N. 317 ORDINANZA 3 - 11 novembre 2010

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo penale - Procedimento per decreto - Decreto di  citazione  a
  giudizio emesso dal giudice per le indagini preliminari  a  seguito
  di opposizione al decreto penale di condanna - Mancata  previsione,
  a pena di nullita', del previo invito all'opponente  a  presentarsi
  per rendere interrogatorio ai sensi dell'art. 375,  comma  3,  cod.
  proc.  pen.  -  Asserita   disparita'   di   trattamento   rispetto
  all'imputato nei  cui  confronti  si  procede  nei  modi  ordinari,
  nonche'  violazione  del  diritto  di  difesa  -   Questione   gia'
  dichiarata manifestamente infondata - Manifesta infondatezza. 
- Legge 16 luglio 1997, n. 234, artt. 2 e 3. 
- Costituzione, artt. 3 e 24. 
(GU n.46 del 17-11-2010 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Giuseppe
  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe   FRIGO,   Alessandro
  CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 2 e  3  della
legge 16 luglio 1997, n. 234 (Modifica dell'articolo 323  del  codice
penale, in materia di abuso d'ufficio, e degli articoli  289,  416  e
555 del codice di procedura penale), promosso dal Pretore di Salerno,
sezione distaccata di Amalfi, nel procedimento penale a carico di  F.
G. con ordinanza del 22 marzo 1999, iscritta al n. 122  del  registro
ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 18, 1ª serie speciale, dell'anno 2010. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del 22 settembre 2010 il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 22 marzo  1999,  trasmessa  dalla
cancelleria, dopo oltre dieci anni, il 18 gennaio 2010 e pervenuta  a
questa Corte il 23 marzo 2010 (r.o. n. 122 del 2010), il  Pretore  di
Salerno, sezione distaccata di Amalfi, ha sollevato,  in  riferimento
agli artt. 3 e  24  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale degli artt. 2 e 3 della legge 16 luglio 1997,  n.  234
(Modifica dell'articolo 323 del codice penale, in  materia  di  abuso
d'ufficio, e degli articoli 289, 416 e 555 del  codice  di  procedura
penale), nella parte in cui non prevedono che il decreto di citazione
a giudizio, emesso dal giudice per le indagini preliminari in seguito
ad opposizione a decreto penale di condanna, debba essere  preceduto,
a  pena  di  nullita',  dall'invito   a   presentarsi   per   rendere
l'interrogatorio, ai sensi dell'art. 375, comma 3, cod. proc. pen.; 
        che, ad avviso del giudice a quo, la  mancata  previsione  di
detto  invito  e  la   conseguente   negazione   all'imputato   della
possibilita' di contestare anticipatamente il fondamento  dell'accusa
in  sede  di  interrogatorio  comporterebbero  una   violazione   del
principio di eguaglianza; 
        che l'opponente a  decreto  di  condanna  verrebbe  trattato,
infatti, in modo ingiustificatamente deteriore rispetto  all'imputato
nei cui confronti si procede nei modi  ordinari  e,  in  particolare,
tramite citazione diretta a giudizio  ai  sensi  dell'art.  555  cod.
proc. pen.  (ipotesi  nella  quale  -  per  effetto  delle  modifiche
introdotte dalle norme censurate  -  il  decreto  di  citazione  deve
essere  invece  preceduto,  a  pena  di  nullita',   dall'invito   in
questione); 
        che se pure, all'origine, non vi e'  identita'  di  posizione
processuale tra chi,  all'esito  delle  indagini  preliminari,  viene
citato a giudizio e chi e' direttamente condannato  con  decreto,  le
due posizioni diverrebbero, nondimeno,  pienamente  assimilabili  una
volta che sia presentata opposizione al decreto  di  condanna,  senza
che  con  essa  vengano  richiesti  il  patteggiamento,  il  giudizio
abbreviato o l'oblazione; 
        che in questo  caso,  infatti,  l'opposizione  e'  diretta  a
«recuperare le "vie ordinarie" del processo», esprimendo  «un  deciso
dissenso dalle conclusioni accusatorie»; 
    che mentre, pero', con l'interrogatorio  che  deve  precedere  il
decreto di citazione a giudizio di cui all'art. 555 cod. proc.  pen.,
l'imputato ha la possibilita' di difendersi in via preliminare  dalle
accuse mosse nei suoi confronti  -  potendo  addirittura  indurre  il
pubblico ministero a presentare richiesta di  archiviazione  -  assai
piu' ridotte risulterebbero le possibilita' di difesa dell'opponente,
citato a giudizio ai sensi degli artt. 464 e 456 cod. proc. pen.; 
        che quest'ultimo  non  sarebbe,  infatti,  in  grado  ne'  di
«rimuovere  preliminarmente»  l'imputazione  formulata  dal  pubblico
ministero, ne' di prospettare  elementi  atti  a  «far  vacillare  il
castello accusatorio gia' dalle prime battute  del  processo  futuro»
(cio', tenuto  conto  del  fatto  che  il  proscioglimento  ai  sensi
dell'art. 129 cod. proc. pen. puo' essere  invocato  da  entrambe  le
parti, e non solo dall'imputato, col risultato di evitare un  inutile
e dispendioso dibattimento); 
        che la denunciata  disparita'  di  trattamento  ridonderebbe,
inevitabilmente, anche in  un  pregiudizio  del  diritto  di  difesa:
diritto che, rispetto all'imputato  opponente  a  decreto  penale  di
condanna, risulterebbe «fortemente  compresso,  anzi  escluso,  nella
fase investigativa», per poi «riespandersi» quando ormai,  a  seguito
della valutazione discrezionale del pubblico ministero, «il fatto  e'
stato ritenuto abbastanza fondato  da  meritare  l'instaurazione  del
processo»; 
        che la questione sarebbe, altresi', rilevante nel giudizio  a
quo,  essendo  il  rimettente  chiamato  a   trattare   il   giudizio
dibattimentale conseguente alla rituale opposizione  dell'imputato  a
un decreto penale di condanna a lire 975.000 di ammenda,  emesso  dal
Giudice per le indagini preliminari della Pretura di Salerno  per  la
contravvenzione prevista dall'art. 5,  lettera  b),  della  legge  30
aprile 1962, n. 283 (Disciplina igienica  della  produzione  e  della
vendita  delle  sostanze  alimentari  e  delle  bevande):  cosi'  che
l'accoglimento della questione comporterebbe la nullita' del  decreto
di citazione  a  giudizio  emesso  dal  medesimo  giudice  a  seguito
dell'opposizione, in quanto  non  preceduto  dall'invito  di  cui  si
tratta; 
        che nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione  sia
dichiarata manifestamente infondata. 
    Considerato che il Pretore  di  Salerno,  sezione  distaccata  di
Amalfi, censura come contraria agli artt. 3 e 24  della  Costituzione
la mancata previsione, in rapporto al procedimento  per  decreto,  di
una disciplina corrispondente a quella introdotta per il procedimento
ordinario a seguito delle modifiche operate dalla legge  n.  234  del
1997: disciplina in forza della quale la  richiesta  di  citazione  a
giudizio (nel procedimento con udienza preliminare) e il  decreto  di
citazione a giudizio (nel procedimento a citazione  diretta)  debbono
essere  preceduti,  a   pena   di   nullita',   dalla   notificazione
all'indagato dell'invito a presentarsi per rendere  l'interrogatorio,
ai sensi dell'art. 375, comma 3, cod. proc. pen. (artt. 416, comma 1,
e 555, comma 2, cod. proc. pen., come  novellati  dall'art.  2  della
citata legge n. 234 del 1997,  attenendo  il  successivo  art.  3  ai
profili di diritto transitorio); 
        che,  in  tale  ottica,  il  rimettente  chiede   che   venga
dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale  delle  norme  impugnate
nella parte in cui non prevedono che anche il decreto di citazione  a
giudizio, emesso dal giudice per le indagini  preliminari  a  seguito
dell'opposizione a decreto penale di condanna (artt. 464 e  456  cod.
proc. pen.), debba essere preceduto, a pena di nullita', dal predetto
invito; 
        che questa Corte si e', peraltro, gia' piu' volte pronunciata
su analoghe questioni, sollevate in rapporto  ai  medesimi  parametri
costituzionali, dichiarandone la manifesta infondatezza (ordinanze n.
458 e n. 325 del 1999; nonche',  con  riguardo  a  questioni  affini,
volte  ad  introdurre  l'obbligo   del   previo   interrogatorio,   o
dell'invito a renderlo, quale condizione di validita' della richiesta
del pubblico ministero di emissione del decreto penale  di  condanna,
ordinanze n. 326 del 1999 e n. 432 del 1998); 
        che, con riferimento alla denunciata violazione  dell'art.  3
Cost., si e' in particolare  rilevato  come  l'asserita  esigenza  di
prevedere  una  anticipazione  del   contraddittorio,   nelle   forme
suddette, sulla base di un  raffronto  con  la  disciplina  del  rito
ordinario   risulti   «contraddetta   dalle    caratteristiche    del
procedimento per decreto penale, che, per la sua struttura di rito  a
contraddittorio  eventuale  e  differito,  improntato  a  criteri  di
economia processuale e di speditezza, non e' comparabile, come  tale,
con gli altri modelli delineati dalla [...] disciplina  del  processo
penale» (ordinanza n. 326 del 1999): e  cio',  neppure  alla  stregua
delle innovazioni introdotte dalla legge n. 234 del 1997, poiche' nel
procedimento  per  decreto  l'esigenza  di  garantire  la  conoscenza
dell'indagine si  trasferisce  sulla  fase  processuale,  conseguente
all'opposizione; 
        che quanto, poi, all'ipotizzata lesione dell'art.  24  Cost.,
si e' osservato che nel procedimento per  decreto  l'esperimento  dei
mezzi di difesa, con la stessa ampiezza dei procedimenti ordinari, si
colloca parimenti nella fase susseguente  all'opposizione:  rimanendo
escluso, al tempo stesso, che «alla previsione di un  contraddittorio
antecedente l'esercizio  dell'azione  penale»  possa  «assegnarsi  il
carattere di necessario  svolgimento  della  garanzia  costituzionale
della difesa, garanzia che si esercita nel processo  e  che  -  tanto
piu'  nel  quadro  del  processo  di  tipo  accusatorio   -   postula
primariamente, come interlocutore dell'interessato, il giudice e  non
la parte pubblica» (ordinanza n. 326 del 1999); 
        che, in aggiunta  a  cio',  l'introduzione  dell'obbligo  del
previo invito a presentarsi per l'interrogatorio, quale condizione di
validita' del decreto che dispone il giudizio emesso dal giudice  per
le  indagini  preliminari  a  seguito  dell'opposizione  (e,  dunque,
successivamente  all'esercizio   dell'azione   penale),   lungi   dal
riportare ad unita' la disciplina dei  diversi  riti,  «comporterebbe
l'atipica collocazione di un atto, proprio della fase delle  indagini
preliminari,  nell'ambito  della  fase  del  giudizio»:  collocazione
«oltretutto inidonea a garantire quelle  finalita'  -  di  conoscenza
[...]   dell'indagine,   e   di   possibilita'   di   instaurare   un
contraddittorio  con  l'organo  di  accusa  in  funzione   dell'esito
dell'indagine stessa, cioe' dell'alternativa [...] tra  passaggio  al
giudizio e archiviazione - che [...]  con  la  riforma  del  1997  il
legislatore  ha  inteso  perseguire»  (ordinanza  n.  325  del  1999;
analogamente, ordinanza n. 458 del 1999); 
        che, peraltro, successivamente all'ordinanza di rimessione  -
trasmessa a questa Corte, come gia' rimarcato, con patologico ritardo
- e' intervenuta la legge 16 dicembre 1999, n.  479  (Modifiche  alle
disposizioni sul procedimento davanti al  tribunale  in  composizione
monocratica  e  altre  modifiche  al  codice  di  procedura   penale.
Modifiche   al   codice   penale   e   all'ordinamento   giudiziario.
Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennita'
spettanti al  giudice  di  pace  e  di  esercizio  della  professione
forense), la quale, nell'ambito di una piu'  generale  revisione  del
procedimento penale  dinanzi  al  tribunale,  anche  in  composizione
monocratica, ha  modificato  la  disciplina  introdotta  dalle  norme
censurate, che il rimettente evoca come termine di raffronto; 
        che, in particolare, per effetto  della  novella,  il  previo
invito all'indagato a presentarsi per  rendere  l'interrogatorio  non
costituisce piu' un antecedente imprescindibile, stabilito a pena  di
nullita', della richiesta di rinvio  a  giudizio  o  del  decreto  di
citazione diretta a giudizio, quali  atti  di  esercizio  dell'azione
penale: la garanzia difensiva essendo ora costituita  dalla  notifica
all'indagato  di  un  «avviso  della   conclusione   delle   indagini
preliminari» (art. 415-bis cod. proc. pen.,  inserito  dall'art.  17,
comma 2, della legge n. 479 del 1999) e dalla previsione di nullita',
rispettivamente  della  richiesta  di  rinvio  a  giudizio  e   della
citazione diretta a giudizio, in caso di omissione  di  detto  avviso
ovvero   dell'invito   a   rendere   interrogatorio,   se   richiesto
dall'indagato entro venti giorni dalla  notifica  dell'avviso  stesso
(artt. 416, comma 1, secondo periodo, e 552, comma  2  -  sostitutivo
dell'art. 555 previgente - come modificati dall'art. 17, comma  3,  e
dall'art. 44, comma 1, della legge n. 479 del 1999); 
        che comunque della nuova disciplina  il  giudice  a  quo  non
dovrebbe fare applicazione, sicche' non occorre restituire gli atti a
detto giudice per un nuovo esame sia della rilevanza  che  della  non
manifesta infondatezza della questione; 
        che,  peraltro  e  solo  per  completezza,  mette  conto   di
rammentare che anche detta nuova disciplina  e'  stata  sottoposta  a
scrutinio da parte di questa Corte, per la mancata  previsione  della
ricordata nuova garanzia  difensiva  nel  procedimento  per  decreto:
scrutinio che si e' ugualmente concluso con  la  dichiarazione  della
manifesta infondatezza delle questioni sollevate, sia con riguardo ai
parametri costituzionali evocati nel caso qui in esame (artt. 3 e  24
Cost.), sia con riguardo agli ulteriori  parametri  di  cui  all'art.
111, terzo, quarto e quinto comma, Cost.; essendosi, in  particolare,
rilevato che «l'innesto della disciplina dell'avviso  di  conclusione
delle  indagini  nel  procedimento  monitorio  ne   snaturerebbe   la
struttura e le finalita', inserendovi una procedura  incidentale  che
potrebbe  determinare  una  notevole  dilatazione  temporale,  e   si
sostanzierebbe   in   una   garanzia    che,    oltre    ad    essere
costituzionalmente non imposta, si rivelerebbe  del  tutto  incongrua
rispetto ai caratteri del rito speciale» (ordinanze n. 131  e  n.  32
del 2003; in argomento, altresi', ordinanze n. 8 del 2003  e  n.  203
del 2002); 
        che  la  questione  proposta  dal  rimettente  nel   presente
giudizio non esprime profili ne' argomenti nuovi  rispetto  a  quelli
gia' precedentemente esaminati,  onde  va  dichiarata  manifestamente
infondata. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale degli artt. 2 e 3 della legge  16  luglio
1997, n. 234  (Modifica  dell'articolo  323  del  codice  penale,  in
materia di abuso d'ufficio, e degli  articoli  289,  416  e  555  del
codice di procedura penale), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e
24 della Costituzione, dal Pretore di Salerno, sezione distaccata  di
Amalfi, con l'ordinanza in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 novembre 2010. 
 
                       Il Presidente: Amirante 
 
 
                         Il redattore: Frigo 
 
 
                      Il cancelliere: Di Paola 
 
    Depositata in cancelleria l'11 novembre 2010 
 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola