N. 96 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 28 settembre 2010
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 28 settembre 2010 (della Regione Valle d'Aosta). Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Economie negli Organi costituzionali, di governo e negli apparati politici - Incarichi conferiti dalle pubbliche amministrazioni ai titolari di cariche elettive, inclusa la partecipazione ad organi collegiali - Previsione che diano luogo esclusivamente al rimborso delle spese sostenute e che eventuali gettoni di presenza non possano superare l'importo di 30 euro a seduta - Lamentata introduzione di una misura di contenimento della spesa pubblica di estremo dettaglio - Ricorso della Regione Valle d'Aosta - Denunciata lesione delle attribuzioni statutarie in materia di "finanze regionali", esorbitanza dai limiti costituzionali imposti allo Stato nella materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica, indebita compressione dell'autonomia finanziaria di spesa. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 5, comma 5. - Costituzione, artt. 117, comma terzo, e 119, comma secondo; legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 10; statuto della Regione Valle d'Aosta, art. 3, comma 1, lett. f). Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Riduzione dei costi degli apparati amministrativi - Misure di vario contenuto volte al contenimento della spesa pubblica, quali la riduzione delle indennita', compensi, gettoni, retribuzioni o altre utilita' corrisposti ai componenti di organi collegiali e ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo, riduzione del numero dei componenti di organi collegiali, riduzione della spesa annua per studi ed incarichi di consulenza, riduzione di spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicita' e rappresentanza, divieto di sponsorizzazioni, riduzione di spese per missioni, formazione e auto, divieti in materia di attivita' societaria - Lamentata introduzione di puntuali e dettagliate limitazioni a singole voci di spesa degli enti pubblici, anche regionali e comunali - Ricorso della Regione Valle d'Aosta - Denunciata lesione delle attribuzioni statutarie, legislative e amministrative, in materia di "ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale", in materia di "ordinamento degli enti locali", in materia di "finanze regionali e comunali", esorbitanza dai limiti costituzionali imposti allo Stato nella materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica, lesione dell'autonomia finanziaria regionale, violazione del principio di ragionevolezza. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 6, commi 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 12, 13, 14, 19 e 20, primo periodo. - Costituzione, artt. 117, commi terzo e quarto, e 119, comma secondo; legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 10; statuto della Regione Valle d'Aosta, artt. 2, comma 1, lett. a) e b), 3, comma 1, lett. f) ed l), e 4. Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Contenimento delle spese in materia di impiego pubblico - Divieto per le pubbliche amministrazioni di incrementare le risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale anche di livello dirigenziale rispetto agli importi stanziati per l'anno 2010 - Divieto, riferito ai rinnovi contrattuali del personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni per il biennio 2008/2009, di determinare aumenti retributivi superiori al 3,2 per cento, anche con riguardo ai contratti e agli accordi gia' stipulati - Obbligo per le Regioni, le Province autonome e gli enti del Servizio sanitario nazionale di ridurre del 50 per cento la spesa sostenuta nell'anno 2009 per il personale a tempo determinato o utilizzato con convenzioni o con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, salva prevista deroga - Previsione che le disposizioni predette costituiscano principi generali ai fini del coordinamento della finanza pubblica ai quali si adeguano le Regioni, le Province autonome e gli enti del Servizio sanitario nazionale - Lamentata introduzione di norme puntuali e dettagliate che non lasciano al legislatore regionale alcun margine di discrezionalita', lamentato carico alla sola Regione dell'onere di istituire risorse aggiuntive per i contratti a tempo determinato prorogati in virtu' della deroga - Ricorso della Regione Valle d'Aosta - Denunciata lesione delle attribuzioni statutarie, legislative e amministrative, in materia di "ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale" e in materia di "ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni", esorbitanza dai limiti costituzionali imposti allo Stato nella materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica, lesione dell'autonomia finanziaria della Regione, lesione dell'autonomia finanziaria dei comuni. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, artt. 9, commi 2-bis, 4 e 28, e 14, comma 24-bis. - Costituzione, artt. 117, commi terzo e quarto, e 119, comma secondo; legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 10; statuto della Regione Valle d'Aosta, artt. 2, comma 1, lett. a) e b), 3, comma 1, lett. f) ed l), 4, comma 1, e 12, e relative norme di attuazione. Amministrazione pubblica - Partecipazioni pubbliche - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Divieto ai Comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti di costituire societa' e obbligo di liquidare le partecipazioni gia' detenute entro il 31 dicembre 2011 - Limitazione del numero delle societa' partecipabili per i Comuni con popolazione superiore a 30.000 abitanti - Previsione di decreto ministeriale per la determinazione delle modalita' attuative - Lamentata indebita compressione dell'autonomia organizzativa della Regione, introduzione di norme puntuali e autoapplicative, mancanza di coinvolgimento della Regione - Ricorso della Regione Valle d'Aosta - Denunciata violazione della competenza legislativa e regolamentare della Regione in materia di "ordinamento degli enti locali" e in materia di "finanze comunali", esorbitanza dai limiti costituzionali imposti allo Stato in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa e in materia di coordinamento della finanza pubblica, lesione del principio di leale collaborazione. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 14, comma 32. - Costituzione, artt. 5, 117, commi secondo, lett. g), quarto e sesto, 119, comma secondo, e 120; legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 10; statuto della Regione Valle d'Aosta, artt. 2, comma 1, lett. b), e 3, comma 1, lett. f). Amministrazione pubblica - Iniziativa economica privata - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Introduzione della "Segnalazione certificata di inizio attivita'" (SCIA) sostitutiva della "Denuncia di inizio attivita'" (DIA) - Lamentata modifica con norma statale della preesistente normativa sia statale che regionale - Dichiarazione che la disciplina predetta attiene alla tutela della concorrenza e costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali - Lamentata erroneita' della autoqualificazione, ritenuta incidenza su ambiti di legislazione regionale di natura esclusiva o concorrente, in subordine mancanza di coinvolgimento della Regione - Ricorso della Regione Valle d'Aosta - Denunciata violazione della competenza legislativa della Regione in materia di artigianato, industria alberghiera, turismo e tutela del paesaggio, industria e commercio, urbanistica, piani regolatori per zone di particolare importanza turistica, lesione del principio di leale collaborazione. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 49, comma 4-ter, modificativo dell'art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241. - Costituzione, artt. 5, 117 e 120; legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 10; statuto della Regione Valle d'Aosta, artt. 2, comma 1, lett. g), p) e q), e 3, comma 1, lett. a), e relative norme di attuazione. Amministrazione pubblica - Iniziativa economica privata - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Semplificazione e riduzione degli adempimenti amministrativi gravanti sulle piccole e medie imprese - Previsione dello strumento della delegificazione e definizione dei principi e criteri direttivi da seguirsi nell'adozione dei regolamenti governativi - Lamentata incidenza su ambiti di legislazione regionale di natura esclusiva o concorrente, in subordine mancanza di coinvolgimento della Regione - Ricorso della Regione Valle d'Aosta - Denunciata violazione della competenza legislativa e regolamentare della Regione in materia di artigianato, industria alberghiera, turismo e tutela del paesaggio, industria e commercio, urbanistica, piani regolatori per zone di particolare importanza turistica, lesione del principio di leale collaborazione. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 49, commi 4-quater e 4-quinquies. - Costituzione, artt. 5, 117, commi quarto e sesto, e 120; legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 10; statuto della Regione Valle d'Aosta, artt. 2, comma 1, lett. g), p) e q), e 3, comma 1, lett. a), e relative norme di attuazione.(GU n.45 del 10-11-2010 )
Ricorso della Regione Valle d'Aosta, con sede in Aosta, P.zza Deffeyes, n. 1, c.f. n. 80002270074, in persona del Presidente pro tempore, Augusto Rollandin, rappresentato e difeso, in forza di procura a margine del presente atto ed in virtu' della Deliberazione della Giunta regionale n. 2519 del 2010, dal Prof. Avv. Francesco Saverio Marini (c.f. MRNFNC73D28H501U), presso il cui studio in Roma, via dei Monti Parioli n. 48, ha eletto domicilio, ricorrente; Contro il Governo della Repubblica, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, con sede in Roma, Palazzo Chigi, Piazza Colonna n. 370, resistente, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica», convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, pubblicata nel supplemento ordinario n. 174 alla Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 176 del 30 luglio 2010, limitatamente all'art. 5, comma 5, art. 6, commi 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 12, 13, 14, 19, e 20, primo periodo, art. 9, commi 2-bis, 4 e 28, art. 14, commi 24-bis e 32, art. 49, commi 4-ter, 4-quater, 4-quinquies. F a t t o 1. - Il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122- pubblicata nel supplemento ordinario n. 174 alla Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 176 del 30 luglio 2010 - reca «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica». 2. - Alcune delle norme contenute nel citato decreto appaiono, tuttavia, lesive dell'autonomia legislativa, finanziaria ed organizzativa della Regione Autonoma Valle d'Aosta. Si tratta, in estrema sintesi, delle seguenti previsioni normative: del comma 5 dell'articolo 5, nella parte in cui dispone che lo svolgimento di qualsiasi incarico conferito dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 3, della legge n. 196/2009 ai titolari di cariche elettive, inclusa la partecipazione ad organi collegiali, puo' dar luogo unicamente al rimborso delle spese sostenute; dei commi 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 12, 13, 14 e 19 dell'articolo 6, nella parte in cui impongono misure di vario contenuto volte al contenimento della spesa pubblica, le quali, ai sensi del primo periodo del comma 20 del medesimo articolo, «non si applicano direttamente alle regioni, alle province autonome e agli enti del servizio sanitario regionale per i quali costituiscono disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica»; dei commi 2-bis, 4 e 28 dell'articolo 9, letti congiuntamente all'art. 14, comma 24-bis, nella parte in cui, rispettivamente, dispongono: a) il divieto per le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001 di incrementare le risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale anche di livello dirigenziale rispetto agli importi stanziati per l'anno 2010; b) il divieto, riferito ai rinnovi contrattuali del personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni per il biennio 2008/2009, di determinare aumenti retributivi superiori al 3,2 per cento, anche con riguardo ai contratti e agli accordi gia' stipulati, le cui clausole eventualmente difformi sono dichiarate inefficaci; c) l'obbligo per le regioni, le province autonome e gli enti del Servizio sanitario nazionale di ridurre del 50 per cento la spesa sostenuta nell'anno 2009 per il personale a tempo determinato o utilizzato con convenzioni o con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, salva la possibilita' indicata al citato articolo 14, comma 24-bis, di superare il predetto limite in ragione della proroga dei rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati dalle regioni a statuto speciale e dagli enti territoriali facenti parte delle predette regioni, a valere sulle risorse finanziarie aggiuntive appositamente reperite da queste ultime attraverso apposite misure di riduzione razionalizzazione della spesa certificata dagli organi di controllo interno, con obbligo a carico di tali amministrazioni di attingere prioritariamente per l'attuazione dei processi assunzionali ai lavoratori interessati dalle predette proroghe; del comma 32 dell'articolo 14, nella parte in cui vieta ai comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti di costituire societa', obbligandoli a liquidare le partecipazioni gia' detenute entro il 31 dicembre 2011, e limita il numero delle societa' partecipabili per i comuni con popolazione superiore a 30.000 abitanti, nonche' nella parte in cui demanda ad un decreto del Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e per le riforme per il federalismo, la determinazione delle modalita' attuative della disposizione in argomento e ulteriori ipotesi di esclusione del relativo ambito di applicazione. Oggetto di censura e' altresi' la disciplina recata dall'art. 49 del decreto-legge n. 78/2010, sulla quale e' opportuno soffermarsi sin d'ora, data la complessita' delle questioni che la stessa pone. L'art. 49 contiene disposizioni in materia di conferenza di servizi, apportando una pluralita' di modifiche alla disciplina dell'istituto, dettata dalla legge 7 agosto 1990, n. 241. In particolare, l'art. 49, comma 4-bis, sostituisce integralmente l'art. 19 della legge n. 241/1990, introducendo la «Segnalazione certificata di inizio attivita'» (SCIA) e prevedendo che tale Segnalazione sostituisca la «Denuncia di inizio attivita'» (DIA). L'art. 49, comma 4-ter, , dispone che il comma 4-bis del medesimo art. 49 «attiene alla tutela della concorrenza ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, e costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi della lettera m) del medesimo comma», prevedendo altresi' che «le espressioni "segnalazione certificata di inizio attivita'" e "Scia" sostituiscono, rispettivamente, quelle di "dichiarazione di inizio attivita'" e "Dia", ovunque ricorrano, anche come parte di una espressione piu' ampia». Infine, il comma 4-ter stabilisce che «la disciplina di cui al comma 4-bis sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, quella della dichiarazione di inizio attivita' recata da ogni normativa statale e regionale». Nel presente ricorso si denunzia l'illegittimita' costituzionale dell'art. 49, comma 4-ter, del decreto-legge n. 78/2010. Tuttavia, poiche' tale disposizione introduce una disciplina «complementare» rispetto a quella dettata dal comma precedente (comma 4-bis), regolandone, in particolare, gli effetti normativi, e' opportuno richiamare brevemente anche il contenuto della disciplina contenuta nell'art. 49, comma 4-bis, del decreto. Il comma 1 dell'art. 19 della legge n. 241/1990, cosi' come sostituito dall'art. 49, comma 4-bis, del d.1. n. 78/2010, dispone che «ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio di attivita' imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli stessi, e' sostituito da una segnalazione dell'interessato, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza, all'amministrazione della giustizia, all'amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonche' di quelli imposti dalla normativa comunitaria». Il medesimo comma disciplina altresi' la presentazione di certificazioni, attestazioni e dichiarazioni che devono corredare la segnalazione di inizio attivita' da parte dell'interessato. I successivi commi del novellato art. 19 prevedono che «l'attivita' oggetto della segnalazione puo' essere iniziata dalla data della presentazione della segnalazione all'amministrazione competente» (comma 2) e che quest'ultima, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti richiesti, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione, «adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attivita' e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove cio' sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attivita' ed i suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni» (comma 3). Lo stesso comma 3 fa salvo il potere dell'amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela e prevede che, in caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorieta' false o mendaci, l'amministrazione «puo' sempre e in ogni tempo adottare i provvedimenti di cui al primo periodo», ferma restando l'applicazione delle sanzioni penali previste dal successivo comma 6 (in base al quale «ove il fatto non costituisca piu' grave reato, chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che corredano la segnalazione di inizio attivita', dichiara o attesta falsamente l'esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al comma 1 e' punito con la reclusione da uno a tre anni»), nonche' di quelle di cui al capo VI del testo unico adottato col decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. Il comma 4 dell'art. 19 della legge n. 241/1990, cosi' come sostituito dall'art. 49, comma 4-bis, del decreto-legge n. 78/2010, dispone poi che «decorso il termine per l'adozione dei provvedimenti di cui al primo periodo del comma 3, all'amministrazione e' consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell'impossibilita' di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell'attivita' dei privati alla normativa vigente». Infine, il comma 5 dell'art. 19 della legge n. 241/1990, cosi' come sostituito dall'art. 49, comma 4-bis, del decreto-legge n. 78/2010, prevede che lo stesso art. 19 «non si applica alle attivita' economiche a prevalente carattere finanziario» e dispone altresi' che ogni controversia relativa all'applicazione del medesimo art. 19 e' devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e che il relativo ricorso giurisdizionale, esperibile da qualunque interessato nei termini di legge, puo' riguardare anche gli atti di assenso formati in virtu' delle norme sul silenzio assenso previste dall'art. 20 della legge n. 241/1990. L'art. 49 del decreto-legge n. 78/2010 introduce, ai commi 4-quater e 4-quinquies, una disciplina volta alla semplificazione e riduzione degli adempimenti amministrativi gravanti sulle piccole e medie imprese, prevedendo il ricorso allo strumento della delegificazione. In particolare, il citato art. 49, comma 4-quater, dispone che, «al fine di promuovere lo sviluppo del sistema produttivo e la competitivita' delle imprese, anche sulla base delle attivita' di misurazione degli oneri amministrativi di cui all'articolo 25 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, il Governo e' autorizzato ad adottare uno o piu' regolamenti ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione, per la semplificazione normativa e dello sviluppo economico, sentiti i Ministri interessati e le associazioni imprenditoriali, volti a semplificare e ridurre gli adempimenti amministrativi gravanti sulle piccole e medie imprese, in base ai seguenti principi e criteri direttivi, nel rispetto di quanto previsto dagli articoli 20, 20-bis e 20-ter della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni: a) proporzionalita' degli adempimenti amministrativi in relazione alla dimensione dell'impresa e al settore di attivita', nonche' alle esigenza di tutela degli interessi pubblici coinvolti; b) eliminazione di autorizzazioni, licenze, permessi, ovvero di dichiarazioni, attestazioni, certificazioni, comunque denominati, nonche' degli adempimenti amministrativi e delle procedure non necessarie rispetto alla tutela degli interessi pubblici in relazione alla dimensione dell'impresa ovvero alle attivita' esercitate; c) estensione dell'utilizzo dell'autocertificazione, delle attestazioni e delle asseverazioni dei tecnici abilitati nonche' delle dichiarazioni di conformita' da parte dell'Agenzia delle imprese di cui all'articolo 38, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133; d) informatizzazione degli adempimenti e delle procedure amministrative, secondo la disciplina del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante codice dell'amministrazione digitale; e) soppressione delle autorizzazioni e dei controlli per le imprese in possesso di certificazione ISO o equivalente, per le attivita' oggetto di tale certificazione; f) coordinamento delle attivita' di controllo al fine di evitare duplicazioni e sovrapposizioni, assicurando la proporzionalita' degli stessi in relazione alla tutela degli interessi pubblici coinvolti». L'art. 49, comma 4-quinquies, prevede che i regolamenti di cui al succitato comma 4-quater sono emanati entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 78/2010 ed entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla data della loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Con effetto dalla data di entrata in vigore dei predetti regolamenti sono abrogate le norme, anche di legge, regolatrici dei relativi procedimenti. Tali interventi confluiscono nel processo di riassetto di cui all'art. 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59. 3. - Cio' premesso, con il presente ricorso la Regione autonoma Valle d'Aosta, come in epigrafe rappresentata e difesa, impugna il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, limitatamente alle norme piu' sopra menzionate, in quanto lesive delle proprie attribuzioni costituzionali e statutarie, e ne chiede,pertanto, la declaratoria di illegittimita' costituzionale alla luce dei seguenti motivi di D i r i t t o I. Illegittimita' costituzionale della norma contenuta nel comma 5, dell'art. 5, del decreto-legge n. 78 del 2010 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, per violazione dell'art. 3, comma 1, lett. f), dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta (legge cost. n. 4 del 1948), nonche' degli articoli 117, comma 3 e 119, comma 2, Cost., in combinato disposto con l'art. 10, legge cost. n. 3 del 2001. 1. - L'art. 5, comma 5, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito con modificazioni dalla legge n. 122 del 2010, dispone quanto segue: «Ferme le incompatibilita' previste dalla normativa vigente, nei confronti dei titolari di cariche elettive lo svolgimento di qualsiasi incarico conferito dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009 n. 196, inclusa la partecipazione ad organi collegiali di qualsiasi tipo, puo' dar luogo esclusivamente al rimborso delle spese sostenute. Eventuali gettoni di presenza non possono superare l'importo di 30 euro a seduta». Con tale disposizione, come risulta evidente dalla semplice lettura della stessa, il legislatore statale ha stabilito il divieto assoluto di corresponsione di indennita', di qualsivoglia genere in favore dei titolari di cariche elettive per le prestazioni svolte su incarico delle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 3, della legge di contabilita' e finanza pubblica 31 dicembre 2009, n. 196. I soggetti contemplati dalla norma impugnata, infatti, potranno beneficiare unicamente del rimborso delle spese sostenute in occasione dell'espletamento dell'incarico loro conferito. In proposito e' bene rilevare, anzitutto, la sostanziale differenza esistente tra rimborso spese ed indennita', atteso che queste ultime, diversamente dai rimborsi, si configurano quali somme di denaro dovute a titolo di corrispettivo, caratterizzate da contenuto patrimoniale e dalla proporzionalita' (in base ai criteri stabiliti di volta in volta dalla legge) alla prestazione effettuata. I rimborsi spese, invece, assolvono ad una funzione meramente reintegrativa dei costi anticipati dal beneficiario. Ebbene, la norma recata dall'art. 5, comma 5, del decreto-legge n. 78/2010 risulta illegittima poiche' lede le attribuzioni statutarie e costituzionali della Regione ricorrente, comprimendone indebitamente l'autonomia finanziaria di spesa. Risulta violato, infatti, l'art. 3, comma 1, lett. f) dello Statuto speciale (legge cost. n. 4/1948), che riconosce, come noto, alla Valle la potesta' di legiferare, nell'ambito dei principi individuati con legge dello Stato, in materia di «finanze regionali», al fine adattare la normativa statale alle «condizioni regionali». La previsione statutaria, letta alla luce dei novellati articoli 117, comma 3 e 119, comma 2, Cost., qualifica la competenza normativa della Valle D'Aosta in materia di «finanze regionali» non piu' come meramente suppletiva rispetto a quella statale, ma garantita nell'ambito dei principi di coordinamento stabiliti dallo Stato. Quest'ultimo deve, dunque, limitarsi alla individuazione di tali principi. Nel caso di specie, tuttavia, il legislatore statale non ha arrestato la propria competenza all'adozione di disposizioni di principio, ma ha imposto alla ricorrente una misura di contenimento della spesa pubblica estremamente dettagliata. Siffatta misura produce, quale effetto diretto, quello di privare radicalmente la Regione sia del potere di svolgere qualsivoglia valutazione in ordine all'an e al quomodo di una eventuale corresponsione di indennita' ai titolari delle cariche elettive indicati dalla norma, sia di adattare la previsione statale alle condizioni regionali. E' evidente, pertanto, la lesione del citato art. 3, comma 1, lett. f) dello Statuto (legge cost. n. 4/1948), atteso che la norma impugnata non lascia alla ricorrente alcuna possibilita' di desumere i principi cui ispirare o adeguare la propria produzione legislativa in materia. Parimenti violato risulta, poi, il combinato disposto degli articoli 117, comma 3, e 119, comma 2, Cost., resi applicabili alla Valle, come noto, in virtu' della clausola di cui all'art. 10, legge cost. n. 3/2001. Le citate disposizioni costituzionali impongono, come piu' volte affermato dalla giurisprudenza costituzionale, che la competenza dello Stato si limiti unicamente alla determinazione dei principi di coordinamento della finanza pubblica, risultando illegittime le norme statali, quali quella oggetto di sindacato, che superano indebitamente tale soglia. Ed infatti, le previsioni che fissano - esattamente al pari di quella all'esame - vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa dei bilanci delle regioni e degli enti locali non costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell'art. 117, comma 3, Cost., e ledono pertanto l'autonomia finanziaria di spesa garantita dall'art. 119 Cost. agli enti territoriali (Corte cost., sent. n. 417/2005; in termini analoghi, cfr. sent. n. 36 del 2004; sent. n. 376 del 2003; sent. n. 390 del 2004). La legge dello Stato, infatti, puo' legittimamente stabilire soltanto un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse tra i diversi ambiti ed obiettivi di spesa» (sent. n. 36 del 2004), ma non puo' legittimamente spingersi, come e' accaduto nel presente caso, a determinare la singola voce di spesa destinataria della misura di contenimento. In proposito occorre richiamare anche la sentenza n. 159/2008, con la quale codesta ecc.ma Corte ha annullato alcune norme della legge finanziaria per il 2007 che imponevano alle regioni e alle province autonome l'adeguamento ai principi, puntualmente indicati, relativi alla disciplina dei compensi degli amministratori delle societa' partecipate e al numero massimo dei componenti i consigli di amministrazione di dette societa'. Disposizioni di questo tipo - molto simili, strutturalmente, all'art. 5, comma 5, di cui si discute - sono state dichiarate costituzionalmente illegittime in ragione del fatto che le stesse si risolvono nella imposizione di misure dettagliate o autoapplicative che non consentono di adeguare in alcun modo la produzione legislativa regionale a quella statale, con la conseguente illegittima compressione dell'autonomia finanziaria degli enti regionali e provinciali (Corte cost., sent. n. 159/2008). Conclusivamente sul punto, atteso che il divieto assoluto di remunerazione posto dall'art. 5, comma 5, del decreto-legge n. 78/2010, vincola del tutto la Regione, non e' possibile dubitare che siffatto divieto, oltre a contraddire la richiamata giurisprudenza di questa Corte, leda la sfera di autonomia finanziaria di spesa della Regione Valle d'Aosta, violando l'art. 3, comma 1, lett. f) dello Statuto nonche' gli articoli 117, comma 3, Cost., e 119, comma 2, Cost. in combinato disposto con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. Si insiste, pertanto, alla luce delle considerazioni sinora svolte, nella declaratoria di incostituzionalita' della norma impugnata. II. Illegittimita' costituzionale delle norme contenute nei commi 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 12, 13, 14, 19 e 20, primo periodo, dell'art. 6 del decreto-legge n. 78/2010, come convertito con modificazioni dalla legge n. 122/2010, per violazione degli artt. 2, comma 1, lett. a); 2, comma 1, lett. b); 3, comma 1, lett. f); 3, comma 1, lett. l) e 4 dello Statuto della Valle d'Aosta (legge cost. n. 4/1948) nonche' dell'art. 10, legge cost. n. 3/2001, e per vizio di ragionevolezza. I commi 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 12, 13, 14 e 19 dell'art. 6 del decreto-legge n. 78/2010 pongono norme che sono accomunate da una analoga ratio di intervento (la «riduzione dei costi degli apparati amministrativi») e che si palesano, tutte, lesive di competenze attribuite da norme di rango costituzionale alla Regione ricorrente. Per accertarsene, e' sufficiente menzionare le prescrizioni salienti contenute nelle disposizioni appena citate, che qui si impugna. Per il comma 2 dell'art. 6, «a decorrere dall'entrata in vigore del presente decreto la partecipazione agli organi collegiali, anche di amministrazione, degli enti, che comunque ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche, nonche' la titolarita' di organi dei predetti enti e' onorifica; essa puo' dar luogo esclusivamente al rimborso delle spese sostenute ove previsto dalla normativa vigente; qualora siano gia' previsti i gettoni di presenza non possono superare l'importo di 30 euro a seduta giornaliera [...]». Ai sensi del comma 3 «a decorrere dal 10 gennaio 2011 le indennita', i compensi, i gettoni, le retribuzioni o le altre utilita' comunque denominate, corrisposti dalle pubbliche amministrazioni [...] ai componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di amministrazione e organi collegiali comunque denominati ed ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo, sono automaticamente ridotte del 10 per cento rispetto agli importi risultanti alla data del 30 aprile 2010 [...]». Il comma 5, dal canto suo, prevede che «tutti gli enti pubblici, anche economici, e gli organismi pubblici, anche con personalita' giuridica di diritto privato, provvedono all'adeguamento dei rispettivi statuti al fine di assicurare che, a decorrere dal primo rinnovo successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, gli organi di amministrazione e quelli di controllo, ove non gia' costituiti in forma monocratica, nonche' il collegio dei revisori, siano costituiti da un numero non superiore, rispettivamente, a cinque e a tre componenti [...]». In base al comma 6, «nelle societa' inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione [...], nonche' nelle societa' possedute direttamente o indirettamente in misura totalitaria, alla data di entrata in vigore del presente provvedimento dalle amministrazioni pubbliche, il compenso di cui all'articolo 2389, primo comma, del codice civile, dei componenti degli organi di amministrazione e di quelli di controllo e' ridotto del 10 per cento [...]». Per la prescrizione del comma 7, «al fine di valorizzare le professionalita' interne alle amministrazioni, a decorrere dall'anno 2011 la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a studi ed incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti, sostenuta dalle pubbliche amministrazioni [...], non puo' essere superiore al 20 per cento di quella sostenuta nell'anno 2009 [...]». Per il comma 8, «a decorrere dall'anno 2011 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, [...] non possono effettuare spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicita' e di rappresentanza, per un ammontare superiore al 20 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 per le medesime finalita' [...]», mentre ai sensi del successivo comma 9 le medesime amministrazioni pubbliche «non possono effettuare spese per sponsorizzazioni», ne' possono, per il comma 12, «effettuare spese per missioni, anche all'estero, [...] per un ammontare superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 [...]» e «a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto le diarie per le missioni all'estero di cui all'art. 28 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 233, convertito con legge 4 agosto 2006, n. 248, non sono piu' dovute [...]». Le stesse pubbliche amministrazioni, poi, per quanto previsto dal comma 13, a decorrere dall'anno 2011 non possono sostenere una spesa «per attivita' esclusivamente di formazione [...] superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 [...]», ne' possono, a decorrere dallo stesso anno - per quanto previsto dal comma 14 del medesimo articolo - «effettuare spese di ammontare superiore all'80 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 per l'acquisto, la manutenzione, il noleggio e l'esercizio di autovetture, nonche' per l'acquisto di buoni taxi [...]». Ai sensi, infine, del comma 19 dell'art. 6, le citate pubbliche amministrazioni «[...] non possono, salvo quanto previsto dall'art. 2447 codice civile, effettuare aumenti di capitale, trasferimenti straordinari, aperture di credito, ne' rilasciare garanzie a favore delle societa' partecipate non quotate che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali [...]». Cio' chiarito, tutte le disposizioni dell'art. 6 del decreto-legge n. 78/2010 dianzi menzionate incidono in modo stringente in ambiti che sono agevolmente individuabili: quelli della disciplina degli uffici ed agli enti pubblici, anche dipendenti dalla regione ricorrente, e del relativo stato giuridico ed economico del personale, nonche' quello finanziario, attraverso l'introduzione di una puntuale limitazione a singole voci di spesa degli enti pubblici, anche regionali e comunali. Pertanto, non potrebbe essere piu' evidente, anzitutto, il contrasto con l'art. 2, comma 1, lett. a) dello Statuto speciale valdostano (legge cost. n. 4/1948) (ai sensi del quale spetta alla regione ricorrente la potesta' legislativa nella materia «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale»). Le norme impugnate, infatti, illegittimamente pretendono sia di dettare una disciplina attinente all'organizzazione degli enti pubblici regionali (in particolare, si consideri l'impugnato comma 5 dell'art. 6), sia di regolarne il funzionamento e l'attivita' (su cio' intervengono, in particolare, i commi 8, 9, 12, 13, 14 e 19), sia di ridefinire lo stato «giuridico ed economico del personale» (cio' mirano a realizzare, peculiarmente, i commi 2, 3, 6 e 7). D'altro canto, poiche' la normazione statale nelle materie di cui si e' detto, abusivamente posta, non puo' non incidere, limitandole, sull'esercizio delle funzioni amministrative regionali nei medesimi ambiti, ne risulta altresi' violato l'art. 4 dello Statuto speciale della Regione Valle d'Aosta, ai sensi del quale «la Regione esercita le funzioni amministrative sulle materie nelle quali ha potesta' legislativa a norma degli articoli 2 e 3» dello Statuto stesso. Ne' avrebbe senso il tentativo, invero del tutto infondato, di qualificare le norme impugnate come miranti a tutelare gli «interessi nazionali», o a porre «principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica», o quali «norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica», che ai sensi dell'art. 2 dello Statuto speciale possono costituire un limite allo svolgimento della potesta' legislativa regionale valdostana. Anzitutto, infatti, le disposizioni censurate non perseguono affatto lo scopo di introdurre ne' principi dell'ordinamento repubblicano, ne' norme fondamentali di riforma economica o sociale, poiche' si limitano ad introdurre previsioni - secondo quanto espressamente chiarito dal titolo dell'art. 6 del decreto-legge n. 78/2010 - meramente e puntualmente finalizzate alla «riduzione dei costi degli apparati amministrativi». Ma tali generici limiti, inoltre, debbono intendersi superati nelle materie che lo Statuto speciale attribuisce alla potesta' legislativa regionale, almeno in relazione a quelle materie - come nel presente caso - che per le regioni ordinarie ricadono nella competenza legislativa residuale ex art. 117, comma 4, Cost. Cio' si determina in virtu' dell'art. 10 della legge cost. n. 3/2001 (il quale pertanto - in combinato disposto con gli artt. 117, commi 3 e 4, e 118 Cost. - risulterebbe altresi' violato), che estende alle regioni speciali le piu' ampie competenze attribuite alle regioni ordinarie, come codesta ecc.ma Corte ha avuto modo di chiarire in piu' occasioni (si veda, ad es., la sent. n. 274/2003). Pertanto, in seguito alla riforma introdotta dalla citata legge costituzionale e' da considerarsi illegittimo ogni intervento legislativo dello Stato che, come nel presente caso, risulti sine titulo, poiche' incidente in materie diverse da quelle previste dall'art. 117, secondo comma, Cost.: le uniche su cui lo Stato e' titolare di competenza legislativa esclusiva. E la lett. g) di tale ultima disposizione attribuisce allo Stato esclusivamente la potesta' di dettare norme legislative con riguardo allo «ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali», non certamente di quelli regionali o locali. Al riguardo, sembra utile ricordare ancora come codesta ecc.ma Corte, con la sent. n. 159/2008, abbia dichiarato costituzionalmente illegittime norme legislative statali che fissavano per le regioni e le province autonome la disciplina dei compensi degli amministratori delle societa' partecipate ed il numero massimo dei componenti i consigli di amministrazione di dette societa', in quanto impositive - analogamente alle disposizioni ora impugnate - di misure dettagliate o autoapplicative che non lasciano, a livello regionale o provinciale, alcun margine di adeguamento della relativa produzione legislativa. Ancor piu' patente, poi, risulterebbe l'illegittimita' costituzionale se, tra gli enti pubblici cui le norme impugnate si riferiscono, venisse ritenuta inclusa anche l'Azienda sanitaria valdostana, ente dipendente dalla Regione. In questo caso, infatti, si verrebbe oltretutto ad incidere altresi' sulla competenza legislativa in materia di «igiene e sanita', assistenza ospedaliera e profilattica» (con profili che attengono, in particolare, all'organizzazione dei servizi sanitari): competenza spettante alla regione ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. l) dello Statuto speciale, che risulterebbe, quindi, anch'esso violato. In tale ambito materiale, peraltro, l'art. 117 Cost., a seguito della citata riforma del 2001 del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, delinea forme di autonomia piu' ampie di quelle gia' attribuite dallo Statuto, giacche' la sanita' - come ribadito da codesta Corte nella sent. n. 328 del 2006 - risulta ora ripartita fra la materia di competenza regionale concorrente della «tutela della salute» (art. 117, terzo comma), che deve essere intesa come «assai piu' ampia della precedente materia assistenza sanitaria ed ospedaliera» contemplata nell'originario art. 117, primo comma (sent. n. 181 del 2006 e sent. n. 270 del 2005), e quella dell'organizzazione sanitaria, in cui le Regioni possono adottare «una propria disciplina anche sostitutiva di quella statale» (come gia' aveva rilevato nella sent. n. 510/2002). Ne deriva, pertanto, ai sensi dell'art. 10 della legge cost. n. 3/2001, che la particolare forma di autonomia, riconosciuta dal novellato art. 117 della Costituzione alle regioni ad autonomia ordinaria in materia di tutela della salute ed organizzazione sanitaria, deve applicarsi anche alla Regione Valle d'Aosta in quanto piu' ampia rispetto a quella prevista dallo Statuto speciale. Alla luce delle considerazioni fin qui esposte, deve conseguentemente ritenersi che le norme impugnate, se intese come applicabili all'Azienda sanitaria valdostana, si palesano costituzionalmente illegittime anche in riferimento all'art. 117, quarto comma, in combinato disposto con l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001. Anche a ritenere, in maniera inesatta, che l'organizzazione dei servizi sanitari, non costituisca una materia di competenza residuale regionale ai sensi del quarto comma dell'art. 117 Cost., considerandolo come un aspetto rientrante nella materia «tutela della salute» di competenza concorrente ai sensi del terzo comma del medesimo art. 117, le disposizioni impugnate, se applicate all'Azienda sanitaria valdostana, si paleserebbero comunque lesive della competenza regionale. La disciplina che esse recano non rappresenta, infatti, un principio fondamentale di organizzazione, estendendosi ampiamente anche ai profili di dettaglio di quest'ultima. Basti considerare, a mero titolo esemplificativo, che le disposizioni censurate individuerebbero: la puntuale riduzione del 10 per cento, rispetto a quanto percepito ad aprile 2010, delle utilita' corrisposte ai componenti degli organi di indirizzo, direzione e controllo dell'Azienda sanitaria (art. 6, comma 3); la necessita' che gli organi di amministrazione e di controllo dell'Azienda non superino, rispettivamente, i cinque e i tre componenti (art. 6, comma 5); addirittura il divieto per l'Azienda sanitaria di organizzare convegni scientifici a partire dall'anno 2011 per un ammontare di spesa superiore del 20 per cento rispetto al dato del 2009 per la medesima finalita' (art. 6, comma 8)! Si tratta di norme estremamente specifiche e dettagliate che non hanno nessuna delle caratteristiche tipiche delle disposizioni di principio. Tanto piu' illegittime, poi, esse si mostrano, se soltanto si consideri che esse verrebbero applicate ad un ente, quale l'Azienda sanitaria valdostana, che risulta interamente finanziata dalla regione, senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato, come peraltro affermato dall'art. 34, comma 3, della legge n. 724/1994. Da tale ultima notazione bisogna prendere le mosse per tornare a considerazioni di carattere piu' generale. Vale a dire, i commi dell'art. 6 qui impugnati intervengono altresi', ledendola, in materia di autonomia finanziaria regionale, garantita da norme di rango costituzionale, quali l'art. 3, comma 1, lett. f) dello Statuto speciale della Valle d'Aosta e dagli artt. 117, comma 3, Cost. e 119, comma 2, Cost. in combinato disposto con l'art. 10, legge cost. n. 3/2001. Poiche' le disposizioni censurate stabiliscono una specifica riduzione di spesa a carico degli enti pubblici e delle societa' regionali, il loro carattere illegittimo non verrebbe meno neppure ove si tentasse, precariamente, di accreditarne il carattere vincolante per la Regione ricorrente, in quanto «principi di coordinamento della finanza pubblica», adottati dallo Stato in applicazione dell'art. 119, comma 2, Cost. Come accennato, infatti, si tratta di norme che in nessun modo possono essere ricondotte alla figura del «principio» - che di necessita' risulta caratterizzato da una portata marcatamente generale - se soltanto si consideri il livello di specificazione e di dettaglio che le caratterizza. I commi 2, 3, 6, 7, 8, 9, 12, 13 e 14 dell'art. 6 del d.1. n. 78/2010 qui impugnati, infatti, non si propongono di definire un limite complessivo della spesa degli enti pubblici regionali, ma si spingono fino a disciplinare in modo specifico e puntuale le singole voci di spesa, al fine di realizzare la riduzione dei costi degli apparati amministrativi. Pertanto, alla luce della giurisprudenza di codesta Corte, siffatte previsioni non possono essere lette come principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica cui le regioni (ai sensi dell'art. 119, comma 2) sono tenute ad attenersi, manifestandosi piuttosto quali vincolanti e puntuali limitazioni di spesa lesive dell'autonomia finanziaria della Regione ricorrente, in contrasto con la disciplina di rango costituzionale in materia, ed in particolare con l'art. 117, comma 3, Cost. che limita la competenza statale in materia di coordinamento della finanza pubblica esclusivamente alla fissazione dei principi fondamentali (cfr. sentt. nn. 417/2005; 390/2004; 376/2003). Codesta ecc.ma Corte, nella sent. n. 88 del 2006, ha avuto modo di ribadire l'illegittimita' costituzionale delle leggi statali che impongano «limiti precisi e puntuali (e non gia' di principio [...] - idonei a contenere la spesa corrente) non giustificabili dall'esigenza di coordinare la spesa pubblica». Allo stesso modo, nella sent. n. 95 del 2007 e' stato definitivamente ribadito che «secondo quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, la previsione, da parte della legge statale, di un limite all'entita' di una singola voce di spesa della regione non puo' essere considerata un principio fondamentale in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., perche' pone un precetto specifico e puntuale sull'entita' della spesa e si risolve, di conseguenza, in un'indebita invasione dell'area riservata dall'art. 119 Cost. all'autonomia finanziaria delle Regioni». Appare evidente, allora, che l'espresso riferimento, nelle disposizioni impugnate, a limitazioni di singole voci di spesa riguardanti enti pubblici e societa' regionali, quali voci da ridurre o contenere, si pone in contrasto netto e diretto con le norme di livello costituzionale che la Corte ha piu' volte individuato come parametro. Per gli stessi motivi risulta altresi' violato sia il comma 1, lett. b) dell'art. 2 dello Statuto speciale valdostano (ai sensi del quale, ricade nella potesta' legislativa regionale la materia dell'ordinamento degli enti locali), sia il comma 1, lett. f), dell'art. 3 dello stesso Statuto speciale, che attribuisce alla Regione la competenza legislativa in materia di «finanze regionali e comunali» (competenza da qualificarsi, a seguito della Novella costituzionale del 2001, come in precedenza rilevato, non piu' come meramente suppletiva). Al che si aggiunge, infine, la violazione della competenza legislativa regionale in materia di autonomia finanziaria anche comunale, la quale spetta alla Valle ai sensi del citato comma 1, lett. f), dell'art. 3 dello Statuto speciale: competenza riconosciuta da codesta ecc.ma Corte nella sent. n. 47 del 2004 ed espressamente ribadita nella sent. n. 95/2007. Ne' la incostituzionalita' delle menzionate norme puo' ritenersi esclusa per effetto della previsione contenuta nel primo periodo del comma 20 dello stesso art. 6 dell'atto normativo impugnato - ai sensi del quale «le disposizioni del presente articolo non si applicano in via diretta alle regioni, alle province autonome e agli enti del Servizio sanitario nazionale, per i quali costituiscono disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica». Le disposizioni censurate, infatti, sono connotate da un elevato grado di dettaglio e specificita', che impedisce di configurarle quali disposizioni di principio. Basti pensare, a mero titolo esemplificativo, alla previsione di cui al comma 3, che impone una puntuale riduzione delle indennita', compensi, gettoni, retribuzioni o altre utilita' comunque denominata, corrisposti dalle pubbliche amministrazioni ai componenti di organi collegiali comunque denominati ed ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo; oppure alla previsione contenuta nel comma 7, secondo cui la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza sostenuta dalle pubbliche amministrazioni [...], non puo' essere superiore al 20 per cento di quella sostenuta nell'anno 2009. Si tratta, come e' evidente, di disposizioni di dettaglio che eccedono la sfera di competenza statale, violando i parametri normativi piu' sopra indicati. Da ultimo, occorre soffermarsi sul comma 12 dell'art. 6 del decreto, atteso che la norma da esso recata si mostra costituzionalmente illegittima sotto un profilo ulteriore rispetto a quelli gia' esaminati. Con tale disposizione, giova ribadirlo, il legislatore statale ha stabilito che le amministrazioni pubbliche «non possono effettuare spese per missioni, anche all'estero, [...] per un ammontare superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 [...]» e «a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto le diarie per le missioni all'estero di cui all'art. 28 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 233, convertito con legge 4 agosto 2006, n. 248, non sono piu' dovute [...]». Inoltre, la medesima disposizione ha previsto che al personale contrattualizzato delle pubbliche amministrazioni non si applicano, a far data dal 31 maggio 2010, gli artt. 15, legge n. 836/1973 e 8, legge n. 417/1978, riguardanti, tra l'altro, l'utilizzo del mezzo proprio da parte dei dipendenti per spostamenti di servizio e la corresponsione della relativa indennita' chilometrica. Ebbene, si tratta di una previsione che incide, anzitutto, sull'organizzazione e sulle modalita' di svolgimento dell'attivita' degli enti pubblici regionali, comprimendo indebitamente la competenza legislativa della Valle in materia di «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale», garantita ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. a) dello Statuto speciale, che risulta, quindi, violato. Lo stesso comma 12 lede, poi, l'autonomia finanziaria della Regione ricorrente, tutelata sia dall'art. 3, comma 1, lett. f), che dagli articoli 117, comma 2, Cost. e 119, comma 2 Cost., in combinato disposto con l'art. 10, legge cost. n. 3/2001. Sotto quest'ultimo profilo e' evidente, infatti, come e' dato desumere dalla semplice lettura della disposizione impugnata, che quest'ultima si traduce in un vincolo di spesa dettagliato e puntuale, che eccede la competenza statale e si mostra, pertanto, lesivo dell'autonomia finanziaria regionale. La illegittimita' del comma 12 rileva, infine, anche per vizio di irragionevolezza - il quale ridonda in un vizio di incompetenza statale. Ed infatti la norma, nel prevedere l'inapplicabilita' degli arti. 15, legge n. 836/1973 e 8, legge n. 417/1978 al personale contrattualizzato delle pubbliche amministrazioni, impedisce l'utilizzo del mezzo proprio da parte dei dipendenti per spostamenti di servizio. Tuttavia e' ragionevole ritenere che l'utilizzo di vetture proprie sia idoneo a produrre, almeno a lungo termine, una riduzione della spesa pubblica e non certo un aggravio della stessa. Infatti, tenuto anche conto delle caratteristiche morfologiche della Regione valdostana, e' senz'altro piu' conveniente per l'amministrazione (anche sotto il profilo dell'efficienza) corrispondere un'indennita' chilometrica piuttosto che pagare un taxi o un mezzo di trasporto ad esso analogo, specialmente nei casi in cui il dipendente deve raggiungere sedi amministrative dislocate sul territorio e non servite o mal servite da mezzi pubblici. III. Illegittimita' costituzionale dell'articolo 9, comma 2-bis, e del combinato disposto degli articoli 9, comma 28, e 14, comma 24-bis, del decreto-legge n. 78/2010, convertito con modificazioni dalla legge n. 122/2010, per violazione degli artt. 2, comma 1, lett. a) e 4, comma 1, dello Statuto della Valle d'Aosta (legge. cost. n. 4/1948) nonche' dell'art. 10, legge cost. n. 3/2001. Il comma 2-bis dell'art. 9 del d.1. n. 122/2010, introdotto dalla legge di conversione n. 122/2010, prevede che «a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 l'ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non puo' superare il corrispondente importo dell'anno 2010 ed e', comunque, automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio». Dal canto suo, l'articolo 9, comma 28, del decreto-legge n. 78/2010, stabilisce, tra l'altro, quanto segue: «A decorrere dall'anno 2011, le amministrazioni dello Stato [...] possono avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalita' nell'anno 2009. Per le medesime amministrazioni la spesa per personale relativa a contratti di formazione lavoro, ad altri rapporti formativi, alla somministrazione di lavoro, nonche' al lavoro accessorio [...], non puo' essere superiore al 50 per cento della spesa sostenuta per le rispettive finalita' nell'anno 2009.». La stessa disposizione, specifica, poi, che le riportate previsioni in essa contenute «costituiscono principi generali ai fini del coordinamento della finanza pubblica ai quali si adeguano le Regioni, le Province autonome e gli enti del Servizio sanitario nazionale». Con la norma impugnata, dunque, il legislatore statale ha imposto la riduzione del 50% della spesa pubblica per il personale non di ruolo sostenuta nell'anno 2009, mediante il contenimento dell'utilizzo delle forme contrattuali flessibili di assunzione (contratti a tempo determinato, convenzioni, collaborazioni coordinata e continuativa). Per quanto riguarda la specifica posizione della Regione Autonoma Valle d'Aosta, occorre altresi' rilevare come il citato articolo 9, comma 28, vada coordinato con quanto previsto dall'articolo 14, comma 24-bis, del medesimo decreto-legge. Ai sensi di quest'ultima disposizione, il limite di spesa previsto dall'articolo 9, comma 28, puo' essere superato esclusivamente nel caso di proroga dei rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati dalle regioni a statuto speciale, nonche' dagli enti territoriali facenti parte delle predette regioni, «a valere sulle risorse finanziarie aggiuntive appositamente reperite da queste ultime attraverso apposite misure di riduzione e razionalizzazione della spesa», fatto comunque salvo il rispetto dei vincoli ed obiettivi di contenimento della spesa pubblica previsti dal patto di stabilita' interno. Inoltre, sempre secondo il comma 24-bis, dell'art. 14, per l'attuazione dei «processi assunzionali la regione e' tenuta ad attingere prioritariamente ai lavoratori a tempo determinato». Cio' premesso, occorre sin d'ora rilevare come sia il comma 2-bis dell'art. 9, sia il combinato disposto degli artt. 9, comma 28, e 14, comma 24-bis, del decreto-legge n. 78/2010, si pongano in contrasto con l'art. 2, comma 1, lett. a) e art. 4, comma 1, dello statuto della Valle d'Aosta (legge cost. n. 4/1948), nonche' con l'art. 10, legge cost. n. 3/2001, in quanto ledono gravemente la competenza legislativa e amministrativa della Regione ricorrente. Infatti, ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. a) dello Statuto, la Regione Valle d'Aosta gode di una competenza primaria in materia di «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale». Conseguentemente, nella relativa disciplina, la Regione valdostana non puo' essere limitata dall'intervento del legislatore statale, essendo peraltro venuto meno, al riguardo, il limite del rispetto dei principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica, dell'interesse nazionale e delle norme fondamentali di riforma economico-sociale, in virtu' della previsione di cui all'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 (si veda Corte cost. sent. n. 274/2003). Nella medesima materia, poi, in forza del c.d. parallelismo posto dall'art. 4 dello Statuto regionale, la Valle esercita le rispettive funzioni amministrative. In considerazione di cio', risulta evidente l'illegittimita' della disciplina posta sia dall'art. 9, comma 2-bis, sia dal combinato disposto di cui agli articoli 9 comma 28, e 14, comma 24-bis del decreto-legge oggetto di sindacato, atteso che tali previsioni introducono dei limiti allo status giuridico ed economico del personale dipendente della Regione, traducendosi in una menomazione delle richiamate attribuzioni statutarie della Valle d'Aosta. La normativa statale, in effetti, impone dei pervasivi e rigidi vincoli al potere di gestione dei rapporti contrattuali relativi al personale amministrativo valdostano. Ed infatti, il citato art. 9, comma 2-bis, opera un «blocco» della cifra complessiva, per il triennio 2011-2013, che le amministrazioni pubbliche regionali e comunali possono destinare al trattamento accessorio del relativo personale; mentre l'art. 9, comma 28, fissa un tetto massimo alla spesa relativa al personale a tempo determinato, o con convenzioni o con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nonche' a quello con contratti di formazione lavoro, ed altri rapporti formativi, compresa la somministrazione di lavoro ed il lavoro accessorio di cui all'art. 70, comma 1, lett. d), del decreto legislativo n. 276 del 2003. Da cio' consegue che la Regione, cosi' come gli enti pubblici regionali, per effetto delle norme impugnate, non potranno autonomamente determinarsi circa il trattamento accessorio da destinare al personale, ne' potranno - per la parte eccedente il puntuale limite fissato con legge statale - assumere nuovo personale o mantenere i rapporti contrattuali in essere, dovendo, altrimenti, rideterminarne, in senso peggiorativo, il relativo trattamento economico. Ora, non sembra necessario ricorrere a particolari dimostrazioni per render palese come le norme impugnate, per quanto si e' appena detto, incidono in maniera diretta, puntuale e paradigmatica, proprio su un aspetto che concerne lo «stato economico» del personale. D'altro canto, neanche la deroga introdotta dall'art. 14, comma 24-bis del medesimo decreto-legge, risulta esente da censure. La legge statale, infatti, nel consentire alla Regione di superare il tetto massimo di spesa posto dal comma 28 dell'art. 9 solo nell'ipotesi della proroga di contratti a tempo determinato, impone all'Ente la scelta di uno specifico modello contrattuale ed incide negativamente sulle attribuzioni regionali in materia di status giuridico del personale, in violazione dell'art. art. 2, comma 1, lett. a) dello Statuto. Analoghe considerazioni valgono, poi, con riferimento all'ultimo periodo dell'art. 14, comma 24-bis del decreto-legge, laddove e' fatto obbligo alla Regione - nelle ipotesi di nuove assunzioni - di attingere prioritariamente a personale a tempo determinato. La pervasivita' del vincolo e' resa tanto piu' evidente dall'obbligo di motivazione che il medesimo comma impone in capo alla Regione nel caso in cui quest'ultima intenda assumere personale diverso da quello indicato dal legislatore statale (cioe' dal personale a tempo determinato). In argomento si richiama la sentenza n. 95/2008, relativa ad una fattispecie analoga a quella di cui si discute, con la quale codesta ecc.ma Corte ha dichiarato la illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 560, legge n. 296 del 2006. Tale disposizione imponeva alle regioni che intendessero procedere ad assunzioni di personale a tempo determinato, l'obbligo di riservare una quota di posti a favore di chi avesse gia' intrattenuto (con l'amministrazione banditrice del concorso) rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. La Corte, piu' in particolare, ha basato la citata pronuncia sull'assunto che «la regolamentazione delle modalita' di accesso al lavoro pubblico regionale e' riconducibile alla materia dell'organizzazione amministrativa delle regioni e degli enti pubblici regionali e rientra nella competenza residuale delle regioni». Lo Stato, pertanto, non ha titolo per intervenire su tali ambiti materiali. Conclusivamente, le norme che hanno introdotto le tante limitazioni di cui si e' detto, gravando su una materia di esclusiva competenza - sia legislativa che amministrativa - della Regione ricorrente ai sensi dei menzionati articoli 2, comma 1, lett. a) e 4, comma 1, dello Statuto, esorbitano dalla competenza legislativa statale e devono, pertanto, essere dichiarate costituzionalmente illegittime. In subordine, qualora, errando, dovesse ritenersi che un intervento del legislatore statale in materia di «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale» sia ammissibile se volto alla fissazione dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, non puo' che ugualmente rilevarsene l'illegittimita' costituzionale, sotto i seguenti ulteriori profili. A) Sulla natura dei vincoli apposti dal legislatore statale all'autonomia finanziaria di spesa della Regione Valle d'Aosta. Violazione ad opera dell'art. 9, comma 2-bis, e del combinato disposto di cui agli articoli 9, comma 28, e 14, comma 24-bis del decreto-legge n. 78/2010 dell'art. 3, comma 1, lett. f) dello Statuto della Valle (legge cost. n. 4/1948), nonche' degli articoli 117, comma 3, 119, comma 2, Cost., resi applicabili ex art. 10, legge cost. n. 3/2001. Le norme impugnate sono affette da illegittimita' costituzionale per violazione dell'art. 3, comma 1, lett. f) dello Statuto (legge cost. n. 4/1948), nonche' degli articoli 117, comma 3, 119, comma 2, Cost., resi applicabili ex art. 10, legge cost. n. 3/2001. E' noto infatti che il coordinamento della finanza pubblica rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 117, comma 3, Cost. Pertanto, trattandosi di materia di competenza concorrente, la legislazione statale deve arrestarsi alla individuazione dei principi generali. Le previsioni censurate, invece, lungi dall'introdurre principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica si risolvono nella imposizione di misure analitiche e di dettaglio che non lasciano alcun margine di intervento al legislatore regionale in materia e che ledono, quindi, i parametri normativi piu' sopra indicati (in tal senso Corte cost., sent. nn. 417/2005; n. 376 del 2003; n. 390 del 2004). Ed infatti, in base alle norme oggetto di sindacato, la Regione valdostana non potra' assumere alcuna determinazione con riguardo al trattamento accessorio del personale; ne' potra' destinare, a partire dal 2011, alla spesa per il personale non di ruolo, una somma superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009, per le medesime finalita'. Il che significa che non residua in capo alla ricorrente alcun margine di apprezzamento in ordine alla scelta di strumenti idonei a perseguire l'obiettivo del contenimento della spesa pubblica, ne' circa la fissazione del quantum delle riduzioni necessarie al contenimento stesso. Per non considerare, poi, la irragionevolezza intrinseca del limite del 50 per cento, che e' stato indifferentemente stabilito per tutte le regioni senza tenere nella dovuta considerazione il diverso grado di efficienza di ciascun Ente territoriale relativamente alla gestione del personale ed alla allocazione delle relative risorse. Ne' la indebita ingerenza nelle attribuzioni statutarie e costituzionali della Regione puo' ritenersi esclusa dalla previsione della deroga introdotta dall'art. 14, comma 24-bis, del decreto-legge. Tale disposizione, infatti, riconnette la possibilita' di superare il predetto limite di spesa del 50 per cento a due circoscritte ipotesi: che si tratti di una proroga di contratti gia' in essere e che la stessa concerna soltanto rapporti di lavoro a tempo determinato. La Valle, dunque, non potra', per un importo eccedente il 50 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 per le medesime finalita', ne' rinnovare contratti di tipo diverso da quelli a tempo determinato, tantomeno procedere all'assunzione di nuovo personale. Si tratta, quindi, come e' evidente, di una deroga surrettizia ed asfittica, che non lascia al legislatore regionale alcun margine di discrezionalita'. Alla luce di quanto rilevato, non vi e' dubbio che le norme recate dall'articolo 9, comma 2-bis, e dal combinato disposto degli articoli 9, comma 28 e 14, comma 24-bis, del decreto-legge n. 78/2010, si traducono nella imposizione di misure di immediata e diretta applicazione. Tali misure non possono in alcun modo qualificarsi come principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica atteso che, come in precedenza rilevato, pongono obiettivi precisi e permanenti di riequilibrio della spesa e prevedono in modo esaustivo gli strumenti e modalita' per il perseguimento degli obiettivi stessi (sul punto Corte cost., sentt. nn. 289/2008, n. 120/2008; n. 412/2007, n. 169/2007, n. 88/2006). Risulta, conseguentemente, che le norme impugnate eccedono la competenza legislativa spettante allo Stato ex art. 117, comma 3, Cost. e determinano una illegittima quanto intollerabile menomazione dell'autonomia finanziaria della Valle tutelata, come detto, dagli articoli 3, comma 1, lett. f) dello Statuto, nonche' dal combinato disposto degli articoli 119, comma 2, Cost. e 10, legge cost. n. 3/2001. A conferma di quanto sin qui argomentato, si richiama, inoltre, l'orientamento piu' volte espresso, e di recente ribadito, da codesta ecc.ma Corte circa la natura del rapporto intercorrente tra norma di principio e di dettaglio, secondo il quale «l'una e' volta a descrivere criteri ed obiettivi, mentre all'altra spetta la individuazione degli strumenti concreti per raggiungere quegli obiettivi» (Corte cost., sent. 26/2010, 237/2009, 181/2006). Ebbene, non v'e' chi non veda come le misure introdotte dalle disposizioni statali in epigrafe indicate, non presentano alcuna delle caratteristiche delle norme di principio. Le stesse, quindi, esorbitano dalla competenza concorrente statale ex art. 117, comma 3, Cost. ingerendo indebitamente sull'autonomia finanziaria di spesa della Regione, in contrasto con la disciplina di rango costituzionale piu' volte invocata dalla ricorrente. Inoltre, le disposizioni impugnate si mostrano illegittime anche in relazione alla limitazione che esse apportano all'autonomia finanziaria dei Comuni. situati nella Regione Valle d'Aosta. La competenza in tale materia, infatti, spetta alla Regione ricorrente ai sensi del citato comma 1, lett. f), dell'art. 3 dello Statuto speciale: competenza che, si ribadisce, codesta ecc.ma Corte ha piu' volte riconosciuto (si vedano, ad es., la sent. n. 47 del 2004 e la sent. n. 95/2007). B) Sulla natura dei vincoli apposti dal legislatore statale all'autonomia finanziaria di entrata della Regione Valle d'Aosta. Violazione ad opera del combinato disposto di cui agli articoli 9, comma 28, e 14, comma 24-bis del decreto-legge n. 78/2010, dell'art. 3, comma 1, lett. f) e art. 12 dello Statuto della Valle (legge cost. n. 4/1948), nonche' degli articoli, 119, comma 2, Cost. e 10, legge cost. n. 3/2001. L'art. 14, comma 24-bis, determina, poi, la lesione dell'autonomia finanziaria di entrata della Valle d'Aosta, costituzionalmente tutelata dagli articoli 3, comma 1, lett. f) e 12 dello Statuto (legge cost. n. 4/1948), nonche' dall'art. 119 Cost. e art. 10, legge cost. n. 3/2010. Ed infatti, la disposizione impugnata, in contrasto con i parametri normativi ora menzionati, dispone che i contratti a tempo determinato prorogati dalla Regione in virtu' della deroga di cui al medesimo articolo, gravino solo «sulle risorse finanziarie aggiuntive appositamente reperite» dalla Valle «attraverso apposite misure di riduzione e razionalizzazione della spesa certificate dagli organi di controllo interno». Il legislatore statale, in estrema sintesi, ben al di la' della sua competenza in materia di fissazione di norme di principio nell'ambito del coordinamento della finanza pubblica ex art. 117, comma 3, Cost., ha seccamente imposto alla Regione valdostana l'istituzione di risorse aggiuntive, ne ha fissato le modalita' di reperimento, nonche' individuato la relativa destinazione - cosi' violando qualsivoglia garanzia afferente all'autonomia finanziaria di entrata della ricorrente. Peraltro, che la norma impugnata non sia configurabile alla stregua di un principio e' circostanza chiaramente confermata dallo stesso tenore letterale della disposizione, nel punto in cui il comma 24-bis fa riferimento a «risorse appositamente reperite», «apposite misure di riduzione e razionalizzazione», «certificazione ad opera degli organi di controllo interni». Da cio' consegue, pertanto, anche sotto questo ulteriore profilo, la illegittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 24-bis, per violazione dei parametri piu' sopra indicati. III. 2) Relativamente al Servizio Sanitario Nazionale. Per espressa previsione normativa, l'art. 9, comma 28, del decreto-legge di cui si discute si applica, altresi', agli enti del Servizio sanitario nazionale (Snn), ai quali e' parimenti imposto di non superare il 50 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 per il personale non di ruolo. La norma censurata risulta, a ben vedere, invasiva dell'autonomia legislativa e finanziaria regionale sotto una pluralita' di profili. Valgano in proposito tutti i rilievi gia' formulati nel presente ricorso (relativamente alla incostituzionalita' delle norme che si riferiscono agli enti del Ssn), ai quali, per brevita', sia consentito rinviare. III. 3) Violazione degli artt. 117, commi 3 e 4, e 119, Cost., in combinato disposto con l'art. 10 della legge cost. n. 3/2001, nonche' degli artt. 2, comma 1, lettere a) e b), 3, comma 1, lett. f), e 4 dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta (legge cost. n. 4 del 1948) e delle relative norme di attuazione, da parte dell'art. 9, comma 4, del d.l. n. 78 del 2010 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. L'art. 9, comma 4, del d.1. n. 78/2010, cosi' come modificato dalla legge di conversione n. 122/2010, prevede che i rinnovi contrattuali del personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni, cosi' come i. miglioramenti economici del rimanente personale in regime di diritto pubblico, relativi al biennio 2008-2009 non possono, in ogni caso, determinare aumenti retributivi superiori al 3,2 per cento. Restano esclusi dall'applicazione di tale previsione il comparto sicurezza-difesa ed i Vigili del fuoco. Il divieto di introdurre i citati aumenti retributivi si applica anche ai contratti ed accordi stipulati prima della data di entrata in vigore del decreto n.78/2010, determinando l'inefficacia delle clausole difformi contenute nei predetti contratti ed accordi a decorrere dalla mensilita' successiva alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, con conseguente adeguamento dei trattamenti retributivi. Cio' premesso, ove si ritenesse che la disciplina dettata dal citato art. 9, comma 4, - la quale si riferisce, in modo del tutto generico, alle «pubbliche amministrazioni» senza contenere alcun espresso riferimento alle Regione ad autonomia speciale - vada applicata anche alla Valle d'Aosta, valgano le seguenti considerazioni. La disposizione impugnata stabilisce una misura di contenimento della spesa per il personale delle pubbliche amministrazioni che, ove ritenuta vincolante anche per la Regione Valle d'Aosta ed agli altri enti del comparto unico valdostano, determina un'indebita compressione dell'autonomia legislativa, organizzativa e finanziaria della Regione, in violazione dello Statuto speciale e delle norme costituzionali applicabili alla Regione in virtu' dell'art. 10 della legge cost. n. 3/2001. Deve anzitutto considerarsi che il divieto di determinare aumenti retributivi superiori al 3,2 per cento - divieto riferito ai rinnovi contrattuali del personale dipendente delle pubbliche amministrazioni per il biennio 20082009 ed ai miglioramenti economici del rimanente personale in regime di diritto pubblico nel medesimo biennio - si riferisce ad una singola e puntuale voce di spesa della Regione e non puo' quindi qualificarsi come un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica spettante alla competenza statale ai sensi dell'art. 117, comma 3, Cost. La definizione di un limite massimo, calcolato in termini percentuali, applicabile ai rinnovi contrattuali del personale non esprime, infatti, un mero indirizzo rivolto al legislatore regionale, ne' un obiettivo che quest'ultimo possa perseguire con autonome decisioni, ma incide direttamente su una specifica e puntuale voce della spesa regionale, privando la Regione della possibilita' di decidere autonomamente su quali voci e con quali modalita' realizzare l'obiettivo del contenimento della spesa. La norma censurata, dunque, nel fissare un vincolo puntuale ad una singola voce di spesa regionale, lede l'autonomia finanziaria della Regione e si pone in insanabile contrasto con l'art. 117, comma 3, Cost. e con l'art. 119 Cost. che garantiscono, ai sensi dell'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, anche la sfera di autonomia finanziaria della Regione Valle d'Aosta. A tale proposito, deve osservarsi che codesta ecc.ma Corte ha in piu' occasioni ribadito che non possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica tutte quelle norme statali che intervengono a fissare vincoli puntuali a singole voci di spesa dei bilanci delle regioni e degli enti locali (ex plurimis, sent. n. 417 del 2005). La legge dello Stato puo' legittimamente fissare soltanto un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse tra i diversi ambiti e obiettivi di spesa» (sentt. nn. 88 del 2006, 36 del 2004). La disposizione censurata, invece, nell'impedire che in sede di rinnovi contrattuali del personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni relativi al biennio 2008-2009 possano prevedersi aumenti retributivi superiori al 3,2 per cento, non stabilisce un limite complessivo alla spesa per il personale, ma vincola la Regione nell'allocazione delle risorse fra i diversi possibili ambiti della suddetta spesa, imponendo un «livellamento» degli aumenti retributivi per il personale regionale e degli altri enti del comparto unico valdostano. Ne' puo' sostenersi che la previsione di un «tetto» massimo alla previsione di aumenti retributivi, lasciando alla Regione la possibilita' di differenziare e graduare gli aumenti retributivi del personale purche' inferiori a tale soglia, possa percio' stesso qualificarsi come un principio di coordinamento della finanza pubblica. La giurisprudenza di codesta Corte ha infatti chiarito, come in precedenza ricordato, che la previsione di limiti specifici all'entita' di una singola voce di spesa della Regione, come pure l'imposizione degli strumenti concreti da utilizzare al fine del perseguimento del contenimento della spesa pubblica, si risolvono nella indebita invasione dell'area riservata dall'art. 119 Cost. alle autonomie regionali e degli enti locali (Corte cost., sent. n. 449 del 2005). La norma statale impugnata, impedendo alla Regione non solo di compiere una scelta tra i diversi possibili strumenti volti al perseguimento del contenimento della spesa per il personale, ma anche di selezionare le modalita' attraverso le quali distribuire i possibili aumenti retributivi tra le diverse strutture organizzative e le diverse figure professionali - dovendo comunque per tutte allinearsi al di sotto del limite percentuale fissato dal legislatore statale - si muove, pertanto, in direzione opposta rispetto a quanto piu' volte affermato dalla giurisprudenza costituzionale. Da tale prospettiva, non assume alcun rilievo che la previsione contenuta nell'art. 9, comma 4, del d.l. n. 78/2010 sia temporalmente limitata al biennio 2008/2009. La determinazione temporale della misura di contenimento della spesa per il personale non puo' infatti giustificare l'indebita sostituzione del legislatore statale a quello regionale in una scelta che concerne la sfera organizzativa della Regione e degli altri enti del comparto unico valdostano per il profilo relativo alle risorse umane in essa coinvolte ed al loro trattamento economico. Ad avvalorare le considerazioni fin qui svolte concorre, peraltro, anche l'ulteriore disciplina dettata dall'art. 9, comma 4, del d.l. n. 78/2010, laddove si prevede che il divieto di aumenti retributivi superiori al 3,2 per cento si applica anche ai contratti ed accordi stipulati prima della data di entrata in vigore del decreto-legge, cosicche' «le clausole difformi contenute nei predetti contratti ed accordi sono inefficaci a decorrere dalla mensilita' successiva alla data di entrata in vigore» dello stesso decreto. La norma statale impugnata produce dunque un puntuale effetto abrogativo sulle clausole contrattuali che abbiano disposto aumenti retributivi superiori al 3,2 per cento, con cio' palesando la natura dettagliata ed autoapplicativa della previsione in esame, in violazione del riparto di competenze costituzionalmente garantito che impone al legislatore statale di arrestarsi alla fissazione di principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, suscettibili di ulteriori sviluppi normativi da parte del legislatore regionale. La disciplina introdotta dall'art. 9, comma 4, del decreto-legge n. 78/2010 determina, altresi', una violazione dell'art. 2, comma 1, lett. a) dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta, che riserva alla potesta' legislativa regionale primaria la disciplina in materia di «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale». La norma impugnata, che vieta la determinazione di aumenti contributivi superiori al 3,2 per cento in sede di rinnovi contrattuali del personale dipendente delle pubbliche amministrazioni, incide infatti in maniera diretta e puntuale sullo «stato economico» di tale personale. Pertanto, la norma statale impugnata, proponendosi di regolare un aspetto che, ex art. 2, comma 1, lett. a), dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta, risulta attribuito alla piena competenza legislativa regionale, deve ritenersi costituzionalmente illegittima anche in relazione a tale parametro costituzionale. Analogamente, deve ritenersi che l'art. 9, comma 4, del d.l. n. 78/2010, laddove ritenuto applicabile anche agli altri enti del comparto unico valdostano, sia lesivo della competenza legislativa primaria attribuita alla Regione Valle d'Aosta dall'art. 2, lett. b), dello Statuto speciale in materia di «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni». A tale riguardo deve sottolinearsi che, ai sensi dell'art. 47 della legge regionale 23 luglio 2010, n. 22 (recante «Nuova disciplina dell'organizzazione dell'Amministrazione regionale e degli enti del comparto unico della Valle d'Aosta. Abrogazione della legge regionale 23 ottobre 1995, n. 45, e di altre leggi in materia di personale»), costituiscono un unico comparto di contrattazione (oltre alle strutture della Regione) tutti gli enti contemplati nell'art. 1 della medesima legge e cioe' gli enti pubblici non economici dipendenti dalla Regione, gli enti locali e le loro forme associative. La previsione contenuta nella norma statale impugnata, qualora ritenuta applicabile a tutti gli enti del comparto unico valdostano, appare pertanto lesiva anche della competenza legislativa primaria attribuita dallo Statuto alla Regione Valle d'Aosta in materia di ordinamento degli enti locali: tale competenza implica infatti che spetta alla Regione dettare la disciplina riguardante l'organizzazione amministrativa di tali enti, non esclusi gli aspetti concernenti lo stato economico del personale dipendente. Inoltre, l'art. 9, comma 4, del d.1. n. 78/2010 deve considerarsi costituzionalmente illegittimo anche in riferimento al parametro di legittimita' rappresentato dall'art. 3, comma 1, lett. f) dello Statuto speciale, che attribuisce alla Regione la potesta' di introdurre norme legislative di integrazione ed attuazione, nell'ambito dei principi individuati con legge dello Stato, in materia di «finanze regionali e comunali». Alla stregua di tale norma statutaria, il legislatore statale non puo' vincolare la spesa per il personale delle amministrazioni locali valdostane attraverso una disciplina di dettaglio ed auto-applicativa, come fa invece la disposizione censurata, ma deve limitarsi alla fissazione di una disciplina di principio. Sussiste, dunque, un ulteriore e distinto profilo di illegittimita' della norma impugnata, dal momento che essa pretende di porre un vincolo diretto e puntuale anche ad una voce di spesa riguardante gli enti locali della Regione Valle d'Aosta, in violazione dell'art. 3, comma 1, lett. f), dello Statuto speciale. Infine, l'art. 9, comma 4, del d.l. n. 78/2010 deve considerarsi costituzionalmente illegittimo anche in riferimento al parametro costituito dall'art. 4 dello Statuto speciale della Regione Valle d'Aosta, che attribuisce alla Regione le funzioni amministrative sulle materie nelle quali la stessa Regione e' titolare di potesta' legislativa. Tale disposizione statutaria implicitamente tutela l'autonomia regionale in materia di attivita' - e relative determinazioni di spesa - che hanno ad oggetto il personale necessario sia a svolgere dette funzioni, sia ad assicurare il buon andamento ed il funzionamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione stessa. Da questo punto di vista, il limite imposto dalla disposizione statale censurata agli aumenti retributivi disposti dai rinnovi contrattuali del personale dipendente delle pubbliche amministrazioni, qualora applicabile anche alla Regione Valle d'Aosta, comporterebbe una illegittima menomazione anche delle competenze amministrative regionali, dal momento che la determinazione dello stato economico del personale regionale e degli altri enti rientranti nel comparto unico valdostano incide su un aspetto determinante della contrattazione relativa alle risorse umane attraverso cui l'Ente regionale esercita le proprie funzioni amministrative. Pertanto, l'art. 9, comma 4, del d.l. n. 78/2010, ponendosi in contrasto con l'art. 4 dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta, e' da considerarsi anche sotto tale aspetto costituzionalmente illegittimo. IV. Violazione ad opera dell'art. 14, comma 32, del decreto-legge n. 78 del 2010 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, degli articoli 2, comma 1, lett. b) e 3, comma 1, lett. f) dello Statuto speciale della Valle d'Aosta (legge cost. n. 4/1948), nonche' del combinato disposto degli articoli 117, comma 2, lett. g) Cost. e 117, comma 4, Cost. e dell'art. 117, comma 6, Cost. L'art. 14, comma 32, del decreto-legge impugnato cosi' dispone: «Fermo quanto previsto dall'art. 3, commi 27, 28 e 29, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, i comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti non possono costituire societa'. Entro il 31 dicembre 2011 i comuni mettono in liquidazione le societa' gia' costituite alla data di entrata in vigore del presente decreto, ovvero ne cedono le partecipazioni. La disposizione di cui al presente comma non si applica alle societa', con partecipazione paritaria ovvero con partecipazione proporzionale al numero degli abitanti, costituite da piu' comuni la cui popolazione complessiva superi i 30.000 abitanti; i comuni con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti possono detenere la partecipazione di una sola societa'; entro il 31 dicembre 2011 i predetti comuni mettono in liquidazione le altre societa' gia' costituite. Con decreto del Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e per le riforme per il federalismo, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono determinate le modalita' attuative del presente comma nonche' ulteriori ipotesi di esclusione dal relativo ambito di applicazione». Riassumendo, il legislatore statale ha previsto: a) il divieto per i comuni con meno di 30.000 abitanti di costituire societa' di qualunque tipo o parteciparvi e l'obbligo, per gli stessi, di mettere in liquidazione, entro il 31 dicembre 2011, tutte le societa' gia' costituite, ovvero cederne le partecipazioni; b) il divieto per i comuni con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti di detenere la partecipazione a piu' d'una societa' e l'obbligo, per gli stessi, di mettere in liquidazione, entro il 31 dicembre 2011, tutte le societa' gia' costituite; c) la rimessione ad un decreto ministeriale (da emanarsi entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione) della individuazione delle modalita' attuative della norma e di ipotesi di esclusione dell'applicazione della stessa. Cio' premesso, anche tale previsione si mostra costituzionalmente illegittima poiche' - oltre a violare il principio costituzionale di leale collaborazione, come in seguito si chiarira' - determina una indebita compressione dell'autonomia organizzativa della ricorrente sotto almeno due profili. Anzitutto risulta violato l'art. 2, comma 1, lett. b) dello Statuto speciale della Valle (legge cost. n. 4/1948) che riconosce alla Regione, come noto, la potesta' legislativa primaria in materia di «ordinamento degli enti locali». E non vi e' dubbio che l'intervento statale realizzato attraverso il citato comma 32, dell'art. 14, incida proprio su tale ambito materiale. In proposito sia sufficiente rilevare che i divieti ed obblighi, in precedenza riassunti, posti dalla norma impugnata in capo alle amministrazioni comunali valdostane, non solo condizionano del tutto le modalita' organizzative dei servizi resi dagli enti locali, ma ne limitano fortemente l'iniziativa economica e la capacita' di agire, ingerendo negativamente sul relativo assetto ordinamentale e organizzativo. Ebbene, in proposito non puo' non rilevarsi come il legislatore statale non abbia titolo competenziale costituzionale per legiferare nella materia «ordinamento degli enti locali». L'esercizio del potere legislativo in tale settore, infatti, e' riservato alla Regione Valle d'Aosta in base all'art. 2, comma 1, lett. b) dello Statuto speciale - disposizione che risulta, pertanto, gravemente lesa dalla norma impugnata. La illegittimita' di quest'ultima rileva, peraltro, anche sotto l'ulteriore profilo della violazione del combinato-disposto dei commi secondo e quarto dell'art. 117 Cost. Il comma secondo dell'art. 117, lett. g), infatti, attribuendo alla potesta' legislativa statale soltanto la disciplina dell'«ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato», derubrica la materia dell'«ordinamento e organizzazione amministrativi degli enti sub statali». Tale materia, non essendo «espressamente riservata» alla competenza statale, ricade quindi nella potesta' legislativa regionale, per effetto del comma quarto dello stesso articolo, ai sensi del quale «spetta alle regioni la potesta' legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato». Le norme costituzionali appena citate, come noto, sono pacificamente invocabili come parametro di legittimita' anche dalla Regione Valle d'Aosta, in forza dell'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. Per tali ragioni, l'art. 14, comma 32, del decreto-legge n. 78/2010 e' da ritenersi costituzionalmente illegittimo in quanto contrario all'art. 2, comma primo, lett. b) dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta e all'art. 117, commi 2 e 4, Cost. A quanto precede deve, inoltre, essere aggiunto il riferimento all'art. 3, comma 1, lett. f) dello Statuto speciale, che appare parimenti violato. Tale norma statutaria, infatti, riconosce, come noto, alla Regione la potesta' di introdurre norme legislative di integrazione ed attuazione, nell'ambito dei principi individuati con legge dello Stato, in materia di «finanze comunali». Ed e' chiaro che la finanza comunale venga in evidenza nel presente caso, atteso che si discute del potere dei comuni di operare scelte in materia societaria. Ora, alla luce del combinato-disposto tra la disposizione statutaria citata e gli artt. 117, comma 3 e 119, comma 2, Cost., la competenza normativa della Valle in tale materia, in forza della clausola di cui all'art. 10, legge cost. n. 3/2001, e' garantita nell'ambito dei principi di coordinamento stabiliti dallo Stato che deve, pertanto, limitarsi ad individuare tali principi. Nel caso di specie, tuttavia, con l'art. 14, comma 32, il legislatore statale si e' spinto, come e' evidente, ben oltre la determinazione dei suddetti principi, invadendo la potesta' normativa regionale in materia di «finanze comunali». Ne' varrebbe sostenere, facendo leva sull'orientamento espresso da codesta ecc.ma Corte in materia di societa' partecipate dalle amministrazioni pubbliche con la sentenza n. 326/2008 (che ha dichiarato non fondata la q.lc. dell'art. 13 del decreto-legge n. 223/2006, c.d. Decreto Bersani), che la materia relativa alla capacita' dei comuni di costituire, partecipare, dismettere societa' di qualsiasi tipo vada ricondotta anziche', correttamente, alla potesta' legislativa regionale in materia di «ordinamento degli enti locali» e «finanze comunali», alle diverse materie «ordinamento civile» e «tutela della concorrenza», di spettanza esclusiva statale. Ed invero, la fattispecie che ha formato oggetto della citata pronuncia n. 326/2008 si mostra sensibilmente diversa da quella in esame. In quell'occasione, infatti, diversamente da quanto accade nel nostro caso, le disposizioni censurate, come chiarito dalla stessa Corte costituzionale, miravano «a definire il regime giuridico di soggetti di diritto privato e a tracciare il confine tra attivita' amministrativa e attivita' di persone giuridiche private» - cosi' incidendo sulla materia «ordinamento civile». Le stesse disposizioni, poi, avevano il dichiarato scopo di tutelare la concorrenza. L'art. 14, comma 32, del decreto-legge impugnato, invece, non solo non persegue alcuna finalita' anti-distorsiva del mercato concorrenziale, ma mira, in ultima analisi, a regolare lo svolgimento dell'azione amministrativa dei comuni, incidendo direttamente sull'iniziativa economica e la capacita' di agire degli enti locali e sull'assetto ordinamentale e organizzativo dei medesimi. E' evidente, pertanto, che i vincoli posti dal comma 32 alla Regione ricorrente eccedono la competenza legislativa statale e ledono gli articoli 2, comma 1, lett. b) e 3, comma 1, lett. f) dello Statuto speciale della Valle d'Aosta. L'ultimo periodo dell'art. 14, comma 32, del decreto-legge n. 78/2010 rimette, come in precedenza rilevato, ad un decreto del Ministro per i rapporti con le Regioni e per la coesione territoriale, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e per le riforme per il federalismo - da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione -, la determinazione delle modalita' attuative del citato comma nonche' la individuazione di ipotesi di esclusione dal relativo ambito di applicazione. Anche tale previsione si mostra palesemente illegittima per piu' di una ragione. Anzitutto per violazione del combinato disposto degli articoli 117, comma 6, Cost. e 10, legge cost. n. 3/2001 i quali fondano la potesta' regolamentare della Valle d'Aosta in tutte le materie che non siano di competenza esclusiva dello. Stato. Ora, atteso che la norma impugnata incide, come in precedenza rilevato, sulla materia «ordinamento degli enti locali» e «finanze comunali» di competenza regionale, e' evidente che il legislatore centrale risulta sprovvisto del titolo costituzionale su cui basare, in tali ambiti, la propria potesta' regolamentare. Da cio' consegue, all'evidenza, la illegittimita' del citato art. 14, comma 32, poiche' la norma da esso recata - rimettendo al Governo la determinazione delle modalita' attuative della disposizione nonche' la individuazione di ipotesi di esclusione dal relativo ambito di applicazione - attribuisce allo Stato il potere di incidere con regolamento su materie che esulano dalla propria competenza esclusiva e che rientrano, di converso, nella sfera di attribuzioni della Regione ricorrente. Ulteriore profilo di incostituzionalita' della disposizione censurata va ravvisato, poi, con riferimento agli articoli 5 e 120 Cost., nella misura in cui non contempla alcun meccanismo di leale collaborazione tra Stato e Regioni nell'adozione dei decreti attuativi della previsione di divieto. Ora, anche nell'ipotesi, piu' sopra criticata, che la disciplina recata dall'art. 14, comma 32, fosse ritenuta conforme a Costituzione in quanto ascrivibile alla competenza esclusiva dello Stato nelle materie dell'ordinamento civile e della tutela della concorrenza, e' pur vero che la competenza riconosciuta al Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, ed ai Ministri dell'economia e delle finanze e per le riforme per il federalismo, incide su ambiti materiali riferibili anche a settori di competenza regionale, rendendosi quindi necessari - ai fini dell'attuazione della norma - meccanismi di reciproco coinvolgimento e di coordinamento dei livelli di governo statale e regionale (in tal senso, tra le altre, Corte cost., sent. n. 213/2006). Nessuno di tali meccanismi, tuttavia, e' stato previsto dalla disposizione oggetto di sindacato. Essa, infatti, consente al Governo di fissare le modalita' attraverso cui i comuni valdostani dovranno mettere in liquidazione le societa' gia' costituite ovvero cederne le partecipazioni, nonche' di individuare le fattispecie da escludere dall'ambito di applicazione della norma, a prescindere dalla consultazione della Regione nell'ambito delle Conferenze (Unificata e Stato-Regioni), ovvero dal raggiungimento di qualsivoglia accordo con la stessa. Il che determina, a ben vedere, una illegittima compressione del principio costituzionale di leale collaborazione, che secondo la nota giurisprudenza di questa ecc.ma Corte «deve presiedere a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e Regioni» (cfr., tra le altre, Corte cost., sent. n. 31/2006; Sulla leale collaborazione, quale principio che «si deve sostanziare in momenti di reciproco coinvolgimento istituzionale e di necessario coordinamento dei livelli di governo statale e regionale», cfr., ex plurimis, sent. n. 213/2006; 240/2007). Alla luce di quanto detto non puo' non dubitarsi, pertanto, della conformita' a Costituzione, sotto il profilo appena esplicitato, dell'art. 14, comma 32, del decreto-legge n. 78/2010. Ad ulteriore sostengo di tale assunto sia consentito, infine, richiamare la sentenza n. 76/2009 resa da codesta ecc.ma Corte in materia di turismo. Con tale pronuncia e' stato affermato che ove lo Stato intenda, pur in materie di competenza residuale delle regioni, predisporre una disciplina uniforme di procedure acceleratorie e di semplificazione dirette alla realizzazione di economie di scala e al contenimento dei costi di gestione delle imprese, deve necessariamente provvedervi mediante lo strumento incisivo di leale collaborazione con le regioni rappresentato dall'intesa con la Conferenza Stato-Regioni, trattandosi di discipline che incidono in maniera significativa sulle competenze regionali. Per tutti motivi che precedono, si chiede, pertanto, a codesta ecc.ma Corte di volere annullare la norma desumibile dal piu' volte richiamato art. 14, comma 32, del decreto-legge n. 78/2010, convertito con modificazioni, dalla legge n. 122/2010. V) Violazione ad opera dell'art. 49, comma 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, dell'art. 117 Cost., in combinato disposto con l'art. 10 della legge cost. n. 3/2001, nonche' degli artt. 2, comma 1, lettere g), p) e q), e 3, comma 1, lett. a), dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta (legge cost. n. 4 del 1948) e delle relative norme di attuazione, nonche', in subordine, del principio costituzionale di leale collaborazione. L'art. 49, comma 4-ter, del d.l. n. 78/2010, dispone che il comma 4-bis del medesimo art. 49 «attiene alla tutela della concorrenza ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, e costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi della lettera m) del medesimo comma». Tale previsione, nel definire l'ambito materiale cui deve ascriversi la disciplina sulla «Segnalazione certificata di inizio attivita'» (SCIA) dettata dall'art. 49, comma 4-bis del d.1. n. 78/2010, riconduce tale disciplina alla legislazione esclusiva dello Stato e dunque individua nella legge statale la sola fonte competente ad intervenire in tema di SCIA. Inoltre, l'art. 49, comma 4-ter, nel prevedere che «le espressioni "segnalazione certificata di inizio attivita'" e "Scia" sostituiscono, rispettivamente, quelle di "dichiarazione di inizio attivita'" e "Dia"», ovunque ricorrano, anche come parte di una espressione piu' ampia», stabilisce che «la disciplina di cui al comma 4-bis sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, quella della dichiarazione di inizio attivita' recata da ogni normativa statale e regionale». Stando a tale ultima previsione, dunque, la nuova disciplina sulla SCIA si sostituisce a quella gia' esistente in tema di DIA, modificando non solo la previgente normativa statale ma anche quella regionale. La disposizione statale censurata, qualora ritenuta applicabile anche alla Regione Valle d'Aosta, viola l'assetto costituzionale delle competenze regionali delineato nello Statuto speciale (adottato con legge cost. n. 4/1948) nonche' nell'art. 117 Cost., per la parte in cui devono applicarsi anche alla Regione Valle d'Aosta le piu' ampie forme di autonomia ivi previste ai sensi dell'art. 10 della legge cost. n. 3/2001. Pur nella consapevolezza, maturata sulla base della giurisprudenza di questa ecc.ma Corte, che «l'autoqualificazione di una norma come inerente alla materia della concorrenza non ha carattere precettivo e vincolante» e che pertanto, «ancora prima di ogni valutazione sulla correttezza o meno della qualificazione stessa, una previsione di tal fatta e' priva di contenuto lesivo» per la Regione ricorrente (cfr., ex multis, sentt. nn. 414 del 2004 e 1 del 2008), sembra opportuno svolgere alcune considerazioni proprio sull'autoqualificazione contenuta nella disciplina statale censurata. Deve considerarsi, infatti, che l'art. 49, comma 4-ter, del d.1. n. 78/2010 effettua un'erronea individuazione dell'ambito materiale cui ascrivere la disciplina della Segnalazione certificata di inizio attivita'. Quest'ultima, infatti, non attiene alla «tutela della concorrenza», annoverata tra le voci di legislazione esclusiva statale ex art. 117, comma 2, lett. e), Cost., e nemmeno costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali di cui alla lett. m) dell'art. 117, comma 2, Cost. Quanto al primo aspetto, deve osservarsi che la disciplina sulla Segnalazione certificata di inizio attivita' non mira a tutelare la concorrenza del mercato, bensi' ad alleggerire gli oneri amministrativi ricadenti sul privato per l'avvio di talune attivita' di rilievo imprenditoriale, commerciale o artigianale, nell'ottica di agevolare l'esercizio di tali attivita' nonche' di semplificare le funzioni amministrative di controllo ad esse relative. La ratio della disciplina non e' quella di eliminare pratiche anticoncorrenziali o di rimuovere elementi distorsivi del mercato, e nemmeno quella di promuovere un ampliamento delle possibilita' di accesso degli attori che vi operano. Essa, invece, si propone, da un lato, di ridurre il costo ed i tempi che gravano sui privati che intendano intraprendere un'attivita' imprenditoriale, commerciale o artigianale, in tutti i casi in cui non siano coinvolti rilevanti interessi pubblici che giustifichino il permanere di atti amministrativi di natura autorizzativi o permissiva; dall'altro, di razionalizzare l'agire delle pubbliche amministrazioni, riducendo i costi organizzativi e finanziari connessi al rilascio degli atti amministrativi enunciati nell'art. 19, comma 1, della legge n. 241/1990, cosi' come sostituito dall'art. 49, comma 4-bis, del d.1. n. 78/2010. Certo, non puo' escludersi che indirettamente la disciplina in tema di SCIA possa anche avere come effetto quello di ridurre una delle barriere che possono ostacolare, in fatto, l'ingresso del privato nell'esercizio di una nuova attivita' imprenditoriale o commerciale, nel senso di contribuire ad abbassare i costi legati all'avvio dell'impresa e dunque a facilitarne l'inserimento sul mercato offrendo beni o servizi a prezzi piu' competitivi, soprattutto nel settore delle esportazioni. Ma tale disciplina non si propone di eliminare una disparita' di trattamento tra gli operatori economici o di rimuovere una barriera all'ingresso degli stessi operatori sul mercato, bensi' di semplificarne gli oneri procedimentali nei rapporti con le pubbliche amministrazioni. Pertanto e' senz'altro da escludere che la disciplina sulla SCIA possa per cio' stesso ascriversi, anche solo in via prevalente, al titolo competenziale individuato dal legislatore statale nell'art. 117, comma 2, lett. e), e cioe' alla tutela della concorrenza. A tale riguardo puo' altresi' osservarsi che questa ecc.ma Corte, gia' nella sent. n. 14 del 2004, ha sottolineato come «dal punto di vista del diritto interno, la nozione di concorrenza non puo' non riflettere quella operante in ambito comunitario, che comprende interventi regolativi, la disciplina antitrust e misure destinate a promuovere un mercato aperto e in libera concorrenza». Esulano dunque da tale «materia trasversale» gli interventi legislativi che incidono - come l'art. 49-bis del d.l. n. 78/2010 - sulla disciplina delle modalita' attraverso le quali le pubbliche amministrazioni sono chiamate a controllare l'attivita' dei privati in campo economico per la salvaguardia degli interessi pubblici di volta in volta coinvolti. Nemmeno puo' condividersi l'autoqualificazione contenuta nell'art. 49, comma 4-bis, del d.1. n. 78/2010, che definisce la disciplina sulla segnalazione certificata di inizio attivita' come «livello essenziale delle prestazioni», riconducibile alla competenza trasversale annoverata nell'art. 117, comma 2, lett. m), Cost., tra le voci di legislazione esclusiva dello Stato. Come piu' volte osservato da questa ecc.ma Corte, infatti, la determinazione dei livelli essenziali non costituisce una «materia» in senso stretto, ma una «competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull'intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti» (sent. n. 282 del 2002). Tale competenza presuppone dunque l'individuazione di prestazioni garantite come contenuto essenziale di diritti e non puo' essere invocata in relazione a norme statali volte ad altri fini, quali, ad esempio, «l'individuazione del fondamento costituzionale della disciplina, da parte dello Stato, di interi settori materiali o la regolamentazione dell'assetto organizzativo e gestorio di enti preposti all'erogazione delle prestazioni» (ex plurimis, sentt. nn. 371/2008 e 207/2010). Appare di immediata evidenza come la disciplina introdotta dall'art. 49-bis del d.1. n. 78/2010 non abbia nulla a che vedere con la determinazione dei livelli essenziali di prestazioni, non configurando ne' prestazioni che costituiscano contenuto essenziale di diritti e nemmeno livelli essenziali riferiti a tali prestazioni. Del tutto erronea deve pertanto considerarsi l'autoqualificazione contenuta, per questo secondo profilo, nel censurato art. 49, comma 4-ter, del d.l. n. 78/2010. Alle considerazioni fin qui svolte deve aggiungersi che la disciplina introdotta dall'art. 49, comma 4-bis, non puo' ricondursi ad un'unica materia o voce contenuta negli elenchi del novellato art. 117 Cost., ma coinvolge una pluralita' di materie, in relazione al settore sul quale incidono i relativi procedimenti amministrativi ed in considerazione dei diversi interessi che possono risultarne coinvolti. Deve tuttavia ritenersi che la disciplina della SCIA sia ascrivibile, in modo prevalente, all'ambito dell'industria, del commercio e dell'artigianato, cioe' a materie spettanti alla competenza residuale delle regioni ai sensi del quarto comma dell'art. 117 Cost. e dunque anche alla competenza legislativa della Regione Valle d'Aosta in virtu' della clausola di cui all'art. 10 della legge cost. n. 3/2001. Inoltre, la disciplina sulla segnalazione certificata di inizio attivita' coinvolge ambiti materiali che ricadono nella competenza legislativa primaria attribuita alla Regione Valle d'Aosta dall'art. 2, comma 1, lettere p) e q) dello Statuto speciale, e che consistono, rispettivamente, nelle materie «artigianato» ed «industria alberghiera, turismo e tutela del paesaggio», nonche' nella competenza della Regione ad emanare norme legislative di integrazione e di attuazione delle leggi della Repubblica nella materia «industria e commercio», ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. a), del medesimo Statuto. Qualora si ritenesse, poi, che la disciplina recata dalla norma impugnata si estenda, altresi', ad aspetti riconducibili alla pianificazione territoriale, essa finirebbe per incidere anche in materia «urbanistica, piani regolatori per zone di particolare importanza turistica», di competenza legislativa primaria della Valle ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. g) dello Statuto speciale. La disciplina dei profili procedimentali connessi alle richieste per l'esercizio di attivita' imprenditoriale, commerciale o artigianale non puo' dunque ascriversi, nella sua totalita', ad una competenza esclusiva dello Stato, dal momento che essa insiste in modo prevalente su ambiti di legislazione regionale, di natura esclusiva o concorrente. Cio' premesso, la previsione contenuta nella seconda parte dell'art. 49, comma 4-ter, del d.l. n. 78/2010, in base alla quale «le espressioni "segnalazione certificata di inizio attivita'" e "Scia" sostituiscono, rispettivamente, quelle di "dichiarazione di inizio attivita'" e "Dia", ovunque ricorrano, anche come parte di una espressione piu' ampia, e la disciplina di cui al comma 4-bis sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, quella della dichiarazione di inizio attivita' recata da ogni normativa statale e regionale», deve ritenersi lesiva delle competenze legislative attribuite dalle succitate norme costituzionali alla Regione Valle d'Aosta. La norma impugnata, infatti, stabilisce l'abrogazione immediata, diretta ed indiscriminata di ogni normativa di settore adottata dalla Regione Valle d'Aosta nella quale sia stata prevista la Denuncia di inizio attivita' (DIA), indipendentemente dall'ambito materiale coinvolto, disponendo la contestuale sostituzione di tale normativa con quella dettata dal legislatore statale in tema di SCIA. La norma statale censurata si pone cosi' in contrasto insanabile con le garanzie costituzionali concernenti il riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le regioni ed in particolare con l'autonomia legislativa della Regione ricorrente. Anzi, puo' affermarsi che la previsione del legislatore statale sembra disconoscere le piu' elementari regole che presiedono al riparto delle competenze legislative accolto nel nostro ordinamento costituzionale, e segnatamente quella che impedisce di risolvere i rapporti tra le fonti statali e quelle regionali in termini di mera gerarchia, riconoscendo al legislatore statale la possibilita' di abrogare la disciplina regionale senza alcuna considerazione delle sfere di competenza coinvolte. Tale illegittima deviazione dal modello costituzionale, censurabile gia' in base all'originaria formulazione dell'art. 117 Cost., si pone in palese contrasto con l'assetto delle competenze legislative attribuite alla Regione Valle d'Aosta dal nuovo art. 117 Cost., ai sensi dell'art. 10, della legge cost. n. 3/2001, nonche' dallo Statuto speciale. Peraltro puo' osservarsi che, anche laddove il legislatore statale intendesse disciplinare e regolare l'esercizio delle funzioni amministrative che attengono alla conformazione dell'attivita' dei privati in ambito imprenditoriale, commerciale o artigianale, al fine di assicurare esigenze di uniformita', non potrebbe comunque disporre legittimamente l'abrogazione delle vigenti discipline settoriali della Regione Valle d'Aosta, procedendo alla sostituzione di esse con la nuova disciplina statale, ma semmai prevedere un obbligo di adeguamento da parte della Regione, che sarebbe chiamata ad intervenire comunque con fonti regionali, attraverso un rinnovato esercizio della potesta' legislativa ad essa attribuita negli ambiti materiali coinvolti. In tale ultima ipotesi, peraltro, stante la significativa incidenza della disciplina statale su ambiti materiali spettanti alla competenza esclusiva o concorrente regionale, dovrebbe essere assicurato il coinvolgimento della Regione stessa nella decisione del legislatore statale, attraverso meccanismi di raccordo o concertazione reputati idonei al sostanziale rispetto del principio di leale collaborazione. Alla luce delle considerazioni svolte, si chiede a questa ecc.ma Corte di dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 49, comma 4-ter, del d.1. n. 78/2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122/2010, per violazione dell'art. 2, comma 1, lettere g), p), q), e 3, comma 1, lett. a), della legge cost. n. 4/1948 e delle relative norme di attuazione, nonche' del combinato disposto dell'art. 117, comma 4, Cost. e dell'art. 10 della legge cost. n. 3/2001. In via subordinata, ove si ritenesse che la disciplina statale censurata sia riconducibile alla competenza trasversale dello Stato in materia di «concorrenza» e di «livelli essenziali delle prestazioni», la stessa risulterebbe ugualmente incostituzionale per violazione del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost. Tale disciplina, infatti, incide in maniera significativa sulle competenze regionali, con la conseguenza che lo Stato avrebbe dovuto - diversamente da quanto fatto nel caso di specie - prevedere meccanismi di reciproco coinvolgimento e di coordinamento del livello di governo statale e regionale, come in piu' occasioni affermato dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte (cfr., tra le altre, Corte cost., sentt. nn. 213/2006; 240/2007; 78/2010). V.1) Violazione ad opera dell'art. 49, commi 4-quater e 4-quinquies, del d.l. n. 78 del 2010 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, dell'art. 117 Cost., commi 4 e 6, in combinato disposto con l'art. 10 della legge cost. n. 3/2001, nonche' degli artt. 2, comma 1, lettere g), p) e q), e 3, comma 1, lett. a), dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta (legge cost. n. 4 del 1948) e delle relative norme di attuazione, nonche', in subordine, del principio di leale collaborazione. L'art. 49 del d.l. n. 78/2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122/2010, introduce, ai commi 4-quater e 4-quinquies, una disciplina volta alla semplificazione e riduzione degli adempimenti amministrativi gravanti sulle piccole e medie imprese, al fine di promuovere lo sviluppo del sistema produttivo e la competitivita' delle imprese. L'art. 49, comma 4-quater, del d.l. n. 78/2010, dispone, a tale riguardo, il ricorso allo strumento della delegificazione. Si autorizza infatti il Governo ad adottare uno o piu' regolamenti ai sensi dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione, per la semplificazione normativa e dello sviluppo economico, sentiti i Ministri interessati e le associazioni imprenditoriali, «volti a semplificare e ridurre gli adempimenti amministrativi gravanti sulle piccole e medie imprese». Il medesimo comma individua i principi e criteri direttivi, nel rispetto di quanto previsto dagli articoli 20, 20-bis e 20-ter della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, che devono essere seguiti nell'adozione dei relativi regolamenti. Tali principi e criteri direttivi consistono, tra l'altro, nella proporzionalita' degli adempimenti amministrativi in relazione alla dimensione dell'impresa e al settore di attivita', nonche' alle esigenza di tutela degli interessi pubblici coinvolti (lett. a), nella eliminazione di autorizzazioni, licenze, permessi, ovvero di dichiarazioni, attestazioni, certificazioni, comunque denominati, nonche' degli adempimenti amministrativi e delle procedure non necessarie rispetto alla tutela degli interessi pubblici in relazione alla dimensione dell'impresa ovvero alle attivita' esercitate (lett. b), nella estensione dell'utilizzo dell'autocertificazione, delle attestazioni e delle asseverazioni dei tecnici abilitati nonche' delle dichiarazioni di conformita' da parte dell'Agenzia delle imprese (lett. c), nella informatizzazione degli adempimenti e delle procedure amministrative, secondo la disciplina dettata dal Codice dell'amministrazione digitale (lett. d), nella soppressione delle autorizzazioni e dei controlli per le imprese in possesso di certificazione ISO o equivalente, per le attivita' oggetto di tale certificazione (lett. e), e nel coordinamento delle attivita' di controllo al fine di evitare duplicazioni e sovrapposizioni, assicurando la proporzionalita' degli stessi in relazione alla tutela degli interessi pubblici coinvolti (lett. f). L'art. 49, comma 4-quinquies, prevede poi che i regolamenti di cui al succitato comma 4-quater sono emanati entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 78/2010 ed entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla data della loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Con effetto dalla data di entrata in vigore dei predetti regolamenti sono abrogate le norme, anche di legge, regolatrici dei relativi procedimenti. Si precisa infine che tali interventi confluiscono nel processo di riassetto di cui all'art. 20 della legge n. 59 del 1997. La disciplina contenuta nell'art. 49, commi 4-quater e 4-quinquies, laddove ritenuta applicabile alla Regione Valle d' Aosta, deve ritenersi costituzionalmente illegittima, per violazione di una pluralita' di parametri costituzionali che assistono l'autonomia legislativa e regolamentare della Regione. Anzitutto deve osservarsi che i commi 4-quater e 4-quinquies, nel disciplinare la semplificazione e la riduzione degli adempimenti amministrativi a carico delle piccole e medie imprese al fine di promuovere la loro competitivita' e lo sviluppo del sistema produttivo, incidono prevalentemente in ambiti materiali spettanti alla competenza esclusiva o concorrente della Regione Valle d'Aosta. In particolare, la disciplina censurata investe l'ambito delle attivita' industriali, commerciali e artigianali spettanti alla competenza residuale delle regioni ai sensi del quarto comma dell'art. 117 Cost. e dunque anche alla competenza legislativa della Regione Valle d'Aosta in virtu' della clausola di cui all'art. 10 della legge cost. n. 3/2001. Inoltre, non v'e' dubbio che la disciplina delle attivita' amministrative relative all'attivita' delle piccole e medie imprese coinvolge le materie «artigianato» ed «industria alberghiera, turismo e tutela del paesaggio» attribuite alla competenza piena della Regione Valle d'Aosta dall'art. 2, comma 1, lettere p) e q) dello Statuto speciale, nonche' la materia «industria e commercio», attribuita dall'art. 3, comma 1, lett. a) del medesimo statuto alla competenza della Regione di emanare norme legislative di integrazione e di attuazione delle leggi della Repubblica. Parimenti coinvolto sarebbe l'ambito materiale tutelato dall'art. 2, comma 1, lett. g) dello Statuto speciale, relativo a «urbanistica, piani regolatori per zone di particolare importanza turistica» - nell'ipotesi in cui si ritenesse che rientrano nell'ambito di applicazione delle norme impugnate anche aspetti relativi alla pianificazione territoriale. Dunque, la disciplina introdotta dall'art. 49, commi 4-quater e 4-quinquies, non puo' certo ascriversi, nella sua totalita', ad una competenza esclusiva dello Stato, dal momento che essa insiste in modo prevalente su ambiti di legislazione regionale, di natura esclusiva o concorrente. Se dunque si esclude che le previsioni contenute nei commi 4-quater e 4-quinquies rientrino in ambiti materiali spettanti alla competenza esclusiva dello Stato, ne consegue che il rinvio, contemplato nei medesimi commi, ad un regolamento governativo per la disciplina degli adempimenti amministrativi cui sono tenute le piccole e medie imprese si pone in immediato contrasto con l'art. 117, comma 6, Cost., in base al quale la potesta' regolamentare spetta allo Stato soltanto nelle materie di legislazione esclusiva, fatta salva la possibilita' di delega alle Regioni. L'art. 117, comma 6, attribuisce infatti alle regioni la potesta' regolamentare in ogni altra materia. Deve pertanto ritenersi che la previsione contenuta nell'art. 49, comma 4-quinquies, in base alla quale, con effetto dalla data di entrata in vigore dei regolamenti di cui al comma 4-quater, «sono abrogate le norme, anche di legge, regolatrici dei relativi procedimenti», laddove ritenuta applicabile anche alla Regione Valle d'Aosta, determini una lesione delle competenze legislative e regolamentari attribuite alla medesima Regione. I regolamenti governativi di delegificazione, infatti, non posso intervenire in materie spettanti alla competenza esclusiva o concorrente della Regione Valle d'Aosta, tra le quali devono annoverarsi anche quelle concernenti, in generale, le attivita' produttive sopra richiamate. D'altra parte, l'effetto abrogativo connesso all'entrata in vigore dei regolamenti adottati dal Governo ai sensi dell'art. 49, commi 4-quater e 4-quinquies, genericamente riferito alle «norme, anche di legge, regolatrici dei relativi procedimenti», determina un'indebita intromissione della legge statale nell'ordinamento della Regione Valle d'Aosta, ponendosi ancora una volta in palese contrasto con il principio di competenza che regola i rapporti tra le fonti statali e le fonti regionali nel nostro ordinamento. Conseguentemente, le norme censurate devono ritenersi costituzionalmente illegittime anzitutto per violazione dell'art. 117, commi 4 e 6, Cost., in combinato disposto con l'art. 10 della legge cost. n. 3/201, nonche' dell'art. 2, comma l, lettere g), p), q), e 3, comma 1, lett. a), dello Statuto della Regione Valle d'Aosta. In subordine, qualora si volesse rintracciare il fondamento dell'intervento legislativo statale censurato, concernente la semplificazione dei procedimenti amministravi relativi alle piccole e medie imprese, nell'esigenza di soddisfare esigenze unitarie che devono, necessariamente essere sottoposte ad una regolazione uniforme, sebbene invasiva delle attribuzioni regionali, nondimeno l'art. 49, commi 4-quater e 4-quinquies, determinerebbero una violazione del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., giacche' le disposizioni censurate non prevedono alcun meccanismo di raccordo e di concertazione con il sistema delle autonomie territoriali, e segnatamente con la Regione Valle d'Aosta. In assenza di tali meccanismi di concertazione e raccordo, infatti, la previsione statale relativa al citato istituto della delegificazione, in grado di determinare l'abrogazione delle norme regolatrici della materia adottate dalla Regione Valle d'Aosta nell'esercizio delle proprie competenze normative, costituzionalmente garantite, nel settore dello sviluppo economico e competitivita' delle piccole e medie imprese, appare del tutto sproporzionata rispetto alla finalita' perseguita per violazione del principio di leale collaborazione e dunque costituzionalmente illegittima.
P.Q.M. Chiede che codesta ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento del presente ricorso, voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica», convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, limitatamente all'art. 5, comma 5, per violazione dell'art. 3, comma 1, lett. f), dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta (legge cost. n. 4/1948), nonche' degli articoli 117, comma 3, Cost. e 119, comma 2, Cost., in combinato disposto con l'art. 10, legge cost. n. 3/2001; all'art. 6, commi 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9, 12, 13, 14, 19, e 20, primo periodo, per violazione degli artt. 2, comma 1, lett. a); 2, comma 1, lett. b); 3, comma 1, lett. f); 3, comma 1, lett. l) e 4 dello Statuto della Valle d'Aosta (legge cost. n. 4/1948), nonche' dell'art. 10, legge cost. n. 3/2001 e per vizio di irragionevolezza; all'art. 9, comma 2-bis, nonche' al combinato disposto degli articoli 9, comma 28, e 14, comma 24-bis, per violazione degli artt. 2, comma 1, lett. a), comma 1, lett. f), 3, comma 1, lett. l), 4, comma 1, e 12, dello Statuto della Valle d'Aosta (legge cost. n. 4/1948) e delle relative norme di attuazione, nonche' dell'art. 10, legge cost. n. 3/2001 e degli articoli 117, commi 3 e 4, Cost., 119, comma 2, Cost., letti in combinato disposto con l'art. 10, legge cost. n. 3/2001; all'art. 9, comma 4, per violazione degli artt. 117, commi 3 e 4, e 119, Cost., in combinato disposto con l'art. 10 della legge cost. n. 3/2001, nonche' degli artt. 2, comma 1, lettere a) e b), 3, comma 1, lett. f), e 4 dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta (legge cost. n. 4 del 1948) e delle relative norme di. attuazione; all'art. 14, comma 32, per violazione degli articoli 2, comma 1, lett. b) e 3, comma 1, lett. f) dello Statuto speciale della Valle d'Aosta (legge cost. n. 4/1948), nonche' del combinato .disposto degli articoli 117, comma 2, lett. g) Cost. e 117, comma 4 Cost. e. dell'art. 117, comma 6, Cost. in combinato disposto con l'art. 10, legge cost. n. 3/2001, nonche' per violazione del principio costituzionale di leale collaborazione; all'art. 49, comma 4-ter, per. violazione dell'art. 117 Cost., in. combinato disposto con l'art. 10 della legge cost. n. 3/2001, nonche' degli artt. 2, comma 1, lettere g), p) e q), e 3, comma 1, lett. a), dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta (legge cost. n. 4 del 1948) e delle relative norme di attuazione, nonche', in subordine, per violazione del principio costituzionale di leale collaborazione; all'art. 49, commi 4-quater e 4-quinquies, per violazione dell'art. 117 Cost., commi 4 e 6, in combinato disposto con l'art. 10 della legge cost. n. 3/2001, nonche' degli artt. 2, comma 1, lettere g), p) e q), e 3, comma 1, lett. a), dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta (legge cost. n. 4 del 1948) e delle relative norme di attuazione, nonche', in subordine, del principio di leale collaborazione - nella parte in cui risultano applicabili alla Regione Valle d'Aosta e ne ledono le relative competenze costituzionalmente garantite, sotto profili e per le ragioni dinanzi esposte. Si depositera', unitamente al presente ricorso debitamente notificato, la seguente documentazione: 1) Delibera della Giunta regionale della Valle d'Aosta n. 2519 del 22 settembre 2010. Roma, addi' 23 settembre 2010 Prof. avv. Francesco Saverio Marini