N. 321 ORDINANZA 3 - 11 novembre 2010

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello  Stato
  -  Configurazione  della  fattispecie  come  reato  -   Trattamento
  sanzionatorio - Eccepita inammissibilita' per asserita mancanza  di
  una valutazione del giudice a quo sulla non manifesta  infondatezza
  della questione, autonoma rispetto alla prospettazione delle  parti
  - Reiezione. 
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis, aggiunto  dall'art.  1,
  comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, artt. 2, 24, 25, secondo comma, e  117,  quest'ultimo
  in riferimento  all'art.  14  della  Dichiarazione  universale  dei
  diritti dell'uomo ed all'art. 5  del  protocollo  addizionale  alla
  Convenzione delle  Nazioni  Unite  contro  il  crimine  organizzato
  transazionale. 
Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello  Stato
  -  Configurazione  della  fattispecie  come  reato  -   Trattamento
  sanzionatorio - Asserita lesione dei diritti inviolabili  dell'uomo
  alla propria identita' personale e alla cittadinanza, oltre che del
  diritto di difesa -  Ritenuta  irragionevolezza  della  preclusione
  dell'oblazione nonche' dell'assenza di una disciplina transitoria -
  Asserito contrasto con le norme internazionali pattizie  -  Difetto
  di adeguata  motivazione  in  relazione  ad  alcuni  dei  parametri
  costituzionali  invocati  e  difetto  di  rilevanza   -   Manifesta
  inammissibilita' delle questioni. 
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis, aggiunto  dall'art.  1,
  comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 24 e  117,  quest'ultimo  in  riferimento
  all'art. 14 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo ed
  all'art.  5  del  protocollo  addizionale  alla  Convenzione  delle
  Nazioni Unite contro il crimine organizzato transazionale. 
Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello  Stato
  -  Configurazione  della  fattispecie  come  reato  -   Trattamento
  sanzionatorio - Eccepita inammissibilita' per difetto di  rilevanza
  - Reiezione. 
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis, aggiunto  dall'art.  1,
  comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, artt. 3 e 27. 
Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello  Stato
  -  Configurazione  della  fattispecie  come  reato  -   Trattamento
  sanzionatorio - Asserita violazione dei principi di  uguaglianza  e
  di ragionevolezza, di materialita'  del  reato  e  della  finalita'
  rieducativa della pena - Questioni gia' dichiarate  non  fondate  -
  Manifesta infondatezza. 
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis, aggiunto  dall'art.  1,
  comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, artt. 3, 25, secondo comma, e 27. 
(GU n.46 del 17-11-2010 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Ugo DE SIERVO; 
Giudici: Paolo  MADDALENA,  Alfonso  QUARANTA,  Franco  GALLO,  Luigi
  MAZZELLA, Sabino CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe  TESAURO,
  Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo
  GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  10-bis  del
decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), aggiunto dall'art.  1,  comma  16,
lettera a), della legge  15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica),  promossi  dal  Giudice  di  pace  di
Trieste con due ordinanze del 14, una ordinanza del 19  gennaio  2010
ed un'altra del 14 gennaio 2010, rispettivamente iscritte ai  nn.  da
130 a 132 e 135  del  registro  ordinanze  2010  e  pubblicate  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 19 e 20, 1ª  serie  speciale,
dell'anno 2010. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del 20 ottobre  2010  il  giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
    Ritenuto che, con quattro ordinanze di analogo tenore, emesse  il
14 gennaio 2010 (r.o. n. 130, n. 131 e n.  135  del  2010)  e  il  19
gennaio 2010 (r.o. n. 132 del 2010), nel corso di processi penali nei
confronti di  stranieri  imputati  del  reato  previsto  dalla  norma
censurata, il Giudice di pace di Trieste ha  sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3, 24,  25,
secondo comma, 27 e 117  della  Costituzione,  dell'art.  10-bis  del
decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), aggiunto dall'art.  1,  comma  16,
lettera a), della legge  15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica), il quale  punisce  con  l'ammenda  da
5.000 a 10.000 euro, «salvo  che  il  fatto  costituisca  piu'  grave
reato,  lo  straniero  che  fa  ingresso  ovvero  si  trattiene   nel
territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del [citato]
testo unico nonche' di quelle di cui all'art. 1 della legge 28 maggio
2007, n. 68»; 
        che il giudice a quo riferisce che, nel  corso  dell'udienza,
il pubblico ministero (nei casi di cui alle ordinanze r.o. n. 129, n.
131 e n.  135  del  2010)  ovvero  il  difensore  dell'imputato,  con
l'adesione della parte pubblica (nel caso di cui  all'ordinanza  r.o.
n. 130 del 2010), avevano  eccepito  l'illegittimita'  costituzionale
del citato art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998: eccezioni  di  cui
vengono sintetizzati i contenuti; 
        che nell'ordinanza r.o. n. 132  del  2010  la  questione  e',
invece, sollevata d'ufficio; 
        che la norma impugnata si porrebbe  in  contrasto,  in  primo
luogo, con l'art. 27 Cost., giacche'  la  comminatoria  di  una  pena
pecuniaria nei  confronti  di  persone  prive  di  fonti  di  reddito
risulterebbe  «meramente  pretestuosa»  e   inidonea   ad   esplicare
qualsiasi funzione rieducativa; 
        che sarebbe inoltre violato l'art. 24  Cost.,  in  quanto  la
norma  censurata  non  consentirebbe  all'imputato   «di   dimostrare
efficacemente [...] a fini assolutori la  esistenza  di  una  qualche
causa di giustificazione»; 
        che risulterebbe leso anche l'art. 117 Cost., in  riferimento
all'art. 14 della «Convenzione Onu  sui  Diritti  dell'Uomo»  [recte:
della  Dichiarazione  universale  dei  diritti  dell'uomo,   adottata
dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10  dicembre  1948]  e
all'art. 5 del «Preambolo del Protocollo della Convenzione di Palermo
12-15  dicembre  2000»  [recte:  del  Protocollo  addizionale   della
Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalita' transnazionale
organizzata per combattere  il  traffico  illecito  di  migranti  via
terra, via mare e via aria, adottato dall'Assemblea  generale  il  15
novembre  2000],  in  forza  del  quale  «i  migranti  non  diventano
assoggettabili all'azione penale per il fatto di essere oggetto delle
condotte di cui all'art. 6»; 
        che l'art. 10-bis del d.lgs. n. 286  del  1998  si  porrebbe,
poi, in contrasto con l'art. 3 Cost., sotto plurimi profili; 
    che la scelta  legislativa  di  criminalizzare  l'ingresso  e  la
permanenza  «clandestini»  dello  straniero  nello   Stato   italiano
risulterebbe,   infatti,   irragionevole,   stante   la   coincidenza
dell'ambito applicativo della nuova fattispecie criminosa con  quello
della preesistente misura amministrativa dell'espulsione; 
        che apparirebbe,  altresi',  priva  di  ogni  valida  ragione
giustificativa la preclusione dell'oblazione di cui all'art. 162  del
codice penale, sancita dalla norma censurata; 
        che   sarebbe   ravvisabile,   inoltre,   una   irragionevole
disparita'  di  trattamento  rispetto  alla   fattispecie   criminosa
contemplata dall'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n.  286  del  1998,
che punisce lo straniero inottemperante all'ordine di  allontanamento
del questore solo ove lo stesso si  trattenga  nel  territorio  dello
Stato oltre il  termine  stabilito  e  «senza  giustificato  motivo»:
limitazione che non  si  rinviene,  per  contro,  nella  disposizione
impugnata; 
        che detta disposizione - sottoponendo  a  pena  il  «migrante
economico» - violerebbe, ancora, il  principio  di  eguaglianza,  che
vieta ogni discriminazione fondata su condizioni personali o sociali; 
        che la nuova norma risulterebbe irrazionale anche nella parte
in cui  -  nell'elevare  a  reato  lo  stato  di  clandestinita',  in
precedenza penalmente irrilevante - anziche' prevedere una  «adeguata
tempistica», ha concesso ai «clandestini» un termine di soli quindici
giorni per allontanarsi dal territorio dello Stato,  ponendoli  cosi'
nella  concreta   impossibilita'   di   evitare   di   incorrere   in
responsabilita' penale per un fatto anteriormente commesso; 
        che l'art. 10-bis del d.lgs.  n.  286  del  1998  violerebbe,
infine,  l'art.  2  Cost.,  in  quanto  pregiudicherebbe  «i  diritti
inviolabili  dell'uomo  alla  propria  identita'  personale  ed  alla
propria cittadinanza»,  nonche'  l'art.  25,  secondo  comma,  Cost.,
perche' non sanzionerebbe fatti materiali, ma condizioni personali; 
        che, in sostanza - osserva conclusivamente  il  rimettente  -
tanto dalle singole  censure  prospettate  che  dal  loro  complesso,
emergerebbe  come  la  discrezionalita'  del  legislatore  sia  stata
esercitata  in   modo   manifestamente   irragionevole,   sia   nella
configurazione della fattispecie criminosa, sia nella  determinazione
del relativo trattamento sanzionatorio; 
        che, quanto alla rilevanza, il giudice a quo  riferisce  che,
sulla base degli atti irripetibili compiuti dalla polizia giudiziaria
e  degli  altri  documenti  acquisiti,  gli  imputati   nei   giudizi
principali risultano presenti nel territorio nazionale  senza  essere
muniti di permesso di soggiorno e,  anzi  -  nei  casi  di  cui  alle
ordinanze r.o. n. 130, n. 131 e n. 132 del  2010  -  trovandosi  gia'
colpiti da provvedimento di  espulsione:  donde  la  rilevanza  della
questione, il  cui  accoglimento  comporterebbe  l'assoluzione  degli
imputati stessi, altrimenti esposti ad una sentenza di condanna; 
        che nel giudizio di costituzionalita' relativo  all'ordinanza
r.o. n. 135 del 2010, e' intervenuto il Presidente del Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, il quale ha eccepito, in via  preliminare,  l'inammissibilita'
della questione, in quanto il rimettente si sarebbe limitato  a  dare
conto  dei  dubbi  di  legittimita'   costituzionale   del   pubblico
ministero, senza formulare una propria valutazione di  non  manifesta
infondatezza:  l'unica  valutazione  espressa  dal  giudice   a   quo
atterrebbe, infatti, all'irragionevolezza della fattispecie criminosa
e della relativa sanzione; 
        che, sotto il primo profilo, la  questione  sarebbe  comunque
infondata,  giacche'  la  scelta  di  attribuire  rilievo  penale   a
comportamenti in precedenza sanzionati  solo  in  via  amministrativa
costituirebbe    esercizio,     non     irragionevole,     dell'ampia
discrezionalita' che al legislatore compete nell'individuazione delle
condotte punibili e delle relative sanzioni; 
        che, sotto il secondo profilo - quello, cioe',  della  natura
della sanzione, censurata in rapporto alla condizione di impossidenza
del destinatario  dell'incriminazione  -  la  questione  risulterebbe
puramente astratta e, dunque, inammissibile, giacche'  il  rimettente
non riferisce che l'imputato nel giudizio a quo versi  effettivamente
nella predetta condizione. 
    Considerato che le ordinanze di  rimessione  sollevano  identiche
questioni, onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere  definiti
con unica decisione; 
        che il Giudice di pace di Trieste dubita,  in  riferimento  a
plurimi parametri, della legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis
del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), aggiunto dall'art.  1,  comma  16,
lettera a), della legge  15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica), che punisce con l'ammenda da 5.000  a
10.000 euro, salvo che il fatto  costituisca  piu'  grave  reato,  lo
straniero che fa ingresso o si trattiene illegalmente nel  territorio
dello Stato; 
        che l'eccezione  preliminare  di  inammissibilita'  formulata
dell'Avvocatura dello Stato in rapporto all'ordinanza r.o. n. 135 del
2010 - ma estensibile anche alle altre ordinanze  di  rimessione  che
sollevano le questioni di costituzionalita' su eccezione di  parte  -
non e' fondata; 
        che  dal  tenore  complessivo  di  dette  ordinanze   emerge,
infatti,  con  sufficiente  chiarezza,  che   il   giudice   a   quo,
nell'esporre - in termini di sintesi - le censure  prospettate  dalle
parti, ha inteso condividerle e  farle  proprie:  onde  non  si  puo'
ritenere che manchi un apprezzamento sul punto; 
        che  alcune  delle  questioni  sollevate   sono,   nondimeno,
manifestamente inammissibili  per  difetto  di  adeguata  motivazione
sulle  ragioni  dell'asserita  violazione  dei   parametri   evocati,
prospettata in termini puramente assiomatici (ex plurimis,  ordinanze
n. 202, n. 191 e n. 181  del  2009):  carenza  che  non  puo'  venire
colmata dal rinvio alle piu' ampie deduzioni  contenute  in  atti  di
parte, essendo il rimettente tenuto ad esplicitare in modo autonomo e
autosufficiente, nell'ordinanza di rimessione, i motivi per  i  quali
reputa lesi i parametri stessi (ex plurimis, ordinanze n. 19 del 2008
e n. 75 del 2007); 
        che detta  carenza  e'  riscontrabile,  in  particolare,  con
riguardo alla censura di violazione dell'art. 2 Cost.,  motivata  dal
giudice  a  quo  con  il  solo  rilievo  che   la   norma   censurata
pregiudicherebbe  «i  diritti  inviolabili  dell'uomo  alla   propria
identita' personale ed alla propria cittadinanza»,  senza  che  venga
spiegato attraverso  quale  meccanismo  si  produrrebbe  l'ipotizzato
vulnus; con riguardo alla censura di violazione dell'art.  24  Cost.,
basata sull'apodittico assunto  che  la  disposizione  impugnata  non
consentirebbe all'imputato «di dimostrare efficacemente [...] a  fini
assolutori la esistenza di una  qualche  causa  di  giustificazione»,
senza che si chiarisca donde  deriverebbe  il  lamentato  impedimento
alla facolta' di difendersi  provando;  con  riguardo,  infine,  alla
censura di violazione dell'art. 117 Cost., la quale si esaurisce  nel
mero richiamo  alle  norme  internazionali  con  le  quali  la  norma
censurata si porrebbe contrasto; 
        che manifestamente inammissibile  per  difetto  di  rilevanza
risulta, per altro verso,  la  questione  relativa  alla  preclusione
dell'oblazione per la contravvenzione in esame, sancita  dal  secondo
periodo del  comma  1  della  norma  impugnata  (preclusione  che  il
rimettente  reputa  ingiustificata  e,  dunque,  lesiva  dell'art.  3
Cost.),  giacche'  dalle  ordinanze  di  rimessione  non  consta  che
l'imputato abbia concretamente presentato, in alcuno  dei  casi,  una
domanda di oblazione; 
        che, per il resto, questa Corte ha gia' scrutinato  questioni
di legittimita' costituzionale in larga parte analoghe a quelle  oggi
sollevate, giudicandole infondate (sentenza n. 250 del 2010); 
        che si e' escluso, in specie, che l'art. 10-bis del d.lgs. n.
286 del 1998 violi il principio di materialita' del reato, desumibile
dall'art.  25,  secondo  comma,  Cost.,  sottoponendo  a   pena   una
«condizione personale e sociale» - quella di straniero  «clandestino»
(o,  piu'  propriamente,  «irregolare»)  -   della   quale   verrebbe
arbitrariamente presunta la pericolosita' sociale; 
        che la norma impugnata non  reprime,  infatti,  un  «modo  di
essere» della persona, ma uno specifico  comportamento,  trasgressivo
di norme vigenti, quale quello descritto dalle locuzioni  alternative
«fare ingresso» e «trattenersi» contra  legem  nel  territorio  dello
Stato: la condizione di «irregolarita'» del migrante non e',  dunque,
un dato  preesistente  ed  estraneo  al  fatto,  ma  rappresenta,  al
contrario, la  conseguenza  della  stessa  condotta  resa  penalmente
illecita, esprimendone in termini di sintesi la nota  strutturale  di
illiceita'; 
        che considerazioni analoghe  valgono  quanto  alla  questione
relativa alla violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.),
per avere la  norma  impugnata,  sottoponendo  a  pena  il  «migrante
economico», introdotto  una  discriminazione  fondata  su  condizioni
personali o sociali; 
        che, al riguardo, questa Corte ha gia' rilevato come la norma
censurata non possa ritenersi volta a  rendere  penalmente  rilevanti
situazioni di poverta' ed emarginazione, ma si limiti a reprimere «la
commissione di un fatto oggettivamente  (e  comunque)  antigiuridico,
offensivo  di  un   interesse   reputato   meritevole   di   tutela»,
identificabile  «nell'interesse  dello  Stato  al  controllo  e  alla
gestione  dei  flussi  migratori,  secondo  un  determinato   assetto
normativo»:  interesse  la  cui  protezione  penalistica  «non   puo'
considerarsi irrazionale ed arbitraria», in quanto  strumentale  alla
salvaguardia «del complesso di  beni  pubblici  "finali",  di  sicuro
rilievo costituzionale, suscettivi di essere compromessi da  fenomeni
di immigrazione incontrollata» (sentenza n. 250 del 2010); 
        che la Corte ha, del  pari,  gia'  disatteso  la  censura  di
violazione del principio di ragionevolezza (art. 3  Cost.),  connessa
alla coincidenza  dell'ambito  applicativo  della  nuova  fattispecie
criminosa  con  quello  della  preesistente   misura   amministrativa
dell'espulsione; 
        che la  sovrapposizione  della  disciplina  penale  a  quella
amministrativa e la circostanza che il legislatore abbia mostrato  di
«considerare l'applicazione  della  sanzione  penale  come  un  esito
"subordinato" rispetto alla materiale  estromissione  dal  territorio
nazionale dello straniero» non comportano  ancora,  infatti,  che  il
procedimento penale per il reato in esame rappresenti, a  priori,  un
mero "duplicato" della procedura  amministrativa  di  espulsione:  «e
cio', a tacer d'altro, per la ragione che - come l'esperienza attesta
- in un largo numero di  casi  non  e'  possibile,  per  la  pubblica
amministrazione,  dare   corso   all'esecuzione   dei   provvedimenti
espulsivi»; mentre «la stessa sostituzione della pena pecuniaria  con
la  misura  dell'espulsione  da  parte  del  giudice  -  configurata,
peraltro, dall'art. 16, comma 1, del d.lgs.  n.  286  del  1998  come
soltanto discrezionale ("puo'")  -  resta  espressamente  subordinata
alla condizione  che  non  ricorrano  le  situazioni  che,  ai  sensi
dell'art. 14, comma 1, del medesimo decreto legislativo,  impediscono
l'esecuzione  immediata  dell'espulsione  con  accompagnamento   alla
frontiera a mezzo della forza pubblica» (sentenza n. 250 del 2010); 
        che, con riguardo alla censura di violazione del principio di
ragionevolezza e della finalita' rieducativa della pena (artt. 3 e 27
Cost.), legata alla comminatoria di una pena pecuniaria nei confronti
di persone prive di fonti di reddito,  va  disattesa  l'eccezione  di
inammissibilita' per difetto di rilevanza, formulata  dall'Avvocatura
dello Stato sulla considerazione che il giudice  a  quo  non  avrebbe
precisato se l'imputato nel giudizio principale versi  effettivamente
in una condizione di indigenza; 
        che tale eccezione sovrappone i piani della rilevanza e della
non   manifesta   infondatezza:   l'idoneita'   a   colpire   persone
impossidenti e' evocata, infatti, dal rimettente come tratto generale
della norma incriminatrice, atta a porla in contrasto con i parametri
costituzionali  considerati;  il  che  non  implica  che  -  ai  fini
dell'ammissibilita'  della   questione   -   esso   debba   risultare
riscontrabile  anche  nella  fattispecie  concreta  che   da'   adito
all'incidente di costituzionalita', rimanendo la  questione  comunque
rilevante a  fronte  dell'incidenza  dell'eventuale  ablazione  della
norma  impugnata  sugli  esiti  del  processo  principale,  destinato
verosimilmente a concludersi, altrimenti - secondo quanto si  afferma
nelle ordinanze di rimessione - con una  sentenza  di  condanna  (con
riferimento ad analoga eccezione, sentenza n. 250 del 2010); 
        che, nel merito, questa Corte ha gia' rilevato - con riguardo
alla dedotta violazione del principio di ragionevolezza - che e',  in
effetti,  difficilmente  contestabile  che  «la  pena   dell'ammenda,
applicabile allo straniero per il reato in esame nei casi di  mancata
esecuzione (o eseguibilita' immediata) dell'espulsione, presenti  una
ridotta capacita' dissuasiva: e cio', a fronte  della  condizione  di
insolvibilita'   in   cui   assai   spesso   (ma,    comunque,    non
indefettibilmente) versa il migrante irregolare e  della  difficolta'
di convertire la pena rimasta ineseguita in lavoro sostitutivo  o  in
obbligo di permanenza domiciliare (art. 55  del  d.lgs.  n.  274  del
2000), stante la problematica compatibilita' di tali  misure  con  la
situazione personale del condannato, spesso privo di fissa  dimora  e
che, comunque, non puo' risiedere legalmente in Italia»; 
        che «simili valutazioni - al pari di quella  attinente,  piu'
in  generale,  al  rapporto   fra   "costi   e   benefici"   connessi
all'introduzione della nuova figura criminosa, rapporto secondo molti
largamente deficitario [...] - attengono, tuttavia,  all'opportunita'
della  scelta  legislativa  su  un  piano  di  politica  criminale  e
giudiziaria:  piano   di   per   se'   estraneo   al   sindacato   di
costituzionalita'» (sentenza n. 250 del 2010); 
        che analoghe considerazioni valgono anche  in  rapporto  alla
asserita  violazione  della   finalita'   rieducativa   della   pena:
violazione che il rimettente fa discendere, non da  una  connotazione
intrinseca della sanzione pecuniaria comminata,  e  neppure  dal  suo
difetto  di  proporzione  rispetto  al  disvalore  dell'illecito,  ma
esclusivamente  dalla  sua  carenza  di  effettivita',  legata   alla
(ricorrente) condizione  di  insolvibilita'  dell'autore  del  fatto;
cio',  senza  considerare  che  l'accoglimento  di   tale   questione
produrrebbe un risultato antitetico rispetto agli intenti del giudice
a quo, risolvendosi,  in  sostanza,  nell'affermazione  dell'esigenza
costituzionale  di  inasprire  il  trattamento  sanzionatorio   della
fattispecie criminosa, sostituendo l'attuale  pena  dell'ammenda  con
una pena che offra maggiori garanzie di eseguibilita'  e,  cioe',  in
pratica, con la pena detentiva; 
        che questa Corte ha escluso, inoltre, la configurabilita'  di
una violazione dell'art. 3 Cost., sotto il profilo  della  disparita'
di trattamento rispetto al delitto di  inottemperanza  all'ordine  di
allontanamento impartito dal questore,  di  cui  all'art.  14,  comma
5-ter, del d.lgs. n.  286  del  1998  (sentenza  n.  250  del  2010),
rilevando che la mancata reiterazione  nella  norma  impugnata  della
clausola  «senza  giustificato   motivo»,   presente   nella   citata
disposizione, non  esclude  che  alla  contravvenzione  in  esame  si
applichino le esimenti di ordine generale; 
        che la diversita' di regime comunque riscontrabile tra le due
fattispecie  -  stante  la   maggiore   ampiezza   delle   situazioni
riconducibili al paradigma del «giustificato  motivo»  rispetto  alle
cause generali di non punibilita' - non ridonda, d'altronde,  in  una
violazione del parametro evocato; 
        che,  per  un  verso,  infatti,  la  scelta  di   riconoscere
efficacia giustificativa, per il delitto di inottemperanza all'ordine
di allontanamento, a  situazioni  ostative  ulteriori  rispetto  alle
esimenti di ordine generale trova fondamento  nelle  peculiarita'  di
tale forma di espulsione, consentita solo  ove  ricorrano  specifiche
situazioni, impeditive dell'accompagnamento immediato alla  frontiera
e  alle  quali  sovente   corrispondono   condizioni   di   rilevante
difficolta' di tempestivo adempimento da parte  dell'intimato:  cosi'
che la clausola in questione rappresenta un elemento che contribuisce
a rendere costituzionalmente "tollerabile"  il  rigore  sanzionatorio
che connota la figura criminosa; 
        che, sotto altro profilo, poi, alla contravvenzione in  esame
e' applicabile - diversamente che al predetto  delitto  -  l'istituto
della improcedibilita' per particolare tenuita'  fatto,  proprio  dei
reati di competenza del giudice di pace (art. 34 del d.lgs. 28 agosto
2000, n. 274,  recante  «Disposizioni  sulla  competenza  penale  del
giudice di pace, a norma dell'articolo 14  della  legge  24  novembre
1999, n. 468»): istituto che «puo'  valere  a  "controbilanciare"  la
mancata attribuzione di rilievo  alle  fattispecie  di  "giustificato
motivo"  che  esulino  dal  novero  delle  cause  generali   di   non
punibilita'» (sentenza n. 250 del 2010); 
        che quanto, poi, all'ulteriore  elemento  di  discriminazione
denunciato dal rimettente - ossia la  circostanza  che  lo  straniero
inottemperante all'ordine di allontanamento del questore  sia  punito
solo qualora si trattenga nel territorio dello Stato oltre il termine
stabilito (termine che la norma censurata invece non prevede) -  vale
osservare che cio' rientra nella  logica  del  «"salto  di  qualita'"
della risposta punitiva» prefigurato dall'art. 14, comma  5-ter,  del
d.lgs. n. 286 del 1998:  «salto  di  qualita'»  che  interviene  solo
allorche' lo  straniero  -  che  gia'  versa  in  una  condizione  di
irregolarita', rilevante agli effetti dell'art. 10-bis  -  ometta  di
adeguarsi,   entro   il   termine   assegnatogli,   al   sopravvenuto
provvedimento  amministrativo  individualizzato  che  gli  impone  di
lasciare il territorio nazionale; 
        che con  riguardo,  ancora,  alla  questione  afferente  alla
mancata previsione di  una  disciplina  transitoria  a  tutela  degli
stranieri irregolarmente  presenti  nel  territorio  dello  Stato  al
momento dell'entrata in  vigore  della  nuova  norma  incriminatrice,
questa Corte ha  gia'  ritenuto  inammissibile  analoga  questione  -
sollevata in rapporto a diverso parametro (l'art. 24, anziche' l'art.
3 Cost.) - rilevando come essa si risolva  «nella  richiesta  di  una
pronuncia additiva dai contenuti indefiniti e non  costituzionalmente
obbligati»: non potrebbe essere, infatti, la Corte «a  stabilire  "un
termine e una modalita' operativa" per consentire a  detti  stranieri
di  allontanarsi  spontaneamente  dall'Italia  senza   incorrere   in
responsabilita' penale, trattandosi di operazione che implica  scelte
discrezionali di esclusiva spettanza del  legislatore»  (sentenza  n.
250 del 2010). 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Riuniti i giudizi, 
    Dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  delle   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del decreto  legislativo
25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero), aggiunto dall'art. 1, comma 16, lettera a),  della  legge
15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in  materia  di   sicurezza
pubblica), sollevate, in riferimento agli artt.  2,  3  (quanto  alla
preclusione  dell'oblazione  e  alla  mancata   previsione   di   una
disciplina transitoria), 24 e 117 della Costituzione, dal Giudice  di
pace di Trieste con le ordinanze indicate in epigrafe; 
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   delle   questioni   di
legittimita'  costituzionale  del  citato  art.  10-bis  del  decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286, sollevate,  in  riferimento  agli
artt. 3 (quanto ai restanti profili), 25, secondo comma, e  27  della
Costituzione,  dal  Giudice  di  pace  di  Trieste  con  le  medesime
ordinanze. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 novembre 2010. 
 
                      Il Presidente: De Siervo 
 
 
                         Il redattore: Frigo 
 
 
                      Il cancelliere: Di Paola 
 
    Depositata in cancelleria l'11 novembre 2010. 
 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola