N. 97 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 30 settembre 2010
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 30 settembre 2010 (della Regione Toscana). Bilancio e contabilita' pubblica - Sanita' pubblica - Farmacia - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Revisione dei criteri di remunerazione della spesa farmaceutica - Affidamento ad un accordo tecnico tra i Ministeri della salute e dell'economia, l'AIFA e le associazioni di categoria, con previsione di criteri puntuali, di dettaglio ed autoapplicativi - Lamentata esorbitanza dal limite imposto allo Stato di dettare solo i principi fondamentali, mancanza di coinvolgimento delle Regioni al tavolo di confronto tecnico, lamentata incidenza sul bilancio regionale attraverso un atto di revisione unilaterale - Ricorso della Regione Toscana - Denunciata violazione della competenza legislativa regionale nella materia concorrente della tutela della salute, violazione del principio di leale collaborazione, violazione dell'autonomia finanziaria regionale. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 11, comma 6-bis. - Costituzione, artt. 117, comma terzo, 118, primo comma, e 119, primo e secondo comma. Circolazione stradale - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Definizione con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di criteri e modalita' per l'applicazione del pedaggio sulle autostrade e sui raccordi autostradali in gestione diretta di ANAS s.p.a., nonche' dell'elenco delle tratte da sottoporre a pedaggio - Autorizzazione all'ANAS s.p.a. ad applicare una maggiorazione tariffaria forfettaria di un euro per le classi di pedaggio A e B e di due euro per le classi di pedaggio 3, 4 e 5, presso le stazioni di esazione delle autostrade a pedaggio assentite in concessione che si interconnettono con le autostrade e i raccordi autostradali in gestione diretta ANAS - Lamentata carenza di coinvolgimento della Regione in ambito di viabilita' - Ricorso della Regione Toscana - Denunciata violazione della competenza legislativa della Regione nelle materie concorrenti del governo del territorio e delle grandi reti di trasporto e navigazione, lesione del principio di leale collaborazione. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 15 commi 1 e 2. - Costituzione, art. 117, comma terzo. Regioni (in genere) - Amministrazione pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Dissenso fra Amministrazioni diverse, Stato ed Enti Locali e Regione ed Enti Locali, preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico, alla tutela della salute e della pubblica incolumita' - Previsione di determinazione unilaterale governativa in caso di mancato raggiungimento di un'intesa nel termine di trenta giorni dalla rimessione della questione al Consiglio dei ministri - Lamentata espropriazione del potere decisionale della Regione, interferenza del governo centrale nei rapporti tra Regioni ed enti locali, introduzione di una nuova ipotesi di potere sostitutivo straordinario del Governo - Ricorso della Regione Toscana - Denunciata lesione dell'autonomia regionale, esorbitanza dai limiti costituzionali imposti allo Stato in tema di potere sostitutivo straordinario, lesione del principio di leale collaborazione. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 49, comma 3, che sostituisce i commi 3, 3-bis, 3-ter e 3-quater dell'art. 14-quater della legge 7 agosto 1990, n. 241. - Costituzione, artt. 117, commi terzo e quarto, 118 e 120. Amministrazione pubblica - Iniziativa economica privata - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Introduzione della "Segnalazione certificata di inizio attivita'" (SCIA) sostitutiva della "Denuncia di inizio attivita'" (DIA) - Ritenuta applicabilita' della nuova disciplina della DIA commerciale (SCIA), anche al settore dell'edilizia - Lamentata modifica con norma statale della preesistente normativa sia statale che regionale - Dichiarazione che la disciplina predetta attiene alla tutela della concorrenza e costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali - Lamentata erroneita' della autoqualificazione, incidenza in ambito di legislazione regionale di natura concorrente - Ricorso della Regione Toscana - Denunciata violazione della competenza legislativa regionale nella materia concorrente del governo del territorio. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 49, commi 4-bis e 4-ter, modificativi dell'art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241. - Costituzione, artt. 117, comma terzo, e 121, comma secondo.(GU n.45 del 10-11-2010 )
Ricorso della Regione Toscana, in persona del Presidente pro tempore, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 840 del 27 settembre 2010, rappresentato e difeso, per mandato in calce al presente atto, dall'Avv. Lucia Bora, domiciliato in Roma, presso lo studio dell'avv. Pasquale Mosca, Corso d'Italia n.102; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 6-bis, dell'art. 15, commi 1 e 2, dell'art. 49, comma 3, dell'art. 49 commi 4-bis e 4-ter, del decreto-legge n. 78 del 2010 convertito con modificazioni nella legge 30 luglio 2010, n. 122, per violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, 118, primo comma, 119, primo e secondo comma, 120 e 121, secondo comma Cost. anche sotto il profilo di violazione del principio della leale cooperazione. Sul supplemento ordinario n. 174 alla Gazzetta Ufficiale - serie generale n. 176 del 30 luglio 2010 e' stata pubblicata la legge 30 luglio 2010, n. 122 di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica. Le impugnate disposizioni sono lesive delle competenze regionali per i seguenti motivi di Diritto 1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 6-bis per violazione dell'art. 117, terzo comma, dell'art. 118, primo comma e dell'art. 119, primo e secondo comma Cost. Violazione del principio della leale cooperazione. L'art. 11, comma 6-bis dispone che «entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, e' avviato un apposito confronto tecnico tra il Ministero della salute, il Ministero dell'economia e delle finanze, l'AIFA e le associazioni di categoria maggiormente rappresentative, per la revisione dei criteri di remunerazione della spesa farmaceutica secondo i seguenti criteri: estensione delle modalita' di tracciabilita' e controllo a tutte le forme di distribuzione dei farmaci, possibilita' di introduzione di una remunerazione della farmacia basata su una prestazione fissa in aggiunta ad una ridotta percentuale sul prezzo di riferimento del farmaco che, stante la prospettata evoluzione del mercato farmaceutico, garantisca una riduzione della spesa per il Servizio sanitario nazionale». L'organizzazione del servizio farmaceutico e l'assistenza farmaceutica sono state ascritte alla materia concorrente della «tutela della salute» (sentenza Corte costituzionale n. 87 del 2006); lo Stato dunque puo' dettare soltanto i principi fondamentali, lasciando al legislatore regionale lo sviluppo e l'articolazione normativa. La previsione impugnata, invece, affida la revisione dei criteri di remunerazione della spesa farmaceutica ad un accordo tra i Ministeri, l'Aifa e le associazioni di categoria, che sara', in applicazione della norma in esame, puntuale, di dettaglio ed autoapplicativo, senza che siano lasciati margini di intervento regionale. Cio' determina dunque la violazione dell'art. 117, terzo comma Cost. Ove poi si dovesse, ritenere che in materia sussista un'esigenza di carattere unitario tale da attrarre in capo allo Stato l'esercizio della funzione amministrativa, e quindi anche di regolazione normativa, concernente le modalita' di remunerazione della spesa farmaceutica, si ravvisa la violazione dell'art. 118, primo comma Cost., perche' le regioni dovrebbero essere coinvolte con l'intesa, in quanto titolari di competenze in materia di tutela della salute, nel cui ambito rientra la spesa farmaceutica (si pensi alle competenze regionali relative al rimborso del prezzo alle farmacie). Invece la norma non prevede alcuna forma di intesa, ne' di coinvolgimento effettivo delle regioni al tavolo di confronto tecnico tra il Ministero della salute, il Ministero dell'economia e delle finanze, l'Aifa e le associazioni di categoria, finalizzato alla revisione dei criteri di remunerazione della spesa farmaceutica. Cio' determina anche la violazione del principio della leale cooperazione. Infine la norma viola l'art. 119, primo e secondo comma Cost. perche' determina in via unilaterale una modifica della remunerazione della spesa farmaceutica che potra' incidere sul bilancio regionale, in violazione dell'autonomia finanziaria regionale. Vero infatti e' che il comma impugnato prevede che il confronto tra i Ministeri e l'Aifa deve portare ad una riduzione della spesa per il Servizio sanitario nazionale, ma cio' non elimina il vizio prospettato perche' quella riduzione pattuita a livello statale-Aifa e associazioni di categoria sara' vincolante per le Regioni che, invece, avrebbero potuto individuare e proporre misure per fronteggiare la spesa farmaceutica capaci di produrre un maggiore risparmio (ad esempio mediante un incremento della distribuzione diretta dei farmaci generici da acquistare dalle ASL con gare direttamente dalle industrie produttrici). Quindi le regioni si troveranno vincolate al «quantum» di risparmio predefinito a livello statale, senza poter neanche intervenire nel confronto tecnico e private della possibilita' di individuare interventi capaci di determinare un maggiore contenimento della spesa farmaceutica e, quindi, un maggiore vantaggio per il bilancio regionale. Di qui i vizi eccepiti. 2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 15, commi 1 e 2, per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. anche sotto il profilo della violazione del principio della leale collaborazione. L'art. 15, commi 1 e 2 prevede quanto segue: «1. Entro quarantacinque giorni dall'entrata in vigore del presente decreto-legge, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono stabiliti criteri e modalita' per l'applicazione del pedaggio sulle autostrade e sui raccordi autostradali in gestione diretta di ANAS S.p.a., in relazione ai costi di investimento e di manutenzione straordinaria oltre che quelli relativi alla gestione, nonche' l'elenco delle tratte da sottoporre a pedaggio. 2. In fase transitoria, a decorrere dal primo giorno del secondo mese successivo a quello di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data di applicazione dei pedaggi di cui al comma 1, comunque non oltre il 31 dicembre 2011, ANAS S.p.a. e' autorizzata ad applicare una maggiorazione tariffaria forfettaria di un euro per le classi di pedaggio A e B e di due euro per le classi di pedaggio 3, 4 e 5, presso le stazioni di esazione delle autostrade a pedaggio assentite in concessione che si interconnettono con le autostrade e raccordi autostradali in gestione diretta ANAS. Le stazioni di cui al precedente periodo sono individuate con il medesimo d.P.C.M di cui al comma 1. Gli importi delle maggiorazioni sono da intendersi IVA esclusa. Le maggiorazioni tariffarie di cui al presente comma non potranno comunque comportare un incremento superiore al 25% del pedaggio altrimenti dovuto». Il primo comma, a distanza di pochi giorni dalla conversione, e' stato parzialmente modificato dall'art. 1, comma 4 del decreto-legge n. 125 del 5 agosto 2010 (pubblicato in G.U. n. 182 del 6 agosto 2010), che ha aggiunto, dopo le parole «modalita' per l'applicazione», la seguente frase «entro il 30 aprile 2011». Si tratta di disposizioni che sicuramente incidono sulle materie di competenza concorrente «governo del territorio» e «grandi reti di trasporto e navigazione». 2.a) Per quanto riguarda la prima parte del primo comma dell'art. 15, relativa alla determinazione dei criteri e modalita' per l'applicazione del pedaggio sulle autostrade e sui raccordi autostradali in gestione diretta di ANAS S.p.a., si rileva che una variazione in aumento dei pedaggi attualmente previsti comporta necessariamente effetti riflessi sulla viabilita' alternativa a quella autostradale, perche' determina un aumento del traffico sui percorsi alternativi a quelli autostradali. Cio' comporta, chiaramente, un aggravio dei costi di manutenzione delle strade regionali (nonche' provinciali e comunali), e dei fenomeni di inquinamento (atmosferico ed acustico) nei territori interessati dalla stessa viabilita' alternativa a quella autostradale. In altri termini, un aumento dei pedaggi attualmente previsti comporta conseguenze anche di notevole impatto sul territorio circostante in termini ambientali e, piu' in generale, di vivibilita'. Tali effetti sono stati riconosciuti anche dalla giurisprudenza amministrativa, la quale ha affermato che gli aumenti tariffari «non possono non incidere sull'andamento della viabilita', della circolazione e dei trasporti in ambito regionale» (T.A.R. Lazio, Sez. III, sentenza del 5 ottobre 2006, n. 9917). Tali considerazioni avrebbero dovuto indurre il legislatore a prevedere il coinvolgimento almeno della Conferenza Stato-Regioni in relazione alla determinazione dei criteri e modalita' di applicazione dei pedaggi, stante la sicura incidenza di tale variabile sulle legittime determinazioni legislative e regolamentari regionali attuative della competenza (concorrente) in materia di «governo del territorio» ed in materia di «grandi reti di trasporto e navigazione». Un siffatto coinvolgimento, pero', non e' stato previsto dalle disposizioni impugnate, che prevedono esclusivamente un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Da cio' deriva la violazione dell'art. 117, terzo comma della Costituzione, anche sotto il profilo della lesione del principio di leale cooperazione. 2.b) Per cio' che attiene, poi, la seconda parte del primo comma dell'art. 15, relativa all'individuazione delle tratte da sottoporre a pedaggio, gli appena illustrati profili di illegittimita' costituzionale si rivelano ancora piu' gravi ed evidenti. In tale ipotesi, infatti, non si tratta «semplicemente» di modificare il quantum di un corrispettivo gia' richiesto, bensi', e piu' significativamente, di introdurre ex novo un siffatto corrispettivo. Cio', evidentemente, produce conseguente significative sulla viabilita' nel suo complesso considerata (e, pertanto, anche e piu' in generale sulla vivibilita' delle zone interessate), e, quindi, sulle disposizioni legislative e regolamentari regionali adottate in materia di «governo del territorio» e «grandi reti di trasporto e navigazione». Stante tale impatto sul legittimo esercizio di competenze che la Costituzione attribuisce alle regioni, la norma contestata avrebbe dovuto prevedere, in relazione alle nuove tratte da sottoporre a pedaggio, un coinvolgimento della regione interessata. Da quanto esposto, emerge l'illegittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 1, per violazione dell'art. 117, terzo comma della Costituzione. 2.c) Infine, per quanto riguarda il secondo comma dell'art. 15 l'illegittimita' costituzionale del medesimo deriva dall'illegittimita' costituzionale del primo comma, nella misura in cui esso consente all'ANAS s.p.a., sia pure soltanto in via transitoria e comunque non oltre il 31 dicembre 2011, di «applicare una maggiorazione tariffaria forfettaria di un euro per le classi di pedaggio A e B e di due euro per le classi di pedaggio 3, 4 e 5, presso le stazioni di esazione delle autostrade a pedaggio assentite in concessione che si interconnettono con le autostrade e i raccordi autostradali in gestione diretta ANAS», individuate con il medesimo d.P.C.M. di cui al primo comma. Anche con riguardo a detta disposizione si ripropone quanto sopra esposto in ordine all'incidenza negativa (sostanzialmente vanificatoria) sulle materie «governo del territorio» e «grandi reti di trasporto e navigazione», di competenza legislativa concorrente. Da cio' deriva l'illegittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 2, nella misura in cui non prevede alcun coinvolgimento delle regioni, neppure nella forma dell'intervento nella Conferenza Stato-regioni. Tale illegittimita' emerge anche dalla circostanza che la disposizione de qua non limita testualmente l'applicazione della maggiorazione di cui trattasi alle stazioni di esazione delle autostrade a pedaggio assentiti in concessione che si interconnettano esclusivamente e direttamente con le autostrade ed i raccordi autostradali in gestione diretta ANAS. Nella misura in cui la maggiorazione in oggetto si applica anche a stazione di esazione che si interconnettono non in modo diretto e necessario alle autostrade e raccordi autostradali in gestione diretta ANAS - e, quindi, «servano» strade anche regionali - si verifica un'indebita intromissione statale nelle competenze ed attribuzioni regionali in materia di «governo del territorio», «grandi reti di trasporto e di navigazione», viabilita'. E' anche evidente, poi, che ove una siffatta applicazione si verifichi, le piu' volte menzionate e descritte conseguenze negative sulla viabilita' alternativa e, piu' in generale, sul territorio circostante, si rivelano ancora piu' pesanti e significative. La conferma dell'appena prospettata illegittimita' del secondo comma dell'art. 15 impugnato emerge dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 25 giugno 2010 con il quale il Governo ha individuato una serie di stazioni di esazione alle quali applicare la maggiorazione prevista dalla disposizione censurata. Con tale provvedimento, in alcuni casi (per la Toscana rilevano: Firenze-Certosa e Valdichiana) sono state individuate stazioni di esazione non collegate in via diretta ed immediata alle autostrade e raccordi autostradali in gestione diretta ANAS. Risulta confermata, anche per tale via, l'illegittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 2, nella misura in cui non prevede alcun coinvolgimento delle regioni, neppure nella forma dell'intervento nella Conferenza Stato-regioni. 3) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 49, comma 3 che sostituisce i commi 3, 3-bis, 3-ter e 3-quater dell'art. 14-quater della legge n. 241/1990, per violazione dell'articolo 117, terzo e quarto comma, Cost. anche sotto il profilo della violazione del principio della leale cooperazione e per violazione dell'art. 120 Cost. 3.a) Il nuovo comma 3 dell'art. 14-quater disciplina il superamento del dissenso espresso da Amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumita' in sede di Conferenza di servizi, prevedendo che a fronte di tale dissenso, «la questione, in attuazione e nel rispetto del principio di leale collaborazione e dell'art. 120 della Costituzione, e' rimessa dall'amministrazione procedente alla deliberazione del Consiglio dei ministri, che si pronuncia entro sessanta giorni, previa intesa con la regione...in caso di dissenso tra un'amministrazione statale ed una regionale o tra piu' amministrazioni regionali ovvero previa intesa con la regione e gli enti locali interessati, in caso di dissenso tra un'amministrazione...regionale e un ente locale o tra piu' enti locali. Se l'intesa non e' raggiunta nei successivi trenta giorni, la deliberazione del. Consiglio dei ministri puo' essere comunque adottata. Se il motivato dissenso e' espresso da una regione ...in una delle materia di propria competenza, il Consiglio dei Ministri delibera in esercizio del proprio potere sostitutivo con la partecipazione dei Presidenti delle regioni». La disposizione e' atta ad incidere su molteplici competenze regionali, quali il governo del territorio, la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali e la tutela della salute, il turismo, il commercio. Proprio in considerazione di una siffatta (e fortemente) possibile interferenza fra competenze e funzioni statali e regionali, allorquando si debbano individuare meccanismi volti a superare il suddetto dissenso, la scelta non puo' mai essere quella di «espropriare» della propria potesta' decisionale un soggetto istituzionale, rimettendo la decisione ad un unico Ente. Si deve, in altri termini, raggiungere un'intesa, che, alla stregua della giurisprudenza formatasi con riguardo alle fattispecie di «chiamata in sussidiarieta'», deve avere natura «forte», nel senso che il suo mancato raggiungimento impedisce la decisione finale. Ed infatti, la disciplina previgente rispetto a quella impugnata con il presente ricorso dettava procedimenti complessi di superamento del dissenso fra Amministrazioni diverse in sede di Conferenza, a tutela dei livelli di competenza delle regioni e degli enti locali coinvolti. Il nuovo terzo comma dell'art. 14-quater della legge n. 241/1990, invece - consentendo la decisione unilaterale governativa, decorso un certo periodo, in caso di mancato raggiungimento dell'intesa - svilisce il carattere «forte» dell'intesa stessa fra Governo, regione ed enti locali, rendendola soltanto eventuale e, comunque, sminuendo il potere decisionale della regione, in violazione del dettato costituzionale. Nella sentenza n. 6/2004, la Corte costituzionale (con riferimento alla materia dell'energia) ha chiarito che l'intesa con le regioni deve essere considerata di natura «forte» «nel senso che il suo mancato raggiungimento costituisce ostacolo insuperabile alla conclusione del procedimento», stante l'impatto indubbio che determinate opere (nella fattispecie esaminata nella citata sentenza si trattava di impianti energetici) provocano su molteplici materie rimesse alla competenza, concorrente o residuale, delle regioni, fra le quali la tutela della salute, il governo del territorio, il turismo e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali. Ancora, nella successiva sentenza n. 383/2005, la Corte costituzionale ha rilevato che «Nell'attuale situazione [...] come questa Corte ha piu' volte ribadito a partire dalla sentenza n. 303 del 2003 (cfr., da ultimo, le sentenze n. 242 e n. 285 del 2005), tali intese costituiscono condizione minima e imprescindibile per la legittimita' costituzionale della disciplina legislativa statale che effettui la "chiamata in sussidiarieta'" di una funzione amministrativa in materie affidate alla legislazione regionale, con la conseguenza che deve trattarsi di vere e proprie intese "in senso forte", ossia di atti a struttura necessariamente bilaterale, come tali non superabili con decisione unilaterale di una delle parti. In questi casi, pertanto, deve escludersi che, ai fini del perfezionamento dell'intesa, la volonta' della regione interessata possa essere sostituita da una determinazione dello Stato, il quale diverrebbe in tal modo l'unico attore di una fattispecie che, viceversa, non puo' strutturalmente ridursi all'esercizio di un potere unilaterale. L'esigenza che il conseguimento di queste intese sia non solo ricercato in termini effettivamente ispirati alla reciproca leale collaborazione, ma anche agevolato per evitare situazioni di stallo, potra' certamente ispirare l'opportuna individuazione sul piano legislativo, di procedure parzialmente innovative volte a favorire l'adozione dell'atto finale nei casi in cui siano insorte difficolta' a conseguire l'intesa, ma tali procedure non potranno in ogni caso prescindere dalla permanente garanzia della posizione paritaria delle parti coinvolte. E nei casi limite di mancato raggiungimento dell'intesa, potrebbe essere utilizzato, in ipotesi, lo strumento del ricorso a questa Corte in sede di conflitto di attribuzione fra Stato e Regioni». Sul punto, anche la sentenza n. 303/2003 aveva riconosciuto una ben precisa valenza procedimentale ai principi di sussidiarieta' ed adeguatezza, con conseguente necessita' che l'ampliamento delle funzioni dello Stato costituisca «oggetto di accordo con la regione interessata». La disposizione censurata, invece, consentendo, come visto, la determinazione unilaterale governativa in caso di mancato raggiungimento di un'intesa nel termine di trenta giorni dalla rimessione della questione al Consiglio dei ministri, sostanzialmente pone la Regione medesima in una posizione subordinata rispetto a quella statale. In altri termini, le Regioni, in tutti i casi in cui vi sia un motivato dissenso fra Amministrazioni diverse preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumita', perdono sostanzialmente ogni capacita' deliberativa, essendo la questione rimessa al Consiglio dei ministri (alle riunioni del quale e' semplicemente convocato il presidente della regione interessata). Com'e' intuitivo, pero', l'autonomia regionale e la posizione paritaria fra il livello centrale e quello regionale di governo possono essere garantite soltanto se l'intesa viene interpretata come vero e proprio strumento destinato a recepire la codeterminazione (appunto, paritaria) dell'an e del quomodo degli interventi da realizzare. Emerge, pertanto, l'illegittimita' costituzionale della disposizione censurata, per violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione, anche sotto il profilo della violazione del principio di leale collaborazione. 3.b) Lo stesso comma 3 dell'art. 14-quater della legge n. 241/1990 si rivela in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost., anche sotto il profilo della violazione del principio di leale collaborazione, per un aspetto ulteriore. Come si evince dal dato letterale della disposizione censurata, infatti, questa equipara il caso di contrasto fra un'Amministrazione statale e gli enti locali a quello di constrato fra questi ultimi ed un'Amministrazione regionale. In tale seconda ipotesi, pero', davvero non si comprende quali esigenze di esercizio unitario possano giustificare la remissione della decisione al Consiglio dei ministri, atteso che, cosi' facendo, in sostanza la regione interessata viene ad essere «espropriata» di proprie competenze, in palese violazione dei parametri di legittimita' costituzionale affinche' cio' possa avvenire. Manca, infatti, ogni elemento utile a predeterminare l'ambito di operativita' di una siffatta avocazione di compiti, al di fuori della» mera circostanza dell'intervenuto dissenso, nonche' qualsiasi indicazione utile a giustificare la stessa necessita' di tale avocazione decisionale. Da cio' deriva un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale della disposizione censurata, per violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione, anche sotto il profilo della violazione del principio di leale collaborazione. Tutti gli eccepiti profili di illegittimita' sono confermati dal fatto che la norma impugnata vanifica l'articolata e diversa procedura di superamento del dissenso che la Regione Toscana, nell'ambito dell'esercizio della propria potesta' legislativa volta a disciplinare i procedimenti amministrativi di sua competenza, ha introdotto nell'art. 29 della legge regionale 23 luglio 2009, n. 40 (Legge di semplificazione e riordino normativo 2009). 3.c) Come appena illustrato, il nuovo terzo comma rimette al Governo la decisione finale - in caso di motivato dissenso da parte di un'Amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumita' - in tutti i casi in cui, decorsi trenta giorni, l'intesa con la regione interessata non sia raggiunta. Cosi' facendo, pero', la medesima disposizione prevede un'ipotesi di potere sostitutivo straordinario del Governo al fuori dei limiti costituzionali indicati dall'art. 120 Cost., per il quale e' necessario il previo verificarsi di un inadempimento dell'Ente sostituito rispetto ad un'attivita' ad esso imposta come obbligatoria. Tale, pero', non puo' essere considerato il raggiungimento dell'intesa prevista per l'esercizio di una funzione amministrativa da parte dello Stato, a seguito di «chiamata in sussidiarieta'». Cio' e' stato riconosciuto dalla Corte costituzionale anche nella recente sentenza n. 278/2010, nella quale la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 25, comma 2, lett. f), della legge n. 99/2009, e' stata ritenuta non fondata «poiche' si basa sull'erroneo presupposto interpretativo, per il quale la disposizione impugnata si applicherebbe alle intese con le regioni: infatti, nel vigente assetto istituzionale della Repubblica, la regione gode di una particolare posizione di autonomia costituzionalmente protetta, che la distingue dagli enti locali (art. 114 Cost.), sicche' si deve escludere che il legislatore delegato abbia potuto includere le regioni nella espressione censurata (sentenza n. 20 del 2010)» (punto 14 del considerato in diritto). Il nuovo comma 3 dell'art. 14-quater della legge n. 241/1990, invece, introduce proprio (e lo conferma il dato letterale dell'art. 49, comma 3, del decreto-legge in questa sede impugnato) una siffatta applicazione, in violazione palese del dettato costituzionale e della giurisprudenza della Corte costituzionale. 4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 49, commi 4-bis e 4-ter, per violazione dell'art. 117, terzo comma e 121, secondo comma Cost. L'art. 49, comma 4-bis, della legge n. 122 del 2010 riformula interamente l'art. 19 della legge n. 241/1990, sostituendo la Dichiarazione di inizio attivita' (DIA) con la Segnalazione certificata di inizio attivita' (SCIA); e' previsto che ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio di attivita' imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o di atti amministrativi a contenuto generale se non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, e' sostituito da una segnalazione dell'interessato (SCIA). Sono esclusi dalla disciplina sulla SCIA i casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e gli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza, all'amministrazione della giustizia, all'amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito anche derivante dal gioco, nonche' quelli imposti dalla normativa comunitaria. La SCIA deve essere corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell'atto di notorieta' (ai sensi degli artt. 46 e 47 del d.P.R. n. 445/2000), nonche' dalle attestazioni di tecnici abilitati o dalle dichiarazioni di conformita' rese dalle Agenzie per le imprese, relative alla sussistenza dei requisiti .e dei presupposti per l'avvio dell'attivita'. Tali attestazioni e asseverazioni sono corredate dagli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche di competenza dell'amministrazione. L'attivita' puo' essere iniziata immediatamente dalla data di presentazione della segnalazione all'amministrazione competente. In caso di accertata carenza dei requisiti necessari ed entro il termine di sessanta giorni dal ricevimento della SCIA, l'amministrazione competente adotta motivati provvedimenti con cui dispone il divieto di proseguire l'attivita' e la rimozione degli eventuali effetti dannosi. L'interessato puo' evitare tali provvedimenti conformando alla normativa vigente l'attivita' ed i suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni. Inoltre, ferma restando l'applicazione delle sanzioni penali, in caso di dichiarazioni sostitutive false o mendaci, l'amministrazione puo' sempre adottare i suddetti provvedimenti. E' fatto salvo il potere dell'amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies, legge n. 241/1990. Decorso il termine per l'adozione dei provvedimenti inibitori e conformativi, la pubblica amministrazione puo' adottare i provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attivita' e di rimozione degli effetti, soltanto in presenza di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale, e previo motivato accertamento dell'impossibilita' di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell'attivita' dei privati alla normativa vigente. Il comma 4-ter prevede che le espressioni «segnalazione certificata di inizio di attivita'» e «Scia» sostituiscono, rispettivamente, quelle di «dichiarazione di inizio di attivita'» e «Dia», ovunque ricorrano, anche come parte di una espressione piu' ampia, e la disciplina della SCIA sostituisce direttamente quella della dichiarazione di inizio di attivita' recata da ogni normativa statale ed anche regionale. La sopra richiamata disciplina pone vari problemi interpretativi e applicativi, con particolare riferimento all'ambito di applicazione. E' chiarito che: sono esclusi dalla disciplina sulla SCIA le autorizzazioni previste dal d.lgs. n. 152/2006 (norme in materia ambientale) in quanto generalmente imposte dalla normativa comunitaria e comunque richiedenti valutazioni tecniche specifiche non riconducibili al mero accertamento di requisiti generali imposti dalla norma; e' esclusa la Scia per i procedimenti per cui siano previsti specifici strumenti di programmazione settoriale finalizzati al rilascio di atti di assenso dell'amministrazione, come, ad esempio, l'esercizio dell'attivita' di commercio nelle medie e grandi strutture di vendita e dell'attivita' di somministrazione di alimenti e bevande per le quali la legislazione prevede di norma un regime autorizzatorio, che risponde alle regole di una programmazione settoriale basata su criteri individuati dalle regioni e dai comuni. La disciplina della SCIA si applica invece, per espressa disposizione della recente legge statale, all'esercizio di attivita' imprenditoriale, commerciale o artigianale e pertanto sono da verificare i procedimenti e le autorizzazioni/abilitazioni rilasciate per tali attivita', sia in ambito statale sia in ambito regionale. La Regione ricorrente contesta le disposizioni impugnate ove ritenute applicabili anche al settore dell'edilizia, secondo le indicazioni in tale senso pervenute dalle autorita' ministeriali. La «DIA» edilizia e quella commerciale hanno sempre avuto diverse discipline (da ultimo, quella dell'art. 22 del d.P.R. n. 380 del 2001, per l'edilizia e quella dell'art. 19 della legge n. 241 del 1990) per la diversita' degli interessi tutelati rispettivamente dai due titoli. Ora, invece, viene tutto unificato e il privato puo' iniziare subito l'attivita' edilizia senza attendere alcun termine, restando alla P.A. solo il potere di intervenire successivamente quando i lavori sono gia' iniziati (e magari anche gia' finiti) con un potenziale danno urbanistico ormai prodotto. Tale conseguenza e' ancor piu' grave se si pensa che con la DIA possono essere realizzati interventi edilizi significativi, come interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unita' immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici; gli interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica qualora siano disciplinati da piani attuativi comunque denominati alle condizioni indicate dall'art. 22, comma 3, lett. b); gli interventi di nuova costruzione qualora siano in diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali recanti precise disposizioni planovolumetriche. Queste attivita' potevano essere iniziate dopo 30 giorni dalla presentazione della DIA e tale termine ha rappresentato un equilibrato compromesso tra le esigenze di controllo «preventivo» della p.a. e le esigenze del proprietario costruttore ad iniziare rapidamente i lavori, con la dovuta tranquillita' di evitare rischi di ordinanze successive di demolizione. La normativa in esame viola le competenze regionali in materia di governo del territorio che, ai sensi dell'art. 117, terzo comma Cost. sono attribuite alla potesta' legislativa concorrente e in cui, dunque, lo Stato deve porre i principi fondamentali, lasciando poi alle regioni lo sviluppo e la specificazione della disciplina. Le impugnate disposizioni richiamano, per giustificare l'intervento legislativo statale, la tutela della concorrenza, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera e) e la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, di cui all'art. 117, secondo comma, lett. m). Tuttavia non e' sufficiente la mera autoqualificazione formale operata dal legislatore statale per ricondurre una disciplina nell'ambito della competenza esclusiva dello Stato, ma e' necessario esaminarne il contenuto sostanziale e verificare se lo scopo cui la norma tende permette di ricondurre la stessa in tale ambito. Precisamente, infatti, la giurisprudenza costituzionale ha rilevato che «l'identificazione della materia nella quale si colloca la norma impugnata richiede di fare riferimento all'oggetto ed alla disciplina stabilita dalla medesima, tenendo conto della sua ratio, tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi, cosi' da identificare correttamente e compiutamente anche l'interesse tutelato (ex plurimis, sentenze n. 165 del 2007; n. 450 del 2006; n. 319 del 2005; n. 285 del 2005). (sentenza n. 430 del 2007 e, nello stesso senso n. 1 del 2008). Applicando tale principio, appare evidente che la SCIA «edilizia» non e' uno strumento per tutelare la concorrenza. La «tutela della concorrenza» di cui alla lettera e) dell'art. 117 Cost. comprende le misure legislative di tutela in senso proprio che hanno ad oggetto gli atti ed i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull'assetto concorrenziale dei mercati e quelle di promozione che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l'apertura eliminando barriere all'entrata (sentenze n. 63 del 2008; n. 430 del 2007). Con la SCIA la P.A. abilita il privato a realizzare un determinato intervento edilizio, ricorrendone i presupposti in base alla pianificazione territoriale; viene quindi in questione il rapporto tra l'Amministrazione ed il privato e non invece la concorrenza tra gli imprenditori che hanno diritto alla parita' di trattamento e ad agire in un mercato libero senza barriere. Ne consegue che cio' che assume rilievo in questa materia e' la relazione che si instaura tra il privato che decide di realizzare un intervento e l'amministrazione che deve verificare se esso sia conforme o meno alla disciplina vigente. Altresi' non pertinente e' il riferimento alla lettera m) dell'art. 117 Cost., perche' la disciplina della SCIA «edilizia» non fissa un livello essenziale delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale. Siffatto titolo di legittimazione dell'intervento statale e' invocabile «in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione» (sentenze n. 328 del 2006, n. 285 e n. 120 del 2005; n. 423 del 2004). Nel caso in esame non e' predeterminato tale livello e il momento in cui l'attivita' puo' essere iniziata (subito o dopo trenta giorni) non costituisce una prestazione concernente un diritto. Escludendo i due titoli di competenza statale, perche' illegittimamente invocati, la disciplina in esame ricade nella materia del «governo del territorio», soggetto alla potesta' legislativa concorrente. La riconducibilita' delle disposizioni in esame a detta materia trova conferma nella giurisprudenza costituzionale, la quale ha rilevato che nei settori dell'urbanistica e dell'edilizia i poteri legislativi regionali sono senz'altro ascrivibili alla nuova competenza di tipo concorrente in tema di governo del territorio ritenuta comprensiva di tutto cio' che attiene all'uso del territorio e alla localizzazione di impianti o attivita', ossia l'insieme delle norme che consentono di identificare e graduare gli interessi in base ai quali possono essere regolati gli usi ammissibili del territorio (sentenze nn. 303 e 362 del 2003; n. 196 del 2004). Le disposizioni impugnate sono norme di dettaglio; le regioni dovrebbero infatti poter decidere, in base alla realta' del proprio territorio, se consentire al privato di iniziare l'attivita' immediatamente, o di attendere un termine da esse stabilito. In merito la giurisprudenza costituzionale ha rilevato che «l'intervento del legislatore statale presenta carattere di norma di dettaglio, in quanto ha ad oggetto una disciplina limitata a specifiche tipologie di interventi edilizi realizzati in contesti ben definiti e circoscritti. Se, come piu' volte chiarito da questa Corte, alla normativa di principio spetta di prescrivere criteri e obiettivi, mentre alla normativa di dettaglio e' riservata l'individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere tali obiettivi (ex plurimis: sentenze n. 16 del 2010, n. 340 del 2009 e n. 401 del 2007), l'art. 3, comma 9, introduce una disciplina che si risolve in una normativa dettagliata e specifica che non lascia alcuno spazio al legislatore regionale. Essa, pertanto, oltrepassa i confini delle competenze che, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost. spettano al legislatore statale in materia di governo del territorio.». (sentenza n. 278 del 2010). Inoltre particolarmente lesiva delle competenze regionali e' la norma contenuta nel citato comma 4-ter ai sensi del quale le espressioni «segnalazione certificata di inizio di attivita'» e «Scia» sostituiscono, rispettivamente, quelle di «dichiarazione di inizio di attivita'» e «Dia», ovunque ricorrano, anche come parte di una espressione piu' ampia, e la disciplina della SCIA sostituisce direttamente quella della dichiarazione di inizio di attivita' recata da ogni normativa statale e regionale. La nuova Scia travolge pertanto tutte le norme regionali in materia. La Regione Toscana ha disciplinato con un'organica legge in materia di governo del territorio (legge n. 1 del 2005) le ipotesi di interventi per cui si richiede la DIA. Non solo, ma in applicazione dell'art. 22, comma 4 del d.P.R. n. 380/2001, alla Regione e' stato consentito anche di ampliare autonomamente le categorie di opere per cui e' prevista la DIA: ebbene tutte queste norme vengono abrogate con effetto immediato dal legislatore statale e sostituite unilateralmente con una disciplina che non permette piu' un controllo preventivo dell'Amministrazione. Questo non rispetta l'autonomia legislativa regionale perche' il legislatore statale non puo' intervenire direttamente ad abrogare e sostituire norme approvate dal Consiglio regionale; spetta invece a quest'ultimo adeguarsi ai nuovi principi posti dal legislatore statale, senza che possa dunque prescindersi da un termine per l'adeguamento da parte del legislatore regionale. Per tutti questi motivi le norme impugnate contrastano con l'art. 117, terzo comma, Cost., violando le attribuzioni regionali in materia di governo del territorio, nonche' con l'art. 121, secondo comma, Cost., violando l'autonomia legislativa del Consiglio regionale con la previsione dell'automatica sostituzione immediata della normativa statale a quella regionale.
P.Q.M. Si confida che la Corte costituzionale dichiari l'illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 6-bis, dell'art. 15, commi 1 e 2, dell'articolo 49, comma 3, dell'art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del decreto-legge n. 78 del 2010 convertito con modificazioni nella legge 30 luglio 2010, n. 122, per violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, 118, primo comma, 119, primo e secondo comma, 120 e 121, secondo comma, Cost. anche sotto il profilo di violazione del principio della leale cooperazione. Firenze - Roma, addi' 28 settembre 2010 Avv. Lucia Bora