N. 217 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 aprile 2010

Ordinanza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia del
6 aprile 2010 sul ricorso proposto da Velati Nicolo' contro Ministero
della giustizia ed altri. 
 
Avvocato e procuratore - Esame di  abilitazione  all'esercizio  della
  professione - Obbligo  di  motivazione  del  voto  verbalizzato  in
  termini alfanumerici - Esclusione in base al  «diritto  vivente»  -
  Violazione dei principi di imparzialita'  e  buon  andamento  della
  pubblica amministrazione per la non controllabilita', in assenza di
  motivazione   illustrativa,   dei   criteri   di   valore   seguiti
  nell'esercizio del potere discrezionale - Lesione dei  principi  di
  uguaglianza, di  diritto  al  lavoro,  di  liberta'  di  iniziativa
  economica privata, di difesa in giudizio - Lesione dei principi del
  giusto procedimento e della motivazione delle scelte amministrative
  sanciti dal diritto comunitario pattizio  (art.  253  del  Trattato
  istitutivo CEE) - Richiamo alla sentenza della Corte costituzionale
  n. 20/2009 di non fondatezza di analoga questione in riferimento  a
  parzialmente diversi parametri costituzionali. 
- Regio decreto 22 gennaio 1934,  n.  37,  artt.  17-bis,  23,  comma
  quinto, e 24, primo comma, come  modificati  dal  decreto-legge  21
  maggio 2003, n. 112, convertito, con modificazioni, nella legge  18
  luglio 2003, n. 180. 
- Costituzione, artt. 3, 4, 24, 41, 97 e 117. 
(GU n.34 del 25-8-2010 )
 
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 2078 del 2009, proposto da: Nicolo' Velati, con gli
avv.ti  Giancarlo  Tanzarella  ed  Elena  Tanzarella,   elettivamente
domiciliato presso il primo in Milano, piazza Velasca, 5; 
    Contro Ministero della giustizia, con  l'Avvocatura  distrettuale
di  Milano,  ivi  domiciliata  per  legge  nei  suoi  uffici  di  via
Freguglia, 1; III Sottocommissione per gli esami  di  avvocato  (anno
2008) presso la Corte di Appello di Roma,  Sottocommissione  per  gli
esami di avvocato (anno 2008) presso la Corte d'Appello di Milano; 
    Per  l'annullamento  previa   sospensione   dell'efficacia,   del
provvedimento di non  ammissione  del  ricorrente  alla  prova  orale
dell'esame per il conseguimento dell'abilitazione all'esercizio della
professione forense (sessione 2008/2009), nonche' di tutti  gli  atti
connessi. 
    Visto il ricorso con i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'atto di  costituzione  in  giudizio  di  Ministero  della
giustizia; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno  19  novembre  2009  il
dott. Raffaello Gisondi  e  uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    Il ricorrente  ha  sostenuto  le  prove  scritte  dell'esame  per
l'abilitazione alla professione di avvocato, sessione 2008/2009,  non
risultando ammesso alla prova orale. 
    Avendo presentato istanza di accesso agli atti per  conoscere  la
motivazione del provvedimento  di  non  ammissione,  egli  ha  potuto
constatare che nel verbale della sottocommissione  che  ha  proceduto
alla correzione dei suoi elaborati era riportato  solamente  un  voto
numerico complessivo di 83/150 che non raggiungeva quello  minimo  di
90/150 necessario per poter superare la prova, scritta. 
    A supporto della espressione del voto in forma  numerica  non  si
trovava nemmeno traccia sugli stessi elaborati di segni  grafici  che
evidenziassero le parti non positivamente valutate dalla Commissione. 
    Il candidato e' cosi' insorto avverso  il  provvedimento  di  non
ammissione   presentando   ricorso   innanzi   a   questo   Tribunale
amministrativo con il quale ha denunciato la violazione dell'art.  22
del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578,  dell'art.  3  della  legge  n.
241/90, nonche' dei principi costituzionali in  materia  di  garanzia
del diritto di difesa e del giusto processo, lamentando, in sostanza,
l'impossibilita' di ricostruire l'iter logico attraverso il quale  la
Commissione e' pervenuta ad attribuirgli un giudizio di insufficienza
per carenza di idonea motivazione. 
    Non v'e' dubbio che, alla luce del quadro normativo che regola lo
svolgimento dell'esame di ammissione alla professione di avvocato  il
ricorso dovrebbe essere rigettato. 
    Infatti, l'articolo 23, quinto comma, del r.d. 22  gennaio  1934,
n. 37, come novellato dal d.l. 21 maggio  2003,  n.  112,  nel  testo
integrato dalla  relativa  legge  di  conversione,  dispone  che  «la
commissione  assegna  il  punteggio  a  ciascuno   dei   tre   lavori
raggruppati ai sensi dell'articolo 22, comma 4, dopo  la  lettura  di
tutti e tre, secondo le norme stabilite dall'articolo 17-bis». 
    L'articolo 24, primo comma, del r.d. 22 gennaio 1934, n. 37, come
novellato dal d.l. 21 maggio 2003, n. 112, nel testo integrato  dalla
relativa legge di conversione, dispone che «il voto  deliberato  deve
essere annotato immediatamente dal segretario, in tutte  lettere,  in
calce al lavoro. L'annotazione e'  sottoscritta  dal  presidente  dal
segretario». 
    L'articolo 17-bis, secondo comma, del r.d. 22  gennaio  1934,  n.
37, come novellato dal  d.l.  21  maggio  2003,  n.  112,  nel  testo
integrato dalla relativa legge di conversione dispone che  «...  alla
prova orale sono ammessi candidati che abbiano conseguito, nelle  tre
prove scritte, un punteggio complessivo di almeno 90 punti e  con  un
punteggio non inferiore a 30 punti per almeno due prove». 
    Le richiamate norme, secondo un  orientamento  del  Consiglio  di
Stato divenuto oramai costante,  escludono  che  la  commissione  che
procede   alla   correzione   degli   elaborati   debba    supportare
l'indicazione del voto numerico con un'ulteriore motivazione. 
    Anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 3 della legge n.  241/90
il Supremo  Consesso  ha,  infatti,  ripetutamente  affermato  che  i
provvedimenti  della  commissione   esaminatrice   -   che   rilevano
l'inidoneita' delle prove scritte -  vanno  di  per  se'  considerati
adeguatamente  motivati,  quando  si  fondano   su   voti   numerici,
attribuiti  in  base  ai  criteri  da  essa   predeterminati,   senza
necessita' di ulteriori spiegazioni e chiarimenti,  valendo  comunque
il voto a garantire la trasparenza della valutazione. 
    Questo   perche'   la    motivazione    espressa    numericamente
rappresenterebbe  in  se'  una  motivazione  sintetica,  ma  comunque
significativa ed idonea a  rendere  palese  la  valutazione  compiuta
dalla commissione che viene esternata attraverso la  graduazione  del
voto e la omogeneita' del giudizio attribuito all'elaborato dai  suoi
componenti. 
    Tanto  sarebbe  sufficiente  a  rendere  possibile  il  sindacato
giurisdizionale  sul  provvedimento  di  non  ammissione  alle  prove
scritte che, a fronte dell'ampio potere tecnico discrezionale che  la
legge intesta agli organi valutatori, puo' avvenire solo in  caso  di
espressione  di  giudizi  discordanti   fra   i   commissari   o   di
contraddizione tra specifici ed obiettivi elementi  di  fatto  con  i
criteri di massima prestabiliti e  la  conseguente  attribuzione  del
voto (da ultimo, Cons. Stato, IV, 22 dicembre 2009, n. 8628; sez. IV,
29 novembre 2009, n. 5846; sez. IV 10 aprile 2009, n. 2241; sez.  VI,
28 luglio 2008, n. 3710; sez. IV 7 luglio 2008, n. 3383). 
    Gia' in  passato  la  questione  di  compatibilita'  di  siffatta
disciplina   con   i   principi   costituzionali   che   garantiscono
l'imparzialita'  della  pubblica  amministrazione  e   il   sindacato
giurisdizionale sugli atti della p.a. e' stata rimessa  innanzi  alla
Corte costituzionale, la quale, tuttavia, dando  atto  dell'esistenza
di un diverso orientamento giurisprudenziale, propenso  ad  ammettere
la necessita' della motivazione  del  voto  numerico,  ha  dichiarato
manifestamente inammissibile la questione in  quanto  non  diretta  a
risolvere un dubbio di legittimita' costituzionale,  ma  ad  ottenere
l'avallo della Corte a  favore  di  una  determinata  interpretazione
della norma vigente (ordinanze n. 466 del 2000, n. 233 del  2001,  n.
419 del 2005 e n. 28 del 2006). 
    Tuttavia, da ultimo, la Corte costituzionale, prendendo atto  che
nella piu' recente evoluzione della giurisprudenza del  Consiglio  di
Stato la tesi della sufficienza del punteggio numerico  si  e'  ormai
consolidata, ha dichiarato che  il  citato  indirizzo  interpretativo
costituisce «diritto vivente» e' puo', quindi  essere  sottoposto  al
vaglio di costituzionalita' innanzi al giudice delle leggi (ordinanza
n. 20 del 2009). 
    La citata  ordinanza  ha  pero'  affermato  l'infondatezza  della
questione sotto i  parametri  di  costituzionalita'  prospettati  dal
giudice remittente che  ha  dedotto  il  contrasto  delle  norme  che
prevedono la sola votazione numerica con gli  artt.  24,  111  e  113
della Carta fondamentale. 
    Ha  osservato  la  Consulta  che  la  questione   relativa   alla
motivazione  del   punteggio   numerico   attiene   al   procedimento
amministrativo dell'esame per l'abilitazione alla professione forense
ed assume rilevanza ai fini della legittimita' del  provvedimento  di
esclusione del candidato. Essa,  quindi,  non  si  presta  ad  essere
scrutinata alla  luce  degli  articoli  della  Costituzione  invocati
nell'ordinanza   di   rimessione   i   quali    riguardano    profili
specificamente processuali. 
    Gli artt. 24 e 113 della costituzionale sono,  infatti,  volti  a
presidiare  l'adeguatezza  degli  strumenti   processuali   posti   a
disposizione dall'ordinamento per  la  tutela  dei  diritti  e  degli
interessi legittimi; e, del pari, anche l'art.  111  della  Carta  e'
funzionale ad assicurare la parita' delle parti nel processo. 
    Nessuna di tali garanzie e' messa in discussione dalla norma  che
prevede la sufficienza del  mero  punteggio  numerico  la  quale  non
preclude che il candidato  non  ammesso  agli  orali  possa  proporre
ricorso innanzi al giudice amministrativo. 
    La citata ordinanza della Corte, limitando la propria portata  ai
profili strettamente processuali della questione, ha lasciato  aperta
la  porta  ad  uno  scrutinio  di  costituzionalita'  della   mancata
previsione della motivazione del voto numerico ai fini  del  giudizio
di abilitazione alla professione di avvocato  alla  luce  di  diversi
parametri concernenti gli aspetti  sostanziali  dell'esercizio  della
potesta' amministrativa. 
    Prendendo atto di cio', il Collegio intende,  quindi,  riproporre
la questione di costituzionalita' della richiamata  disciplina  sotto
diversi profili. 
    Viene  in  primo  luogo  in  rilevo   lo   stretto   collegamento
sussistente  fra  il   requisito   della   motivazione   degli   atti
amministrativi  ed  i  principi  di  imparzialita'   della   pubblica
amministrazione ed uguaglianza rispettivamente sanciti dagli artt. 97
e 3 Cost. 
    La   motivazione   si   riconnette,    infatti,    alla    natura
funzionalizzata del potere discrezionale della p.a.  ed  e'  volta  a
renderne trasparente e controllabile  l'esercizio,  garantendo  cosi'
l'imparzialita'  dell'azione   amministrativa   e   la   parita'   di
trattamento dei cittadini di fronte alla pubblica amministrazione. 
    Invero, proprio il  carattere  inevitabilmente  soggettivo  delle
scelte discrezionali, impone che  la  p.a.  debba  rendere  palesi  i
presupposti di fatto e i criteri di valore su cui esse si fondano  al
fine di fugare ogni sospetto di  arbitrio  irragionevolezza  nell'uso
del potere. 
    Sulla  base  di  tali  assunti  il  principio  della   necessaria
motivazione degli atti amministrativi, gia' in  epoca  risalente,  e'
stato affermato dalla Corte costituzionale, la quale ha ravvisato  in
esso un baluardo dei cittadini  contro  un  esercizio  arbitrario  ed
incontrollato del potere discrezionale eretto a garanzia dei  diritti
soggettivi che ne possono essere incisi (sentenze nn. 12/65 e 12/72). 
    In altra occasione la Consulta, ha avuto modo di affermare che la
motivazione degli  atti  amministrativi  e'  altresi'  funzionale  al
controllo democratico esercitato dal parlamento su scelte latu  sensu
politiche dell'esecutivo (sentenza n. 86/77). 
    Piu' di recente, il Giudice delle leggi in plurime  occasioni  ha
stabilito che i principi sanciti dalla legge  n.  241  del  1990  con
riguardo al giusto procedimento ed alla la regola  della  motivazione
degli  atti  trovano  oggi   copertura   costituzionale   discendendo
direttamente  dall'art.  97  della  Carta  fondamentale,  in   quanto
l'esternazione delle  ragioni  che  stanno  alla  base  delle  scelte
amministrative ne garantisce  la  trasparenza  e  la  verificabilita'
anche in funzione del relativo controllo giurisdizionale (Corte cost.
n. 103/2007 seguita poi da Corte cost. 28 novembre  2008,  n.  390  e
Corte cost. 5 febbraio 2010, n. 34, tutte in tema di spoil system, ma
anche Corte cost. 9 novembre 2007, n. 377 in tema di responsabile del
procedimento nei procedimenti tributari). 
    Se la regola  della  motivazione  degli  atti  amministrativi  ha
assunto rilevanza costituzionale non  si  ravvisano  ragioni  perche'
essa non debba  applicarsi  anche  nei  procedimenti  valutativi  che
comportano la correzione di elaborati scritti nell'ambito di concorsi
pubblici o, come nel caso di specie, di esami  di  abilitazione  allo
svolgimento di professioni. 
    Al riguardo occorre svolgere alcune considerazioni. 
    In  primo  luogo  non  pare  esatto  l'assunto  secondo  cui   la
motivazione sarebbe richiesta soltanto nel caso  di  esercizio  della
discrezionalita'  amministrativa  cd.  «pura»,  comportante,   cioe',
scelte comparative di interessi. 
    Infatti  anche  la  cd.  «discrezionalita'  tecnica»  costituisce
manifestazione di un potere riservato alla p.a. le  cui  scelte,  sia
pur limitate ad alternative tecnicamente  plausibili  alla  luce  dei
dettami   di   una   certa   disciplina,    richiedono    un'adeguata
giustificazione quanto al criterio scientifico prescelto ed alla  sua
applicazione al caso concreto. 
    Sono noti, infatti, i recenti sviluppi giurisprudenziali che, pur
avendo  ampliato  rispetto  al   passato   l'ambito   del   sindacato
giurisdizionale sulla discrezionalita' tecnica, hanno, in ogni  caso,
definitivamente consacrato  la  regola  secondo  cui,  salvo  per  le
discipline che consentono  accertamenti  scientifici  non  opinabili,
nell'operare il controllo sui  giudizi  tecnici  della  p.a.  giudice
amministrativo    non    puo'     sostituirsi     all'amministrazione
nell'apprezzamento  della  fattispecie  concreta,  ma  deve   operare
attraverso un sindacato cd «indiretto» che ha, cioe', ad oggetto  non
il fatto ma la correttezza della valutazione che  ne  ha  operato  la
p.a.  anche  sulla  base  della  verifica  della  attendibilita'  del
criterio scientifico applicato. 
    Un siffatto sindacato,  postula,  quindi,  che  l'amministrazione
rappresenti,    attraverso    la     motivazione,     i     parametri
tecnico-scientifici che ha ritenuto di fare propri ed il modo in  cui
essi sono stati applicati  al  caso  concreto.  In  difetto  di  tale
esternazione (che, non necessariamente deve essere  formalizzata  nel
provvedimento finale, ben potendo desumersi dagli  atti  preparatori)
non appare possibile operare il sindacato «indiretto» di  cui  si  e'
detto sopra, mancandone proprio l'oggetto. 
    Sicche', non essendo consentito al giudice amministrativo,  o  ad
un  qualsiasi  organo  che  eserciti  un  controllo  di  legittimita'
sull'operato della p.a.,  operare  un  autonomo  apprezzamento  della
situazione  di  fatto,  qualora  non   si   ritenga   necessaria   la
motivazione,  le  scelte  tecniche  compiute  della  p.a.   finiscono
inevitabilmente in un cono d'ombra posto al riparo da  ogni  giudizio
esterno. 
    Reputa il collegio come tale difetto di trasparenza si  ponga  in
inevitabile contrasto con il principio di imparzialita' che  postula,
invece,   la   conoscibilita'   e   la   pubblicita'   delle   scelte
amministrative,  finendo  anche  per  riverberarsi  a   danno   della
posizione di uguaglianza e pari dignita'  di  tutti  i  cittadini  di
fronte all'esercizio del potere amministrativo. 
    In secondo luogo, all'applicazione della regola della motivazione
degli atti amministrativi anche ai giudizi sulle prove dei  candidati
che partecipano a concorsi pubblici o ad esami di  abilitazione,  non
puo'  ostare  l'argomento   secondo   cui,   in   tali   fattispecie,
l'imparzialita'   dell'amministrazione   e'   gia'   sufficientemente
garantita dal carattere necessariamente tecnico e non politico  degli
organi amministrativi che procedono alla correzione  degli  elaborati
(Corte  cost.  n.  453/90).  Infatti,  la  trasparenza  delle  scelte
amministrative deve essere assicurata anche quando esse sono  assunte
da organi tecnici, poiche' il carattere non politico dell'organo  non
vale ad assicurare che l'esercizio della funzione pubblica avvenga in
modo imparziale e scevro da deviazioni o favoritismi. 
    Prova ne'  e'  che  il  fatto  che  la  motivazione  costituisce,
pacificamente, un elemento necessario anche degli atti adottati dalle
Autorita'  indipendenti  (connotate  da  un  elevatissimo  tasso   di
tecnicita' e separazione dal circuito politico) e  dai  dirigenti  (a
cui la normativa vigente assegna anche il ruolo di  componenti  delle
commissioni  di  concorso)  i  quali,  pure,   fondano   la   propria
legittimazione a ricoprire  cariche  di  responsabilita'  sulle  loro
capacita' tecniche dimostrate mediante  il  superamento  di  appositi
concorsi o attraverso il conseguimento  di  positive  valutazioni  in
ordine al loro precedente operato. 
    Peraltro, la specifica materia  dei  concorsi  pubblici  e  degli
esami di abilitazione coinvolge interessi di  rilievo  costituzionale
sia sotto il profilo dell'accesso al lavoro subordinato  o  autonomo,
sia sotto il profilo della delicatezza dei compiti  che  i  candidati
che li superano saranno poi chiamati a svolgere. 
    Anche limitando il  discorso  agli  esami  di  abilitazione  alla
professione forense, l'interesse dei candidati che accedono all'esame
di abilitazione trova tutela sia nell'art. 4 che nell'art. 41  Cost.,
mentre, per converso, e'  evidente  l'interesse  della  collettivita'
alla  adeguatezza  e  preparazione  della  classe   forense,   atteso
l'imprescindibile ruolo degli avvocati ai fini  della  rappresentanza
in giudizio, e, quindi, dell'esercizio del diritto di  difesa,  anche
esso costituzionalmente tutelato dall'art. 24 Cost. 
    La trasparenza dell'operato  delle  commissioni  degli  esami  di
abilitazione  si  impone,  quindi,  anche  in   forza   del   rilievo
costituzionale dei predetti  interessi,  dovendo  tali  organi  poter
rispondere sia di fronte alla collettivita' in ordine  alla  garanzia
di professionalita' dei candidati che superano l'esame, sia di fronte
agli stessi aspiranti all'esercizio della professione. 
    Con riguardo a questi ultimi, in particolare, vengono in  rilievo
posizioni di  vero  e  proprio  interesse  legittimo  (aventi  natura
sostanziale non solo processuale) i cui standard  minimi  di  tutela,
anche  per  il  segnalato  rilievo  costituzionale  degli   interessi
coinvolti, non possono essere rimessi  alle  scelte  contingenti  del
legislatore. 
    Invero, la tutela costituzionale degli  interessi  legittimi  non
deriva soltanto dalle disposizioni di carattere  processuale  che  ne
garantiscono l'azionabilita' innanzi al giudice amministrativo,  come
gli artt. 24 e 113 della Carta fondamentale, ma  prende  corpo  anche
alla luce dello  statuto  sostanziale  dell'attivita'  amministrativa
sancito dagli artt. 97 e 98 del medesimo testo,  statuto  che,  oggi,
alla  luce   della   richiamata   evoluzione   della   giurisprudenza
costituzionale, incorpora anche i principi del giusto procedimento  e
della motivazione delle scelte amministrative. 
    Tali principi, peraltro, non sono di esclusiva  pertinenza  della
legislazione  interna  ma  costituiscono   parte   del   «patrimonio»
costituzionale comune dei Paesi europei» in forza dell'art.  253  del
Trattato istitutivo delle Comunita' europee ed operano, quindi, anche
nell'ordinamento interno come norme interposte in forza del  richiamo
operato dall'art. 117 Cost. (Corte costituzionale n. 17  marzo  2006,
n. 104). 
    Affermata, dunque, la rilevanza costituzionale della  regola  che
impone l'obbligo di motivazione degli atti amministrativi  e  la  sua
applicabilita' anche ai giudizi tecnici di idoneita'  espressi  dalle
commissioni degli esami di  stato  per  l'abilitazione  all'esercizio
della professione forense,  ai  fini  dell'adempimento  del  predetto
obbligo la mera  espressione  del  voto  numerico  appare  del  tutto
insufficiente. 
    Invero, se la funzione della motivazione  e'  quella  di  rendere
trasparente, conoscibile e controllabile ab externo la scelta tecnica
operata dagli organi giudicanti, tale compito non puo'  certo  essere
assolto dalla mera espressione di una cifra numerica. 
    Come si e'  gia'  detto  la  motivazione  delle  scelte  tecniche
comporta l'esternazione dei  criteri  prescelti  dall'amministrazione
(fra i vari consentiti  dalla  disciplina  di  riferimento)  e  della
modalita' con cui di tali criteri si e' fatta  applicazione  al  caso
concreto. 
    Nel caso degli esami di abilitazione il  d.l.  n.  112/03  impone
solo la predisposizione  dei  criteri  di  valutazione  che  dovranno
essere seguiti dalle commissioni di valutazioni  (art.  22),  ma  non
prescrive anche di rendere  in  qualche  modo  palese  l'iter  logico
attraverso il quale di tale  criteri  si  faccia  applicazione  nella
correzione  di  ciascun  elaborato.  Il  punteggio  numerico  indica,
infatti, il risultato della valutazione ma non consente in alcun modo
di comprendere quali elementi dell'elaborato siano stati  considerati
dalla commissione in modo negativo o positivo alla luce  dei  criteri
prestabiliti. Al candidato, in sostanza, viene tautologicamente detto
«hai preso cinque perche' hai meritato cinque», in  cio'  esaurendosi
la formula  «sintetica  ma  eloquente»  che  dovrebbe  costituire  la
motivazione del mancato superamento dell'esame. 
    Cio' comporta, tuttavia, un palese scadimento della trasparenza e
dell'imparzialita'  dell'azione  amministrativa   in   quanto   viene
impedita ogni forma di controllo sulla scelta  tecnico  discrezionale
compiuta dalla commissione. 
    Infatti, per le ragioni gia' viste, da un lato il sindacato sulla
correttezza del  voto  assegnato  non  puo'  avvenire  attraverso  un
apprezzamento  diretto  della  prova,  nemmeno  in  applicazione  dei
medesimi criteri stabiliti dalla commissione,  e  dall'altro,  pero',
viene impedita anche  la  possibilita'  di  esercitare  un  sindacato
indiretto sulla valutazione  effettuata  dalla  commissione,  che  il
giudice  non  puo'  compiere  a  causa  della  mancata   esternazione
dell'iter  logico  da  essa  seguito  per  giungere  alla   votazione
numerica. 
    E, del resto, il  voto  numerico  non  appare  nemmeno  idoneo  a
garantire una trasparenza di giudizio  ai  fini  della  tutela  della
collettivita' e degli utenti del servizio giustizia in quanto pone in
ombra  le  modalita'  attraverso  le  quali  le   commissioni   hanno
attribuito giudizi positivi ai candidati  che,  avendo  superato  gli
esami, hanno accesso alla professione forense. 
    Per le suddette ragioni  il  Collegio  ritiene  rilevante  e  non
manifestamente   infondata   la    questione    della    legittimita'
costituzionale degli artt. 23, quinto  comma,  del  r.d.  22  gennaio
1934, n. 37, come novellato dal d.l. 21  maggio  2003,  n.  112,  nel
testo integrato dalla relativa legge di conversione, 24, primo comma,
del r.d. 22 gennaio 1934, n. 37, come novellato dal  d.l.  21  maggio
2003,  n.  112,  nel  testo  integrato  dalla   relativa   legge   di
conversione; 17-bis, secondo comma, del r.d. 22 gennaio 1934, n.  37,
come novellato dal d.l. 21 maggio 2003, n. 112, nel  testo  integrato
dalla relativa legge  di  conversione,  nella  parte  in  cui,  essi,
secondo  l'interpretazione  giurisprudenziale,  costituente   diritto
vivente, consentono che i giudizi di non ammissione dei candidati che
partecipano agli  esami  di  abilitazione  alla  professione  forense
possano essere motivati  con  l'attribuzione  di  un  mero  punteggio
numerico. 
    In particolare la Sezione dubita che la suddetta  disciplina  sia
compatibile  con  gli  artt.  97,  3,  4,  41  e   24   della   Carta
Costituzionale, nonche' con l'art. 253 del Trattato Costitutivo della
CE il quale, costituendo «patrimonio costituzionale comune dei  paesi
europei», assurge al rango  di  norma  costituzionale  interposta  ai
sensi dell'art. 117 Cost. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli articoli 1 della legge costituzionale 9 febbraio  1948,
n. 1 e 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale degli  articoli  23,  quinto  comma,  24,
primo comma, e 17-bis, secondo comma, del r.d. 22  gennaio  1934,  n.
37, come novellato dal  d.l.  21  maggio  2003,  n.  112,  nel  testo
integrato dalla relativa legge di conversione, per  violazione  degli
articoli 3, 4, 41, 24 e 97 della Costituzione; 
    Sospende il giudizio; 
    Ordina la trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale,
disponendo la notifica della presente ordinanza alla  Presidenza  del
Consiglio dei ministri e alle parti in causa e  la  comunicazione  ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento; 
    Manda alla cancelleria per l'esecuzione. 
    Cosi' deciso in Milano nella camera di consiglio  del  giorno  19
novembre 2009. 
 
                       Il Presidente: Giordano 
 
 
                                                 L'estensore: Gisondi