N. 324 SENTENZA 3 - 12 novembre 2010

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Amministrazione pubblica - Applicabilita' alle Regioni  e  agli  enti
  locali della  disciplina  statale  in  tema  di  affidamento  degli
  incarichi  dirigenziali  a  soggetti  esterni   all'amministrazione
  conferente e di calcolo delle percentuali di incarichi attribuibili
  agli esterni - Ricorso delle Regioni Piemonte, Toscana e  Marche  -
  Denunciata lesione della competenza legislativa residuale regionale
  nella   materia   della   organizzazione   degli   uffici   nonche'
  dell'autonomia finanziaria delle Regioni -  Riconducibilita'  della
  disciplina denunciata alla materia di competenza esclusiva  statale
  "ordinamento civile" - Non fondatezza delle questioni. 
- D.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, art. 40, comma 1, lett.  f),  nella
  parte in cui introduce il comma 6-ter  nell'art.  19  nel  d.l.  30
  marzo 2001, n. 165. 
- Costituzione, artt. 117, terzo e quarto comma, e 119. 
Amministrazione pubblica - Applicabilita' alle Regioni  e  agli  enti
  locali della  disciplina  statale  in  tema  di  affidamento  degli
  incarichi  dirigenziali  a  soggetti  esterni   all'amministrazione
  conferente e di calcolo delle percentuali di incarichi attribuibili
  agli esterni - Ricorso delle Regioni Toscana e  Marche  -  Ritenuta
  violazione della legge delega per omessa acquisizione dell'intesa o
  del  parere  delle  Regioni  in  sede  di  Conferenza  unificata  -
  Riconducibilita'  della  disciplina  denunciata  alla  materia   di
  competenza esclusiva statale "ordinamento civile" e  non  a  quella
  dell'organizzazione degli uffici regionali - Inammissibilita' delle
  questioni. 
- D.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, art. 40, comma 1, lett. f). 
- Costituzione, art. 76. 
Amministrazione pubblica - Impiego pubblico  -  Mobilita'  volontaria
  tra le Pubbliche Amministrazioni  -  Introduzione  dell'obbligo  di
  rendere pubbliche le disponibilita' dei posti per  la  mobilita'  e
  previsione dei relativi adempimenti - Ricorso della Regione Toscana
  -  Lamentata  violazione  delle  regole  in  tema  di   accesso   e
  svolgimento del  rapporto  di  impiego  pubblico  -  Evocazione  di
  parametro costituzionale diverso da quelli attinenti al riparto  di
  competenze tra Stato e Regioni - Inammissibilita' della questione. 
- D.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, art. 49, comma 1,  nella  parte  in
  cui modifica l'art. 30, comma 1, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165. 
- Costituzione, art. 97. 
Amministrazione pubblica - Impiego pubblico  -  Mobilita'  volontaria
  tra le Pubbliche Amministrazioni  -  Introduzione  dell'obbligo  di
  rendere pubbliche le disponibilita' dei posti per  la  mobilita'  e
  previsione dei relativi adempimenti - Ricorso della Regione Toscana
  -  Ritenuta  lesione  dell'autonomia  organizzativa   regionale   -
  Riconducibilita'  alla  materia  di  competenza  esclusiva  statale
  "ordinamento civile" - Non fondatezza della questione. 
- D.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, art. 49, comma 1,  nella  parte  in
  cui modifica l'art. 30, comma 1, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165. 
- Costituzione, art. 117, quarto comma. 
(GU n.46 del 17-11-2010 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino
  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe   TESAURO,   Paolo   Maria
  NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Sentenza 
 
nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 40,  comma  1,
lettera f), e 49, comma 1, del decreto legislativo 27  ottobre  2009,
n. 150 (Attuazione della legge 4 marzo 2009, n.  15,  in  materia  di
ottimizzazione  della  produttivita'  del  lavoro   pubblico   e   di
efficienza e trasparenza delle pubbliche  amministrazioni),  promossi
dalle Regioni Piemonte, Toscana e Marche con ricorsi notificati il 29
dicembre 2009, 4 gennaio 2010 e il 29 dicembre  2009,  depositati  in
cancelleria il 30 e il 31  dicembre  2009  e  il  4  gennaio  2010  e
rispettivamente iscritti ai nn. 108 e 110 del registro  ricorsi  2009
ed al n. 1 del registro ricorsi 2010. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nell'udienza pubblica del 6 luglio 2010 il Giudice relatore
Luigi Mazzella; 
    Uditi gli avvocati Mario Eugenio Comba per la  Regione  Piemonte,
Lucia Bora per la Regione Toscana,  Stefano  Grassi  per  la  Regione
Marche  e  l'avvocato  dello  Stato  Massimo  Salvatorelli   per   il
Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - La Regione Piemonte ha  promosso,  in  riferimento  all'art.
117,  terzo  e  quarto  comma,  della  Costituzione,   questioni   di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  40,  comma  1,  lettera  f),
«secondo capoverso», del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.  150
(Attuazione  della  legge  4  marzo  2009,  n.  15,  in  materia   di
ottimizzazione  della  produttivita'  del  lavoro   pubblico   e   di
efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni). 
    La ricorrente premette che  la  disposizione  impugnata  modifica
l'art. 19 del decreto  legislativo  30  marzo  2001,  n.  165  (Norme
generali  sull'ordinamento   del   lavoro   alle   dipendenze   delle
amministrazioni pubbliche), introducendo, dopo il comma  6,  i  commi
6-bis e 6-ter, il quale ultimo recita: «il comma 6 ed il comma  6-bis
si applicano alle amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2», tra le
quali rientrano anche le Regioni. 
    L'art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001 stabilisce che  il
conferimento di incarichi di funzioni dirigenziali a soggetti esterni
all'amministrazione puo' essere effettuato entro il limite del 10 per
cento della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla  prima
fascia  e  dell'8  per  cento  della  dotazione  organica  di  quelli
appartenenti alla seconda  fascia;  non  puo'  prevedere  una  durata
superiore ai tre anni per gli incarichi di segretario generale  e  di
funzione dirigenziale di livello generale e di cinque  anni  per  gli
altri  incarichi  dirigenziali;  deve  avvenire,   dietro   specifica
motivazione,  a  favore  di  persone  di  particolare  e   comprovata
qualificazione   professionale,    non    rinvenibile    nei    ruoli
dell'Amministrazione,  che  possano   dimostrare   il   possesso   di
specifiche esperienze; puo' prevedere l'integrazione del  trattamento
economico   tramite   un'indennita'   commisurata   alla    specifica
qualificazione professionale, tenendo conto della  temporaneita'  del
rapporto e delle  condizioni  di  mercato  relative  alle  specifiche
competenze professionali. Il successivo comma 6-bis dispone che,  per
il calcolo delle  percentuali  di  cui  sopra,  si  deve  operare  un
arrotondamento  all'unita'  inferiore,  se  il  primo   decimale   e'
inferiore a cinque, o all'unita'  superiore,  se  esso  e'  uguale  o
superiore a cinque. 
    Ad avviso della Regione Piemonte, quelle appena  richiamate  sono
disposizioni che attengono esclusivamente alle modalita'  di  accesso
all'impiego pubblico, disciplinando, tra l'altro con norme di estremo
dettaglio, la particolare fattispecie dell'affidamento  di  incarichi
dirigenziali a soggetti esterni all'amministrazione. La norma statale
impugnata, estendendo  tali  disposizioni  alle  Regioni,  violerebbe
pertanto l'art. 117, quarto comma, Cost., poiche'  la  materia  delle
modalita' di accesso all'impiego pubblico regionale rientra in quella
dell'autonomia dell'organizzazione amministrativa regionale la  quale
appartiene alla competenza residuale esclusiva regionale. 
    La ricorrente aggiunge che lo  stesso  d.lgs.  n.  150  del  2009
riconosce  che  la  materia  dell'attribuzione  degli  incarichi   di
funzioni dirigenziali  non  e'  compresa  tra  quelle  di  competenza
legislativa statale, ne' tra quelle ripartite. Il censurato art.  40,
infatti, non e' incluso dall'art. 74, comma 1, dello stesso d.lgs. n.
150 del 2009  tra  quelli  riconducibili  alla  potesta'  legislativa
statale di cui all'articolo 117, secondo  comma,  lettere  l)  e  m),
della Costituzione. 
    La Regione Piemonte sostiene, in via subordinata,  che  la  norma
impugnata sarebbe illegittima anche se si dovesse ritenere  che  essa
rientri nelle competenze legislative concorrenti di cui all'art. 117,
terzo comma, della Costituzione. Essa, infatti,  non  detta  principi
fondamentali, ma scende nel dettaglio,  fissando  la  percentuale  di
incarichi dirigenziali  esterni  attribuibili  dalle  amministrazioni
regionali nonche' la loro durata massima, senza lasciare alle Regioni
alcuno spazio di autonoma scelta e dettando  direttamente  la  regola
applicativa. 
    2. - Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, si e'  costituito  e  ha
chiesto che il ricorso sia respinto. 
    La difesa erariale sostiene  che  l'art.  19,  comma  6-ter,  del
d.lgs. n. 165 del 2001, introdotto dall'art. 40 del d.lgs. n. 150 del
2009,  non  regolando  l'accesso  agli  incarichi  dirigenziali,  non
attiene all'organizzazione amministrativa delle Regioni, bensi'  alla
materia dell'ordinamento civile, poiche' esso disciplina gli  aspetti
fondamentali  del  rapporto  costituito  con  il   soggetto   esterno
all'amministrazione    (durata,     qualificazione,     corrispettivo
economico). In quanto tale, esso rientra nella  competenza  esclusiva
dello Stato. 
    3. - La Regione Toscana ha promosso, in  riferimento  agli  artt.
76, 97, 117,  terzo  e  quarto  comma,  e  119  Cost.,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 40 del d.lgs. n. 150 del  2009,
nella parte in cui introduce il comma 6-ter nell'art. 19  del  d.lgs.
n. 165 del 2001, e dell'art. 49, comma 1, dello stesso d.lgs. n.  150
del 2009, nella parte in cui, modificando l'art.  30,  comma  1,  del
d.lgs. n. 165 del 2001, dispone  che  le  amministrazioni,  prima  di
bandire  un  concorso  pubblico,  debbano   «rendere   pubbliche   le
disponibilita'  dei  posti  in  organico  da   ricoprire   attraverso
passaggio diretto di personale  da  altre  amministrazioni,  fissando
preventivamente i criteri di scelta.  Il  trasferimento  e'  disposto
previo parere favorevole dei dirigenti  responsabili  dei  servizi  e
degli uffici cui il personale e' o sara' assegnato sulla  base  della
professionalita' in possesso del dipendente  in  relazione  al  posto
ricoperto o da ricoprire». 
    3.1. - Rispetto all'art. 40  del  d.lgs.  n.  150  del  2009,  la
ricorrente lamenta che esso, introducendo nell'art. 19 del d.lgs.  n.
165 del 2001 il comma 6-ter, estende alle Regioni la  disciplina  del
conferimento degli incarichi dirigenziali  di  cui  al  comma  6  del
predetto art. 19 e, in  particolare,  la  previsione  per  cui  detti
incarichi possono essere conferiti a tempo determinato solo entro  il
limite del 10  per  cento  della  dotazione  organica  dei  dirigenti
appartenenti alla prima fascia e dell'8  per  cento  a  quelli  della
seconda fascia dei ruoli dirigenziali. 
    Cosi' disponendo, la norma contrasterebbe con l'art. 117,  quarto
comma, Cost., poiche' essa atterrebbe alla  materia  dell'ordinamento
del  personale   e   dell'organizzazione   amministrativa   regionale
riservata alla competenza esclusiva delle Regioni. 
    Ad avviso della difesa  regionale,  la  norma  impugnata  non  e'
giustificata da alcun titolo di competenza statale.  In  particolare,
non  potrebbe  sostenersi  che  essa  sia  finalizzata  a   garantire
l'osservanza   dei   principi   di   trasparenza   e   di   efficacia
dell'attivita' amministrativa: in primo luogo perche' il  limite  del
10 per cento non  garantisce  di  per  se'  il  rispetto  dei  canoni
suddetti; in secondo luogo, perche', laddove si affermasse il  potere
dello Stato di intervenire direttamente  nell'organizzazione  interna
degli uffici regionali per il  buon  andamento  dell'amministrazione,
l'autonomia regionale verrebbe vanificata,  poiche'  ogni  disciplina
dell'organizzazione amministrativa  deve  essere  diretta  attuazione
dell'art. 97 della Costituzione. 
    L'art. 40 del d.lgs. n. 150 del  2009  non  rientrerebbe  neppure
nella materia del coordinamento della finanza  pubblica;  infatti  il
conferimento  di  incarichi  dirigenziali  a  tempo  determinato  non
provoca un aumento di spesa, poiche'  ad  esso  si  ricorre  per  far
fronte ad esigenze straordinarie e temporanee ovvero per garantire la
continuita'  dell'azione  amministrativa  nel  tempo  necessario   ad
espletare i concorsi diretti a colmare i vuoti in organico. Comunque,
seppure  si  ravvisasse  nella  norma  censurata  una  finalita'   di
contenimento   della   spesa,   la    medesima    sarebbe    comunque
incostituzionale, perche' non si presta in alcun  modo,  per  il  suo
livello di dettaglio, ad individuare  un  principio  fondamentale  di
coordinamento della finanza pubblica quale limite  complessivo  della
spesa corrente, ma, in ipotesi, inciderebbe su  una  voce  di  spesa,
introducendo un vincolo  puntuale  e  specifiche  modalita'  del  suo
contenimento.  Percio',  ove  ritenuta   giustificata   da   esigenze
finanziarie,  la  norma  determinerebbe  un'inammissibile   ingerenza
nell'autonomia   finanziaria   regionale,   con    conseguente    sua
illegittimita' costituzionale per violazione degli artt.  117,  terzo
comma, e 119 della Costituzione. 
    Infine, secondo la Regione Toscana, la norma impugnata  lederebbe
il principio di leale collaborazione ed  i  criteri  direttivi  della
legge delega. Infatti, ai sensi dell'art. 2, comma 2, della  legge  4
marzo 2009, n. 15 (Delega al Governo  finalizzata  all'ottimizzazione
della  produttivita'  del  lavoro  pubblico  e  alla   efficienza   e
trasparenza  delle  pubbliche  amministrazioni  nonche'  disposizioni
integrative  delle  funzioni  attribuite   al   Consiglio   nazionale
dell'economia e del lavoro  e  alla  Corte  dei  conti),  il  decreto
legislativo avrebbe dovuto essere adottato, per alcuni aspetti (tra i
quali anche quello della dirigenza e, quindi, del conferimento  degli
incarichi dirigenziali), previa intesa con  la  Conferenza  unificata
Stato-Regioni e Autonomie  locali  o,  quanto  meno,  per  gli  altri
profili,  con  il  parere  della  suddetta  Conferenza.   Invece   la
disposizione impugnata non e' stata oggetto  ne'  di  parere  ne'  di
intesa con la Conferenza unificata, ma e' stata inserita nel  decreto
dopo il  parere  espresso  dal  Senato,  senza  alcun  coinvolgimento
regionale.  Sussisterebbe,  pertanto,  violazione  (oltre   che   del
principio di leale collaborazione) dell'art. 76 Cost., violazione che
puo'  essere  fatta  valere  dalla  Regione  perche'  determina   una
menomazione delle competenze regionali  costituzionalmente  garantite
in  materia  di  organizzazione  amministrativa  ed  ordinamento  del
personale. 
    3.2. - Quanto all'art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 150  del  2009,
la Regione Toscana sostiene che esso contrasterebbe con gli artt.  97
e 117, quarto comma, della Costituzione. 
    La norma censurata sostituisce l'art. 30, comma 1, del d.lgs.  n.
165 del 2001  in  tema  di  mobilita'  volontaria  tra  le  pubbliche
amministrazioni, imponendo a tutte le amministrazioni, e dunque anche
alle  Regioni,  prima  di  procedere  all'espletamento  di  procedure
concorsuali  necessarie  per  coprire  posti  vacanti,  di   «rendere
pubbliche le  disponibilita'  dei  posti  in  organico  da  ricoprire
attraverso passaggio diretto di personale da  altre  amministrazioni,
fissando preventivamente i criteri di scelta»; la norma aggiunge  che
«Il trasferimento e' disposto previo parere favorevole dei  dirigenti
responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale e'  o  sara'
assegnato  sulla  base  della  professionalita'   in   possesso   del
dipendente in relazione al posto ricoperto o da ricoprire». 
    La difesa  regionale  nega  che  sia  possibile  assimilare  tale
disposizione all'art. 34-bis del d.lgs. n. 165 del 2001 che  prevede,
a carico di tutte le amministrazioni pubbliche, l'onere di comunicare
al  personale  collocato  in  disponibilita'  ovvero  interessato  ai
processi di mobilita' previsti dalle leggi e dai contratti collettivi
l'esigenza di assunzione. Tale norma, infatti, mira a  consentire  al
personale  -  che  rischia  di  perdere  il  lavoro  in  quanto   «in
disponibilita'» per mancanza di posti - di ritrovare una collocazione
in altre amministrazioni. In  considerazione  di  tale  finalita'  di
tutela del lavoro, la Corte costituzionale (sentenza n. 388 del 2004)
ha ritenuto la disposizione non invasiva delle  competenze  regionali
in materia di organizzazione ed ordinamento  del  personale,  essendo
piuttosto diretta a promuovere, nel  settore  del  pubblico  impiego,
condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro di cui all'art.
4 Cost. e a rimuovere  ostacoli  all'esercizio  di  tale  diritto  in
qualunque parte del territorio nazionale (art. 120 Cost.). 
    La norma  impugnata,  riferendosi  alla  mobilita'  volontaria  e
prescindendo del tutto  da  un  esubero  del  personale,  inciderebbe
fortemente   sull'autonomia   organizzativa   delle   amministrazioni
regionali sotto due profili. 
    In primo  luogo,  perche'  introduce  un  impegnativo  onere  per
l'amministrazione che ha  necessita'  di  coprire  il  posto  vacante
(determinazione dei criteri di valutazione, esame  delle  domande  di
mobilita',  effettuazione   dei   colloqui   e   redazione   di   una
graduatoria). In secondo luogo, perche' limita  la  possibilita'  per
l'amministrazione di ricercare, scegliere ed  assumere  il  personale
piu' preparato, in osservanza dei canoni di buona amministrazione  di
cui all'art. 97 Cost., il quale richiede l'espletamento del  concorso
pubblico. 
    A  quest'ultimo  proposito  la   ricorrente   sostiene   che   la
disposizione impugnata non e' conforme ai  principi  enunciati  dalla
giurisprudenza  costituzionale,  in  quanto  la  deroga  al  pubblico
concorso non e', nel caso in esame, giustificabile in base ad  alcuna
esigenza  di  interesse  pubblico,  posto  che  l'assunzione  con  la
procedura di mobilita' risponde solo  all'interesse  dell'interessato
al trasferimento per motivi personali. Ne' potrebbe essere  sostenuto
che  la  norma  abbia  una  finalita'  di  contenimento  della  spesa
pubblica,  poiche'  all'amministrazione  che   ha   acconsentito   al
trasferimento del dipendente non e' precluso assumere altro personale
in  sostituzione  di  quello;  in  tal  modo  alcune  amministrazioni
dovranno coprire i  posti  vacanti  con  la  procedura  di  mobilita'
volontaria ed altre potranno continuare a  bandire  concorsi  e  cio'
solo per motivi legati alle scelte personali del dipendente. 
    Ad avviso della Regione Toscana, pertanto, l'art.  49,  comma  1,
del d.lgs. n. 150 del 2009 violerebbe,  oltre  all'art.  117,  quarto
comma,   della   Costituzione,   per   la   lesione    dell'autonomia
organizzativa regionale, anche l'art. 97  Cost.,  perche'  limita  il
reclutamento del personale mediante il concorso  pubblico,  e  quindi
non permette di osservare i criteri di  efficienza,  imparzialita'  e
buona amministrazione che il predetto precetto  costituzionale  vuole
garantire nell'organizzazione degli uffici. La ricorrente aggiunge di
essere legittimata a far valere la  violazione  del  citato  art.  97
Cost.  perche'  essa  determina  una  compromissione  della   propria
autonomia organizzativa. 
    4. - Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, si e'  costituito  e  ha
chiesto che il ricorso sia respinto. 
    4.1. - In ordine alla questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 40 del d.lgs. n. 150 del  2009,  sollevata  in  riferimento
all'art. 117, quarto comma,  Cost.,  la  difesa  dello  Stato  svolge
argomentazioni analoghe a quelle illustrate nell'atto di costituzione
nel giudizio promosso dalla Regione Piemonte e riportate  supra,  sub
n. 2, aggiungendo che, comunque,  essendo  indubbio  che,  almeno  in
parte, la norma censurata regola una materia di competenza  esclusiva
statale, lo Stato era abilitato a dettare una normativa di  principio
incidente   su   competenze   regionali   e   conforme   al   dettato
costituzionale in tema di  accesso  e  svolgimento  del  rapporto  di
impiego pubblico (al riguardo il resistente richiama  in  particolare
l'art. 97 Cost.). 
    Rispetto alle censure proposte  avverso  la  medesima  norma  con
riferimento al principio  di  leale  collaborazione  ed  all'art.  76
Cost.,  il  Presidente   del   Consiglio   dei   ministri   eccepisce
preliminarmente la loro  inammissibilita',  poiche'  le  Regioni  non
possono impugnare in via principale norme statali per  violazione  di
precetti costituzionali diversi da quelli direttamente  regolanti  il
riparto di competenze tra Stato e Regioni. 
    Nel merito, l'Avvocatura dello Stato nega che  il  Governo  abbia
ecceduto dai limiti della delega, essendo  incontestabile  che  nella
materia delegata («disciplina del rapporto di lavoro  dei  dipendenti
delle pubbliche amministrazioni») rientri anche  la  regolamentazione
dei limiti e delle modalita' di accesso alle qualifiche dirigenziali.
Il  resistente  aggiunge  che   sulla   disposizione   impugnata   e'
intervenuta intesa in sede di Conferenza unificata  Stato-Regioni  ed
autonomie locali. 
    4.2. - Per quanto concerne la questione relativa all'art. 49  del
d.lgs. n. 150 del 2009, il Presidente del Consiglio dei ministri, con
riferimento alla pretesa  violazione  dell'art.  117,  quarto  comma,
Cost., deduce che la norma  impugnata  disciplina  un  aspetto  della
mobilita', istituto applicabile a tutte le amministrazioni  pubbliche
poiche'  rientrante  nella  competenza  legislativa  statale  di  cui
all'art. 117,  secondo  comma,  lettera  l),  Cost.  ovvero,  in  via
subordinata, nelle materie, di competenza concorrente,  della  tutela
del lavoro e  della  armonizzazione  dei  bilanci  pubblici  e  della
finanza pubblica. 
    La censura sollevata in riferimento all'art.  97  Cost.  sarebbe,
invece,  in  primo  luogo   inammissibile,   perche'   il   parametro
costituzionale non rientra tra quelli deducibili dalle Regioni. 
    In secondo luogo, sarebbe infondata, perche' la norma  denunciata
e' diretta a razionalizzare l'utilizzazione dei dipendenti  pubblici,
prevedendo la copertura di posti vacanti con personale gia' in  forza
ad  una  pubblica  amministrazione,  evitando  una  lunga  e  costosa
procedura concorsuale fonte di nuove assunzioni e ulteriori oneri per
la finanza pubblica. 
    5. - La Regione Marche ha promosso, in riferimento agli artt.  76
e 117, quarto comma, Cost., questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 40, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 150 del 2009. 
    La ricorrente premette che  la  norma  impugnata  incide  su  una
materia gia' integralmente  disciplinata  dall'art.  28  della  legge
della Regione Marche 15 ottobre 2001, n.  20  (Norme  in  materia  di
organizzazione e di personale della  Regione),  il  quale  detta  una
normativa che, pur conforme alla ratio di quella statale  oggetto  di
censura, non trova coincidenza con i nuovi vincoli che il legislatore
statale ha inteso imporre alle Regioni  e,  in  particolare,  con  il
limite complessivo  del  10  per  cento  dei  posti  della  dotazione
organica dirigenziale per l'affidamento  di  tutti  gli  incarichi  a
contratto, con l'annesso limite soggettivo dei  possibili  affidatari
(ormai coincidenti con i soli soggetti estranei  all'amministrazione)
e, infine, con il  criterio  di  arrotondamento  automatico,  per  il
calcolo del suddetto limite percentuale, all'unita' inferiore qualora
il primo decimale sia  inferiore  a  cinque  o  all'unita'  superiore
qualora esso sia uguale o superiore a cinque. 
    La Regione Marche sostiene che l'art. 40, comma  1,  lettera  f),
del d.lgs. n. 150 del 2009 contrasta, in primo luogo, con l'art. 117,
quarto comma, Cost., il quale attribuisce alle  Regioni  la  potesta'
legislativa residuale nella materia «organizzazione amministrativa  e
ordinamento del personale della Regione». In proposito la  ricorrente
richiama la giurisprudenza della  Corte  costituzionale,  secondo  la
quale la  regolamentazione  delle  modalita'  di  accesso  al  lavoro
pubblico regionale e' riconducibile alla materia  dell'organizzazione
amministrativa delle  Regioni  e  degli  enti  pubblici  regionali  e
rientra nella competenza residuale delle Regioni di cui all'art. 117,
quarto comma, Cost. (la difesa regionale menziona le sentenze  n.  95
del 2008, n. 233 del 2006, n. 380 e n. 2 del 2004, n. 274 del 2003). 
    La Regione Marche contesta che l'impugnato art. 40 del d.lgs.  n.
150 del  2009  possa  essere  ricondotto  alla  materia  «ordinamento
civile», dalla quale sono escluse le norme volte  a  disciplinare  le
modalita' tramite le quali (o i limiti entro i  quali)  le  pubbliche
amministrazioni possono far  ricorso  agli  strumenti  riguardanti  i
rapporti tra privati. E, nella fattispecie, la norma censurata non si
risolve nella regolazione  dell'esercizio  dell'autonomia  negoziale;
essa, invece, pone  dei  limiti  alle  ipotesi  in  cui  la  pubblica
amministrazione puo' fare uso di tale autonomia,  restando  ferma  la
disciplina del suo esercizio  e  dei  rapporti  contrattuali  che  ne
derivano. Anche la giurisprudenza di questa Corte ha  riconosciuto  -
ad avviso della ricorrente - che, mentre la regolazione del  rapporto
di lavoro rientra nell'«ordinamento civile»,  gli  aspetti  attinenti
alle modalita' e ai limiti della instaurazione e della cessazione  di
tale  rapporto  ineriscono   alla   materia   della   «organizzazione
amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali». 
    La Regione nega, poi, che l'art. 40 del d.lgs. n.  165  del  2009
possa essere ricondotto alla  materia  «coordinamento  della  finanza
pubblica». Infatti esso non avrebbe ne' la finalita',  ne'  l'effetto
di determinare il contenimento della spesa pubblica  complessiva  per
la remunerazione delle funzioni dirigenziali, poiche' il conferimento
di incarichi di dirigente a contratto,  se  avviene  entro  i  limiti
della  dotazione  organica,  non  puo',  per   sua   stessa   natura,
determinare alcuna spesa maggiore per l'amministrazione conferente. 
    La Regione Marche aggiunge che, anche a  voler  ritenere  che  la
norma  impugnata  abbia  un  effetto  di  contenimento  della   spesa
pubblica, essa sarebbe comunque illegittima,  perche',  imponendo  un
vincolo  puntuale  e  specifico  che  non  lascia  alcun  margine  di
attuazione al libero apprezzamento  del  legislatore  regionale,  non
potrebbe essere considerata come un principio fondamentale in materia
di «coordinamento della finanza pubblica». 
    La ricorrente deduce, poi, che, per  le  ragioni  gia'  spiegate,
l'art. 40, comma 1, lettera f), del d.lgs.  n.  150  del  2009  viola
l'art. 117, quarto comma, Cost., anche  nella  parte  in  cui  questo
attribuisce alle Regioni  la  potesta'  legislativa  residuale  nella
materia «organizzazione amministrativa e  ordinamento  del  personale
dei  comuni,  delle  province  e  delle  citta'  metropolitane»,   il
legislatore  statale  non  disponendo  di  un  titolo   di   potesta'
legislativa che lo abiliti a disciplinare le modalita' di accesso  al
lavoro presso le  amministrazioni  degli  enti  locali  territoriali,
potendo esclusivamente, in  riferimento  a  tali  enti,  regolare  la
materia della «legislazione elettorale, organi di governo e  funzioni
fondamentali  di  comuni,  province  e  citta'  metropolitane»   come
previsto  dall'art.   117,   secondo   comma,   lettera   p),   della
Costituzione. 
    La difesa regionale afferma,  quindi,  che  nella  giurisprudenza
costituzionale  esisterebbero  due  differenti  indirizzi  circa   la
spettanza della potesta' legislativa in materia di ordinamento  degli
enti locali: uno (rappresentato dalle sentenze n. 159  del  2008,  n.
377 e n. 48 del 2003) secondo  cui  essa  continuerebbe  a  spettare,
immutata, allo Stato anche  dopo  l'entrata  in  vigore  della  legge
costituzionale 18 ottobre del 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della
parte seconda della Costituzione); l'altro (al  riguardo  la  Regione
menziona le sentenze n. 237 del 2009, n. 397 del 2006, n.  456  e  n.
244 del 2005, in  tema  di  comunita'  montane)  secondo  cui  questa
potesta' legislativa deve ormai ritenersi  compresa  nell'area  della
competenza residuale regionale ai sensi dell'art. 117, quarto  comma,
della Costituzione. La ricorrente ritiene che il primo indirizzo  non
possa  essere  condiviso,   stante   la   mancanza   di   un   titolo
costituzionale che  affidi  allo  Stato  la  competenza  generale  in
materia di ordinamento degli enti locali,  onde  non  resterebbe  che
ritenere  che  siffatta  materia  ricada   nell'ambito   disciplinato
dall'art. 117, quarto comma, Cost., spettando  dunque  alla  potesta'
residuale regionale,  fatto  salvo  quanto  previsto  dall'art.  117,
secondo comma, lettera p), Cost., e da eventuali ulteriori titoli  di
intervento  statale  in  grado  di  giustificare  «incursioni»  nella
materia de qua. Ad avviso della ricorrente, tale conclusione  sarebbe
confermata dalla sentenza n. 326 del 2008, con la quale questa  Corte
ha ricondotto alla «potesta'  legislativa  regionale  in  materia  di
organizzazione  degli  uffici  (...)  degli  enti   locali,   fondata
sull'art.  117  Cost.»,  una   disposizione   che   imponeva   alcune
limitazioni  alle  societa'  partecipate  da  enti  locali   per   lo
svolgimento di funzioni amministrative o attivita'  strumentali  alle
stesse. 
    La Regione Marche  deduce,  inoltre,  che  l'art.  40,  comma  1,
lettera f), del d.lgs. n. 150 del 2009  violerebbe  anche  l'art.  76
Cost.,  sia  perche'  contrasterebbe  con  l'oggetto   della   delega
legislativa individuato nell'art. 2, comma 1, della legge n.  15  del
2009, sia perche' non sarebbe conforme  ai  principi  ed  ai  criteri
direttivi contenuti nell'art. 2, comma 2,  della  medesima  legge  di
delegazione. 
    Sotto il primo profilo, la ricorrente sostiene che  la  legge  di
delegazione limitava i poteri normativi del Governo alla sola riforma
della  «disciplina  del  rapporto  di  lavoro  dei  dipendenti  delle
pubbliche amministrazioni, di  cui  all'articolo  2,  comma  2»,  del
decreto legislativo n. 165 del 2001,  sicche'  l'art.  40,  comma  1,
lettera f), del d.lgs.  n.  150  del  2009,  recando  una  disciplina
concernente i limiti e le modalita'  di  accesso  agli  incarichi  di
dirigente pubblico a contratto, esorbiterebbe  dall'ambito  oggettivo
della delega, circoscritto, appunto, alla disciplina del rapporto  di
lavoro dei dipendenti pubblici. 
    Ne', in senso contrario, potrebbe  essere  richiamato  l'art.  6,
comma 2, lettera h). Infatti la predetta disposizione della legge  di
delega contemplava il  seguente  «principio  e  criterio  direttivo»:
«Ridefinire i criteri  di  conferimento,  mutamento  o  revoca  degli
incarichi dirigenziali, (...), e ridefinire, altresi', la  disciplina
relativa al conferimento degli incarichi ai  soggetti  estranei  alla
pubblica amministrazione e ai dirigenti non  appartenenti  ai  ruoli,
prevedendo comunque la riduzione, rispetto a  quanto  previsto  dalla
normativa vigente, delle  quote  percentuali  di  dotazione  organica
entro cui e' possibile il  conferimento  degli  incarichi  medesimi».
Dunque la delega a prevedere «la riduzione delle quote percentuali di
dotazione  organica»  entro  le  quali  ammettere  l'attribuzione  di
incarichi dirigenziali «a contratto» era espressamente riferita  solo
al conferimento degli incarichi «ai soggetti estranei  alla  pubblica
amministrazione  e  ai   dirigenti   non   appartenenti   ai   ruoli»
dell'Amministrazione conferente.  Il  legislatore  delegato  non  era
abilitato ad estendere, come invece risulta dal nuovo testo del comma
6 dell'art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001, il suddetto  limite  delle
quote percentuali di dotazione organica a  tutti  i  conferimenti  di
incarichi dirigenziali a contratto, comprendendovi,  oltre  a  quelli
riguardanti i soggetti espressamente individuati dalla  citata  norma
della legge di  delegazione,  anche  quelli  concernenti  i  soggetti
dipendenti della medesima amministrazione conferente, ma  non  aventi
la qualifica di dirigente. 
    Quanto  all'ammissibilita'  della  censura   in   questione,   la
ricorrente sostiene che, nella fattispecie, la  violazione  dell'art.
76 Cost. ridonda in lesione  delle  sfere  di  competenza  regionale,
poiche' l'aver il decreto legislativo esteso alle  Regioni  anche  la
disciplina in tema  di  limiti  e  modalita'  di  accesso  al  lavoro
pubblico, impedisce alla normativa regionale esistente di  dispiegare
la propria efficacia, e alla Regione di porre in essere  nuove  norme
in   un   ambito   materiale   che,   attenendo    all'organizzazione
amministrativa  delle  Regioni  e  degli  enti  locali,  e'  di   sua
competenza. 
    Circa il contrasto dell'art. 40, comma 1, lettera f), del  d.lgs.
n. 150  del  2009  con  i  principi  e  criteri  direttivi  contenuti
nell'art. 2, comma 2, della legge n. 15 del 2009, la  Regione  Marche
deduce che questi ultimi imponevano al Governo l'adozione dei decreti
legislativi «previa intesa in sede di  Conferenza  unificata  di  cui
all'articolo 8 del decreto legislativo 28  agosto  1997,  n.  281,  e
successive   modificazioni,   relativamente   all'attuazione    delle
disposizioni di cui agli articoli 3, comma 2, lettera a), 4, 5  e  6,
nonche'  previo  parere  della  medesima   Conferenza   relativamente
all'attuazione delle restanti  disposizioni  della  presente  legge».
Orbene, la disposizione censurata (riconducibile alla  materia  della
«dirigenza pubblica» di cui all'art. 6 della medesima legge  n.  15),
in particolare nella parte in cui  introduce  il  nuovo  comma  6-ter
nell'art. 19 del d.lgs. n.  165  del  2001,  e'  stata  inserita  dal
Governo all'interno del d.lgs. n. 150 del 2009 a seguito  dei  pareri
espressi  dalle  competenti  Commissioni  parlamentari,  senza  pero'
essere stata sottoposta alla prescritta intesa in sede di  Conferenza
unificata (la quale era intervenuta il 29 luglio 2009). Tale vizio si
traduce nella violazione dell'art. 76 Cost.,  alla  cui  denuncia  in
sede di giudizio di legittimita' costituzionale in via principale  la
Regione vanterebbe  uno  specifico  interesse,  come  desumibile,  ad
avviso della ricorrente, anche dalla giurisprudenza di  questa  Corte
(la difesa regionale cita, in proposito, le sentenze n. 206 e n.  110
del 2001). 
    6. - Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, si e'  costituito  e  ha
chiesto che il ricorso sia respinto,  sulla  base  di  considerazioni
analoghe a quelle esposte  nell'atto  di  costituzione  nel  giudizio
promosso dalla Regione Toscana e riportate supra, sub n. 4.1. 
    In  riferimento  alla  pretesa  violazione   delle   attribuzioni
regionali in tema di organizzazione amministrativa e ordinamento  del
personale degli enti locali, il resistente aggiunge che le Regioni  a
statuto  ordinario,  in  realta',  non  hanno  alcuna  competenza  in
materia, rientrando quest'ultima nella competenza  esclusiva  statale
prevista  dall'art.   117,   secondo   comma,   lettera   p),   della
Costituzione. 
    7. - In prossimita' dell'udienza pubblica le  Regioni  Toscana  e
Marche hanno depositato memorie. 
    7.1.  -  La  Regione  Toscana  insiste  nell'accoglimento   delle
conclusioni rassegnate nel proprio ricorso. 
    In particolare, la ricorrente nega che l'art. 40  del  d.lgs.  n.
150 del 2009 possa essere ricondotto  alla  materia  dell'ordinamento
civile, regolando esso non gia' aspetti propri del rapporto di lavoro
tra  pubblica  amministrazione  e  dirigente,  bensi'  la  diversa  e
preliminare fase dell'accesso all'impiego presso le Regioni,  profilo
che  rientra  nella  materia  dell'ordinamento  degli  uffici  e  del
personale regionale, oggetto di potesta' legislativa residuale  delle
Regioni. 
    La norma in questione, ad avviso della difesa regionale,  neppure
potrebbe essere  ricondotta  alla  materia  del  coordinamento  della
finanza pubblica, per le ragioni gia' indicate nel ricorso. 
    La Regione Toscana ribadisce, poi, le argomentazioni gia'  svolte
nel ricorso  e  relative  alla  violazione  del  principio  di  leale
collaborazione e dell'art. 76 Cost., aggiungendo che  la  lesione  di
quest'ultimo precetto costituzionale comporta  la  compromissione  di
attribuzioni regionali. 
    Quanto all'art. 49 del d.lgs. n.  150  del  2009,  la  ricorrente
ripete le censure e le relative  motivazioni  contenute  nel  proprio
atto introduttivo, aggiungendo che anche la violazione  dell'art.  97
Cost. si risolve nella lesione di sfere di competenza regionale. 
    7.2. - Anche la Regione Marche  insiste  nell'accoglimento  delle
richieste formulate nel proprio ricorso. 
    Alle considerazioni  svolte  nell'atto  introduttivo,  la  difesa
regionale aggiunge che la censura sollevata in  riferimento  all'art.
76 Cost. e' nella fattispecie ammissibile, sia perche' la  violazione
di quel parametro costituzionale comporta la  lesione  di  competenze
costituzionalmente attribuite alle  Regioni,  sia  perche'  l'obbligo
dell'intesa in sede di Conferenza unificata era imposto dalla  stessa
legge delega n. 15 del 2009. 
    La ricorrente deduce altresi' - a sostegno  del  proprio  assunto
secondo il quale l'art. 40, comma 1, lettera f), del  d.lgs.  n.  150
del 2009 non puo' essere  ricondotto  alla  materia  dell'ordinamento
civile - che lo stesso legislatore delegato, nell'elencare, nell'art.
74 del citato d.lgs. n. 150, le norme che rientravano in quel  titolo
competenziale, non ha menzionato l'art. 40. In ogni caso,  ad  avviso
della difesa regionale, potrebbero essere considerati attinenti  alla
materia dell'ordinamento civile  solamente  gli  ultimi  due  periodi
dell'art. 19, comma 6, del  d.lgs.  n.  165  del  2001  (in  tema  di
indennita' integrativa e di collocamento in aspettativa senza assegni
dei dipendenti pubblici per  il  tempo  di  durata  dell'incarico  da
dirigente),  onde  la  norma  impugnata  dovrebbe   comunque   essere
dichiarata illegittima nella parte in cui estende alle Regioni  tutti
gli altri precetti contenuti nell'art.  19,  commi  6  e  6-bis,  del
d.lgs. n. 165 citato. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Le Regioni Piemonte, Toscana e Marche impugnano  l'art.  40,
comma 1, lettera f), del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.  150
(Attuazione  della  legge  4  marzo  2009,  n.  15,  in  materia   di
ottimizzazione  della  produttivita'  del  lavoro   pubblico   e   di
efficienza e  trasparenza  delle  pubbliche  amministrazioni),  nella
parte in cui ha introdotto nell'art. 19 del  decreto  legislativo  30
marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del  lavoro  alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche), il comma 6-ter,  secondo
il quale i  precedenti  commi  6  (disciplinante  le  condizioni  per
l'affidamento  di   incarichi   dirigenziali   a   soggetti   esterni
all'amministrazione conferente) e 6-bis (in  tema  di  calcolo  delle
percentuali di incarichi attribuibili agli esterni) del  citato  art.
19 si applicano anche alle amministrazioni di cui all'art.  1,  comma
2, del d.lgs. n. 165 del 2001 e, dunque, anche alle  Regioni  e  agli
enti locali, deducendo la violazione degli artt.  76,  117,  terzo  e
quarto comma, e 119 della Costituzione. 
    Le Regioni  Toscana  e  Marche  sostengono  che  la  disposizione
impugnata contrasterebbe anche con l'art. 76 Cost.,  perche'  non  e'
stata oggetto di intesa o di parere in sede di Conferenza  unificata,
come richiesto dall'art. 2, comma 2, della legge delega 4 marzo 2009,
n.  15  (Delega  al  Governo  finalizzata  all'ottimizzazione   della
produttivita' del lavoro pubblico e  alla  efficienza  e  trasparenza
delle  pubbliche  amministrazioni  nonche'  disposizioni  integrative
delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell'economia e  del
lavoro e alla Corte dei conti). La Regione  Marche  aggiunge  che  la
disposizione censurata, recando una disciplina concernente i limiti e
le modalita' di  accesso  agli  incarichi  di  dirigente  pubblico  a
contratto,  esorbiterebbe   dall'ambito   oggettivo   della   delega,
circoscritto alla disciplina del rapporto di  lavoro  dei  dipendenti
pubblici. 
    Ad avviso delle ricorrenti, la norma, poi, violerebbe l'art. 117,
quarto comma, Cost., poiche'  attiene  alla  materia,  di  competenza
residuale regionale, dell'organizzazione delle Regioni e  degli  enti
pubblici regionali.  La  Regione  Marche  aggiunge  che  il  predetto
precetto costituzionale sarebbe leso anche perche'  la  norma,  nella
parte in cui si riferisce agli  enti  locali,  sarebbe  riconducibile
alla materia dell'organizzazione  amministrativa  e  ordinamento  del
personale degli enti locali, anch'essa di competenza residuale  delle
Regioni. 
    In via subordinata, ritenendo la norma attinente alla materia del
coordinamento della finanza pubblica, le  Regioni  Toscana  e  Marche
deducono la lesione degli  artt.  117,  terzo  comma,  e  119  Cost.,
poiche' essa pone un vincolo puntuale all'autonomia finanziaria delle
Regioni e non e' idonea a realizzare l'effetto di contenimento  della
spesa pubblica. 
    1.1. - La Regione Toscana impugna anche l'art. 49, comma  1,  del
d.lgs. n. 150 del 2009, il quale sostituisce l'art. 30, comma 1,  del
d.lgs. n. 165 del 2001, che ora prevede che tutte le amministrazioni,
e dunque anche le Regioni, prima  di  procedere  all'espletamento  di
procedure concorsuali necessarie per coprire posti  vacanti,  debbano
«rendere  pubbliche  le  disponibilita'  dei  posti  in  organico  da
ricoprire  attraverso  passaggio  diretto  di  personale   da   altre
amministrazioni, fissando preventivamente i criteri di scelta» e  che
«il trasferimento e' disposto previo parere favorevole dei  dirigenti
responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale e'  o  sara'
assegnato». 
    Ad avviso della ricorrente, il predetto art. 49 violerebbe l'art.
97 Cost., perche' limita il reclutamento del  personale  mediante  il
concorso pubblico, nonche' l'art. 117, quarto comma,  Cost.,  poiche'
incide sull'autonomia organizzativa delle  Regioni,  introducendo  un
impegnativo  onere  per  l'amministrazione   e   limitando   la   sua
possibilita' di ricercare, scegliere ed assumere  il  personale  piu'
preparato. 
    2. - In ragione della parziale connessione oggettiva,  i  giudizi
debbono essere riuniti per essere decisi con un'unica pronuncia. 
    3. - Le questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.  40,
comma 1, lettera  f),  del  decreto  legislativo  n.  150  del  2009,
sollevate in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e  119
Cost., non sono fondate. 
    3.1. - La norma impugnata dispone  l'applicabilita'  a  tutte  le
amministrazioni pubbliche  della  disciplina  dettata  dall'art.  19,
commi 6 e 6-bis, del d.lgs. n. 165 del  2001  in  tema  di  incarichi
dirigenziali conferiti a soggetti esterni all'amministrazione. 
    Si  tratta  di   una   normativa   riconducibile   alla   materia
dell'ordinamento civile di cui all'art. 117, secondo  comma,  lettera
l), Cost.,  poiche'  il  conferimento  di  incarichi  dirigenziali  a
soggetti esterni, disciplinato dalla normativa  citata,  si  realizza
mediante la  stipulazione  di  un  contratto  di  lavoro  di  diritto
privato. Conseguentemente, la disciplina della  fase  costitutiva  di
tale contratto, cosi' come quella del rapporto che sorge per  effetto
della  conclusione  di  quel  negozio  giuridico,  appartengono  alla
materia dell'ordinamento civile. 
    In particolare, l'art. 19,  comma  6,  d.lgs.  n.  165  del  2001
contiene una pluralita'  di  precetti  relativi  alla  qualificazione
professionale ed alle precedenti esperienze lavorative  del  soggetto
esterno, alla durata massima  dell'incarico  (e,  dunque,  anche  del
relativo contratto di lavoro), all'indennita' che  -  a  integrazione
del trattamento economico - puo' essere attribuita al  privato,  alle
conseguenze  del   conferimento   dell'incarico   su   un   eventuale
preesistente rapporto di impiego pubblico e, infine, alla percentuale
massima di incarichi conferibili a soggetti  esterni  (il  successivo
comma 6-bis  contiene  semplicemente  una  prescrizione  in  tema  di
modalita' di calcolo di quella percentuale). 
    Tale disciplina non riguarda, pertanto, ne' procedure concorsuali
pubblicistiche per l'accesso al pubblico impiego, ne' la scelta delle
modalita' di costituzione di quel rapporto giuridico. Essa,  valutata
nel suo complesso, attiene ai requisiti soggettivi che debbono essere
posseduti dal contraente privato, alla durata massima  del  rapporto,
ad alcuni aspetti del regime economico e  giuridico  ed  e'  pertanto
riconducibile alla regolamentazione  del  particolare  contratto  che
l'amministrazione  stipula  con  il  soggetto  ad  essa  esterno  cui
conferisce l'incarico dirigenziale. 
    Non sussiste, dunque, violazione degli artt. 117, terzo e  quarto
comma, e 119 Cost., appunto perche' la norma impugnata non attiene  a
materie  di  competenza  concorrente  (coordinamento  della   finanza
pubblica) o residuale regionale (organizzazione delle Regioni e degli
uffici regionali, organizzazione  degli  enti  locali),  bensi'  alla
materia dell'ordinamento civile di competenza esclusiva statale. 
    3.2. - La stessa questione, sollevata in riferimento all'art.  76
Cost., e', invece, inammissibile. 
    Dato che nella fattispecie, come si e'  visto  sub  3.1,  non  si
verte in materia di organizzazione degli uffici regionali, bensi'  in
materia di disciplina di contratti di diritto privato, rispetto  alla
quale sussiste esclusivamente  competenza  dello  Stato,  la  pretesa
violazione del parametro costituzionale  invocato  non  comporterebbe
lesione di alcuna attribuzione regionale. Da  qui  l'inammissibilita'
della censura. 
    4. - Passando alle  questioni  sollevate  dalla  Regione  Toscana
sull'art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2009, quella promossa in
riferimento all'art. 97 Cost. e' inammissibile. 
    La Regione deduce la violazione  di  un  precetto  costituzionale
diverso da quelli attinenti al riparto  di  competenze  tra  Stato  e
Regioni e, nella fattispecie, il  preteso  contrasto  con  l'art.  97
Cost.  non  ridonda  nella  compressione  di  sfere  di  attribuzione
costituzionalmente garantite alle Regioni. 
    4.2. - La questione sollevata in riferimento all'art. 117, quarto
comma, Cost., invece, non e' fondata. 
    La  norma  impugnata  non  appartiene  ad  ambiti  materiali   di
competenza regionale, bensi' alla materia dell'ordinamento civile. 
    L'istituto della  mobilita'  volontaria  altro  non  e'  che  una
fattispecie di cessione del contratto; a sua volta, la  cessione  del
contratto e' un negozio tipico disciplinato dal codice civile  (artt.
1406-1410). Si e',  pertanto,  in  materia  di  rapporti  di  diritto
privato e gli oneri imposti alla pubblica amministrazione dalle nuove
disposizioni introdotte dall'art. 49  del  d.lgs.  n.  150  del  2009
rispondono semplicemente alla  necessita'  di  rispettare  l'art.  97
Cost., e,  precisamente,  i  principi  di  imparzialita'  e  di  buon
andamento dell'amministrazione. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Riuniti i giudizi; 
    Dichiara   inammissibili    le    questioni    di    legittimita'
costituzionale  dell'art.  40,  comma  1,  lettera  f),  del  decreto
legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (Attuazione della legge  4  marzo
2009, n. 15, in materia di  ottimizzazione  della  produttivita'  del
lavoro  pubblico  e  di  efficienza  e  trasparenza  delle  pubbliche
amministrazioni),  promosse,  in  riferimento   all'art.   76   della
Costituzione, dalle Regioni Toscana e Marche con i  ricorsi  indicati
in epigrafe; 
    Dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 40, comma 1, lettera  f),  del  d.lgs.  n.  150  del  2009,
promosse, in riferimento agli artt. 117, secondo e terzo comma, e 119
della Costituzione, dalle Regioni Piemonte, Toscana e  Marche  con  i
ricorsi indicati in epigrafe; 
    Dichiara   inammissibile    la    questione    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 49, comma 1, del  d.lgs.  n.  150  del  2009
promossa,  in  riferimento  all'art.  97  della  Costituzione,  dalla
Regione Toscana con il ricorso indicato in epigrafe; 
    Dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 49, comma 1, del  d.lgs.  n.  150  del  2009  promossa,  in
riferimento all'art. 117, quarto  comma,  della  Costituzione,  dalla
Regione Toscana con il ricorso indicato in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 novembre 2010. 
 
                       Il Presidente: Amirante 
 
 
                       Il redattore: Mazzella 
 
 
                      Il cancelliere: Di Paola 
 
    Depositata in cancelleria il 12 novembre 2010. 
 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola