla sua situazione  familiare:  in
base alla documentazione prodotta  in  giudizio,  l'imputato  avrebbe
avuto,   infatti,   recentemente   un   figlio   da   una   cittadina
extracomunitaria  regolarmente  soggiornante,  con  cui  convive,   e
presterebbe attivita' lavorativa come collaboratore domestico  presso
una famiglia, la quale avrebbe intrapreso  le  pratiche  per  la  sua
regolarizzazione. 
    2.2. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha  chiesto  che  le  questioni  siano  dichiarate  inammissibili   o
infondate. 
    Secondo la difesa dello Stato sarebbero senz'altro  inammissibili
per difetto di rilevanza le questioni che  concernono  gli  artt.  6,
comma 2, 31  e  38  del  d.lgs.  n.  286  del  1998,  trattandosi  di
disposizioni non applicabili nel giudizio a quo. 
    Parimenti  inammissibile  sarebbe  la   censura   di   violazione
dell'art. 3 Cost., riferita alla possibilita' di  sostituzione  della
pena con la misura dell'espulsione,  in  quanto  l'applicabilita'  di
quest'ultima viene prospettata come meramente eventuale. 
    Altrettanto dovrebbe dirsi per la censura di violazione dell'art.
2 Cost., giacche' dalla stessa ordinanza di  rimessione  risulta  che
l'imputato  non  versa  in   condizioni   di   indigenza,   svolgendo
un'attivita' lavorativa; come  pure  per  la  censura  di  violazione
dell'art.  25,  secondo  comma,  Cost.,  che  apparirebbe  priva   di
«attinenza con il processo a quo». 
    Le residue censure risulterebbero infondate. 
    La  norma  impugnata   rappresenterebbe,   infatti,   espressione
dell'ampia discrezionalita' legislativa in ordine  all'individuazione
delle condotte punibili e delle relative  sanzioni:  discrezionalita'
il cui esercizio non potrebbe ritenersi  irragionevole  per  il  solo
fatto che la  misura  dell'espulsione,  conseguente  all'applicazione
della  sanzione  penale,  fosse  gia'  in  precedenza  prevista  come
sanzione amministrativa. 
    Ne' rileverebbe la  circostanza  che  l'autore  del  fatto  possa
identificarsi tanto in una persona onesta che in un  delinquente.  La
sanzione e', infatti, comminata nei  confronti  di  chi  -  onesto  o
delinquente - si trovi illecitamente nel territorio dello Stato, onde
non sussisterebbe la disparita' tra le situazioni poste  a  raffronto
dal rimettente. 
    Per quel che concerne, poi, la mancata  previsione  della  «quasi
esimente» del «giustificato  motivo»,  la  fattispecie  criminosa  in
questione  resterebbe  comunque   soggetta   ai   principi   generali
applicabili in materia penale, che comprendono  varie  cause  di  non
punibilita',   tra   cui   l'incolpevole   ignoranza   della    norma
incriminatrice, l'inesigibilita' del comportamento lecito e la «buona
fede». 
    Quanto all'assenza di  disciplina  transitoria,  la  disposizione
censurata ha natura  sostanziale,  onde  troverebbe  applicazione  il
principio previsto dall'art. 2 del codice penale. 
    Inconferente sarebbe, altresi', il riferimento all'art. 97 Cost.,
trattandosi di disposizione inapplicabile  all'amministrazione  della
giustizia. 
    Quanto, infine,  alla  denunciata  violazione  del  principio  di
solidarieta', la norma e' inserita nel corpo del d.lgs.  n.  286  del
1998, onde rimarrebbero garantiti i rifugiati politici e  coloro  che
presentano domanda di protezione  internazionale,  come,  del  resto,
espressamente prevede il comma 6 dello stesso art. 10-bis. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.  -  Il  Giudice  di  pace  di  Lecco,  sezione  distaccata  di
Missaglia, dubita della legittimita' costituzionale dell'art.  10-bis
del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), aggiunto dall'art.  1,  comma  16,
lettera a), della legge  15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica), il quale  punisce  con  l'ammenda  da
5.000 a 10.000 euro, «salvo  che  il  fatto  costituisca  piu'  grave
reato,  lo  straniero  che  fa  ingresso  ovvero  si  trattiene   nel
territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del [citato]
testo unico nonche' di quelle di cui all'articolo 1  della  legge  28
maggio 2007, n. 68». 
    Ad avviso del rimettente, la norma impugnata violerebbe gli artt.
3 e 27 Cost., nella parte in  cui  non  annovera,  tra  gli  elementi
costitutivi del reato, l'assenza di un «giustificato motivo». In  tal
modo, essa, da un lato,  renderebbe  punibili,  in  contrasto  con  i
principi di colpevolezza e di  proporzionalita',  anche  condotte  di
illecito trattenimento non  «rimproverabili»  all'agente  per  valide
ragioni oggettive o soggettive;  dall'altro,  sarebbe  fonte  di  una
irrazionale   disparita'   di   trattamento   rispetto    all'analoga
fattispecie criminosa di cui all'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs.  n.
286 del 1998 (inosservanza, «senza giustificato motivo»,  dell'ordine
del questore di lasciare il territorio nazionale). 
    La  disposizione  censurata  lederebbe   i   medesimi   parametri
costituzionali (artt. 3 e 27 Cost.) anche sotto un  diverso  profilo.
Stabilendo, infatti, che il giudice debba pronunciare sentenza di non
luogo a procedere nel caso di  avvenuta  espulsione  dell'autore  del
fatto o di suo respingimento ai sensi  dell'art.  10,  comma  2,  del
d.lgs. n. 286 del 1998  (comma  5  dell'art.  10-bis),  essa  farebbe
dipendere l'applicazione della sanzione penale dalla circostanza, del
tutto indipendente dalla volonta' dello  straniero,  che  l'autorita'
amministrativa non riesca ad eseguire l'espulsione o il respingimento
prima della condanna. 
    Risulterebbe  leso,  infine,  l'art.  117  Cost.,   giacche'   la
configurazione come reato di qualunque ingresso o soggiorno  illegale
nello Stato mirerebbe ad eludere  la  direttiva  2008/115/CE  del  16
dicembre 2008 - in forza della quale il provvedimento  di  espulsione
deve essere di regola eseguito nella forma del rimpatrio volontario -
e a rendere operante la deroga prevista  dall'art.  2,  paragrafo  2,
lettera b), della direttiva stessa per i casi  in  cui  il  rimpatrio
costituisca «sanzione penale» o «conseguenza di una sanzione penale». 
    2. - L'art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del  1998  e'  sottoposto  a
scrutinio di costituzionalita' anche dal Giudice di pace  di  Torino,
che ne prospetta anzitutto il contrasto  con  l'art.  3  Cost.  sotto
plurimi profili. 
    In primo luogo, perche', punendo indiscriminatamente lo straniero
che sia entrato o si sia trattenuto illegalmente nel territorio dello
Stato, equiparerebbe situazioni di fatto ben diverse  e  soggetti  di
differente pericolosita' sociale. 
    In  secondo   luogo,   per   l'irrazionalita'   del   trattamento
sanzionatorio,  caratterizzato  dalla  comminatoria  dell'ammenda  da
5.000 a 10.000 euro, dal divieto  di  concessione  della  sospensione
condizionale della pena e dalla facolta' del giudice di sostituire la
pena pecuniaria con una sanzione notevolmente piu' afflittiva,  quale
l'espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni:  previsione,
questa, che sarebbe fonte di una irragionevole sperequazione rispetto
agli altri soggetti nei cui confronti  la  sostituzione  puo'  essere
disposta in base all'art. 16, comma 1, del d.lgs.  n.  286  del  1998
(condannati a pena detentiva non superiore a  due  anni,  quando  non
sussistano le condizioni per la sospensione condizionale). 
    In terzo luogo, perche' - diversamente da quanto avviene  per  il
piu' grave reato previsto dall'art. 14, comma 5-ter,  del  d.lgs.  n.
286 del 1998 -  la  norma  impugnata  non  subordina  la  punibilita'
dell'illegale permanenza nel territorio dello Stato  alla  condizione
che la violazione sia commessa «senza giustificato motivo». 
    Sarebbe  violato,  inoltre,  l'art.  24,  secondo  comma,  Cost.,
giacche',  in  mancanza  di  una  disciplina  transitoria,  la  nuova
incriminazione  costringerebbe  tutti  gli  stranieri  irregolarmente
presenti in Italia al momento dell'entrata in vigore della  legge  n.
94  del  2009  ad  uscire  clandestinamente   dall'Italia   per   non
autodenunciarsi, in  contrasto  con  il  principio  nemo  tenetur  se
detegere, costituente espressione del diritto di difesa. 
    L'art. 24, secondo  comma,  Cost.  sarebbe  leso  anche  per  una
diversa ragione. Lo straniero irregolarmente presente sul  territorio
dello Stato che  intenda  adempiere  l'obbligo  scolastico  cui  sono
soggetti i figli minori (art. 38  del  d.lgs.  n.  286  del  1998)  -
obbligo presidiato da sanzione penale (art. 731 del codice penale)  -
pur non dovendo esibire ai fini dell'iscrizione dei  figli  a  scuola
alcun documento attestante la regolarita' del suo soggiorno (art.  6,
comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998), finirebbe  inevitabilmente  per
autodenunciarsi, sia per la facilita' con la quale la sua  condizione
di irregolarita' puo' emergere nel  corso  dell'attivita'  didattica,
sia per la sussistenza di un obbligo di denuncia di  tale  condizione
da parte del personale scolastico che rivesta le  qualifiche  di  cui
agli artt. 361 e 362 cod. pen. 
    Un ulteriore profilo  di  compromissione  degli  artt.  3  e  24,
secondo comma, Cost. si connetterebbe alla circostanza che  la  norma
denunciata non prevede, a  favore  dello  straniero  clandestino  che
intenda proporre istanza di permanenza nel territorio dello  Stato  a
fini di tutela di un familiare minore (art. 31 del d.lgs. n. 286  del
1998), garanzie  analoghe  a  quelle  accordate  allo  straniero  che
presenti  domanda  di  protezione  internazionale  (sospensione   del
procedimento penale, con declaratoria di non  luogo  a  procedere  in
caso  di  accoglimento):  sicche',   anche   con   la   presentazione
dell'istanza in questione, lo straniero finirebbe  per  «certificare»
la propria posizione di irregolarita'  in  violazione  del  principio
nemo tenetur se detegere. 
    La norma impugnata violerebbe, poi, i principi di  ragionevolezza
e di buon andamento dei pubblici uffici (artt. 3 e 97,  primo  comma,
Cost.), in quanto perseguirebbe,  alla  luce  della  sua  complessiva
struttura, una finalita' -  allontanare  lo  straniero  illecitamente
presente nel territorio dello Stato - gia'  realizzabile  tramite  la
procedura di espulsione  amministrativa,  la  quale  prende  comunque
avvio parallelamente al procedimento  penale;  il  che  comporterebbe
pregiudizio alla ragionevole durata dei processi e inutile incremento
dei costi. 
    Risulterebbe violato, ancora, l'art. 25, secondo comma, Cost., in
quanto  la  disposizione  censurata  sanzionerebbe   penalmente   una
particolare condizione personale e  sociale  -  quella  di  straniero
«clandestino»,  derivante  dalla  mera  violazione  delle  norme  che
disciplinano l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato - e
non  gia'  la  commissione  di  un  fatto  offensivo   di   un   bene
costituzionalmente protetto. 
    Da ultimo, verrebbe leso l'art. 2 Cost., giacche',  in  contrasto
con la garanzia di rispetto dei diritti inviolabili  dell'uomo  e  il
dovere di  solidarieta',  la  nuova  previsione  punitiva  colpirebbe
persone che versano, per la quasi  totalita',  in  stato  di  estrema
indigenza. 
    3. - Le ordinanze di rimessione sollevano questioni  parzialmente
analoghe, relative alla  medesima  norma,  sicche'  i  giudizi  vanno
riuniti per essere definiti con unica decisione. 
    4. - Nell'approccio al thema  decidendum,  giova  preliminarmente
rilevare  come,  al  di  la'   della   generica   e   indifferenziata
formulazione del petitum, i giudici rimettenti sottopongano all'esame
di questa Corte due diversi ordini di questioni. 
    Da un lato, infatti, essi contestano, sotto plurimi  aspetti,  la
legittimita' costituzionale della scelta  di  penalizzazione  sottesa
alla  norma  impugnata,  prospettando,  con   cio',   doglianze   che
preluderebbero - ove fondate - alla integrale ablazione  della  norma
stessa.  Dall'altro  lato,  denunciano  invece  la   contrarieta'   a
Costituzione di specifiche articolazioni della disciplina sostanziale
o processuale del reato in esame, formulando cosi' censure  destinate
a sfociare - nel caso  di  accoglimento  -  in  una  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale solo parziale. 
    Cio'  puntualizzato,  le  questioni  sollevate  sono   in   parte
infondate e in parte manifestamente inammissibili. 
    5. - Con riferimento alle  questioni  del  primo  gruppo  (volte,
cioe', a censurare globalmente la scelta di  penalizzazione  espressa
dalla norma  impugnata)  -  sulle  quali,  per  evidenti  ragioni  di
pregiudizialita' logica, va portata prioritariamente  l'attenzione  -
lo scrutinio  di  costituzionalita'  non  puo'  che  trovare  il  suo
referente  generale   nel   principio,   affermato   dalla   costante
giurisprudenza di questa Corte, in forza del  quale  l'individuazione
delle condotte punibili e la configurazione del relativo  trattamento
sanzionatorio  rientrano  nella  discrezionalita'  del   legislatore:
discrezionalita' il cui esercizio puo' formare oggetto di  sindacato,
sul piano della legittimita' costituzionale, solo ove si  traduca  in
scelte  manifestamente  irragionevoli  o  arbitrarie  (ex   plurimis,
sentenze n. 47 del 2010, n. 161, n. 41 e n. 23 del 2009, n.  225  del
2008). 
    6. - Su tale premessa viene anzitutto  in  rilievo,  per  il  suo
carattere  radicale,  la  censura  di  violazione  dei  principi   di
materialita' e di necessaria offensivita' del  reato,  formulata  dal
Giudice di pace di Torino in riferimento all'art. 25, secondo  comma,
Cost. 
    6.1. - Al riguardo, va disattesa l'eccezione di  inammissibilita'
dell'Avvocatura dello Stato,  basata  sul  generico  assunto  che  la
dedotta violazione costituzionale sarebbe priva di «attinenza con  il
processo a quo». Risulta evidente,  al  contrario,  come  l'eventuale
rimozione della norma impugnata, conseguente  all'accoglimento  della
questione, inciderebbe sull'esito del giudizio principale,  destinato
altrimenti a concludersi - secondo quanto si  afferma  nell'ordinanza
di rimessione - con una declaratoria di responsabilita' dell'imputato
per la contravvenzione in questione. 
    6.2. - Nel merito, tuttavia, il dedotto vulnus costituzionale non
e' riscontrabile. 
    Contrariamente a quanto sostiene il giudice  rimettente,  non  si
puo' infatti ritenere che l'art. 10-bis del d.lgs. n. 286  del  1998,
introducendo  nell'ordinamento  la  contravvenzione  di  «ingresso  e
soggiorno illegale nel territorio dello Stato»,  penalizzi  una  mera
«condizione personale  e  sociale»  -  quella,  cioe',  di  straniero
«clandestino» (o, piu'  propriamente,  «irregolare»)  -  della  quale
verrebbe arbitrariamente presunta la pericolosita'  sociale.  Oggetto
dell'incriminazione non e' un «modo di essere» della persona, ma  uno
specifico comportamento, trasgressivo di norme vigenti. Tale  e',  in
specie, quello descritto dalle locuzioni alternative «fare  ingresso»
e «trattenersi» nel  territorio  dello  Stato,  in  violazione  delle
disposizioni del testo unico sull'immigrazione o della disciplina  in
tema di soggiorni di breve  durata  per  visite,  affari,  turismo  e
studio, di cui all'art. 1 della legge n. 68 del 2007:  locuzioni  cui
corrispondono, rispettivamente, una condotta  attiva  istantanea  (il
varcare  illegalmente  i  confini  nazionali)  e  una   a   carattere
permanente il cui nucleo  antidoveroso  e'  omissivo  (l'omettere  di
lasciare il territorio nazionale, pur non essendo in possesso  di  un
titolo che renda legittima la permanenza). 
    La condizione di  cosiddetta  «clandestinita'»  non  e'  un  dato
preesistente ed estraneo al fatto, ma rappresenta, al  contrario,  la
conseguenza  della  stessa   condotta   resa   penalmente   illecita,
esprimendone in termini di sintesi la nota strutturale di  illiceita'
(non  diversamente  da  come  la  condizione  di   pregiudicato   per
determinati  reati   deriva,   salvo   il   successivo   accertamento
giudiziale, dall'avere commesso i reati stessi). 
    6.3. - Ne' puo' condividersi, per altro verso, l'assunto in forza
del  quale  si  sarebbe  di  fronte   ad   un   illecito   «di   mera
disobbedienza», non offensivo - anche solo nella forma della messa in
pericolo - di alcun bene giuridico meritevole di tutela: illecito  la
cui repressione darebbe  vita  ad  una  ipotesi  di  «diritto  penale
d'autore», al di sotto  della  quale  si  radicherebbe  l'intento  di
penalizzare, ex se, situazioni di poverta' ed emarginazione  (e  cio'
similmente  a  quanto  si  verificava,  in   passato,   mediante   la
fattispecie   contravvenzionale   -   dichiarata   costituzionalmente
illegittima dalla  sentenza  n.  519  del  1995  -  della  cosiddetta
mendicita' non invasiva, di  cui  all'art.  670,  primo  comma,  cod.
pen.). 
    Il bene giuridico protetto  dalla  norma  incriminatrice  e',  in
realta', agevolmente identificabile  nell'interesse  dello  Stato  al
controllo  e  alla  gestione  dei  flussi   migratori,   secondo   un
determinato assetto normativo: interesse la cui assunzione ad oggetto
di tutela penale non puo' considerarsi irrazionale  ed  arbitraria  -
trattandosi, del  resto,  del  bene  giuridico  "di  categoria",  che
accomuna buona parte delle norme incriminatrici  presenti  nel  testo
unico del 1998 - e che risulta, altresi', offendibile dalle  condotte
di ingresso e trattenimento illegale dello straniero. 
    L'ordinata gestione dei flussi migratori si presenta, in  specie,
come un bene giuridico «strumentale», attraverso la cui  salvaguardia
il legislatore attua una protezione in forma avanzata  del  complesso
di  beni  pubblici  "finali",  di  sicuro   rilievo   costituzionale,
suscettivi  di  essere  compromessi  da  fenomeni   di   immigrazione
incontrollata. Cio', secondo una strategia di  intervento  analoga  a
quella  che   contrassegna   vasti   settori   del   diritto   penale
complementare,   nei   quali   la   sanzione    penale    -    specie
contravvenzionale   -   accede   alla   violazione   di    discipline
amministrative afferenti a funzioni di  regolazione  e  controllo  su
determinate attivita', finalizzate a salvaguardare in via  preventiva
i beni, specie sovraindividuali, esposti a pericolo dallo svolgimento
indiscriminato delle attivita' stesse (basti pensare, ad esempio,  al
diritto penale urbanistico, dell'ambiente,  dei  mercati  finanziari,
della sicurezza del lavoro). Caratteristica, questa, che, nel caso in
esame,  viene  peraltro  a  riflettersi  nell'esiguo  spessore  della
risposta  punitiva  prefigurata  dalla  norma  impugnata,   di   tipo
meramente pecuniario. 
    E' incontestabile, in effetti,  che  il  potere  di  disciplinare
l'immigrazione rappresenti un  profilo  essenziale  della  sovranita'
dello Stato, in quanto espressione del controllo del territorio. Come
questa Corte ha avuto modo di rimarcare, «lo  Stato  non  puo'  [...]
abdicare al compito, ineludibile, di presidiare le proprie frontiere:
le regole stabilite in funzione d'un ordinato flusso migratorio e  di
un'adeguata accoglienza vanno dunque rispettate, e non  eluse  [...],
essendo poste a difesa della collettivita' nazionale  e,  insieme,  a
tutela di coloro che le hanno osservate  e  che  potrebbero  ricevere
danno dalla tolleranza di situazioni illegali» (sentenza n.  353  del
1997).  La  regolamentazione  dell'ingresso  e  del  soggiorno  degli
stranieri nel territorio dello Stato  e',  difatti,  «collegata  alla
ponderazione di svariati interessi pubblici, quali,  ad  esempio,  la
sicurezza e la sanita' pubblica,  l'ordine  pubblico,  i  vincoli  di
carattere internazionale  e  la  politica  nazionale  in  materia  di
immigrazione» (sentenze n. 148 del 2008, n. 206 del 2006 e n. 62  del
1994): vincoli e politica che, a loro volta, rappresentano il  frutto
di valutazioni afferenti alla  «sostenibilita'»  socio-economica  del
fenomeno. 
    Il  controllo  giuridico  dell'immigrazione  -  che  allo  Stato,
dunque, indubbiamente compete (sentenza n. 5 del 2004), a presidio di
valori di  rango  costituzionale  e  per  l'adempimento  di  obblighi
internazionali  -  comporta,  d'altro   canto,   necessariamente   la
configurazione come fatto illecito della violazione delle  regole  in
cui quel controllo si esprime.  Determinare  quale  sia  la  risposta
sanzionatoria piu' adeguata a tale illecito, e segnatamente stabilire
se esso debba assumere una connotazione  penale,  anziche'  meramente
amministrativa (com'era anteriormente  all'entrata  in  vigore  della
legge n. 94 del 2009), rientra nell'ambito delle scelte discrezionali
del legislatore, il quale ben puo' modulare diversamente nel tempo  -
in rapporto alle mutevoli caratteristiche e dimensioni  del  fenomeno
migratorio  e  alla  differente  pregnanza  delle  esigenze  ad  esso
connesse - la qualita' e il  livello  dell'intervento  repressivo  in
materia. 
    6.4.  -  In  questa  prospettiva,  risulta  altresi'   priva   di
fondamento  la  tesi  del  giudice   a   quo,   stando   alla   quale
l'incriminazione  introdurrebbe,  nella  sostanza,  una   presunzione
assoluta di  pericolosita'  sociale  dell'immigrato  irregolare,  non
rispondente  all'id  quod  plerumque   accidit   e   percio'   stesso
arbitraria. 
    Al  pari  di  quanto  avviene  per  il  reato   di   inosservanza
dell'ordine di allontanamento, di cui all'art. 14, comma  5-ter,  del
d.lgs. n. 286 del 1998 - che, come gia'  rilevato  da  questa  Corte,
«prescinde da una accertata o  presunta  pericolosita'  dei  soggetti
responsabili» (sentenza n. 22 del 2007)  -  la  norma  impugnata  non
sancisce alcuna presunzione di tal fatta, ma si limita  -  similmente
alla  generalita'  delle  norme  incriminatrici  -  a  reprimere   la
commissione di un fatto oggettivamente  (e  comunque)  antigiuridico,
offensivo di un interesse reputato meritevole di  tutela:  violazione
riscontrabile - come nota anche l'Avvocatura generale dello  Stato  -
indipendentemente dalla personalita'  dell'autore,  la  quale  potra'
rilevare, semmai, solo sul piano della commisurazione della  pena  da
parte del giudice, secondo i criteri dettati dall'art.  133,  secondo
comma, cod. pen. 
    Non puo' essere, dunque, utilmente richiamata, ai presenti  fini,
l'affermazione di questa Corte, in forza della  quale  la  condizione
soggettiva connessa al «mancato possesso  di  un  titolo  abilitativo
alla permanenza nel territorio dello Stato [...], di per se', non  e'
univocamente  sintomatica  [...]  di  una  particolare  pericolosita'
sociale»  (sentenza  n.  78  del  2007).  Si  tratta,   infatti,   di
affermazione resa in un  contesto  ben  diverso  da  quello  che  qui
rileva, e, cioe', a sostegno  della  declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale di alcune norme dell'ordinamento penitenziario  (artt.
47, 48 e 50 della legge 26 luglio 1975, n. 354), ove interpretate nel
senso  che  all'immigrato  irregolare  sia  in  ogni  caso   precluso
l'accesso alle misure alternative alla detenzione da  esse  previste.
Tali    misure    si    connettono,    infatti,    all'esigenza    di
individualizzazione della pena in fase esecutiva,  in  rapporto  alla
quale la valutazione di pericolosita' sociale  del  condannato  -  da
condursi caso per caso, e non sulla base  di  arbitrarie  presunzioni
assolute - viene, per converso, in primario rilievo. 
    6.5. - Quale notazione conclusiva sul  punto,  si  deve,  d'altro
canto, rilevare come la scelta operata dal legislatore  italiano  con
la  novella  del  2009  sia  tutt'altro  che  isolata  nel   panorama
internazionale. 
    L'analisi   comparatistica   rivela,    difatti,    come    norme
incriminatrici dell'immigrazione irregolare di ispirazione  similare,
talora   accompagnate    dalla    comminatoria    di    pene    anche
significativamente  piu'  severe  di  quella  prevista  dalla   norma
scrutinata,  siano  presenti  nelle  legislazioni  di  diversi  Paesi
dell'Unione europea: e cio' tanto nell'ambito dei Paesi  piu'  vicini
al nostro per tradizioni giuridiche (quali la Francia e la Germania),
che fra quelli di diversa tradizione (quale il Regno Unito). 
    7.  -  Nelle  considerazioni  che  precedono   e'   gia'   insita
l'insussistenza della violazione del principio di eguaglianza (art. 3
Cost.), denunciata dallo stesso Giudice di pace di Torino sul rilievo
che, punendo indiscriminatamente lo straniero che sia  entrato  o  si
sia trattenuto illegalmente nel territorio dello Stato, il nuovo art.
10-bis  del  d.lgs.  n.  286  del  1998   equiparerebbe   fattispecie
marcatamente  eterogenee  e  soggetti  di  differente   pericolosita'
sociale (quali lo straniero che ha varcato clandestinamente i confini
nazionali  e  che  vive  dei  proventi  del  delitto  e  il  migrante
trattenutosi  irregolarmente  dopo  un  ingresso  legittimo,  ma  ben
integrato  nella  comunita'  sociale  e   che   svolge   un'attivita'
lavorativa). 
    Per un verso, infatti, si ribadisce che la  norma  incriminatrice
in esame non e' diretta a  sanzionare  la  «condotta  di  vita»  e  i
propositi del migrante irregolare (i quali, ove assumano connotazioni
criminose,  troveranno  eventualmente  risposta  punitiva  in   altre
norme), quanto piuttosto  (e  soltanto)  l'inosservanza  delle  norme
sull'ingresso e il soggiorno dello  straniero  nel  territorio  dello
Stato. 
    La diversa gravita' dell'inosservanza potra'  essere,  per  altro
verso, apprezzata e valorizzata dal giudice in sede di determinazione
della  pena  in  concreto   nell'ambito   della   forbice   edittale,
sufficientemente ampia a  tal  fine,  sia  pure  nell'ambito  di  una
configurazione dell'illecito quale contravvenzione punita con la sola
pena pecuniaria (ammenda da 5.000 a  10.000  euro).  Per  consolidata
giurisprudenza di questa Corte, e' infatti consentito al  legislatore
includere  in  uno  stesso  paradigma  punitivo  una  pluralita'   di
fattispecie distinte per struttura e  disvalore,  spettando  in  tali
casi al giudice far emergere la  differenza  tra  le  varie  condotte
tramite la graduazione della pena tra il minimo e il massimo edittale
(tra le altre, sentenza n. 47 del 2010; ordinanze n. 213 del 2000, n.
145 del 1998, n. 456 del 1997, n. 220 del 1996). 
    Con particolare riguardo, d'altro canto, alle ipotesi a carattere
«marginale» - che il giudice a quo  evoca  con  il  riferimento  alla
situazione dello straniero  che  si  trattenga  in  Italia  oltre  il
termine del visto  di  ingresso  per  ragioni  puramente  contingenti
(quali l'aver perso l'aereo o il non  aver  ricevuto  tempestivamente
dai parenti all'estero il denaro  per  l'acquisto  del  biglietto  di
viaggio)  -  occorre  tener  conto  anche   della   circostanza   che
l'attribuzione della competenza per il reato in esame al  giudice  di
pace e' atta a  rendere  operante  l'istituto  dell'esclusione  della
procedibilita'  per  «particolare  tenuita'  del   fatto»,   previsto
dall'art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000, un istituto che, in presenza
delle  condizioni  stabilite  da  tale  articolo,  potra'  valere   a
sottrarre a pena le irregolarita' di piu' ridotto significato. 
    8. - In relazione, poi, alla ulteriore censura, formulata  sempre
dal Giudice di pace di Torino, di  lesione  dei  diritti  inviolabili
dell'uomo e del principio di solidarieta'  (art.  2  Cost.),  non  ha
fondamento  l'eccezione  di  inammissibilita'  dell'Avvocatura  dello
Stato, basata  sulla  considerazione  che,  alla  stregua  di  quanto
riferito nell'ordinanza di rimessione, l'imputato nel giudizio a  quo
non  versa  in  condizioni  di  indigenza,   svolgendo   un'attivita'
lavorativa. 
    L'eccezione sovrappone, infatti, i piani della rilevanza e  della
non manifesta infondatezza. L'idoneita' a colpire persone che versano
in «stato di estrema indigenza» e' evocata, infatti,  dal  rimettente
come tratto generale caratteristico della norma incriminatrice,  atto
a  porla  in  asserito  contrasto  con  il  parametro  costituzionale
considerato:  il  che  non  comporta,  tuttavia,  che   -   ai   fini
dell'ammissibilita'  della   questione   -   esso   debba   risultare
riscontrabile  anche  nella  fattispecie  concreta  che   da'   adito
all'incidente di costituzionalita', rimanendo la  questione  comunque
rilevante a fronte  della  gia'  rimarcata  incidenza  dell'ablazione
della norma impugnata sugli esiti del processo principale. 
    Nel merito, la violazione dedotta non e' comunque ravvisabile. 
    Al riguardo, giova preliminarmente rilevare che, ove la tesi  del
rimettente   fosse    valida,    la    ragione    dell'illegittimita'
costituzionale non risiederebbe  nella  scelta  di  configurare  come
reato l'inosservanza delle disposizioni sull'ingresso e il  soggiorno
dello straniero nel territorio  dello  Stato  -  vale  a  dire  nella
sanzione - ma, piu' a monte, nello stesso precetto: e,  cioe',  nelle
regole - collocate fuori della norma oggi sottoposta  a  scrutinio  -
che precludono o limitano l'ingresso o la permanenza degli  stranieri
(o, quantomeno, degli stranieri  «indigenti»)  nel  territorio  dello
Stato, a prescindere dal fatto che la violazione venga punita con  la
sanzione penale o con semplice sanzione amministrativa. 
    Al di la' di cio', va poi osservato che, mentre il contrasto  con
i diritti inviolabili dell'uomo e' allegato dal rimettente in termini
puramente  apodittici,   per   quanto   attiene   al   principio   di
solidarieta', e' giurisprudenza costante di questa Corte  -  chiamata
ad occuparsi del tema segnatamente in rapporto  alla  disciplina  dei
divieti di espulsione  e  di  respingimento  e  del  ricongiungimento
familiare (artt. 19 e 29 del d.lgs.  n.  286  del  1998)  -  che,  in
materia di immigrazione, «le ragioni  della  solidarieta'  umana  non
possono essere affermate al di fuori di un corretto bilanciamento dei
valori in gioco» (sentenza n. 353  del  1997).  In  particolare,  «le
ragioni della solidarieta' umana non sono di per se' in contrasto con
le regole in materia di  immigrazione  previste  in  funzione  di  un
ordinato  flusso  migratorio  e   di   un'adeguata   accoglienza   ed
integrazione degli stranieri» (ordinanze n. 192 e n. 44 del 2006,  n.
217 del 2001): e cio' nella cornice di un «quadro normativo [...] che
vede regolati in modo diverso - anche a livello costituzionale  (art.
10, terzo comma, Cost.) - l'ingresso e la permanenza degli  stranieri
nel Paese, a seconda che si tratti di richiedenti il diritto di asilo
o rifugiati, ovvero di c.d. "migranti economici"» (sentenza n. 5  del
2004; ordinanze n. 302 e n. 80 del 2004). In materia  il  legislatore
fruisce,  dunque,  di  ampia  discrezionalita'   nel   porre   limiti
all'accesso degli stranieri nel territorio dello Stato, all'esito  di
un bilanciamento dei valori che vengono in rilievo:  discrezionalita'
il cui esercizio e' sindacabile da questa Corte solo nel caso in  cui
le  scelte  operate  si  palesino  manifestamente  irragionevoli  (ex
plurimis, sentenze n. 148 del 2008, n. 361 del 2007, n. 224 e n.  206
del 2006) e che si estende, secondo quanto in  precedenza  osservato,
anche al versante della selezione degli  strumenti  repressivi  degli
illeciti perpetrati. 
    Le  ragioni  della  solidarieta'  trovano,   in   questo   senso,
espressione - oltre che nella ricordata  disciplina  dei  divieti  di
espulsione e di respingimento  e  del  ricongiungimento  familiare  -
nell'applicabilita', allo straniero irregolare, della  normativa  sul
soccorso al rifugiato e  la  protezione  internazionale,  di  cui  al
d.lgs.  19  novembre  2007,  n.  251  (Attuazione   della   direttiva
2004/83/CE recante norme minime  sull'attribuzione,  a  cittadini  di
Paesi terzi o apolidi, della qualifica del  rifugiato  o  di  persona
altrimenti bisognosa  di  protezione  internazionale,  nonche'  norme
minime  sul   contenuto   della   protezione   riconosciuta),   fatta
espressamente salva dal comma 6 dello stesso art. 10-bis  del  d.lgs.
n. 286 del 1998, che prevede la sospensione del  procedimento  penale
per il reato in  esame  nel  caso  di  presentazione  della  relativa
domanda e, nell'ipotesi di suo  accoglimento,  la  pronuncia  di  una
sentenza di non luogo a procedere  (analoga  pronuncia  e'  prevista,
altresi', nel caso  di  rilascio  del  permesso  di  soggiorno  nelle
ipotesi di cui all'art. 5, comma 6, del d.lgs. n.  286  del  1998,  e
cioe' quando, pur in presenza delle condizioni ostative ivi indicate,
ricorrano «seri motivi [...] di carattere umanitario o risultanti  da
obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano»). 
    9. - Va esclusa, del pari, la  violazione  dell'art.  117,  primo
comma, Cost., prospettata dal Giudice di pace di Lecco  per  asserita
contrarieta'  della  norma  impugnata  alla  direttiva   2008/115/CE,
segnatamente nella parte in cui quest'ultima prefigura come modalita'
ordinaria di esecuzione delle «decisioni di rimpatrio» dei  cittadini
di paesi terzi, il cui soggiorno e' irregolare, la fissazione  di  un
termine per la «partenza volontaria» (art. 7). 
    Non occorre  verificare,  in  questa  sede,  la  reale  validita'
dell'argomento su cui poggia la censura e consistente,  in  sostanza,
nell'assunto per cui la facolta' degli Stati membri di non  applicare
la citata direttiva ai «cittadini di paesi terzi [...]  sottoposti  a
rimpatrio come sanzione penale o come  conseguenza  di  una  sanzione
penale» (art. 2, paragrafo 2, lettera b) dovrebbe ritenersi riferita,
per non svuotare di senso la direttiva  stessa,  esclusivamente  alle
fattispecie penali diverse dall'ingresso o dal soggiorno irregolare. 
    E'  sufficiente  osservare  che   il   termine   di   adeguamento
dell'ordinamento nazionale alla  direttiva  non  e'  ancora  scaduto,
risultando fissato al 24 dicembre 2010  (art.  20):  circostanza  che
rende,  allo  stato,  comunque  non  significativo,  ai  fini   della
configurabilita'    della    lesione    costituzionale    denunciata,
l'ipotizzato contrasto con la disciplina comunitaria. 
    Peraltro,    detto    contrasto    non    deriverebbe    comunque
dall'introduzione del reato oggetto di scrutinio, quanto piuttosto  -
in ipotesi - dal mantenimento delle norme  interne  preesistenti  che
individuano nell'accompagnamento coattivo alla frontiera la modalita'
normale di esecuzione dei provvedimenti  espulsivi  (in  particolare,
art. 13, comma 4, del d.lgs. n. 286 del 1998): norme diverse, dunque,
da quella impugnata. 
    10. - Infondata e' pure la censura di violazione dei principi  di
ragionevolezza e di buon andamento dei pubblici uffici (artt. 3 e  97
Cost.), formulata dal Giudice di pace di Torino  sulla  scorta  della
considerazione  che  la  norma  censurata  perseguirebbe,   nel   suo
complesso,  un  obiettivo  (allontanare  lo  straniero   illegalmente
presente  nel  territorio  dello  Stato)  realizzabile  negli  stessi
termini  tramite  l'istituto  dell'espulsione   amministrativa,   col
risultato di dare luogo ad una inutile duplicazione  di  procedimenti
aventi il medesimo scopo. 
    Per quanto attiene  al  primo  dei  due  parametri  invocati  (il
principio di  ragionevolezza),  e'  ben  vero,  in  effetti,  che  le
condotte che integrano il reato di cui si  discute,  costituendo  nel
contempo violazioni della disciplina  sull'ingresso  e  il  soggiorno
dello straniero nello Stato,  erano  e  restano  sanzionate,  in  via
amministrativa, con  l'espulsione  disposta  dal  prefetto  ai  sensi
dell'art. 13, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998: onde si  riscontra
una sovrapposizione - tendenzialmente  completa  -  della  disciplina
penale a quella amministrativa. 
    E'  altrettanto   vero   che,   alla   luce   della   complessiva
configurazione  della  norma  in  esame,  il  legislatore  mostra  di
considerare  l'applicazione  della  sanzione  penale  come  un  esito
«subordinato» rispetto alla materiale  estromissione  dal  territorio
nazionale dello straniero ivi  illegalmente  presente.  Lo  attestano
univocamente le circostanze - poste in rilievo dal giudice  a  quo  -
che, in deroga al generale disposto dell'art. 13, comma 3, del d.lgs.
n. 286 del 1998, lo straniero sottoposto a procedimento penale per il
reato in questione possa essere espulso in via  amministrativa  senza
il nulla  osta  dell'autorita'  giudiziaria;  che,  una  volta  avuta
notizia dell'esecuzione dell'espulsione o del respingimento ai  sensi
dell'art. 10, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998, il  giudice  debba
pronunciare   sentenza   di   non   luogo   a   procedere   (e   cio'
indipendentemente dallo stadio raggiunto dal procedimento  penale,  a
differenza di quanto  previsto  dall'art.  13,  comma  3-quater,  del
d.lgs. n.  286  del  1998);  che,  nel  caso  di  condanna,  la  pena
dell'ammenda - espressamente sottratta  all'oblazione  (art.  10-bis,
comma 1, secondo periodo, del d.lgs. n. 286 del 1998) - possa  essere
sostituita dal giudice con la misura dell'espulsione per  un  periodo
non inferiore a cinque anni (artt. 16, comma 1, del d.lgs. n. 286 del
1998 e 62-bis del d.lgs. n. 274 del 2000). 
    Tale assetto normativo - che trova  la  sua  ratio  precipuamente
«nel diminuito interesse dello Stato alla punizione di soggetti ormai
estromessi dal proprio territorio» (con riferimento  alla  previsione
dell'art. 13, comma 3-quater, del d.lgs. n. 286 del  1998,  ordinanze
n. 143 e n. 142 del 2006), tanto piu'  avvertibile  quando  il  fatto
penalmente  rilevante  si  sostanzi  nella  mera   violazione   della
disciplina sull'ingresso e la permanenza nel territorio stesso -  non
comporta ancora, tuttavia, che il procedimento penale per il reato in
esame sia destinato, a priori, a rappresentare  un  mero  "duplicato"
del procedimento amministrativo di espulsione (di norma, per  giunta,
piu' celere): e cio', a tacer d'altro, per  la  ragione  che  -  come
l'esperienza attesta - in un largo numero di casi non  e'  possibile,
per  la  pubblica  amministrazione,  dare  corso  all'esecuzione  dei
provvedimenti espulsivi. La stessa sostituzione della pena pecuniaria
con la misura dell'espulsione da parte  del  giudice  -  configurata,
peraltro, dall'art. 16, comma 1, del d.lgs.  n.  286  del  1998  come
soltanto discrezionale («puo'»)  -  resta  espressamente  subordinata
alla condizione  che  non  ricorrano  le  situazioni  che,  ai  sensi
dell'art. 14, comma 1, del medesimo decreto legislativo,  impediscono
l'esecuzione  immediata  dell'espulsione  con  accompagnamento   alla
frontiera a mezzo della forza pubblica (necessita'  di  procedere  al
soccorso dello straniero, ad  accertamenti  supplementari  in  ordine
alla sua identita' o nazionalita', all'acquisizione di documenti  per
il viaggio, ovvero indisponibilita' di vettore o di  altro  mezzo  di
trasporto idoneo). 
    E' pure difficilmente contestabile, per altro verso, che  -  come
da  piu'  parti  criticamente  rimarcato  -  la  pena   dell'ammenda,
applicabile  nei  casi  di  mancata   esecuzione   (o   eseguibilita'
immediata)   dell'espulsione,   presenti   una   ridotta    capacita'
dissuasiva: e cio', a fronte della condizione  di  insolvibilita'  in
cui assai spesso  (ma,  comunque,  non  indefettibilmente)  versa  il
migrante irregolare e della difficolta' di convertire la pena rimasta
ineseguita  in  lavoro  sostitutivo  o  in  obbligo   di   permanenza
domiciliare  (art.  55  del  d.lgs.  n.  274  del  2000),  stante  la
problematica  compatibilita'  di  tali  misure  con   la   situazione
personale del  condannato,  spesso  privo  di  fissa  dimora  e  che,
comunque, non puo' risiedere legalmente in Italia. 
    Simili valutazioni  -  al  pari  di  quella  attinente,  piu'  in
generale,   al   rapporto   fra   «costi   e    benefici»    connessi
all'introduzione della nuova figura criminosa, rapporto secondo molti
largamente deficitario (tanto piu' in un sistema che gia' prevede, in
caso di mancata esecuzione  immediata  dell'espulsione,  l'ordine  di
allontanamento del questore, che  innesca  la  piu'  energica  tutela
penale predisposta dall'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n.  286  del
1998)  -   attengono,   tuttavia,   all'opportunita'   della   scelta
legislativa su un piano di politica criminale e giudiziaria: piano di
per se' estraneo al sindacato  di  costituzionalita'.  Come  gia'  ad
altro fine rimarcato, difatti, «non spetta a questa  Corte  esprimere
valutazioni sull'efficacia della risposta repressiva penale  rispetto
a comportamenti antigiuridici  che  si  manifestino  nell'ambito  del
fenomeno imponente dei flussi migratori dell'epoca presente, che pone
gravi  problemi  di  natura  sociale,  umanitaria  e  di   sicurezza»
(sentenza n. 236 del 2008). 
    Non e' superfluo  comunque  aggiungere  che  l'assoggettamento  a
sanzioni pecuniarie dei fatti di immigrazione irregolare e' anch'esso
tutt'altro che ignoto all'esperienza comparatistica (pene pecuniarie,
alternative o  congiunte  alla  pena  detentiva,  sono  previste,  ad
esempio, dalle legislazioni tedesca,  francese  e  del  Regno  Unito;
mentre la legge spagnola contempla, per il soggiorno  irregolare,  la
sola sanzione amministrativa pecuniaria). 
    Inconferente  e'   l'altro   parametro   invocato   dal   giudice
rimettente: ossia il principio di buon andamento dei pubblici uffici.
Per  consolidata  giurisprudenza  di  questa  Corte,  infatti,  detto
principio e' riferibile all'amministrazione della giustizia solo  per
quanto attiene all'organizzazione e  al  funzionamento  degli  uffici
giudiziari, e non all'attivita' giurisdizionale in senso stretto  (ex
plurimis, sentenze n. 64 del 2009 e n. 272 del 2008; ordinanze n. 408
del 2008 e n. 27 del 2007). 
    11. -  Passando,  con  cio',  all'esame  del  secondo  gruppo  di
questioni, che investono  specifici  segmenti  della  disciplina  del
reato di cui si discute, viene in considerazione,  anzitutto,  quella
afferente  alla  mancata  reiterazione,  in  rapporto  alla  condotta
dell'illegale  trattenimento,  della  clausola  «senza   giustificato
motivo»,  presente  nella  norma  incriminatrice  "finitima"  di  cui
all'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998: norma che  pure
reprime - e in modo piu' severo -  una  forma  speciale  di  indebita
permanenza dello straniero  nello  Stato,  cioe'  quella  conseguente
all'inottemperanza all'ordine del questore di lasciare  entro  cinque
giorni il territorio nazionale, impartito ai sensi  del  comma  5-bis
dello stesso articolo. 
    11.1. - La questione non e' fondata. 
    Questa Corte ha avuto modo di pronunciarsi  sulla  valenza  della
formula «senza giustificato motivo», che compare nella norma  evocata
come tertium comparationis, in rapporto a questioni  di  legittimita'
costituzionale  volte  segnatamente  a  denunciare  il   difetto   di
determinatezza di detta clausola e, di  riflesso,  della  fattispecie
penale in cui essa si colloca. Nel disattendere  la  censura,  si  e'
rilevato  che  il  significato  della  locuzione  e',   in   realta',
ricostruibile  -   mediante   una   operazione   interpretativa   non
esorbitante dall'ordinario compito ermeneutico affidato al giudice  -
alla luce della specifica finalita'  dell'incriminazione  (rimuovere,
rendendo «effettivo il provvedimento di espulsione»,  «situazioni  di
illiceita' o di pericolo correlate alla presenza dello straniero  nel
territorio  dello   Stato»)   e   del   quadro   normativo   su   cui
l'incriminazione stessa si innesta: quadro normativo che,  come  gia'
ricordato ad altro fine, vede diversamente regolato l'ingresso  e  il
soggiorno degli stranieri nello Stato, a seconda  che  si  tratti  di
richiedenti il diritto di asilo o di rifugiati, ovvero  di  «migranti
economici». In simile prospettiva, «la clausola in questione, se pure
non  puo'   essere   ritenuta   evocativa   delle   sole   cause   di
giustificazione  in  senso  tecnico  -  lettura  che  la   renderebbe
pleonastica, posto  che  le  scriminanti  opererebbero  comunque,  in
quanto  istituti  di  ordine  generale  -  ha  tuttavia  riguardo   a
situazioni ostative di  particolare  pregnanza,  che  incidano  sulla
stessa  possibilita',   soggettiva   od   oggettiva,   di   adempiere
all'intimazione,  escludendola  ovvero  rendendola   difficoltosa   o
pericolosa; non anche ad esigenze che riflettano la condizione tipica
del "migrante  economico",  sebbene  espressive  di  istanze  in  se'
pienamente legittime, sempre che - come  e'  ovvio  -  non  ricorrano
situazioni riconducibili alle scriminanti previste  dall'ordinamento»
(sentenza n. 5 del 2004; ordinanze n. 386 del 2006, n. 302  e  n.  80
del 2004). 
    Alla luce di tale conclusione, si e' quindi esclusa la fondatezza
di ulteriori censure di costituzionalita', alla stregua  delle  quali
la norma incriminatrice di cui all'art. 14, comma 5-ter,  del  d.lgs.
n. 286 del 1998 avrebbe delineato, in contrasto con l'art. 27  Cost.,
una ipotesi di responsabilita' oggettiva, assoggettando a pena  anche
lo straniero che si trovi nella pratica impossibilita' di munirsi  di
documenti e di biglietto di viaggio nel ristretto termine  di  cinque
giorni:  cio',  ad  esempio,  per  la  sua  «condizione  di  assoluta
impossidenza [...], che non gli consenta di recarsi nel termine  alla
frontiera (in particolare aerea o marittima) e di  acquistare»  detto
biglietto; ovvero in conseguenza  del  «mancato  rilascio,  da  parte
della competente autorita' diplomatica  o  consolare,  dei  documenti
necessari, pure sollecitamente e diligentemente richiesti».  In  tali
ipotesi, si deve,  infatti,  senz'altro  ravvisare  un  «giustificato
motivo»  di  inottemperanza   all'ordine   di   allontanamento,   con
conseguente esclusione della configurabilita' del reato (sentenza  n.
5 del 2004; ordinanze n. 386 del 2006 e n. 302 del 2004). 
    11.2. - Dalle affermazioni di questa Corte ora ricordate  non  e'
lecito peraltro desumere - come mostra invece di ritenere il  Giudice
di pace di  Lecco  -  che  l'inserimento  nella  formula  descrittiva
dell'illecito  della  clausola  «senza   giustificato   motivo»   sia
indispensabile al fine di assicurare la conformita' al  principio  di
colpevolezza  di  ogni  reato   in   materia   di   immigrazione,   e
particolarmente di quello oggetto dell'odierno scrutinio. 
    Se e' vero, infatti, che, come  gia'  rimarcato,  la  portata  di
detta clausola va oltre il mero richiamo alle esimenti  di  carattere
generale, e' altrettanto  certo,  tuttavia,  che  la  mancanza  della
clausola non impedisce che  le  esimenti  generali  trovino  comunque
applicazione: il che e' sufficiente, in ogni  caso,  a  garantire  il
rispetto  del   principio   costituzionale   invocato   (diversamente
opinando, la clausola stessa dovrebbe rinvenirsi in  qualunque  norma
incriminatrice). 
    Fuori discussione, cosi', e' l'applicabilita' anche al  reato  di
ingresso e  soggiorno  illegale  nel  territorio  dello  Stato  delle
scriminanti comuni - e, in particolare,  di  quella  dello  stato  di
necessita' (art. 54 cod. pen.) - come pure delle cause di  esclusione
della colpevolezza, ivi compresa l'ignoranza inevitabile della  legge
penale (art. 5 cod. pen., quale risultante a seguito  della  sentenza
n. 364 del 1988 di questa Corte), cui  fa  specifico  riferimento  il
rimettente allorche' evoca, in chiave critica,  le  situazioni  dello
straniero che non  comprenda  la  lingua  italiana  o  che  entri  in
contatto per la prima volta con l'ordinamento giuridico nazionale. 
    Con  particolare  riguardo,  poi,   alla   figura   dell'illecito
trattenimento - cui e' circoscritto il quesito di costituzionalita' -
rimane, altresi', operante il basilare principio ad impossibilia nemo
tenetur, valevole  per  la  generalita'  delle  fattispecie  omissive
proprie. In rapporto a tali  fattispecie,  difatti,  l'impossibilita'
(materiale o giuridica) di compimento dell'azione richiesta esclude -
secondo una diffusa opinione - la configurabilita' del  reato,  prima
ancora che  sul  piano  della  colpevolezza,  gia'  su  quello  della
tipicita',   trattandosi   di   un   limite   logico   alla    stessa
configurabilita' dell'omissione. Ne consegue che, per  questo  verso,
un insieme di situazioni, rilevanti  come  «giustificato  motivo»  in
rapporto al reato di inottemperanza all'ordine di allontanamento, ben
possono venire in  considerazione  anche  ai  fini  di  escludere  la
configurabilita' della contravvenzione di  cui  all'art.  10-bis  del
d.lgs. n. 286 del 1998 (si pensi, ad esempio, alla  indisponibilita',
da parte dello straniero, per cause indipendenti dalla sua  volonta',
dei documenti necessari al fine di lasciare legalmente il  territorio
nazionale). 
    11.3. - Residua pur sempre - e' ben  vero  -  una  diversita'  di
regime rispetto all'ipotesi criminosa di cui al citato art. 14, comma
5-ter, connessa alla  rilevata  maggiore  ampiezza  delle  situazioni
riconducibili al paradigma del «giustificato  motivo»  rispetto  alle
cause generali di non punibilita'.  Tale  diversita'  non  determina,
tuttavia, la violazione dell'art. 3 Cost. denunciata  da  entrambi  i
giudici  rimettenti:  e  cio'  alla   luce   sia   della   differente
connotazione delle fattispecie poste a confronto  che  dell'esistenza
di una differente disciplina. 
    Come gia' in altra occasione osservato da questa Corte,  infatti,
«la scelta del legislatore di riconoscere  efficacia  giustificativa,
per il reato di inottemperanza all'ordine di allontanamento impartito
dal  questore,  a  situazioni  ostative  diverse  dalle  esimenti  di
carattere generale, trova fondamento nella peculiarita' di tale forma
di espulsione, la cui esecuzione e' affidata allo straniero medesimo,
e la cui  adozione  e'  consentita  solo  quando  non  sia  possibile
l'accompagnamento  alla  frontiera,   eventualmente   preceduto   dal
trattenimento dell'interessato in un centro di identificazione  e  di
espulsione» (ordinanza  n.  41  del  2009,  che  ha  conseguentemente
escluso  la  configurabilita'  di  una  esigenza  costituzionale   di
estensione della clausola «senza  giustificato  motivo»  alla  figura
criminosa, a carattere commissivo, delineata dal comma 5-quater dello
stesso  art.  14,  che  configura  come  delitto  la  condotta  dello
straniero che venga trovato nel  territorio  nazionale  dopo  esserne
stato espulso ai sensi del precedente comma 5-ter). 
    I presupposti che, nel sistema della legge (art. 14, comma 1, del
d.lgs. n. 286 del 1998), autorizzano l'amministrazione  ad  avvalersi
dello strumento dell'ordine di allontanamento, in deroga al principio
di  esecuzione   immediata   dell'espulsione   in   forma   coattiva,
richiamano, in effetti,  esigenze  cui  frequentemente  corrispondono
situazioni di rilevante  difficolta'  di  tempestivo  adempimento  da
parte dell'intimato (sentenza n. 5 del 2004,  ordinanza  n.  386  del
2006). Prospettiva nella quale l'impiego della clausola in  questione
rappresenta,  dunque,  un  elemento  che   contribuisce   a   rendere
costituzionalmente  "tollerabile"   il   rigore   sanzionatorio   che
caratterizza la figura criminosa (sentenza n. 22 del 2007). 
    Non equiparabile, sotto questo profilo, e' la contravvenzione  di
cui al censurato art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, che  reprime
con  semplice  pena  pecuniaria  la   generica   inosservanza   delle
disposizioni in tema di  soggiorno  (oltre  che  di  ingresso)  dello
straniero  nel  territorio  dello  Stato:  e  cio'  indipendentemente
dall'intervento  di  un   ordine   amministrativo   individualizzato,
caratterizzato da un ristretto  termine  di  adempimento  e  atto  ad
innescare un netto «salto di qualita'» della risposta punitiva. 
    Rispetto alla contravvenzione in  questione  e',  d'altra  parte,
rinvenibile un diverso  strumento  di  "moderazione"  dell'intervento
sanzionatorio, non operante in rapporto  alla  fattispecie  criminosa
posta a confronto. Si tratta, in specie, del gia' ricordato  istituto
della improcedibilita' per particolare tenuita' del  fatto  (art.  34
del d.lgs. n. 274 del 2000), reso applicabile dall'attribuzione della
competenza per il reato in esame al giudice di pace: istituto la  cui
disciplina -  nel  suo  riferimento  alle  condizioni  dell'esiguita'
dell'offesa   all'interesse   tutelato,   dell'occasionalita'   della
violazione, del ridotto  grado  di  colpevolezza  e  del  pregiudizio
recato dal procedimento penale alle esigenze di lavoro, di studio, di
famiglia o di salute dell'imputato - puo' valere a "controbilanciare"
la mancata attribuzione di rilievo alle fattispecie di  «giustificato
motivo»  che  esulino  dal  novero  delle  cause  generali   di   non
punibilita'. 
    12.  -  Manifestamente  inammissibile  e',   per   converso,   la
questione, sollevata dal Giudice di pace  di  Torino  in  riferimento
all'art. 3 Cost., concernente la facolta' del giudice di  sostituire,
nel caso di condanna, la pena pecuniaria comminata per  il  reato  di
cui all'art. 10-bis  del  d.lgs.  n.  286  del  1998  con  la  misura
dell'espulsione. 
    A prescindere  da  ogni  considerazione  di  merito,  la  lesione
costituzionale denunciata non  deriva,  infatti,  dalla  disposizione
impugnata, ma da norme distinte, non  coinvolte  nello  scrutinio  di
costituzionalita': in specie, dall'art. 16, comma 1,  del  d.lgs.  n.
286 del 1998, nella parte in cui - a seguito della  modifica  operata
dalla legge n. 94 del 2009 - estende l'applicabilita' dell'espulsione
come sanzione sostitutiva alla contravvenzione di cui all'art. 10-bis
del  medesimo  decreto  legislativo;   nonche'   dalla   disposizione
correlata dell'art. 62-bis del d.lgs. n. 274 del 2000, in forza della
quale - diversamente da quanto stabilito dal precedente art.  62  con
riferimento  alle  sanzioni  sostitutive  previste  dalla  legge   24
novembre 1981, n. 689 (Modifiche  al  sistema  penale)  -  «nei  casi
stabiliti  dalla  legge,  il  giudice  di  pace  applica  la   misura
sostitutiva di cui all'art. 16 del testo  unico  di  cui  al  decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286». 
    Tale profilo di manifesta inammissibilita' assorbe quello dedotto
dall'Avvocatura dello Stato, relativo al carattere, in assunto,  solo
ipotetico dell'applicabilita' della misura sostitutiva  nel  caso  di
specie. 
    13.  -  Nel  denunciare  la  contrarieta'  a   Costituzione   del
trattamento sanzionatorio  complessivo  del  reato  di  cui  all'art.
10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998,  il  Giudice  di  pace  di  Torino
prospetta anche  una  violazione  dell'art.  3  Cost.,  correlata  al
divieto di concessione della sospensione condizionale della pena. 
    Anche tale questione e' manifestamente inammissibile. 
    La preclusione della  sospensione  condizionale  non  scaturisce,
infatti, neppure essa dall'art. 10-bis del d.lgs. n.  286  del  1998,
quanto piuttosto dalla nuova lettera s-bis) dell'art. 4, comma 2, del
d.lgs. n. 274 del 2000, che attribuisce la competenza per il reato in
esame al  giudice  di  pace,  rendendo  cosi'  operante  il  disposto
dell'art. 60 del medesimo decreto legislativo: norme non sottoposte a
scrutinio. 
    In ogni caso, manca ogni motivazione sia in ordine alla rilevanza
della questione (non si afferma che, nel caso di  specie,  l'imputato
potrebbe  fruire  della  sospensione  condizionale  alla  luce  delle
generali  regole  codicistiche),   che   alla   sua   non   manifesta
infondatezza (la lesione dell'art. 3 Cost.  e'  prospettata  in  modo
puramente assiomatico). 
    14. - Analoga conclusione si impone in  rapporto  alla  questione
avente ad oggetto la disposizione del comma 5  dell'art.  10-bis  del
d.lgs. n. 286 del 1998, in forza della  quale  il  giudice  pronuncia
sentenza  di  non  luogo  a   procedere   allorche'   abbia   notizia
dell'avvenuta esecuzione dell'espulsione  amministrativa  dell'autore
del fatto o del suo respingimento ai sensi dell'art. 10, comma 2, del
testo unico: previsione che, secondo il Giudice  di  pace  di  Lecco,
contrasterebbe con  gli  artt.  3  e  27  Cost.,  in  quanto  farebbe
dipendere l'applicazione o meno della pena  per  il  reato  in  esame
dall'operato dell'autorita' amministrativa. 
    Non e' fondata,  al  riguardo,  l'eccezione  di  inammissibilita'
proposta dalla difesa dello Stato. Il riferimento del giudice  a  quo
alla circostanza  che,  nel  caso  di  impossibilita'  di  esecuzione
dell'espulsione da parte dell'autorita' amministrativa, lo  straniero
diviene destinatario dell'ordine  di  lasciare  il  territorio  dello
Stato - trovandosi cosi' esposto, in  caso  di  inottemperanza,  alla
piu' severa pena comminata dall'art. 14, comma 5-ter, del  d.lgs.  n.
286 del 1998 - non e'  infatti  sufficiente  ad  avvalorare  la  tesi
dell'Avvocatura  dello  Stato,  secondo  la   quale   il   rimettente
censurerebbe, in realta', esclusivamente quest'ultima norma, che  non
viene in rilievo nel giudizio principale. 
    La questione  risulta  priva  di  rilevanza,  nondimeno,  per  la
diversa ragione che  dall'ordinanza  di  rimessione  non  consta  che
l'imputato nel giudizio a quo  sia  stato  effettivamente  espulso  o
respinto, con conseguente carenza del presupposto  di  applicabilita'
della previsione normativa censurata  (per  analoga  declaratoria  di
manifesta   inammissibilita',   in   rapporto    a    questione    di
costituzionalita' attinente alla disposizione generale in tema di non
luogo a procedere per avvenuta espulsione di cui all'art.  13,  comma
3-quater, del d.lgs. n. 286 del 1998, ordinanza n. 142 del 2006). 
    15.  -  E'  manifestamente  inammissibile  anche  la   questione,
sollevata dal Giudice di pace di Torino in riferimento  all'art.  24,
secondo comma, Cost., volta a censurare la mancata previsione di  una
disciplina transitoria che  salvaguardi  gli  stranieri  illegalmente
presenti nel territorio dello Stato al momento dell'entrata in vigore
della legge n. 94 del 2009. 
    La  questione  si  risolve,  infatti,  nella  richiesta  di   una
pronuncia additiva dai contenuti indefiniti e non  costituzionalmente
obbligati. Non potrebbe essere, in effetti, questa Corte a  stabilire
«un termine  e  una  modalita'  operativa»  per  consentire  a  detti
stranieri di allontanarsi spontaneamente dall'Italia senza  incorrere
in responsabilita' penale,  trattandosi  di  operazione  che  implica
scelte discrezionali di esclusiva spettanza del legislatore. 
    16.  -  Manifestamente  inammissibile  e'  pure  la  censura   di
violazione dell'art. 24, secondo comma, Cost., formulata dal medesimo
giudice rimettente a fronte dell'asserita introduzione di un  obbligo
di autodenuncia nei confronti del  migrante  irregolare  responsabile
dell'adempimento dell'obbligo scolastico previsto  dall'art.  38  del
d.lgs. n. 286 del 1998. 
    La lesione costituzionale denunciata  non  deriverebbe,  infatti,
una volta ancora, dalla norma incriminatrice recata dall'art.  10-bis
del d.lgs. n. 286 del 1998, ma, semmai, secondo la prospettazione del
rimettente,  dal  difettoso  coordinamento  di  talune   disposizioni
«collaterali» (artt. 6, 35 e 38 del d.lgs. n. 286 del 1998): piu'  in
particolare, dalla mancata previsione, nel citato  art.  38,  di  una
esenzione dall'obbligo di  segnalazione  all'autorita'  del  migrante
irregolare da  parte  del  personale  scolastico,  analoga  a  quella
sancita dall'art. 35, comma  5,  del  d.lgs.  n.  286  del  1998  con
riferimento al personale sanitario. 
    Dette disposizioni «collaterali» non risultano peraltro coinvolte
nell'impugnativa e, comunque, non vengono in rilievo nel  giudizio  a
quo. 
    17. - E' manifestamente inammissibile per difetto  di  rilevanza,
infine, anche la questione, sollevata dal Giudice di pace  di  Torino
in riferimento agli artt. 3 e 24,  secondo  comma,  Cost.,  attinente
alla mancata previsione di garanzie  a  favore  dello  straniero  che
presenti istanza di permanenza in Italia per  gravi  motivi  connessi
alla tutela di familiari minori, ai sensi dell'art. 31, comma 3,  del
d.lgs. n. 286 del 1998. 
    Cio', in quanto  dall'ordinanza  di  rimessione  non  consta  che
l'imputato nel giudizio a quo abbia presentato una simile istanza. 
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Riuniti i giudizi, 
        1)  dichiara  non  fondate  le  questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 10-bis del  decreto  legislativo  25  luglio
1998,  n.  286  (Testo  unico  delle  disposizioni   concernenti   la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero), aggiunto dall'art. 1, comma 16, lettera a),  della  legge
15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in  materia  di   sicurezza
pubblica), di cui ai punti 6, 7, 8, 9, 10 e  11  del  Considerato  in
diritto, sollevate, in riferimento  agli  artt.  2,  3,  25,  secondo
comma, 27, 97, primo comma, e 117 della Costituzione, dal Giudice  di
pace di Lecco, sezione distaccata di Missaglia, e dal Giudice di pace
di Torino con le ordinanze indicate in epigrafe; 
        2) dichiara la manifesta inammissibilita' delle questioni  di
legittimita'  costituzionale  del  citato  art.  10-bis  del  decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286, di cui ai punti 12, 13,  14,  15,
16 e 17 del Considerato in diritto, sollevate,  in  riferimento  agli
artt. 3, 24, secondo comma, e 27 della Costituzione, dal  Giudice  di
pace di Lecco, sezione distaccata di Missaglia, e dal Giudice di pace
di Torino con le medesime ordinanze. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2010. 
 
                       Il Presidente: Amirante 
 
 
                         Il redattore: Frigo 
 
 
                      Il cancelliere: Di Paola 
 
    Depositata in cancelleria l'8 luglio 2010. 
 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola