N. 252 ORDINANZA 5 - 8 luglio 2010

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello  Stato
  - Configurazione della fattispecie come reato - Asserita violazione
  del principio di ragionevolezza, di  uguaglianza,  di  personalita'
  della responsabilita' penale, di solidarieta', nonche' dei principi
  in materia del diritto internazionale generalmente  riconosciuto  -
  Difetto di rilevanza  della  questione  stante  l'incompetenza  per
  materia del giudice rimettente - Manifesta  inammissibilita'  della
  questione. 
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis, aggiunto  dall'art.  1,
  comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 10 e 27. 
(GU n.28 del 14-7-2010 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
  QUARANTA, Franco GALLO, Gaetano SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Maria
  Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe
  FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  10-bis  del
decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), aggiunto dall'art.  1,  comma  16,
lettera a), della legge  15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica), promosso dal Tribunale di Pesaro  nel
procedimento penale a carico di D. I. con  ordinanza  del  31  agosto
2009, iscritta al n. 286 del registro  ordinanze  2009  e  pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, 1ª  serie  speciale,
dell'anno 2009. 
    Visto l'atto di costituzione di D. I.; 
    Udito  nell'udienza  pubblica  dell'8  giugno  2010  il   giudice
relatore Giuseppe Frigo; 
    Uditi gli avvocati Vittorio Angiolini e Michele Mariella  per  D.
I. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 31 agosto 2009, il  Tribunale  di
Pesaro,  in  composizione  monocratica,  ha  sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3, 10 e  27
della Costituzione,  dell'art.  10-bis  del  decreto  legislativo  25
luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle  disposizioni  concernenti  la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero), aggiunto dall'art. 1, comma 16, lettera a),  della  legge
15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in  materia  di   sicurezza
pubblica), «nella parte in cui prevede  come  reato  il  fatto  dello
straniero che si trattiene nel territorio dello Stato  in  violazione
delle disposizioni del medesimo testo unico»; 
        che il  giudice  a  quo  premette  di  essere  investito  del
processo penale  nei  confronti  di  uno  straniero  proveniente  dal
Senegal, imputato del reato di cui  all'art.  14,  comma  5-ter,  del
d.lgs. n. 286 del 1998 per non avere ottemperato, senza  giustificato
motivo, all'ordine di lasciare il territorio dello Stato entro cinque
giorni, impartitogli dal Questore di Pesaro  il  18  giugno  2009  ai
sensi del comma 5-bis del medesimo articolo; 
        che detto ordine, emesso sulla base di decreto prefettizio di
espulsione in pari  data,  risultava  motivato  con  l'impossibilita'
tanto  di  procedere  ad  immediato  accompagnamento  alla  frontiera
dell'interessato,   essendo   egli   privo   di   «documenti   idonei
all'espatrio»,  quanto   di   trattenerlo   presso   un   centro   di
identificazione ed espulsione, per indisponibilita' di posti; 
        che, ad avviso del  rimettente,  l'imputato  dovrebbe  essere
assolto  dal  reato  ascrittogli  per  insussistenza  del  fatto:  la
circostanza che egli fosse privo di documenti idonei  all'espatrio  -
e, segnatamente,  di  documenti  di  identita'  -  rendeva,  infatti,
ineseguibile l'ordine  di  lasciare  il  territorio  nazionale,  onde
mancherebbe  un   elemento   essenziale   del   delitto   contestato,
consistente   nell'assenza   di   un   «giustificato    motivo»    di
inottemperanza; 
        che la medesima circostanza renderebbe, altresi',  carente  e
contraddittoria la motivazione del provvedimento del questore  -  che
andrebbe quindi disapplicato dal giudice  a  quo  -  non  potendo  la
pubblica  amministrazione  emettere  un  ordine  di  cui  sia   certa
all'origine l'ineseguibilita' con modalita' legali; 
        che  all'imputato  era  stata,   peraltro,   contestata   una
inottemperanza protratta dal 24 giugno 2009,  data  di  scadenza  del
termine di cinque giorni concessogli dal  questore  per  lasciare  il
territorio nazionale, al 25 agosto 2009, data dell'arresto; 
        che  il  fatto  oggetto  di  giudizio  risulterebbe   percio'
riconducibile - quanto al periodo successivo all'8 agosto 2009,  data
di entrata in vigore della legge n. 94 del  2009  -  alla  previsione
punitiva di cui al neointrodotto art. 10-bis del d.lgs.  n.  286  del
1998:  disposizione  in  forza  della  quale,  «salvo  che  il  fatto
costituisca piu' grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero  si
trattiene  nel  territorio   dello   Stato,   in   violazione   delle
disposizioni del presente  testo  unico  nonche'  di  quelle  di  cui
all'art. 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68, e' punito con l'ammenda
da 5.000 a 10.000 euro»; 
        che  sussisterebbero,  difatti,  nella  specie,   tutti   gli
elementi della figura del soggiorno  illegale  delineata  dal  citato
art. 10-bis: vale  a  dire,  il  trattenimento  dello  straniero  nel
territorio  dello  Stato  e  l'illegalita'  dello  stesso,  non   con
riferimento  all'ordine  del  questore,  ma  alla  violazione   delle
disposizioni del testo unico, e, in  particolare,  dell'art.  5,  che
richiede  il  permesso  di  soggiorno  o  altro   titolo   legalmente
rilasciato; 
        che, in rapporto alla figura criminosa in questione,  non  e'
stata, d'altro canto, riprodotta  la  clausola  di  esclusione  della
punibilita' nel caso di «giustificato motivo», ne' essa  risulterebbe
applicabile per analogia, tenuto conto della ratio della norma, volta
ad impedire  drasticamente  sia  l'ingresso  che  la  permanenza  non
regolare dello straniero nel territorio nazionale; 
        che, di conseguenza, il giudice a quo dovrebbe - a suo avviso
- pronunciare sentenza di assoluzione dal delitto di cui all'art. 14,
comma  5-ter,   del   d.lgs.   n.   286   del   1998,   limitatamente
all'inottemperanza protrattasi fino al  7  agosto  2009,  perche'  il
fatto non sussiste, e - previa diversa qualificazione  giuridica  del
fatto - condannare l'imputato per la contravvenzione di cui  all'art.
10-bis, quanto al periodo successivo; 
        che  il  rimettente  dubita,  tuttavia,  della   legittimita'
costituzionale del citato art. 10-bis sotto plurimi profili; 
        che sarebbe leso, anzitutto, il principio di  ragionevolezza,
in quanto la  norma  incriminatrice  censurata  sarebbe  destinata  a
restare priva di effetti concreti nei confronti della  maggior  parte
degli immigrati non regolari, i  quali  non  sarebbero  in  grado  di
pagare  la  «pesante»  ammenda  comminata,  ne'   potrebbero   essere
utilmente sottoposti a procedure di esazione coattiva; 
        che  la   vera   sanzione,   nei   confronti   dell'immigrato
irregolare, consisterebbe, in realta', nell'espulsione, peraltro gia'
prevista e possibile prima dell'introduzione della  nuova  figura  di
reato; 
        che la  norma  impugnata  avrebbe,  nondimeno  -  secondo  il
rimettente - una sua «perversa razionalita'»: essa mirerebbe,  cioe',
a «rendere la vita impossibile all'immigrato non  regolare»,  facendo
«terra bruciata intorno a lui»; 
        che   la   criminalizzazione    dell'immigrazione    illegale
renderebbe, infatti, configurabile una responsabilita'  a  titolo  di
concorso nel reato a carico di tutti coloro che - anche gratuitamente
e  per  mero  spirito  di  solidarieta'  -   prestino   soccorso   al
«clandestino», in quanto  persona  bisognosa,  aiutandolo  a  trovare
alloggio,  a  nutrirsi  e  a  svolgere  una  qualche  attivita':  nei
confronti di costoro, siano essi cittadini o immigrati  regolari,  la
previsione di una contravvenzione punita con  un'ammenda  di  elevato
ammontare   -   inutile   rispetto   all'immigrato    irregolare    -
rappresenterebbe, viceversa, un efficacissimo deterrente; 
        che   altra   «grave   ricaduta»   della   norma    censurata
consisterebbe nell'insorgenza dell'obbligo, penalmente sanzionato, di
denuncia del reato da parte dei pubblici ufficiali e degli incaricati
di pubblico servizio che vengano a  conoscenza  della  condizione  di
irregolarita' dell'immigrato a  causa  o  nell'esercizio  delle  loro
funzioni; 
        che, stante la vastissima gamma  dei  soggetti  investiti  di
qualifiche pubblicistiche, il timore della  denuncia  costringerebbe,
quindi,  gli  stranieri  non  regolari   a   vivere   «nella   paura,
nell'isolamento, in una vera e  propria  clandestinita'»:  condizione
«inumana, degradante, e questa si' pericolosa per la sicurezza»; 
        che, per tale verso, la norma censurata si porrebbe dunque in
contrasto con il principio della solidarieta', enunciato dagli  artt.
2 e 3 Cost., contribuendo a creare un opposto clima di ostilita'  nei
confronti  di  persone  che,  quali  i  migranti   irregolari,   sono
generalmente sospinte a cercare migliori  condizioni  di  vita  dalla
poverta' e dall'oppressione sofferte nei Paesi di origine; 
        che sarebbero violati anche i principi di eguaglianza (art. 3
Cost.) e  di  personalita'  della  responsabilita'  penale  (art.  27
Cost.), giacche', sanzionando penalmente in modo  indiscriminato  gli
stranieri che soggiornano illegalmente nel territorio dello Stato, la
norma impugnata ne presupporrebbe  arbitrariamente  la  pericolosita'
sociale: condizione che andrebbe accertata invece caso per caso; 
        che la configurazione come reato  dell'immigrazione  illegale
violerebbe, ancora, l'art. 10 Cost., ponendosi  in  contrasto  con  i
principi del diritto internazionale generalmente riconosciuti; 
        che, nelle  convenzioni  internazionali,  la  condizione  del
migrante,  anche  «non  regolare»,  verrebbe  infatti  guardata   con
«comprensione» e  «benevolenza»,  nella  consapevolezza  che  non  si
tratta di un criminale, certo o possibile, ma anzitutto di un  essere
umano che  abbandona  la  propria  terra  alla  ricerca  di  migliori
condizioni di vita; 
        che emblematica di tale atteggiamento sarebbe, tra le  altre,
la  Dichiarazione  universale   dei   diritti   dell'uomo,   adottata
dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre  1948,  la
quale riconosce ad ogni individuo il  diritto  a  lasciare  qualsiasi
Paese, compreso il proprio, e di ritornare nel  proprio  Paese  (art.
13),  nonche'  di  cercare  e  godere  in  altri  Paesi  asilo  dalle
persecuzioni (art. 14), cosi' implicitamente  riconoscendo  anche  il
diritto di cercare in altri Paesi lavoro, cibo e condizioni  di  vita
umane; 
        che la norma impugnata violerebbe, infine, gli artt. 3  e  27
Cost., per non aver contemplato - diversamente da quanto avviene  per
il delitto previsto dall'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286  del
1998 - l'ipotesi in cui la permanenza nel territorio dello Stato  sia
determinata da un «giustificato motivo»: dando luogo,  con  cio',  ad
una irrazionale disparita' di trattamento  fra  persone  imputate  di
fatti similari; 
        che si e' costituito l'imputato nel processo a quo, il  quale
ha chiesto che la questione venga accolta, svolgendo,  quindi,  nella
memoria  illustrativa,  argomenti  a  sostegno   della   tesi   della
incostituzionalita' della norma impugnata. 
    Considerato che il Tribunale  di  Pesaro  dubita,  sotto  plurimi
profili,  della  legittimita'  costituzionale  dell'art.  10-bis  del
decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), aggiunto dall'art.  1,  comma  16,
lettera a), della legge  15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica), «nella  parte  in  cui  prevede  come
reato il fatto dello straniero che si trattiene nel territorio  dello
Stato in violazione delle disposizioni del medesimo testo unico»; 
        che, nel giudizio a quo, il rimettente procede, tuttavia, per
un reato diverso da quello oggetto  di  censura:  e,  cioe',  per  il
delitto di ingiustificata inosservanza dell'ordine  del  questore  di
lasciare entro cinque giorni  il  territorio  dello  Stato,  previsto
dall'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998; 
        che la motivazione sulla cui base il  giudice  a  quo  reputa
egualmente rilevante la questione di costituzionalita' sollevata  non
puo' essere, d'altro canto, condivisa; 
        che  secondo  il  rimettente,  infatti,  l'imputato  dovrebbe
essere   assolto   dal   delitto   ascrittogli   in   ragione   della
configurabilita'  di  un  «giustificato   motivo»   di   inosservanza
dell'ordine   del   questore:   «giustificato   motivo»   consistente
segnatamente nella circostanza - risultante dalla stessa  motivazione
del provvedimento -  che  l'interessato  fosse  privo  di  «documenti
idonei all'espatrio»; 
        che, peraltro - sempre ad avviso del giudice a quo -  per  il
contestato periodo di inottemperanza  successivo  all'8  agosto  2009
(data di entrata in vigore della legge n.  94  del  2009),  il  fatto
oggetto  di  giudizio  risulterebbe  riconducibile  alla   previsione
punitiva di cui al neointrodotto art. 10-bis del d.lgs.  n.  286  del
1998, che non reca alcuna  clausola  di  salvezza  del  «giustificato
motivo»: essendosi comunque al cospetto di una condotta  di  illegale
trattenimento dello straniero nel territorio dello Stato; 
        che,  relativamente  al  suddetto  periodo,   il   rimettente
dovrebbe, quindi - a  suo  parere  -  previa  diversa  qualificazione
giuridica del  fatto,  condannare  imputato  per  la  contravvenzione
delineata dalla norma impugnata: donde - in tesi - la rilevanza della
questione; 
        che - a prescindere da ogni rilievo in ordine alla  validita'
della  duplice  premessa   del   ragionamento   ora   ricordato   (la
configurabilita', nel caso di specie, di un «giustificato motivo»  di
inottemperanza all'ordine del questore e la possibilita' di  definire
come  diversa  qualificazione  giuridica  del  fatto,  anziche'  come
accertamento di un fatto diverso, il passaggio dalla figura criminosa
di cui all'art. 14, comma 5-ter, a quella contemplata all'art. 10-bis
del d.lgs. n. 286 del 1998) - il giudice a quo omette,  peraltro,  di
considerare che la fattispecie contravvenzionale oggetto  di  censura
e' di competenza del giudice di  pace  (lettera  s-bis  dell'art.  4,
comma 2, del d.lgs. 28 agosto 2000,  n.  274,  recante  «Disposizioni
sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14
della legge 24 novembre 1999, n. 468», aggiunta  dall'art.  1,  comma
17, lettera a), della legge n. 94 del 2009); 
        che cio' comporta l'operativita' della  disposizione  di  cui
all'art. 48 del d.lgs. n. 274 del 2000, la quale  -  in  deroga  alla
disciplina generale relativa alla cosiddetta incompetenza per eccesso
(artt. 23, comma 2, e 521, comma 1, del codice di procedura penale) -
stabilisce che, «in ogni stato e grado del processo,  se  il  giudice
ritiene che il reato appartiene alla competenza del giudice di  pace,
lo dichiara con sentenza e  ordina  la  trasmissione  degli  atti  al
pubblico ministero»; 
        che, pertanto, alla luce di tale disposizione, il  rimettente
non potrebbe comunque conoscere della fattispecie criminosa  prevista
dalla  norma  impugnata  (e,  in  particolare,  condannare  per  essa
l'imputato), in quanto incompetente per materia; 
        che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il difetto di
competenza  del   giudice   a   quo,   ove   sia   palese,   comporta
l'inammissibilita'  della   questione   sollevata   per   irrilevanza
(ordinanze n. 82 del 2005 e n. 120 del 1993); 
        che la  questione  va  dichiarata,  pertanto,  manifestamente
inammissibile. 
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del decreto  legislativo
25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero), aggiunto dall'art. 1, comma 16, lettera a),  della  legge
15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in  materia  di   sicurezza
pubblica), sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 10 e  27  della
Costituzione, dal Tribunale di Pesaro  con  l'ordinanza  indicata  in
epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2010. 
 
                       Il Presidente: Amirante 
 
 
                         Il redattore: Frigo 
 
 
                      Il cancelliere: Di Paola 
 
    Depositata in cancelleria l'8 luglio 2010. 
 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola