N. 97 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 30 settembre 2010

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 30 settembre 2010 (della Regione Toscana). 
 
Bilancio e contabilita' pubblica -  Sanita'  pubblica  -  Farmacia  -
  Misure urgenti in  materia  di  stabilizzazione  finanziaria  e  di
  competitivita' economica - Revisione dei criteri  di  remunerazione
  della spesa farmaceutica - Affidamento ad un accordo tecnico tra  i
  Ministeri della salute e dell'economia, l'AIFA e le associazioni di
  categoria, con previsione di  criteri  puntuali,  di  dettaglio  ed
  autoapplicativi - Lamentata esorbitanza  dal  limite  imposto  allo
  Stato  di  dettare  solo  i  principi  fondamentali,  mancanza   di
  coinvolgimento  delle  Regioni  al  tavolo  di  confronto  tecnico,
  lamentata incidenza sul bilancio regionale attraverso  un  atto  di
  revisione unilaterale - Ricorso della Regione Toscana -  Denunciata
  violazione della competenza  legislativa  regionale  nella  materia
  concorrente della tutela della salute, violazione del principio  di
  leale   collaborazione,   violazione   dell'autonomia   finanziaria
  regionale. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 11, comma 6-bis. 
- Costituzione, artt. 117, comma terzo,  118,  primo  comma,  e  119,
  primo e secondo comma. 
Circolazione stradale - Misure urgenti in materia di  stabilizzazione
  finanziaria e di competitivita' economica - Definizione con decreto
  del Presidente del Consiglio dei ministri, di criteri  e  modalita'
  per l'applicazione del pedaggio sulle  autostrade  e  sui  raccordi
  autostradali  in  gestione  diretta   di   ANAS   s.p.a.,   nonche'
  dell'elenco delle tratte da sottoporre a pedaggio -  Autorizzazione
  all'ANAS  s.p.a.  ad   applicare   una   maggiorazione   tariffaria
  forfettaria di un euro per le classi di pedaggio A e  B  e  di  due
  euro per le classi di pedaggio 3, 4 e  5,  presso  le  stazioni  di
  esazione delle autostrade a pedaggio assentite in  concessione  che
  si interconnettono con le autostrade e i raccordi  autostradali  in
  gestione diretta ANAS - Lamentata carenza di  coinvolgimento  della
  Regione in ambito di viabilita' - Ricorso della Regione  Toscana  -
  Denunciata violazione della competenza  legislativa  della  Regione
  nelle materie concorrenti del governo del territorio e delle grandi
  reti di trasporto e navigazione, lesione  del  principio  di  leale
  collaborazione. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 15 commi 1 e 2. 
- Costituzione, art. 117, comma terzo. 
Regioni (in genere) - Amministrazione pubblica -  Misure  urgenti  in
  materia  di  stabilizzazione  finanziaria   e   di   competitivita'
  economica - Dissenso fra Amministrazioni  diverse,  Stato  ed  Enti
  Locali e Regione ed Enti Locali, preposte alla  tutela  ambientale,
  paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico,  alla
  tutela della salute e della pubblica incolumita'  -  Previsione  di
  determinazione  unilaterale  governativa   in   caso   di   mancato
  raggiungimento di un'intesa nel  termine  di  trenta  giorni  dalla
  rimessione della questione al Consiglio dei  ministri  -  Lamentata
  espropriazione del potere decisionale della  Regione,  interferenza
  del governo centrale nei  rapporti  tra  Regioni  ed  enti  locali,
  introduzione  di  una   nuova   ipotesi   di   potere   sostitutivo
  straordinario  del  Governo  -  Ricorso  della  Regione  Toscana  -
  Denunciata lesione dell'autonomia regionale, esorbitanza dai limiti
  costituzionali imposti allo Stato in  tema  di  potere  sostitutivo
  straordinario, lesione del principio di leale collaborazione. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge  30  luglio  2010,  n.  122,  art.  49,  comma  3,  che
  sostituisce i commi 3, 3-bis, 3-ter e 3-quater dell'art.  14-quater
  della legge 7 agosto 1990, n. 241. 
- Costituzione, artt. 117, commi terzo e quarto, 118 e 120. 
Amministrazione pubblica -  Iniziativa  economica  privata  -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita'  economica  -   Introduzione   della   "Segnalazione
  certificata di inizio attivita'" (SCIA) sostitutiva della "Denuncia
  di inizio attivita'" (DIA) - Ritenuta  applicabilita'  della  nuova
  disciplina  della  DIA  commerciale  (SCIA),   anche   al   settore
  dell'edilizia  -  Lamentata  modifica  con  norma   statale   della
  preesistente normativa sia statale che  regionale  -  Dichiarazione
  che la disciplina predetta attiene alla tutela della concorrenza  e
  costituisce livello  essenziale  delle  prestazioni  concernenti  i
  diritti   civili   e   sociali   -   Lamentata   erroneita'   della
  autoqualificazione, incidenza in ambito di  legislazione  regionale
  di natura concorrente - Ricorso della Regione Toscana -  Denunciata
  violazione della competenza  legislativa  regionale  nella  materia
  concorrente del governo del territorio. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 49, commi 4-bis  e  4-ter,
  modificativi dell'art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241. 
- Costituzione, artt. 117, comma terzo, e 121, comma secondo. 
(GU n.45 del 10-11-2010 )
    Ricorso della Regione Toscana,  in  persona  del  Presidente  pro
tempore, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n.  840
del 27 settembre 2010, rappresentato e difeso, per mandato  in  calce
al presente atto, dall'Avv. Lucia Bora, domiciliato in  Roma,  presso
lo studio dell'avv. Pasquale Mosca, Corso d'Italia n.102; 
    Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro  tempore  per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma
6-bis, dell'art. 15, commi 1 e 2, dell'art. 49, comma 3, dell'art. 49
commi 4-bis e 4-ter, del decreto-legge n. 78 del 2010 convertito  con
modificazioni nella legge 30 luglio  2010,  n.  122,  per  violazione
degli artt. 117, terzo e quarto comma, 118, primo comma, 119, primo e
secondo comma, 120 e 121, secondo comma Cost. anche sotto il  profilo
di violazione del principio della leale cooperazione. 
    Sul supplemento ordinario n. 174 alla Gazzetta Ufficiale -  serie
generale n. 176 del 30 luglio 2010 e' stata pubblicata  la  legge  30
luglio  2010,  n.  122  di  conversione,   con   modificazioni,   del
decreto-legge 31 maggio  2010,  n.  78,  recante  misure  urgenti  in
materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica. 
    Le impugnate disposizioni sono lesive delle competenze  regionali
per i seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
1)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  11,  comma  6-bis  per
violazione dell'art. 117, terzo comma, dell'art. 118, primo  comma  e
dell'art. 119, primo e secondo comma Cost. Violazione  del  principio
della leale cooperazione. 
    L'art. 11, comma 6-bis dispone che «entro sessanta  giorni  dalla
data di entrata in vigore della legge  di  conversione  del  presente
decreto, e' avviato un apposito confronto tecnico  tra  il  Ministero
della salute, il Ministero dell'economia e delle finanze, l'AIFA e le
associazioni  di  categoria  maggiormente  rappresentative,  per   la
revisione dei  criteri  di  remunerazione  della  spesa  farmaceutica
secondo  i  seguenti   criteri:   estensione   delle   modalita'   di
tracciabilita' e controllo a tutte  le  forme  di  distribuzione  dei
farmaci, possibilita' di  introduzione  di  una  remunerazione  della
farmacia basata su una prestazione fissa in aggiunta ad  una  ridotta
percentuale sul prezzo di riferimento  del  farmaco  che,  stante  la
prospettata  evoluzione  del  mercato  farmaceutico,  garantisca  una
riduzione della spesa per il Servizio sanitario nazionale». 
    L'organizzazione  del  servizio   farmaceutico   e   l'assistenza
farmaceutica sono  state  ascritte  alla  materia  concorrente  della
«tutela della salute» (sentenza Corte costituzionale n. 87 del 2006);
lo Stato  dunque  puo'  dettare  soltanto  i  principi  fondamentali,
lasciando al legislatore  regionale  lo  sviluppo  e  l'articolazione
normativa. 
    La previsione impugnata, invece, affida la revisione dei  criteri
di remunerazione  della  spesa  farmaceutica  ad  un  accordo  tra  i
Ministeri, l'Aifa e le  associazioni  di  categoria,  che  sara',  in
applicazione  della  norma  in  esame,  puntuale,  di  dettaglio   ed
autoapplicativo, senza  che  siano  lasciati  margini  di  intervento
regionale. 
    Cio' determina dunque la violazione dell'art.  117,  terzo  comma
Cost. 
    Ove poi si dovesse, ritenere che in materia sussista  un'esigenza
di carattere unitario tale da attrarre in capo allo Stato l'esercizio
della  funzione  amministrativa,  e  quindi  anche   di   regolazione
normativa, concernente le  modalita'  di  remunerazione  della  spesa
farmaceutica, si ravvisa la violazione  dell'art.  118,  primo  comma
Cost., perche' le regioni dovrebbero essere coinvolte  con  l'intesa,
in quanto titolari di competenze in materia di tutela  della  salute,
nel  cui  ambito  rientra  la  spesa  farmaceutica  (si  pensi   alle
competenze regionali relative al rimborso del prezzo alle farmacie). 
    Invece la norma non  prevede  alcuna  forma  di  intesa,  ne'  di
coinvolgimento effettivo delle regioni al tavolo di confronto tecnico
tra il Ministero della salute, il  Ministero  dell'economia  e  delle
finanze, l'Aifa e le  associazioni  di  categoria,  finalizzato  alla
revisione dei criteri di remunerazione della spesa farmaceutica. 
    Cio' determina anche la  violazione  del  principio  della  leale
cooperazione. 
    Infine la norma viola l'art. 119, primo  e  secondo  comma  Cost.
perche' determina in via unilaterale una modifica della remunerazione
della spesa farmaceutica che potra' incidere sul bilancio  regionale,
in violazione dell'autonomia finanziaria regionale. 
    Vero infatti e' che il comma impugnato prevede che  il  confronto
tra i Ministeri e l'Aifa deve portare ad una  riduzione  della  spesa
per il Servizio sanitario nazionale, ma cio'  non  elimina  il  vizio
prospettato perche' quella riduzione pattuita a livello  statale-Aifa
e associazioni di categoria sara'  vincolante  per  le  Regioni  che,
invece,  avrebbero  potuto  individuare   e   proporre   misure   per
fronteggiare la spesa farmaceutica capaci  di  produrre  un  maggiore
risparmio (ad esempio  mediante  un  incremento  della  distribuzione
diretta dei  farmaci  generici  da  acquistare  dalle  ASL  con  gare
direttamente dalle industrie produttrici). 
    Quindi  le  regioni  si  troveranno  vincolate  al  «quantum»  di
risparmio  predefinito  a  livello  statale,  senza   poter   neanche
intervenire nel confronto tecnico e  private  della  possibilita'  di
individuare interventi capaci di determinare un maggiore contenimento
della spesa farmaceutica e, quindi,  un  maggiore  vantaggio  per  il
bilancio regionale. 
    Di qui i vizi eccepiti. 
2) Illegittimita' costituzionale dell'art.  15,  commi  1  e  2,  per
violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. anche sotto  il  profilo
della violazione del principio della leale collaborazione. 
    L'art. 15, commi 1 e 2 prevede quanto segue: 
        «1. Entro quarantacinque giorni dall'entrata  in  vigore  del
presente decreto-legge, con decreto del Presidente del Consiglio  dei
Ministri,  su  proposta  del  Ministro  delle  infrastrutture  e  dei
trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze,
sono stabiliti criteri e modalita' per  l'applicazione  del  pedaggio
sulle autostrade e sui raccordi autostradali in gestione  diretta  di
ANAS S.p.a., in relazione ai costi di investimento e di  manutenzione
straordinaria  oltre  che  quelli  relativi  alla  gestione,  nonche'
l'elenco delle tratte da sottoporre a pedaggio. 
    2. In fase transitoria, a decorrere dal primo giorno del  secondo
mese successivo a quello di entrata in vigore del presente decreto  e
fino alla data di  applicazione  dei  pedaggi  di  cui  al  comma  1,
comunque non oltre il 31 dicembre 2011, ANAS S.p.a. e' autorizzata ad
applicare una maggiorazione tariffaria forfettaria di un euro per  le
classi di pedaggio A e B e di due euro per le classi di pedaggio 3, 4
e 5, presso le stazioni  di  esazione  delle  autostrade  a  pedaggio
assentite in concessione che si interconnettono con le  autostrade  e
raccordi autostradali in gestione diretta ANAS. Le stazioni di cui al
precedente periodo sono individuate con il medesimo d.P.C.M di cui al
comma 1. Gli importi  delle  maggiorazioni  sono  da  intendersi  IVA
esclusa. Le maggiorazioni tariffarie di cui  al  presente  comma  non
potranno comunque comportare  un  incremento  superiore  al  25%  del
pedaggio altrimenti dovuto». 
    Il primo comma, a distanza di pochi giorni dalla conversione,  e'
stato parzialmente modificato dall'art. 1, comma 4 del  decreto-legge
n. 125 del 5 agosto 2010 (pubblicato in G.U.  n.  182  del  6  agosto
2010),   che   ha   aggiunto,   dopo   le   parole   «modalita'   per
l'applicazione», la seguente frase «entro il 30 aprile 2011». 
    Si tratta di disposizioni che sicuramente incidono sulle  materie
di competenza concorrente «governo del territorio» e «grandi reti  di
trasporto e navigazione». 
    2.a) Per quanto riguarda la prima parte del primo comma dell'art.
15,  relativa  alla  determinazione  dei  criteri  e  modalita'   per
l'applicazione  del  pedaggio  sulle  autostrade   e   sui   raccordi
autostradali in gestione diretta di ANAS S.p.a., si  rileva  che  una
variazione in  aumento  dei  pedaggi  attualmente  previsti  comporta
necessariamente  effetti  riflessi  sulla  viabilita'  alternativa  a
quella autostradale, perche' determina un aumento  del  traffico  sui
percorsi alternativi a quelli autostradali. 
    Cio' comporta, chiaramente, un aggravio dei costi di manutenzione
delle strade  regionali  (nonche'  provinciali  e  comunali),  e  dei
fenomeni di inquinamento  (atmosferico  ed  acustico)  nei  territori
interessati   dalla   stessa   viabilita'   alternativa   a    quella
autostradale. 
    In altri termini, un aumento  dei  pedaggi  attualmente  previsti
comporta  conseguenze  anche  di  notevole  impatto  sul   territorio
circostante  in  termini  ambientali  e,   piu'   in   generale,   di
vivibilita'. 
    Tali effetti sono stati riconosciuti anche  dalla  giurisprudenza
amministrativa, la quale ha affermato che gli aumenti tariffari  «non
possono  non  incidere   sull'andamento   della   viabilita',   della
circolazione e dei trasporti in ambito regionale» (T.A.R. Lazio, Sez.
III, sentenza del 5 ottobre 2006, n. 9917). 
    Tali considerazioni avrebbero dovuto  indurre  il  legislatore  a
prevedere il coinvolgimento almeno della Conferenza Stato-Regioni  in
relazione alla determinazione dei criteri e modalita' di applicazione
dei pedaggi, stante la  sicura  incidenza  di  tale  variabile  sulle
legittime  determinazioni  legislative  e   regolamentari   regionali
attuative della competenza (concorrente) in materia di  «governo  del
territorio»  ed  in  materia  di  «grandi   reti   di   trasporto   e
navigazione». 
    Un siffatto coinvolgimento, pero', non e'  stato  previsto  dalle
disposizioni impugnate, che prevedono esclusivamente un  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare  su  proposta  del
Ministro delle infrastrutture e dei trasporti,  di  concerto  con  il
Ministro dell'economia e delle finanze. 
    Da cio' deriva la violazione dell'art.  117,  terzo  comma  della
Costituzione, anche sotto il profilo della lesione del  principio  di
leale cooperazione. 
    2.b) Per cio' che attiene, poi, la seconda parte del primo  comma
dell'art. 15, relativa all'individuazione delle tratte da  sottoporre
a  pedaggio,  gli  appena  illustrati   profili   di   illegittimita'
costituzionale si rivelano ancora piu' gravi ed evidenti. 
    In tale  ipotesi,  infatti,  non  si  tratta  «semplicemente»  di
modificare il  quantum di un corrispettivo gia' richiesto, bensi',  e
piu'  significativamente,  di  introdurre   ex   novo   un   siffatto
corrispettivo. 
    Cio',  evidentemente,  produce  conseguente  significative  sulla
viabilita' nel suo complesso considerata (e, pertanto, anche  e  piu'
in generale sulla vivibilita' delle  zone  interessate),  e,  quindi,
sulle disposizioni legislative e regolamentari regionali adottate  in
materia di «governo del territorio» e «grandi  reti  di  trasporto  e
navigazione». 
    Stante tale impatto sul legittimo esercizio di competenze che  la
Costituzione attribuisce alle regioni, la  norma  contestata  avrebbe
dovuto prevedere, in relazione alle  nuove  tratte  da  sottoporre  a
pedaggio, un coinvolgimento della regione interessata. 
    Da  quanto  esposto,   emerge   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 15, comma 1, per  violazione  dell'art.  117,  terzo  comma
della Costituzione. 
    2.c) Infine, per quanto riguarda il secondo  comma  dell'art.  15
l'illegittimita'     costituzionale     del      medesimo      deriva
dall'illegittimita' costituzionale del primo comma, nella  misura  in
cui  esso  consente  all'ANAS  s.p.a.,  sia  pure  soltanto  in   via
transitoria e comunque non oltre il 31 dicembre 2011,  di  «applicare
una maggiorazione tariffaria forfettaria di un euro per le classi  di
pedaggio A e B e di due euro per le classi di  pedaggio  3,  4  e  5,
presso le stazioni di esazione delle autostrade a pedaggio  assentite
in concessione che si interconnettono con le autostrade e i  raccordi
autostradali in gestione diretta ANAS», individuate con  il  medesimo
d.P.C.M. di cui al primo comma. 
    Anche con riguardo a detta disposizione si ripropone quanto sopra
esposto   in   ordine   all'incidenza    negativa    (sostanzialmente
vanificatoria) sulle materie «governo del territorio» e «grandi  reti
di trasporto e navigazione», di competenza legislativa concorrente. 
    Da cio'  deriva  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  15,
comma 2, nella misura in cui non prevede alcun  coinvolgimento  delle
regioni,  neppure  nella  forma  dell'intervento   nella   Conferenza
Stato-regioni. 
    Tale  illegittimita'  emerge  anche  dalla  circostanza  che   la
disposizione de qua  non  limita  testualmente  l'applicazione  della
maggiorazione  di  cui  trattasi  alle  stazioni  di  esazione  delle
autostrade a pedaggio assentiti in concessione che si interconnettano
esclusivamente  e  direttamente  con  le  autostrade  ed  i  raccordi
autostradali in gestione diretta ANAS. 
    Nella misura in cui la maggiorazione in oggetto si applica  anche
a stazione di esazione che si interconnettono non in modo  diretto  e
necessario  alle  autostrade  e  raccordi  autostradali  in  gestione
diretta ANAS - e, quindi,  «servano»  strade  anche  regionali  -  si
verifica  un'indebita  intromissione  statale  nelle  competenze   ed
attribuzioni  regionali  in  materia  di  «governo  del  territorio»,
«grandi reti di trasporto e di navigazione», viabilita'. 
    E' anche evidente, poi, che  ove  una  siffatta  applicazione  si
verifichi, le piu' volte menzionate e descritte conseguenze  negative
sulla viabilita' alternativa e,  piu'  in  generale,  sul  territorio
circostante, si rivelano ancora piu' pesanti e significative. 
    La conferma dell'appena prospettata  illegittimita'  del  secondo
comma dell'art. 15 impugnato emerge dal decreto  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri del 25 giugno 2010 con il quale il Governo  ha
individuato una serie di stazioni di esazione alle quali applicare la
maggiorazione prevista dalla disposizione censurata. 
    Con tale provvedimento, in alcuni casi (per la Toscana  rilevano:
Firenze-Certosa e Valdichiana) sono  state  individuate  stazioni  di
esazione non collegate in via diretta ed immediata alle autostrade  e
raccordi autostradali in gestione diretta ANAS. 
    Risulta  confermata,  anche  per   tale   via,   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 15, comma 2, nella misura in cui non prevede
alcun   coinvolgimento   delle   regioni,   neppure    nella    forma
dell'intervento nella Conferenza Stato-regioni. 
3)  Illegittimita'  costituzionale  dell'articolo  49,  comma  3  che
sostituisce i commi 3, 3-bis, 3-ter e  3-quater  dell'art.  14-quater
della legge n. 241/1990, per violazione dell'articolo  117,  terzo  e
quarto comma, Cost. anche  sotto  il  profilo  della  violazione  del
principio della leale cooperazione e  per  violazione  dell'art.  120
Cost. 
    3.a)  Il  nuovo  comma  3  dell'art.  14-quater   disciplina   il
superamento del dissenso espresso da  Amministrazioni  preposte  alla
tutela   ambientale,   paesaggistico-territoriale,   del   patrimonio
storico-artistico  o  alla  tutela  della  salute  e  della  pubblica
incolumita' in sede di Conferenza di servizi, prevedendo che a fronte
di tale dissenso, «la questione, in attuazione  e  nel  rispetto  del
principio di leale collaborazione e dell'art. 120 della Costituzione,
e' rimessa dall'amministrazione  procedente  alla  deliberazione  del
Consiglio dei ministri,  che  si  pronuncia  entro  sessanta  giorni,
previa  intesa   con   la   regione...in   caso   di   dissenso   tra
un'amministrazione   statale   ed   una   regionale   o   tra    piu'
amministrazioni regionali ovvero previa intesa con la regione  e  gli
enti    locali    interessati,    in    caso    di    dissenso    tra
un'amministrazione...regionale e un  ente  locale  o  tra  piu'  enti
locali. Se l'intesa non e' raggiunta nei successivi trenta giorni, la
deliberazione  del.  Consiglio  dei  ministri  puo'  essere  comunque
adottata. Se il motivato dissenso e' espresso da  una  regione  ...in
una delle materia di propria competenza, il  Consiglio  dei  Ministri
delibera  in  esercizio  del  proprio  potere  sostitutivo   con   la
partecipazione dei Presidenti delle regioni». 
    La disposizione e' atta  ad  incidere  su  molteplici  competenze
regionali, quali il governo del  territorio,  la  valorizzazione  dei
beni culturali ed ambientali e la tutela della salute, il turismo, il
commercio. 
    Proprio  in  considerazione  di  una  siffatta   (e   fortemente)
possibile interferenza fra competenze e funzioni statali e regionali,
allorquando si debbano individuare meccanismi  volti  a  superare  il
suddetto  dissenso,  la  scelta  non  puo'  mai  essere   quella   di
«espropriare»  della  propria  potesta'   decisionale   un   soggetto
istituzionale, rimettendo la decisione ad un unico Ente. 
    Si deve, in  altri  termini,  raggiungere  un'intesa,  che,  alla
stregua della giurisprudenza formatasi con riguardo alle  fattispecie
di «chiamata in sussidiarieta'», deve avere natura «forte», nel senso
che il suo mancato raggiungimento impedisce la decisione finale. 
    Ed infatti, la disciplina previgente rispetto a quella  impugnata
con il presente ricorso dettava procedimenti complessi di superamento
del dissenso fra Amministrazioni diverse in  sede  di  Conferenza,  a
tutela dei livelli di competenza delle regioni e  degli  enti  locali
coinvolti. 
    Il nuovo terzo comma dell'art. 14-quater della legge n. 241/1990,
invece - consentendo la decisione unilaterale governativa, decorso un
certo periodo,  in  caso  di  mancato  raggiungimento  dell'intesa  -
svilisce il carattere «forte» dell'intesa stessa fra Governo, regione
ed enti locali, rendendola soltanto eventuale e, comunque,  sminuendo
il potere  decisionale  della  regione,  in  violazione  del  dettato
costituzionale. 
    Nella  sentenza  n.  6/2004,   la   Corte   costituzionale   (con
riferimento alla materia dell'energia) ha chiarito che  l'intesa  con
le regioni deve essere considerata di natura «forte» «nel  senso  che
il suo mancato raggiungimento costituisce ostacolo insuperabile  alla
conclusione  del  procedimento»,  stante   l'impatto   indubbio   che
determinate opere (nella fattispecie esaminata nella citata  sentenza
si trattava di impianti energetici) provocano su  molteplici  materie
rimesse alla competenza, concorrente o residuale, delle regioni,  fra
le quali la tutela  della  salute,  il  governo  del  territorio,  il
turismo e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali. 
    Ancora,  nella  successiva  sentenza  n.   383/2005,   la   Corte
costituzionale ha rilevato che «Nell'attuale  situazione  [...]  come
questa Corte ha piu' volte ribadito a partire dalla sentenza  n.  303
del 2003 (cfr., da ultimo, le sentenze n. 242 e  n.  285  del  2005),
tali intese costituiscono condizione minima e imprescindibile per  la
legittimita' costituzionale della disciplina legislativa statale  che
effettui  la   "chiamata   in   sussidiarieta'"   di   una   funzione
amministrativa in materie affidate alla legislazione  regionale,  con
la conseguenza che deve trattarsi di vere e proprie intese "in  senso
forte", ossia di atti a struttura  necessariamente  bilaterale,  come
tali non superabili con decisione unilaterale di una delle parti.  In
questi  casi,  pertanto,   deve   escludersi   che,   ai   fini   del
perfezionamento dell'intesa, la volonta'  della  regione  interessata
possa essere sostituita da una determinazione dello Stato,  il  quale
diverrebbe in  tal  modo  l'unico  attore  di  una  fattispecie  che,
viceversa, non  puo'  strutturalmente  ridursi  all'esercizio  di  un
potere unilaterale. 
    L'esigenza che il conseguimento di queste  intese  sia  non  solo
ricercato in termini effettivamente  ispirati  alla  reciproca  leale
collaborazione, ma anche agevolato per evitare situazioni di  stallo,
potra'  certamente  ispirare  l'opportuna  individuazione  sul  piano
legislativo, di procedure parzialmente innovative  volte  a  favorire
l'adozione dell'atto finale nei casi in cui siano insorte difficolta'
a conseguire l'intesa, ma tali procedure non potranno  in  ogni  caso
prescindere dalla permanente garanzia della posizione paritaria delle
parti  coinvolte.  E  nei  casi  limite  di  mancato   raggiungimento
dell'intesa, potrebbe essere utilizzato, in ipotesi, lo strumento del
ricorso a questa Corte in sede di conflitto di attribuzione fra Stato
e Regioni». 
    Sul punto, anche la sentenza n. 303/2003 aveva  riconosciuto  una
ben precisa valenza procedimentale ai principi di  sussidiarieta'  ed
adeguatezza,  con  conseguente  necessita'  che  l'ampliamento  delle
funzioni dello Stato costituisca «oggetto di accordo con  la  regione
interessata». 
    La disposizione censurata, invece, consentendo,  come  visto,  la
determinazione   unilaterale   governativa   in   caso   di   mancato
raggiungimento di  un'intesa  nel  termine  di  trenta  giorni  dalla
rimessione della questione al Consiglio dei ministri, sostanzialmente
pone la Regione medesima in  una  posizione  subordinata  rispetto  a
quella statale. 
    In altri termini, le Regioni, in tutti i casi in cui  vi  sia  un
motivato dissenso fra Amministrazioni diverse  preposte  alla  tutela
ambientale,      paesaggistico-territoriale,      del      patrimonio
storico-artistico  o  alla  tutela  della  salute  e  della  pubblica
incolumita', perdono  sostanzialmente  ogni  capacita'  deliberativa,
essendo la questione rimessa al Consiglio dei ministri (alle riunioni
del quale e' semplicemente  convocato  il  presidente  della  regione
interessata). 
    Com'e' intuitivo, pero', l'autonomia  regionale  e  la  posizione
paritaria fra il livello  centrale  e  quello  regionale  di  governo
possono essere garantite soltanto se l'intesa viene interpretata come
vero e proprio strumento destinato  a  recepire  la  codeterminazione
(appunto,  paritaria)  dell'an  e del  quomodo  degli  interventi  da
realizzare. 
    Emerge,   pertanto,   l'illegittimita'    costituzionale    della
disposizione censurata, per violazione degli artt. 117  e  118  della
Costituzione, anche sotto il profilo della violazione  del  principio
di leale collaborazione. 
    3.b) Lo  stesso  comma  3  dell'art.  14-quater  della  legge  n.
241/1990 si rivela in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost.,  anche
sotto  il  profilo  della   violazione   del   principio   di   leale
collaborazione, per un aspetto ulteriore. 
    Come si evince dal dato letterale della  disposizione  censurata,
infatti, questa equipara il caso di contrasto fra  un'Amministrazione
statale e gli enti locali a quello di constrato fra questi ultimi  ed
un'Amministrazione regionale. In tale seconda ipotesi, pero', davvero
non  si  comprende  quali  esigenze  di  esercizio  unitario  possano
giustificare la remissione della decisione al Consiglio dei ministri,
atteso che, cosi' facendo, in sostanza la regione  interessata  viene
ad essere «espropriata» di proprie competenze, in  palese  violazione
dei parametri di legittimita'  costituzionale  affinche'  cio'  possa
avvenire.  Manca,  infatti,  ogni  elemento  utile  a  predeterminare
l'ambito di operativita' di una siffatta avocazione di compiti, al di
fuori della»  mera  circostanza  dell'intervenuto  dissenso,  nonche'
qualsiasi indicazione utile a giustificare la  stessa  necessita'  di
tale avocazione decisionale. 
    Da  cio'  deriva   un   ulteriore   profilo   di   illegittimita'
costituzionale della disposizione  censurata,  per  violazione  degli
artt. 117 e 118 della Costituzione,  anche  sotto  il  profilo  della
violazione del principio di leale collaborazione. 
    Tutti gli eccepiti profili di illegittimita' sono confermati  dal
fatto  che  la  norma  impugnata  vanifica  l'articolata  e   diversa
procedura  di  superamento  del  dissenso  che  la  Regione  Toscana,
nell'ambito dell'esercizio della propria potesta' legislativa volta a
disciplinare i procedimenti  amministrativi  di  sua  competenza,  ha
introdotto nell'art. 29 della legge regionale 23 luglio 2009,  n.  40
(Legge di semplificazione e riordino normativo 2009). 
    3.c) Come appena illustrato, il  nuovo  terzo  comma  rimette  al
Governo la decisione finale - in caso di motivato dissenso  da  parte
di    un'Amministrazione    preposta    alla    tutela    ambientale,
paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico  o  alla
tutela della salute e della pubblica incolumita' - in tutti i casi in
cui, decorsi trenta giorni, l'intesa con la regione  interessata  non
sia raggiunta. 
    Cosi' facendo, pero', la medesima disposizione prevede un'ipotesi
di potere sostitutivo straordinario del Governo al fuori  dei  limiti
costituzionali  indicati  dall'art.  120  Cost.,  per  il  quale   e'
necessario  il  previo  verificarsi  di  un  inadempimento  dell'Ente
sostituito  rispetto   ad   un'attivita'   ad   esso   imposta   come
obbligatoria. 
    Tale,  pero',  non  puo'  essere  considerato  il  raggiungimento
dell'intesa prevista per l'esercizio di una  funzione  amministrativa
da parte dello Stato, a seguito di «chiamata in sussidiarieta'». 
    Cio' e' stato riconosciuto dalla Corte costituzionale anche nella
recente  sentenza  n.  278/2010,  nella   quale   la   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 25, comma 2,  lett.  f),  della
legge n. 99/2009, e' stata ritenuta  non  fondata  «poiche'  si  basa
sull'erroneo presupposto interpretativo, per il quale la disposizione
impugnata si applicherebbe alle intese con le regioni:  infatti,  nel
vigente assetto istituzionale della Repubblica, la  regione  gode  di
una particolare posizione di autonomia  costituzionalmente  protetta,
che la distingue dagli enti locali (art. 114 Cost.), sicche' si  deve
escludere che il  legislatore  delegato  abbia  potuto  includere  le
regioni nella espressione censurata (sentenza n. 20 del 2010)» (punto
14 del considerato in diritto). 
    Il nuovo comma 3 dell'art. 14-quater  della  legge  n.  241/1990,
invece, introduce proprio (e lo conferma il dato letterale  dell'art.
49, comma 3, del decreto-legge in questa sede impugnato) una siffatta
applicazione, in violazione palese del dettato costituzionale e della
giurisprudenza della Corte costituzionale. 
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 49, commi 4-bis  e  4-ter,
per violazione dell'art. 117, terzo comma e 121, secondo comma Cost. 
    L'art. 49, comma 4-bis, della legge n.  122  del  2010  riformula
interamente  l'art.  19  della  legge  n.  241/1990,  sostituendo  la
Dichiarazione  di  inizio  attivita'  (DIA)   con   la   Segnalazione
certificata di inizio attivita' (SCIA); e' previsto che ogni atto  di
autorizzazione, licenza,  concessione  non  costitutiva,  permesso  o
nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni
in  albi   o   ruoli   richieste   per   l'esercizio   di   attivita'
imprenditoriale, commerciale o artigianale il  cui  rilascio  dipenda
esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti
dalla legge o di atti amministrativi a contenuto generale se non  sia
previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti
di programmazione settoriale per il rilascio degli  atti  stessi,  e'
sostituito da una segnalazione dell'interessato (SCIA). 
    Sono esclusi dalla disciplina sulla SCIA i casi in cui sussistano
vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e gli  atti  rilasciati
dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale,  alla  pubblica
sicurezza,   all'immigrazione,    all'asilo,    alla    cittadinanza,
all'amministrazione  della   giustizia,   all'amministrazione   delle
finanze, ivi compresi gli atti concernenti le  reti  di  acquisizione
del gettito anche derivante dal gioco, nonche' quelli  imposti  dalla
normativa comunitaria. 
    La SCIA deve essere corredata dalle dichiarazioni sostitutive  di
certificazioni e dell'atto di notorieta' (ai sensi degli artt.  46  e
47 del d.P.R. n. 445/2000), nonche'  dalle  attestazioni  di  tecnici
abilitati o dalle dichiarazioni di conformita' rese dalle Agenzie per
le  imprese,  relative  alla  sussistenza  dei   requisiti   .e   dei
presupposti  per  l'avvio   dell'attivita'.   Tali   attestazioni   e
asseverazioni sono corredate dagli elaborati  tecnici  necessari  per
consentire le verifiche di competenza dell'amministrazione. 
    L'attivita' puo' essere iniziata  immediatamente  dalla  data  di
presentazione della segnalazione all'amministrazione competente. 
    In caso di accertata carenza dei requisiti necessari ed entro  il
termine   di   sessanta   giorni   dal   ricevimento   della    SCIA,
l'amministrazione competente adotta motivati  provvedimenti  con  cui
dispone il divieto di proseguire l'attivita'  e  la  rimozione  degli
eventuali  effetti   dannosi.   L'interessato   puo'   evitare   tali
provvedimenti conformando alla normativa  vigente  l'attivita'  ed  i
suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione,  in  ogni
caso  non  inferiore  a  trenta  giorni.  Inoltre,   ferma   restando
l'applicazione  delle  sanzioni  penali,  in  caso  di  dichiarazioni
sostitutive false o mendaci, l'amministrazione puo' sempre adottare i
suddetti provvedimenti. E' fatto salvo il potere dell'amministrazione
competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai  sensi
degli artt. 21-quinquies e 21-nonies, legge n. 241/1990. 
    Decorso il termine per l'adozione dei provvedimenti  inibitori  e
conformativi,   la   pubblica   amministrazione   puo'   adottare   i
provvedimenti  di  divieto  di  prosecuzione  dell'attivita'   e   di
rimozione degli effetti, soltanto in presenza  di  un  danno  per  il
patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute,  per
la sicurezza pubblica  o  la  difesa  nazionale,  e  previo  motivato
accertamento dell'impossibilita' di tutelare comunque tali  interessi
mediante conformazione  dell'attivita'  dei  privati  alla  normativa
vigente. 
    Il  comma  4-ter  prevede  che   le   espressioni   «segnalazione
certificata  di  inizio  di  attivita'»   e   «Scia»   sostituiscono,
rispettivamente, quelle di «dichiarazione di inizio di  attivita'»  e
«Dia», ovunque ricorrano, anche come parte di  una  espressione  piu'
ampia, e la disciplina della  SCIA  sostituisce  direttamente  quella
della dichiarazione di inizio di attivita' recata da  ogni  normativa
statale ed anche regionale. 
    La sopra richiamata disciplina pone vari problemi  interpretativi
e   applicativi,   con   particolare   riferimento   all'ambito    di
applicazione. 
    E' chiarito che: 
        sono esclusi dalla disciplina sulla  SCIA  le  autorizzazioni
previste dal d.lgs. n. 152/2006  (norme  in  materia  ambientale)  in
quanto generalmente imposte dalla normativa  comunitaria  e  comunque
richiedenti valutazioni tecniche specifiche non riconducibili al mero
accertamento di requisiti generali imposti dalla norma; 
        e' esclusa la Scia per i procedimenti per cui siano  previsti
specifici  strumenti  di  programmazione  settoriale  finalizzati  al
rilascio di atti di assenso dell'amministrazione, come,  ad  esempio,
l'esercizio  dell'attivita'  di  commercio  nelle  medie   e   grandi
strutture di vendita e dell'attivita' di somministrazione di alimenti
e bevande per le quali la legislazione prevede  di  norma  un  regime
autorizzatorio,  che  risponde  alle  regole  di  una  programmazione
settoriale basata su criteri individuati dalle regioni e dai comuni. 
    La  disciplina  della  SCIA  si  applica  invece,  per   espressa
disposizione della recente legge statale, all'esercizio di  attivita'
imprenditoriale,  commerciale  o  artigianale  e  pertanto  sono   da
verificare i procedimenti e le autorizzazioni/abilitazioni rilasciate
per tali attivita', sia in ambito statale sia in ambito regionale. 
    La Regione ricorrente  contesta  le  disposizioni  impugnate  ove
ritenute applicabili  anche  al  settore  dell'edilizia,  secondo  le
indicazioni in tale senso pervenute dalle autorita' ministeriali. 
    La «DIA» edilizia e quella commerciale hanno sempre avuto diverse
discipline (da ultimo, quella dell'art. 22  del  d.P.R.  n.  380  del
2001, per l'edilizia e quella dell'art. 19 della  legge  n.  241  del
1990) per la diversita' degli interessi tutelati rispettivamente  dai
due titoli. 
    Ora, invece, viene tutto unificato e  il  privato  puo'  iniziare
subito l'attivita' edilizia senza attendere alcun  termine,  restando
alla P.A. solo il potere  di  intervenire  successivamente  quando  i
lavori sono gia'  iniziati  (e  magari  anche  gia'  finiti)  con  un
potenziale danno urbanistico ormai prodotto. 
    Tale conseguenza e' ancor piu' grave se si pensa che con  la  DIA
possono essere  realizzati  interventi  edilizi  significativi,  come
interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad  un  organismo
edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che  comportino
aumento di unita' immobiliari, modifiche del  volume,  della  sagoma,
dei prospetti o delle superfici; gli interventi di nuova  costruzione
o di ristrutturazione urbanistica qualora siano disciplinati da piani
attuativi comunque denominati alle condizioni indicate dall'art.  22,
comma 3, lett. b); gli interventi di nuova costruzione qualora  siano
in diretta  esecuzione  di  strumenti  urbanistici  generali  recanti
precise disposizioni planovolumetriche. 
    Queste attivita' potevano essere iniziate dopo  30  giorni  dalla
presentazione  della  DIA  e  tale  termine   ha   rappresentato   un
equilibrato compromesso tra le  esigenze  di  controllo  «preventivo»
della p.a. e le esigenze del  proprietario  costruttore  ad  iniziare
rapidamente i lavori, con la dovuta tranquillita' di  evitare  rischi
di ordinanze successive di demolizione. 
    La normativa in esame viola le competenze regionali in materia di
governo del territorio che, ai sensi dell'art. 117, terzo comma Cost.
sono attribuite alla  potesta'  legislativa  concorrente  e  in  cui,
dunque, lo Stato deve porre i principi  fondamentali,  lasciando  poi
alle regioni lo sviluppo e la specificazione della disciplina. 
    Le   impugnate   disposizioni   richiamano,   per    giustificare
l'intervento legislativo statale, la tutela della concorrenza, di cui
all'art. 117, secondo comma,  lettera  e)  e  la  determinazione  dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti  civili  e
sociali, di cui all'art. 117, secondo comma, lett. m). 
    Tuttavia non e' sufficiente la  mera  autoqualificazione  formale
operata  dal  legislatore  statale  per  ricondurre  una   disciplina
nell'ambito della competenza esclusiva dello Stato, ma e'  necessario
esaminarne il contenuto sostanziale e verificare se lo scopo  cui  la
norma  tende  permette  di  ricondurre  la  stessa  in  tale  ambito.
Precisamente, infatti, la giurisprudenza costituzionale  ha  rilevato
che «l'identificazione della materia nella quale si colloca la  norma
impugnata richiede di fare riferimento all'oggetto ed alla disciplina
stabilita dalla medesima, tenendo conto della sua ratio, tralasciando
gli aspetti marginali e gli effetti riflessi, cosi'  da  identificare
correttamente  e  compiutamente  anche   l'interesse   tutelato   (ex
plurimis, sentenze n. 165 del 2007; n. 450 del 2006; n. 319 del 2005;
n. 285 del 2005). (sentenza n. 430 del 2007 e, nello stesso senso  n.
1 del 2008). 
    Applicando tale principio, appare evidente che la SCIA «edilizia»
non e' uno strumento per tutelare la concorrenza. 
    La «tutela della concorrenza» di cui alla  lettera  e)  dell'art.
117 Cost. comprende le misure legislative di tutela in senso  proprio
che hanno ad oggetto gli atti ed i comportamenti  delle  imprese  che
incidono negativamente  sull'assetto  concorrenziale  dei  mercati  e
quelle di promozione che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne
l'apertura eliminando barriere all'entrata (sentenze n. 63 del  2008;
n. 430 del 2007). 
    Con  la  SCIA  la  P.A.  abilita  il  privato  a  realizzare   un
determinato intervento edilizio, ricorrendone i presupposti  in  base
alla  pianificazione  territoriale;  viene  quindi  in  questione  il
rapporto  tra  l'Amministrazione  ed  il  privato  e  non  invece  la
concorrenza tra gli imprenditori che hanno diritto  alla  parita'  di
trattamento e ad agire in un mercato libero senza barriere. 
    Ne consegue che cio' che assume rilievo in questa materia  e'  la
relazione che si instaura tra il privato che decide di realizzare  un
intervento e  l'amministrazione  che  deve  verificare  se  esso  sia
conforme o meno alla disciplina vigente. 
    Altresi'  non  pertinente  e'  il  riferimento  alla  lettera  m)
dell'art. 117 Cost., perche' la disciplina della SCIA «edilizia»  non
fissa un livello essenziale delle prestazioni da garantire  su  tutto
il territorio nazionale. 
    Siffatto titolo  di  legittimazione  dell'intervento  statale  e'
invocabile «in relazione a  specifiche  prestazioni  delle  quali  la
normativa statale definisca  il  livello  essenziale  di  erogazione»
(sentenze n. 328 del 2006, n. 285 e n.  120  del  2005;  n.  423  del
2004). 
    Nel caso in esame non e' predeterminato tale livello e il momento
in cui l'attivita' puo' essere iniziata (subito o dopo trenta giorni)
non costituisce una prestazione concernente un diritto. 
    Escludendo  i  due  titoli   di   competenza   statale,   perche'
illegittimamente  invocati,  la  disciplina  in  esame  ricade  nella
materia  del  «governo  del  territorio»,  soggetto   alla   potesta'
legislativa concorrente. 
    La riconducibilita' delle disposizioni in esame a  detta  materia
trova conferma  nella  giurisprudenza  costituzionale,  la  quale  ha
rilevato che nei settori dell'urbanistica e  dell'edilizia  i  poteri
legislativi  regionali  sono  senz'altro   ascrivibili   alla   nuova
competenza di tipo concorrente in  tema  di  governo  del  territorio
ritenuta comprensiva di tutto cio' che attiene all'uso del territorio
e alla localizzazione di impianti o attivita', ossia l'insieme  delle
norme che consentono di identificare e graduare gli interessi in base
ai quali possono essere regolati gli usi ammissibili  del  territorio
(sentenze nn. 303 e 362 del 2003; n. 196 del 2004). 
    Le disposizioni impugnate sono norme  di  dettaglio;  le  regioni
dovrebbero infatti poter decidere, in base alla realta'  del  proprio
territorio,  se  consentire  al  privato  di   iniziare   l'attivita'
immediatamente, o di attendere un termine da esse stabilito. 
    In  merito  la  giurisprudenza  costituzionale  ha  rilevato  che
«l'intervento del legislatore statale presenta carattere di norma  di
dettaglio,  in  quanto  ha  ad  oggetto  una  disciplina  limitata  a
specifiche tipologie di interventi edilizi realizzati in contesti ben
definiti e circoscritti. 
    Se, come piu' volte chiarito da questa Corte, alla  normativa  di
principio spetta di prescrivere  criteri  e  obiettivi,  mentre  alla
normativa di dettaglio e' riservata l'individuazione degli  strumenti
concreti da utilizzare per raggiungere tali obiettivi  (ex  plurimis:
sentenze n. 16 del 2010, n. 340 del 2009 e n. 401 del  2007),  l'art.
3, comma 9, introduce una disciplina che si risolve in una  normativa
dettagliata e specifica che non lascia alcuno spazio  al  legislatore
regionale. 
    Essa, pertanto, oltrepassa i confini  delle  competenze  che,  ai
sensi dell'art. 117,  terzo  comma,  Cost.  spettano  al  legislatore
statale in materia di governo del territorio.». (sentenza n. 278  del
2010). 
    Inoltre particolarmente lesiva delle competenze regionali  e'  la
norma contenuta  nel  citato  comma  4-ter  ai  sensi  del  quale  le
espressioni «segnalazione  certificata  di  inizio  di  attivita'»  e
«Scia» sostituiscono, rispettivamente, quelle  di  «dichiarazione  di
inizio di attivita'» e «Dia», ovunque ricorrano, anche come parte  di
una espressione piu' ampia, e la disciplina  della  SCIA  sostituisce
direttamente quella della dichiarazione di inizio di attivita' recata
da ogni normativa statale e regionale. 
    La nuova Scia travolge  pertanto  tutte  le  norme  regionali  in
materia. 
    La Regione Toscana  ha  disciplinato  con  un'organica  legge  in
materia di governo del territorio (legge n. 1 del 2005) le ipotesi di
interventi per cui si richiede la DIA. Non solo, ma  in  applicazione
dell'art. 22, comma 4 del d.P.R. n. 380/2001, alla Regione  e'  stato
consentito anche di ampliare autonomamente le categorie di opere  per
cui e' prevista la DIA: ebbene tutte queste  norme  vengono  abrogate
con  effetto  immediato  dal   legislatore   statale   e   sostituite
unilateralmente con una disciplina che non permette piu' un controllo
preventivo dell'Amministrazione. 
    Questo non rispetta l'autonomia legislativa regionale perche'  il
legislatore statale non puo' intervenire direttamente ad  abrogare  e
sostituire norme approvate dal Consiglio regionale; spetta  invece  a
quest'ultimo  adeguarsi  ai  nuovi  principi  posti  dal  legislatore
statale, senza che  possa  dunque  prescindersi  da  un  termine  per
l'adeguamento da parte del legislatore regionale. 
    Per tutti questi motivi le norme impugnate contrastano con l'art.
117, terzo  comma,  Cost.,  violando  le  attribuzioni  regionali  in
materia di governo del territorio, nonche' con  l'art.  121,  secondo
comma,  Cost.,  violando  l'autonomia   legislativa   del   Consiglio
regionale con la previsione  dell'automatica  sostituzione  immediata
della normativa statale a quella regionale. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Si confida che la Corte costituzionale dichiari  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 11, comma 6-bis, dell'art. 15, commi 1 e  2,
dell'articolo 49, comma 3, dell'art. 49, commi  4-bis  e  4-ter,  del
decreto-legge n. 78 del 2010 convertito con modificazioni nella legge
30 luglio 2010, n. 122, per  violazione  degli  artt.  117,  terzo  e
quarto comma, 118, primo comma, 119, primo e  secondo  comma,  120  e
121, secondo comma, Cost. anche sotto il profilo  di  violazione  del
principio della leale cooperazione. 
        Firenze - Roma, addi' 28 settembre 2010 
 
                           Avv. Lucia Bora