N. 102 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 6 ottobre 2010

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 6 ottobre 2010 (della Regione Liguria). 
 
Bilancio e contabilita' pubblica  -  Misure  urgenti  in  materia  di
  stabilizzazione  finanziaria  e  di  competitivita'   economica   -
  Previsto  definanziamento  delle  leggi  di  spesa  totalmente  non
  utilizzate negli  ultimi  tre  anni  -  Lamentata  incidenza  della
  disposizione sullo stanziamento  del  bilancio  di  previsione  per
  l'anno 2010, di 44 milioni di euro, destinato  al  Fondo  nazionale
  per la montagna, per il quale gli  organi  dello  Stato  non  hanno
  assunto atto formale  di  impegno  -  Lamentata  alterazione  della
  programmazione   regionale   relativa   alle   comunita'   montane,
  violazione del legittimo affidamento, mancata partecipazione  della
  Conferenza  Stato-Regioni  -  Ricorso  della  Regione   Liguria   -
  Denunciata violazione dell'autonomia finanziaria e della competenza
  legislativa  residuale  in  materia  di  comunita'  montane   della
  Regione, lesione del principio di leale collaborazione. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 1. 
- Costituzione, artt. 117, comma quarto, e 119. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Economie negli Organi costituzionali, di
  governo e negli apparati politici  -  Importi  corrispondenti  alle
  riduzioni di spesa  che  verranno  deliberate  dalle  Regioni,  con
  riferimento  ai  trattamenti  economici  degli  organi  politici  -
  Riassegnazione al Fondo per l'ammortamento dei titoli  di  Stato  -
  Lamentata imposizione di un vincolo specifico nell'ipotesi  in  cui
  la disposizione debba essere interpretata come un  vincolo  per  le
  Regioni a ridurre le indennita' dei titolari degli organi politici,
  ovvero lamentata assegnazione degli importi a un fondo dello Stato,
  nell'ipotesi in cui la disposizione sia ritenuta non cogente quanto
  all'an della specifica riduzione di spesa - Ricorso  della  Regione
  Liguria - Denunciata lesione dell'autonomia finanziaria  regionale,
  lesione della autonomia organizzativa e delle competenze di settore
  delle Regioni, violazione dei  principi  di  buon  andamento  della
  pubblica amministrazione e di ragionevolezza. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 5, comma 1. 
- Costituzione, artt. 3, 97, primo comma, 117, 118 e 119. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica  -  Riduzione  dei  costi  degli  apparati
  amministrativi - Misure di vario contenuto  volte  al  contenimento
  della spesa pubblica, quali la puntuale riduzione delle indennita',
  compensi, gettoni, retribuzioni o  altre  utilita'  corrisposti  ai
  componenti di organi collegiali  e  ai  titolari  di  incarichi  di
  qualsiasi tipo, riduzione  del  numero  dei  componenti  di  organi
  collegiali, riduzione della spesa annua per studi ed  incarichi  di
  consulenza, riduzione di spese per relazioni  pubbliche,  convegni,
  mostre, pubblicita' e rappresentanza, divieto di  sponsorizzazioni,
  riduzione di spese per missioni,  formazione  e  auto,  divieti  in
  materia  di  attivita'  societaria  -  Definizione  delle  predette
  disposizioni, indirizzate alle Regioni e  agli  enti  del  Servizio
  sanitario regionale, quali disposizioni di principio  ai  fini  del
  coordinamento della finanza pubblica - Ritenuta applicazione  delle
  predette disposizioni in via diretta, anziche' come principi,  agli
  enti locali e agli enti pubblici regionali - Lamentata introduzione
  di puntuali e dettagliate limitazioni  a  singole  voci  di  spesa,
  vincolanti le Regioni, gli enti  locali,  gli  enti  regionali,  le
  societa' pubbliche - Ricorso della  Regione  Liguria  -  Denunciata
  violazione   dell'autonomia    organizzativa    e    dell'autonomia
  finanziaria della Regione e degli enti locali. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 6, commi 3, 5, 6, 7, 8, 9,
  11, 12, 13, 14, 19 e 20, primo periodo. 
- Costituzione, art. 119. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica  -  Riduzione  dei  costi  degli  apparati
  amministrativi - Accantonamento, a decorrere dal 2011, di una quota
  pari al 10 per cento dei trasferimenti erariali di cui  all'art.  7
  della legge 15 marzo 1997, n. 59, a favore delle regioni a  statuto
  ordinario,  per  essere  successivamente  destinata  alle   regioni
  medesime che abbiano attuato quanto stabilito dall'art. 3 del  d.l.
  n. 2 del 2010, convertito con la legge n. 42 del  2010  -  Prevista
  attuazione con decreto di natura  non  regolamentare  del  Ministro
  dell'economia,  sentita  la  Conferenza  Stato-Regioni  -  Ritenuta
  natura sostanzialmente regolamentare  dell'atto  e  previsione  del
  parere in luogo dell'intesa  -  Ricorso  della  Regione  Liguria  -
  Denunciata violazione  della  potesta'  legislativa  concorrente  e
  della potesta' regolamentare della Regione, lesione  del  principio
  di leale collaborazione. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio  2010,  n.  122,  art.  6,  comma  20,  terzo
  periodo. 
- Costituzione, art. 117, commi terzo e sesto. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica  -  Riduzione  dei  costi  degli  apparati
  amministrativi   -   Esclusione   che   il   personale   dipendente
  contrattualizzato  possa  essere  autorizzato  ad  usare  il  mezzo
  proprio  per  recarsi  in  missione,  con  conseguente  divieto  di
  corrispondere  una  qualche  indennita'  chilometrica  -  Lamentato
  ostacolo allo svolgimento delle attivita' pubbliche - Ricorso della
  Regione   Liguria   -    Denunciata    violazione    dell'autonomia
  organizzativa della Regione. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010,  n.  122,  art.  6,  comma  12,  ultimo
  periodo. 
- Costituzione, artt. 117, commi  terzo,  quarto,  quinto,  ottavo  e
  nono, e 118, commi secondo e terzo. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Contenimento delle spese in  materia  di
  impiego pubblico - Taglio per il triennio 2011-2013 dei trattamenti
  economici complessivi  dei  singoli  dipendenti,  anche  dirigenti,
  nella misura del 5 per cento per la parte eccedente i 90.000 euro e
  del 10 per cento per la parte eccedente i 150.000 euro -  Lamentata
  introduzione di puntuali e dettagliate limitazioni a  singole  voci
  di  spesa,  vincolanti  le  Regioni,  gli  enti  locali,  gli  enti
  regionali,  intervento  statale  unilaterale  nella  contrattazione
  collettiva con riduzione dei trattamenti -  Ricorso  della  Regione
  Liguria  -  Denunciata  violazione  dell'autonomia  finanziaria   e
  organizzativa della Regione e degli enti locali,  violazione  della
  competenza legislativa concorrente della Regione, violazione  della
  riserva di contrattazione collettiva in  materia  di  retribuzioni,
  del principio di ragionevolezza e  del  diritto  a  un  trattamento
  proporzionato al lavoro prestato. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 2. 
- Costituzione, artt. 3, 36, 39, 117, commi terzo e quarto, e 119. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Contenimento delle spese in  materia  di
  impiego pubblico - Divieto  per  le  pubbliche  amministrazioni  di
  incrementare  le  risorse  destinate  annualmente  al   trattamento
  accessorio del personale anche  di  livello  dirigenziale  rispetto
  agli importi stanziati per l'anno  2010  -  Ricorso  della  Regione
  Liguria  -  Lamentata  introduzione  di  puntuali   e   dettagliate
  limitazioni a singole voci di spesa,  vincolanti  le  Regioni,  gli
  enti locali, gli enti  regionali,  intervento  statale  unilaterale
  nella contrattazione collettiva con  riduzione  dei  trattamenti  -
  Ricorso   della   Regione   Liguria   -    Denunciata    violazione
  dell'autonomia finanziaria e organizzativa della  Regione  e  degli
  enti locali, violazione della  competenza  legislativa  concorrente
  della  Regione,  violazione   della   riserva   di   contrattazione
  collettiva  in  materia   di   retribuzioni,   del   principio   di
  ragionevolezza e del diritto  a  un  trattamento  proporzionato  al
  lavoro prestato. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 2-bis. 
- Costituzione, artt. 3, 36, 39, 117, commi terzo e quarto, e 119. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Contenimento delle spese in  materia  di
  impiego  pubblico  -   Divieto   di   corrispondere   importi   per
  l'espletamento di incarichi di livello  dirigenziale  aggiuntivi  -
  Lamentata introduzione di  puntuali  e  dettagliate  limitazioni  a
  singole voci di spesa, vincolanti le Regioni, gli enti locali,  gli
  enti regionali, intervento statale unilaterale nella contrattazione
  collettiva con riduzione dei trattamenti -  Ricorso  della  Regione
  Liguria  -  Denunciata  violazione  dell'autonomia  finanziaria   e
  organizzativa della Regione e degli enti locali,  violazione  della
  competenza legislativa concorrente della Regione, violazione  della
  riserva di contrattazione collettiva in  materia  di  retribuzioni,
  del principio di ragionevolezza e  del  diritto  a  un  trattamento
  proporzionato al lavoro prestato. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 3. 
- Costituzione, artt. 3, 36, 39, 117, commi terzo e quarto, e 119. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Contenimento delle spese in  materia  di
  impiego pubblico - Divieto, riferito ai  rinnovi  contrattuali  del
  personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni per il biennio
  2008/2009, di determinare aumenti retributivi superiori al 3,2  per
  cento,  anche  con  riguardo  ai  contratti  e  agli  accordi  gia'
  stipulati  -  Lamentata  introduzione  di  puntuali  e  dettagliate
  limitazioni a singole voci di spesa,  vincolanti  le  Regioni,  gli
  enti locali, gli enti  regionali,  intervento  statale  unilaterale
  nella contrattazione collettiva con  riduzione  dei  trattamenti  -
  Ricorso   della   Regione   Liguria   -    Denunciata    violazione
  dell'autonomia finanziaria e organizzativa della  Regione  e  degli
  enti locali, violazione della  competenza  legislativa  concorrente
  della  Regione,  violazione   della   riserva   di   contrattazione
  collettiva  in  materia   di   retribuzioni,   del   principio   di
  ragionevolezza e del diritto  a  un  trattamento  proporzionato  al
  lavoro prestato. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 4. 
- Costituzione, artt. 3, 36, 39, 117, commi terzo e quarto, e 119. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Contenimento delle spese in  materia  di
  impiego pubblico - Efficacia delle  progressioni  di  carriera  del
  personale  contrattualizzato,  negli  anni   2011-2013,   ai   fini
  esclusivamente giuridici - Lamentata  introduzione  di  puntuali  e
  dettagliate limitazioni a singole  voci  di  spesa,  vincolanti  le
  Regioni, gli enti locali, gli enti  regionali,  intervento  statale
  unilaterale  nella  contrattazione  collettiva  con  riduzione  dei
  trattamenti - Ricorso della Regione Liguria - Denunciata violazione
  dell'autonomia finanziaria e organizzativa della  Regione  e  degli
  enti locali, violazione della  competenza  legislativa  concorrente
  della  Regione,  violazione   della   riserva   di   contrattazione
  collettiva  in  materia   di   retribuzioni,   del   principio   di
  ragionevolezza e del diritto  a  un  trattamento  proporzionato  al
  lavoro prestato. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 21. 
- Costituzione, artt. 3, 36, 39, 117, commi terzo e quarto, e 119. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Contenimento delle spese in  materia  di
  impiego pubblico - Obbligo per le Regioni e gli enti  del  Servizio
  sanitario nazionale di ridurre del 50 per cento la spesa  sostenuta
  nell'anno 2009 per il personale a tempo  determinato  o  utilizzato
  con convenzioni o con  contratti  di  collaborazione  coordinata  e
  continuativa, per i  contratti  di  formazione-lavoro,  i  rapporti
  formativi, la somministrazione di lavoro e il lavoro  accessorio  -
  Previsione che  le  disposizioni  predette  costituiscano  principi
  generali  ai  fini  del  coordinamento  della  finanza  pubblica  -
  Ritenuta applicazione delle predette disposizioni in  via  diretta,
  anziche' come principi, agli  enti  locali  e  agli  enti  pubblici
  regionali  -  Lamentata  introduzione  di  puntuali  e  dettagliate
  limitazioni a singole voci di spesa - Ricorso della Regione Liguria
  -   Denunciata   violazione    dell'autonomia    organizzativa    e
  dell'autonomia finanziaria della Regione e degli enti locali. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 28. 
- Costituzione, art. 119. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Contenimento delle spese in  materia  di
  impiego  pubblico  -  Societa'  non  quotate,  inserite  nel  conto
  economico consolidato della pubblica  amministrazione,  controllate
  direttamente o indirettamente  dalle  amministrazioni  pubbliche  -
  Obbligo  di   adeguamento   delle   politiche   assunzionali   alle
  disposizioni introdotte per le amministrazioni pubbliche -  Ricorso
  della  Regione  Liguria  -  Denunciata  violazione   dell'autonomia
  organizzativa e dell'autonomia finanziaria della  Regione  e  degli
  enti locali. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 29. 
- Costituzione, art. 119. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Contenimento delle spese in  materia  di
  impiego pubblico - Limiti alle assunzioni degli enti  pararegionali
  e paracomunali - Lamentata introduzione di puntuali  e  dettagliate
  limitazioni a singole voci di spesa - Ricorso della Regione Liguria
  -   Denunciata   violazione    dell'autonomia    organizzativa    e
  dell'autonomia finanziaria  della  Regione  e  degli  enti  locali,
  lesione  dei  principi  di  ragionevolezza,  buon  andamento  della
  pubblica amministrazione. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 36. 
- Costituzione, artt. 3, 97, 117, commi terzo e quarto, e 119. 
Bilancio e contabilita' pubblica  -  Misure  urgenti  in  materia  di
  stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica  -  Patto
  di stabilita' interno - Concorso delle Regioni  alla  realizzazione
  degli obiettivi di finanza pubblica per il  triennio  2011-2013  in
  termini di fabbisogno e indebitamento netto nella misura  di  4.000
  milioni di euro per l'anno 2011 e di 4.500 milioni di euro annui  a
  decorrere dal 2012 - Riduzione delle risorse statali spettanti alle
  Regioni nella misura di 4.000 milioni di euro per l'anno 2011 e  di
  4.500 milioni di euro  annui  a  decorrere  dal  2012  -  Lamentata
  introduzione di norme auto applicative e non transitorie,  mancanza
  di concertazione, mancato finanziamento delle  funzioni  attribuite
  alle  Regioni  -  Ricorso  della  Regione  Liguria   -   Denunciata
  violazione   dell'autonomia   amministrativa    regionale,    delle
  competenze legislative concorrenti della  Regione,  violazione  del
  principio  di  corrispondenza  tra  funzioni  conferite  e  risorse
  necessarie. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 14, commi 1 e 2. 
- Costituzione, artt. 117, comma terzo, 118 e  119;  legge  5  maggio
  2009, n. 42, art. 2, comma 2, lett. ll); legge 31 dicembre 2009, n.
  196. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Patto di stabilita' interno - Obbligo di
  riduzione della spesa per il  personale  e  relativa  sanzione  del
  blocco delle assunzioni - Lamentata impossibilita' di articolare la
  riduzione  in  un  triennio,   mancanza   di   una   procedura   in
  contraddittorio per l'accertamento del  superamento  dei  limiti  -
  Ricorso   della   Regione   Liguria   -    Denunciata    violazione
  dell'autonomia organizzativa e finanziaria regionale,  lesione  dei
  principi  di  ragionevolezza,  buona  amministrazione,   di   leale
  collaborazione. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 14, comma  7,  sostitutivo
  del comma 557, dell'art. 1, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. 
- Costituzione, artt. 3, 97, 117, comma quarto, e 119. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Patto di stabilita'  interno  -  Divieto
  assoluto agli enti nei quali l'incidenza delle spese  di  personale
  e' pari o superiore al 40% delle spese  correnti  di  procedere  ad
  assunzioni di  personale,  possibilita'  per  i  restanti  enti  di
  procedere  ad  assunzioni  nel   limite   del   20%   della   spesa
  corrispondente alle cessazioni  dell'anno  precedente  -  Lamentata
  esorbitanza del potere statale di dettare  norme  di  principio  in
  materia di coordinamento della finanza  pubblica  -  Ricorso  della
  Regione Liguria - Denunciata violazione della competenza  regionale
  sul  personale   e   sulla   propria   organizzazione,   violazione
  dell'autonomia finanziaria regionale. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 14, comma  9,  sostitutivo
  dell'art. 76, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112. 
- Costituzione, artt. 117, commi terzo e quarto, e 119. 
Amministrazione pubblica - Partecipazioni pubbliche - Misure  urgenti
  in materia  di  stabilizzazione  finanziaria  e  di  competitivita'
  economica - Divieto ai Comuni con popolazione  inferiore  a  30.000
  abitanti  di  costituire  societa',  e  obbligo  di  liquidare   le
  partecipazioni  gia'  detenute  entro  il  31   dicembre   2011   -
  Limitazione del numero delle societa' partecipabili  per  i  Comuni
  con popolazione superiore a 30.000 abitanti - Previsione di decreto
  ministeriale per la  determinazione  delle  modalita'  attuative  -
  Lamentata  introduzione  di  norme  puntuali   e   autoapplicative,
  compressione  dell'autonomia  organizzativa  e  finanziaria   della
  Regione e dei comuni, esercizio da parte dello Stato della potesta'
  regolamentare in materia concorrente, omessa previsione dell'intesa
  con la Conferenza Stato-Regioni o Unificata - Ricorso della Regione
  Liguria  -  Denunciata  violazione  dell'autonomia  finanziaria   e
  organizzativa   regionale,   lesione   del   principio   di   leale
  collaborazione. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 14, comma 32. 
- Costituzione, artt. 114, comma secondo, 117, comma sesto, e 119. 
Energia - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria  e
  di competitivita' economica - Proroghe  di  concessioni  di  grande
  derivazione d'acqua per uso idroelettrico - Lamentata  introduzione
  di norme di dettaglio - Ricorso della Regione Liguria -  Denunciata
  violazione della  competenza  legislativa  e  amministrativa  della
  Regione nella materia concorrente  della  produzione,  trasporto  e
  distribuzione nazionale dell'energia, e in materia di gestione  del
  demanio idrico. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 15, commi 6-ter, lett.  b)
  e d), e 6-quater. 
- Costituzione, artt. 117, comma terzo, e 118; d.lgs. 31 marzo  1998,
  n. 112, artt. 86 e ss.; d.P.C.m. 12 ottobre 2000. 
Regioni (in genere) - Amministrazione pubblica -  Misure  urgenti  in
  materia  di  stabilizzazione  finanziaria   e   di   competitivita'
  economica - Dissenso fra Stato e Regione  o  Province  autonome  in
  sede di conferenza  dei  servizi  -  Possibilita'  di  superare  il
  mancato raggiungimento dell'intesa con deliberazione del  Consiglio
  dei ministri, non solo nelle  materie  di  competenza  statale,  ma
  anche  in  quelle  di  competenza   delle   Regioni   -   Lamentata
  introduzione  di  una   nuova   ipotesi   di   potere   sostitutivo
  straordinario   del   Governo   al   di   fuori   dei   presupposti
  costituzionali, previsione di una intesa  debole  anziche'  di  una
  intesa di  carattere  forte  -  Ricorso  della  Regione  Liguria  -
  Denunciata violazione dell'autonomia regionale, delle  attribuzioni
  legislative e amministrative della Regione, del principio di  leale
  collaborazione 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 49,  comma  3,  lett.  b),
  modificativo dell'art. 14-quater, commi 3, 3-bis, 3-ter e 3-quater,
  della legge 7 agosto 1990, n. 241. 
- Costituzione, artt. 117 e 118. 
Regioni (in genere) - Amministrazione pubblica -  Misure  urgenti  in
  materia  di  stabilizzazione  finanziaria   e   di   competitivita'
  economica - Disciplina  relativa  alla  conferenza  dei  servizi  -
  Qualificazione  come  attinente   ai   livelli   essenziali   delle
  prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, ai sensi  della
  lett. m) dell'art. 117, secondo comma, Cost. - Lamentata erroneita'
  della  autoqualificazione,  ritenuta   incidenza   su   ambiti   di
  legislazione  regionale  di  natura  esclusiva  o  concorrente  con
  avocazione degli stessi allo Stato - Ricorso della Regione  Liguria
  - Denunciata violazione della competenza legislativa della Regione. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 49, comma 4,  modificativo
  dell'art. 29, comma 2-ter, della legge 7 agosto 1990, n. 241. 
- Costituzione, art. 117, commi terzo e quarto. 
Amministrazione pubblica - Iniziativa economica privata - Edilizia  e
  urbanistica  -  Misure  urgenti  in  materia   di   stabilizzazione
  finanziaria e di  competitivita'  economica  -  Introduzione  della
  "Segnalazione certificata di inizio attivita'"  (SCIA)  sostitutiva
  della   "Denuncia   di   inizio   attivita'"   (DIA)   -   Ritenuta
  applicabilita' della nuova disciplina della DIA commerciale  (SCIA)
  anche al settore dell'edilizia, con estensione  alla  DIA  edilizia
  della facolta'  di  immediato  inizio  dell'attivita'  -  Lamentata
  sostituzione diretta della preesistente normativa sia  statale  che
  regionale  nei  settori  del   commercio,   artigianato,   turismo,
  attivita' commerciali,  interferenza  con  i  poteri  di  controllo
  attribuiti agli enti locali, nonche' interferenza nella materia del
  governo del territorio attraverso regole di dettaglio irrazionali e
  foriere di abusi -  Ricorso  della  Regione  Liguria  -  Denunciata
  violazione della competenza  legislativa  concorrente  e  residuale
  della  Regione,  violazione   dell'autonomia   e   delle   funzioni
  amministrative  degli  enti  locali,  lesione   dei   principi   di
  ragionevolezza   e   proporzionalita'   e   di    buon    andamento
  dell'amministrazione. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella  legge  30  luglio  2010,  n.  122,  art.  49,  comma  4-bis,
  sostitutivo dell'art. 19, comma 2, della legge 7  agosto  1990,  n.
  241. 
- Costituzione, artt. 97, primo comma, 114, comma secondo, 117, commi
  terzo e quarto, e 118, primo comma. 
Amministrazione pubblica -  Iniziativa  economica  privata  -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Previsione che la disciplina della SCIA,
  nella sua integralita', attiene alla  tutela  della  concorrenza  e
  costituisce livello  essenziale  delle  prestazioni  concernenti  i
  diritti civili e sociali, ai sensi dell'art.  117,  secondo  comma,
  lett.   e)   e   m),   Cost.   -   Lamentata    erroneita'    della
  autoqualificazione, ritenuta incidenza su  ambiti  di  legislazione
  regionale di natura esclusiva o concorrente  con  avocazione  degli
  stessi allo Stato - Ricorso  della  Regione  Liguria  -  Denunciata
  violazione della competenza legislativa della Regione in materia di
  governo del territorio,  tutela  della  salute,  ordinamento  degli
  uffici regionali, artigianato, turismo, commercio. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 49, comma 4-ter. 
- Costituzione, art. 117, commi terzo e quarto. 
(GU n.48 del 1-12-2010 )
     Ricorso della Regione Liguria, in persona del  Presidente  della
Giunta  regionale  pro  tempore  Claudio  Burlando,  autorizzato  con
deliberazione della Giunta regionale 21 settembre 2010, n. 1095 (doc.
1), rappresentata e difesa, come da procura speciale  a  margine  del
presente atto,  dall'avv.  prof.  Giandomenico  Falcon  di  Padova  e
dall'avv. Luigi Manzi di Roma, con domicilio  eletto  in  Roma  nello
studio di questi in via Confalonieri, n.5; 
    Contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   per   la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale: 
    dell'articolo 1; 
    dell'articolo 5, comma 1; 
    dell'articolo 6, commi 3; 5; 6; 7; 8; 9; 11; 12; 13; 14; 19;  20;
dell'articolo 9, commi 2; 2-bis; 3; 4; 21; 28; 29 e 36; 
    dell'articolo 14, commi 1; 2; 7; 9 e 32; 
    dell'articolo 15, commi 6-ter, lett. b) e d); 6-quater; 
    dell'articolo 49, commi: 3, lettera b)  che  introduce  il  nuovo
comma 3 dell'articolo 14-quater della legge 7 agosto 1990, n. 241; 4;
4-bis e 4-ter, 
    del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante  Misure  urgenti
in  materia  di  stabilizzazione  finanziaria  e  di   competitivita'
economica, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010,
n. 122, pubblicata nel Supplemento ordinario n. 174/L  alla  Gazzetta
Ufficiale n. 176 del 30 luglio 2010, 
    per violazione degli articoli 3, 97, 117, 118, 119  e  120  della
Costituzione nonche' del principio di leale collaborazione, 
    nei modi e per i profili di seguito illustrati. 
 
                              F a t t o 
 
    Con il decreto-legge 31  maggio  2010,  n.  78,  convertito,  con
modificazioni, nella legge 30 luglio 2010,  n.  122,  il  Governo  ha
adottato Misure urgenti in materia di stabilizzazione  finanziaria  e
di competitivita' economica. 
    Si tratta di un ampio intervento normativo, diviso in tre titoli:
nel primo sono comprese norme di Stabilizzazione finanziaria, volte a
ridurre la spesa, nel secondo norme di Contrasto all'evasione fiscale
e  contributiva  e  nel   terzo   norme   riguardanti   Sviluppo   ed
infrastrutture. 
    Diverse delle  norme  contenute  nel  primo  titolo,  pero',  non
tengono affatto conto  delle  regole  costituzionali  in  materia  di
coordinamento finanziario, le quali, pur attribuendo  allo  Stato  un
consistente  potere  di  guida,  garantiscono  al  tempo   stesso   -
all'interno di quel potere di guida - le autonome  determinazioni  di
ciascuna Regione (e per il presente ricorso  della  Regione  Liguria)
nell'esercizio della propria autonomia di spesa. 
    Numerose  disposizioni,  invece,   contravvenendo   alle   regole
costituzionali, pongono alle Regioni (ed  agli  enti  locali)  limiti
rigidi a voci specifiche di spesa, incidendo su decisioni gia' prese,
fondi gia' stanziati e determinando la conseguenza di gravi tagli  ai
servizi pubblici erogati con le risorse regionali, con  rilevanti  ma
inevitabili effetti negativi sui cittadini liguri. 
    L'inclusione della Regione e degli enti  locali  e  pararegionali
tra i destinatari delle Torme impugnate  avviene  sia  -  a  volte  -
mediante diretto ed espresso riferimento alle Regioni sia - in  altri
casi - mediante il riferimento alle pubbliche amministrazioni di  cui
al comma 3 dell'articolo 1 della legge  31  dicembre  2009,  n.  196,
cioe' a quelle elencate annualmente dall'ISTAT entro il 31 luglio  di
ogni anno. 
    E tale elenco (e precisamente, per quanto riguarda  l'anno  2010,
l'«Elenco  delle  amministrazioni  pubbliche   inserite   nel   conto
economico consolidato individuate ai sensi dell'articolo 1,  comma  3
della legge 31 dicembre 2009, n. 196 - Legge  di  contabilita'  e  di
finanza pubblica», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 24  luglio
2010, n. 171) comprende espressamente, nella sezione «Amministrazioni
locali», tra l'altro, le regioni e le province autonome, i comuni, le
comunita' montane e le unioni di comuni, gli enti per il diritto allo
studio universitario, gli enti per il turismo, gli enti regionali del
lavoro, le aziende ospedaliere, le Asl, gli istituti  di  ricovero  e
cura  a  carattere  scientifico  e  diversi  altri  enti   rientranti
nell'orbita regionale. 
    Risulta poi lesiva una norma contenuta nel  terzo  titolo,  cioe'
l'art. 49, che muta la disciplina della conferenza di servizi e della
denuncia di inizio attivita',  oltre  ad  attrarre  d'autorita'  tali
istituti alla competenza esclusiva statale. 
    Le  disposizioni  che  di  seguito  si   illustreranno,   dunque,
risultano illegittime e lesive delle competenze costituzionali  della
Regione per le seguenti ragioni di 
 
                            D i r i t t o 
 
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1. 
    L'art.  1  si  intitola  Definanziamento  delle  leggi  di  spesa
totalmente non utilizzate negli ultimi tre anni  e  dispone  che  «le
autorizzazioni di spesa i  cui  stanziamenti  annuali  non  risultano
impegnati sulla base delle risultanze del Rendiconto  generale  dello
Stato relativo agli anni 2007, 2008 e 2009 sono  de  finanziate».  La
disposizione aggiunge che «con decreto del Presidente  del  Consiglio
dei ministri su proposta del Ministro dell'economia e  delle  finanze
da adottare entro il 30 settembre 2010 sono individuate  per  ciascun
Ministero le autorizzazioni di spesa da definanziare  e  le  relative
disponibilita' esistenti alla data di entrata in vigore del  presente
decreto-legge»; le disponibilita'  cosi'  individuate  «sono  versate
all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate al  fondo
ammortamento dei titoli Stato». 
    Ora, il d.P.C.m. 17  dicembre  2009  (doc.  2),  che  approva  il
bilancio di previsione della  Presidenza  del  Consiglio  per  l'anno
2010, stanzia piu' di 44 milioni di euro per il Fondo  nazionale  per
la montagna (v. il punto  7.1.2),  ma  ad  esso  non  risulta  essere
seguito, da  parte  degli  organi  statali,  alcun  formale  atto  di
impegno. Gli stanziamenti in questione  sono  allocati  nel  capitolo
7620 del bilancio regionale 2010. 
    Esiste dunque il fondato timore che esso  rientri  tra  le  norme
definanziate. 
    La norma di definanziamento di cui  all'art.  1,  dunque,  incide
sull'autonomia finanziaria della Regione (art.  119  Cost.)  e  sulla
competenza legislativa piena in materia di  comunita'  montane,  dato
che codesta Corte in piu' occasioni ha  precisato  che  le  comunita'
montane ricadono  nell'art.  117,  comma  4,  Cost.  (v.  sentt.  nn.
237/2009, 456/2005 e 244/2005). 
    Una somma  gia'  stanziata  nel  bilancio  della  Presidenza  del
Consiglio e gia' destinata alle regioni - della quale  dunque  queste
avevano tenuto conto nell'impostare il proprio bilancio ed  i  propri
programmi - viene «avocata» allo Stato per un mancato impegno che non
dipende da alcuna inerzia  o  colpa  della  Regione  ma  dallo  Stato
stesso. 
    Cio' - oltre a discostarsi dal principio di leale  collaborazione
tra istituzioni - altera, con tutta evidenza, la programmazione  gia'
compiuta  dalla  Regione,  violando  un   legittimo   affidamento   e
condizionando le  scelte  finanziarie  e  legislative  relative  alle
comunita' montane. 
    Ne' varrebbe replicare che lo stanziamento di cui al d.P.C.m.  17
dicembre 2009 non ha  una  specifica  garanzia  costituzionale:  piu'
volte codesta Corte ha dichiarato l'illegittimita' di  leggi  statali
che,  in  una  materia  costituzionalmente  spettante  alle  Regioni,
intervenivano in modo restrittivo per l'autonomia regionale, anche se
lo specifico «vantaggio» tolto  non  aveva  garanzia  costituzionale.
Tanto piu' cio' deve valere quando il «pentimento» statale incida  in
una materia delicata quale l'equilibrio del bilancio  regionale,  che
legittimamente poteva impegnare e disporre  di  spese  per  le  quali
erano assicurate corrispondenti entrate. 
    Si  noti,  inoltre,  che  la  procedura   di   «definanziamento»,
nonostante  incida  gravemente  sull'equilibrio   finanziario   delle
regioni,  non  prevede   alcuna   partecipazione   della   Conferenza
Stato-Regioni:  con  violazione,  anche  sotto   questo   particolare
profilo, del principio di leale collaborazione. 
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1. 
    L'art. 5 e' inserito nel  capo  II,  Riduzione  del  costo  degli
apparati politici ed amministrativi, ed e' intitolato Economie  negli
Organi costituzionali, di governo e negli apparati politici. 
    Il comma 1 statuisce che «per gli anni 2011,  2012  e  2013,  gli
importi  corrispondenti  alle  riduzioni  di  spesa  che,  anche  con
riferimento alle spese di natura amministrativa e per  il  personale,
saranno autonomamente deliberate entro il 31 dicembre  2010,  con  le
modalita' previste dai rispettivi ordinamenti dalla Presidenza  della
Repubblica, dal Senato della Repubblica, dalla Camera dei deputati  e
dalla Corte costituzionale sono versati al bilancio dello  Stato  per
essere riassegnati al Fondo per l'ammortamento dei titoli di  Stato»;
si aggiunge che «al  medesimo  Fondo  sono  riassegnati  gli  importi
corrispondenti alle riduzioni di spesa che verranno deliberate  dalle
regioni,  con  riferimento  ai  trattamenti  economici  degli  organi
indicati nell'art. 121 della Costituzione». 
    Non e' chiaro se l'ultimo periodo del comma 1  intenda  vincolare
le  regioni  a  ridurre  le  indennita'  dei  titolari  degli  organi
politici, o  intenda  solo  fissare  la  destinazione  delle  risorse
corrispondenti  alle   riduzioni   che   eventualmente   le   regioni
disporranno. 
    Nel primo caso, la  norma  sarebbe  chiaramente  illegittima  per
violazione dell'art. 117, comma 3, Cost., in quanto  stabilirebbe  un
vincolo ad una voce di spesa  specifica  e  particolare:  e,  dunque,
avrebbe carattere dettagliato in materia di  competenza  concorrente,
nella  quale  lo  Stato  ha  titolo  soltanto  a   dettare   principi
fondamentali.  Si  puo'  ricordare  qui,  a  conferma,  la  sent.  n.
157/2007, che ha dichiarato l'illegittimita' di una norma della legge
n. 266/05 che riduceva del 10% le indennita' corrisposte ai  titolari
degli organi politici regionali. 
    Ma anche ove si  intendesse  la  disposizione  come  non  cogente
quanto all'an  della specifica riduzione di  spesa,  in  applicazione
del canone della interpretazione conforme  a  Costituzione,  l'ultimo
periodo del comma 1 sarebbe in ogni modo illegittimo perche'  prevede
l'assegnazione degli importi al Fondo per l'ammortamento  dei  titoli
di Stato, ovvero l'assegnazione di tale fondo allo Stato. 
    In pratica, si applica un meccanismo contrario a quello  previsto
dall'art.  119  della  Costituzione:  anziche'  essere  lo  Stato   a
finanziare le regioni, si obbligano le regioni a finanziare lo  Stato
mediante gli stessi fondi che in  attuazione  della  Costituzione  lo
Stato assegna alle regioni. 
    Cio' implica lesione dell'autonomia finanziaria regionale perche'
risorse che provengono dalle entrate generali della  regione  vengono
«avocate» allo Stato senza altra ragione che la  circostanza  che  la
regione spende di meno per una specifica voce di spesa. 
    L'ingerenza nell'autonomia  finanziaria  regionale  non  si  puo'
giustificare a titolo di coordinamento della finanza pubblica perche'
la norma e' dettagliata, va a colpire una specifica e minuta voce  di
spesa. 
    Oltre all'art. 119, l'art. 5, comma 1, viola anche gli artt.  117
e 118 Cost. perche' impedisce alla regione di utilizzare gli  importi
in questione per altri  scopi,  da  essa  individuati  nell'esercizio
della propria autonomia organizzativa e delle proprie  competenze  di
settore. 
    Einfine  violato  il   principio   di   buon   andamento   e   di
ragionevolezza di cui all'art. 97, comma primo, e all'art.  3  Cost.,
in  quanto  la  devoluzione  del  risparmio   al   bilancio   statale
evidentemente lo disincentiva, dato che la regione  non  ne  potrebbe
trarre alcun vantaggio. 
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 6, commi 3, 5, 6, 7, 8, 9,
11, 12, 13, 14, 19 e 20. 
    L'art. 6 pone una serie di norme volte alla Riduzione  dei  costi
degli apparati amministrativi, norme dal contenuto  innegabilmente  e
chiaramente dettagliato, come si vedra' subito. 
    Forse proprio in considerazione di tale contenuto, che proprio in
ragione di tale carattere contrasterebbe - ove riferito alle  regioni
- con i principi costituzionali in  materia  di  coordinamento  della
finanza pubblica elaborati dalla  giurisprudenza  costituzionale,  il
comma 20 dell'art.  6  dispone  che  «le  disposizioni  del  presente
articolo non si applicano in via diretta alle regioni, alle  province
autonome e agli enti del Servizio sanitario nazionale»,  ma  aggiunge
che per tali enti esse «costituiscono disposizioni  di  principio  ai
fini del coordinamento della finanza pubblica». In altre  parole,  la
disposizione del comma 20 cerca di «trasformare» in qualche  modo  le
disposizioni dettagliate in principi. 
    Tuttavia,   tale   tentativo   e'    necessariamente    destinato
all'insuccesso, e la qualificazione delle disposizioni  in  questione
come «principi» non fa - ad avviso della  ricorrente  Regione  -  che
aggiungere illegittimita' ad illegittimita'. Il comma  20  e'  dunque
qui impugnato nella parte in cui esso  dispone  che  le  disposizioni
indicate  «costituiscono  disposizioni  di  principio  ai  fini   del
coordinamento della finanza pubblica», e nella parte in cui limita la
loro «non  applicazione»  alle  regioni  alla  applicazione  «in  via
diretta». Gli ulteriori commi indicati sopra sono invece direttamente
impugnati in ragione del loro contenuto. 
    Il punto fondamentale e' che la qualificazione data dal comma 20,
come e' tipico delle norme di qualificazione, non e' idonea a  mutare
la realta' normativa dei commi precedenti, che resta quella di regole
dettagliate limitative di voci minute di spesa degli enti pubblici, e
che  vincolare  le  regioni  a  tali  pseudoprincipi  e'   ugualmente
illegittimo. 
    Nessun  dubbio  puo'  sussistere  sul   carattere   specifico   e
dettagliato delle disposizioni alle quali il comma 20 si riferisce. 
    Cosi', il comma 3 dispone che, a decorrere dal 1°  gennaio  2011,
le indennita', i compensi, i gettoni,  le  retribuzioni  o  le  altre
utilita'   comunque   denominate,   corrisposti    dalle    pubbliche
amministrazioni di cui al comma 3  dell'articolo  1  della  legge  31
dicembre 2009, n. 196, .... sono automaticamente ridotte del  10  per
cento rispetto agli importi risultanti alla data del 30 aprile 2010".
Inoltre, la disposizione stabilisce che «sino al  31  dicembre  2013,
gli emolumenti di cui al presente  comma  non  possono  superare  gli
importi risultanti alla data del 30  aprile  2010,  come  ridotti  ai
sensi del presente comma». 
    Il comma 7 statuisce che «a decorrere  dall'anno  2011  la  spesa
annua per studi ed incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a
studi ed incarichi di consulenza  conferiti  a  pubblici  dipendenti,
sostenuta  dalle  pubbliche  amministrazioni  di  cui  al   comma   3
dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009,  n.  196,...  non  puo'
essere superiore al 20 per cento di quella sostenuta nell'anno 2009». 
    Il  comma  8  dispone  che  «a  decorrere   dall'anno   2011   le
amministrazioni pubbliche... individuate dall'Istituto  nazionale  di
statistica (ISTAT)... non  possono  effettuare  spese  per  relazioni
pubbliche, convegni, mostre, pubblicita' e di rappresentanza, per  un
ammontare superiore al 20 per cento della spesa  sostenuta  nell'anno
2009 per le medesime finalita'». 
    Il  comma  9  stabilisce  che  «a  decorrere  dall'anno  2011  le
amministrazioni pubbliche... individuate dall'Istituto  nazionale  di
statistica   (ISTAT)...   non   possono    effettuare    spese    per
sponsorizzazioni». 
    Il  comma  12,  dispone  che  «a  decorrere  dall'anno  2011   le
amministrazioni pubbliche... individuate dall'Istituto  nazionale  di
statistica (ISTAT)... non  possono  effettuare  spese  per  missioni,
anche all'estero, con esclusione  delle  missioni  internazionali  di
pace e delle Forze armate, delle missioni delle forze  di  polizia  e
dei vigili del fuoco,  del  personale  di  magistratura,  nonche'  di
quelle  strettamente  connesse  ad  accordi   internazionali   ovvero
indispensabili per assicurare la  partecipazione  a  riunioni  presso
enti e organismi internazionali o comunitari, nonche' con investitori
istituzionali necessari alla gestione del  debito  pubblico,  per  un
ammontare superiore al 50 per cento della spesa  sostenuta  nell'anno
2009». 
    Il comma 13 statuisce che «a decorrere dall'anno  2011  la  spesa
annua  sostenuta  dalle  amministrazioni   pubbliche...   individuate
dall'Istituto  nazionale  di  statistica  (ISTAT)...  per   attivita'
esclusivamente di formazione deve essere  non  superiore  al  50  per
cento della spesa sostenuta nell'anno  2009»;  si  aggiunge  che  «le
predette amministrazioni  svolgono  prioritariamente  l'attivita'  di
formazione tramite la Scuola superiore della pubblica amministrazione
ovvero tramite i propri organismi di formazione». 
    Il comma 14  stabilisce  che  «a  decorrere  dall'anno  2011,  le
amministrazioni pubbliche... individuate dall'Istituto  nazionale  di
statistica (ISTAT)...  non  possono  effettuare  spese  di  ammontare
superiore all'80 per cento della spesa sostenuta nell'anno  2009  per
l'acquisto,  la  manutenzione,   il   noleggio   e   l'esercizio   di
autovetture, nonche' per l'acquisto di buoni taxi»; si  aggiunge  che
«il predetto limite puo' essere derogato,  per  il  solo  anno  2011,
esclusivamente per effetto di contratti pluriennali gia' in essere». 
    Il comma 19  dispone  che  «al  fine  del  perseguimento  di  una
maggiore efficienza delle societa' pubbliche,...  le  amministrazioni
di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196,
non possono, salvo quanto  previsto  dall'art.  2447  codice  civile,
effettuare aumenti di capitale, trasferimenti straordinari,  aperture
di  credito,  ne'  rilasciare  garanzie  a  favore   delle   societa'
partecipate non quotate che  abbiano  registrato,  per  tre  esercizi
consecutivi, perdite  di  esercizio  ovvero  che  abbiano  utilizzato
riserve  disponibili   per   il   ripianamento   di   perdite   anche
infrannuali»; e che sono «in ogni  caso  consentiti  i  trasferimenti
alle societa' di cui  al  primo  periodo  a  fronte  di  convenzioni,
contratti di servizio o di programma  relativi  allo  svolgimento  di
servizi  di  pubblico  interesse   ovvero   alla   realizzazione   di
investimenti». 
    Come  si  vede,  si  tratta  di  disposizioni   molto   puntuali,
analitiche, che disciplinano «frammenti» di  realta'  finanziaria  ed
organizzativa. Ed in relazione ad esse le regioni, nonostante  quanto
disposto dal comma 20, primo periodo, non hanno ne' (in ragione della
struttura delle norme) potrebbero avere alcun margine di manovra. Non
si tratterebbe che di «recepire» le corrispondenti norme statali. 
    Cosi' illustrato il contenuto del comma  20,  in  relazione  alle
disposizioni specifiche alle quali esso si riferisce, risulta  chiaro
che esso, nell'inciso «per  i  quali  costituiscono  disposizioni  di
principio ai fini del coordinamento della  finanza  pubblica»,  ed  i
commi  sopra  illustrati,  recanti  limiti  puntuali,   sono   lesivi
dell'autonomia  organizzativa  e  dell'autonomia  finanziaria   della
Regione. 
    Infatti, esse pongono limiti puntuali a voci minute  di  spesa  e
fissano anche la modalita' di contenimento della  spesa,  esorbitando
dai limiti della competenza legislativa statale  di  principio  nella
materia del coordinamento della finanza pubblica. 
    L'illegittimita' dei limiti puntuali alle voci minute di spesa e'
stata piu' volte dichiarata  da  codesta  Corte:  v.  le  sentt.  nn.
297/2009, 237/2009, 159/2008, 157/2007,  95/2007,  89/2007,  88/2006,
449/2005, 417/2005 e 390/2004. 
    Va ricordata, in particolare, per l'analogia  della  fattispecie,
la  sentenza  n.  297/2009,  che  ha   annullato   una   disposizione
sostanzialmente corrispondente a quella qui impugnata «nella parte in
cui afferma che possono  essere  desunti  "principi  fondamentali  di
coordinamento della finanza pubblica"  da  norme  che,  per  il  loro
contenuto, sono inidonee a esprimere tali principi», cioe'  da  norme
«idonee solo a incidere sulle indicate  singole  voci  di  spesa,  in
quanto  introducono  vincoli  puntuali  e  specifiche  modalita'   di
contenimento della spesa medesima». 
    Nel medesimo consolidato  orientamento  rientra  la  sentenza  n.
159/2008 (punto 6 del Diritto). 
    Ancora, una norma analoga a quella del comma  3  dell'art.  6  e'
stata annullata dalla sentenza n. 157/2007 (la norma statale riduceva
del 10% le indennita' corrisposte ai titolari degli  organi  politici
regionali); v. poi le sentt. nn. 95/2007, 449/2005  e  417/2005,  che
hanno dichiarato l'illegittimita' dei  vincoli  posti  a  consulenze,
missioni e acquisti. 
    Non puo' dunque esservi dubbio alcuno sulla illegittimita'  delle
disposizioni  impugnate,  per  le   ragioni   sopra   esposte.   Esse
contraddicono il principio in relazione al quale  le  esigenze  della
finanza pubblica  possono  certo  comportare  vincoli  anche  per  le
autonomie  territoriali,  ma  vincoli   di   carattere   generale   e
complessivo, al cui interno i titolari  di  autonomia  costituzionale
possono decidere le diverse destinazioni, appunto, in modo autonomo. 
    La clausola di salvaguardia di cui al comma 20, primo periodo, e'
illegittima anche nella parte in cui non comprende nel proprio ambito
di «esonero» dall'applicazione diretta gli enti locali e gli enti  ed
organismi appartenenti al sistema  regionale.  Il  «mancato  esonero»
comporta dunque che per tali enti i commi sopra illustrati operino in
via diretta, dato  che  sono  rivolti  alle  amministrazioni  di  cui
all'art. 1, comma 3, legge n. 196/2009. 
    A tali enti, inoltre, sono applicabili anche i commi 5, 6 e 11. 
    In base alla prima disposizione, «tutti gli enti pubblici,  anche
economici, e gli organismi pubblici, anche con personalita' giuridica
di diritto privato, provvedono all'adeguamento dei rispettivi statuti
al fine di assicurare che, a decorrere dal primo  rinnovo  successivo
alla data di entrata in vigore del presente decreto,  gli  organi  di
amministrazione e quelli di controllo, ove  non  gia'  costituiti  in
forma monocratica, nonche' il collegio dei revisori, siano costituiti
da un numero  non  superiore,  rispettivamente,  a  cinque  e  a  tre
componenti». 
    Il comma 6  dispone  che,  «nelle  societa'  inserite  nel  conto
economico   consolidato   della   pubblica   amministrazione,    come
individuate dall'Istituto nazionale di statistica  (ISTAT)  ai  sensi
del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31  dicembre  2009,  n.  196,
nonche' nelle societa' possedute  direttamente  o  indirettamente  in
misura totalitaria, alla data  di  entrata  in  vigore  del  presente
provvedimento dalle amministrazioni pubbliche,  il  compenso  di  cui
all'articolo 2389, primo comma, del  codice  civile,  dei  componenti
degli organi di amministrazione e di quelli di controllo  e'  ridotto
del 10 per cento». 
    Infine, il comma 11 dispone che «le societa', inserite nel  conto
economico   consolidato   della   pubblica   amministrazione,    come
individuate dall'Istituto nazionale di statistica  (ISTAT)  ai  sensi
del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196,  si
conformano al principio di riduzione di spesa per studi e consulenze,
per relazioni pubbliche, convegni, mostre e pubblicita', nonche'  per
sponsorizzazioni, desumibile dai precedenti commi 7, 8 e 9». 
    Si tratta all'evidenza di norme puntuali e dettagliate. 
    In base al comma 5, la scelta possibile  -  per  gli  organi  del
primo tipo - e' fra 5 o 3 componenti,  mentre  per  il  collegio  dei
revisori la soluzione obbligata e' quella dei 3 componenti. 
    La riduzione di cui al comma 6 e' arbitrariamente determinata nel
10%, a prescindere dal livello iniziale  (con  violazione  anche  del
principio  di  ragionevolezza).  Il  comma  1l   comunque   individua
specifiche voci di  spesa  da  ridurre,  precisando  ulteriormente  i
vincoli mediante il richiamo ai commi 7, 8 e 9, a loro volta puntuali
e dettagliati. 
    Anche  in  tutti  questi   casi,   la   illegittima   limitazione
dell'autonomia organizzativa regionale pare evidente. 
    Dunque, sia i commi gia' censurati in relazione alla Regione  (v.
sopra) che i commi 5, 6 e 11 pongono limiti puntuali alla spesa degli
enti locali, degli  enti  pubblici  del  sistema  regionale  e  delle
societa' pubbliche. 
    Essi sono illegittimi in quanto dettano  norme  dettagliate,  che
fuoriescono dai limiti  del  potere  del  legislatore  statale  nelle
materie del coordinamento della finanza pubblica; si puo'  ricordare,
in particolare, per l'analogia  della  fattispecie,  la  sentenza  n.
159/2008 (punto 7 del Diritto). Ed e' pure pacifico che la Regione e'
legittimata a difendere l'autonomia finanziaria e organizzativa (ogni
limitazione di spesa si traduce in limitazione delle possibili scelte
organizzative) dei propri enti strumentali e delle  proprie  societa'
ma e' anche abilitata a tutelare l'autonomia finanziaria  degli  enti
locali (v. sentt. nn. 298/2009, 169/2007, punto 3; 95/2007, 417/2005,
196/2004 e 533/2002). 
    Infine, e' illegittimo  anche  il  terzo  periodo  del  comma  20
dell'art. 6. 
    Il secondo periodo dispone che, «a decorrere dal 2011, una  quota
pari al 10 per cento dei trasferimenti erariali  di  cui  all'art.  7
della legge 15 marzo 1997, n. 59, a favore delle  regioni  a  statuto
ordinario e' accantonata  per  essere  successivamente  svincolata  e
destinata alle regioni a statuto ordinario che hanno  attuato  quanto
stabilito dall'art. 3  del  decreto-legge  25  gennaio  2010,  n.  2,
convertito  con  legge  26  marzo  2010,  n.  42  e  che   aderiscono
volontariamente alle  regole  previste  dal  presente  articolo».  In
relazione a cio', il terzo  periodo  prevede  che,  «con  decreto  di
natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle  finanze,
sentita la Conferenza Stato-Regioni, sono stabiliti modalita',  tempi
e criteri per l'attuazione del presente comma». 
    Pare  evidente   che   quest'ultima   norma   prevede   un   atto
sostanzialmente   regolamentare   (nonostante    la    qualificazione
legislativa, con la quale si cerca di giustificare la sottrazione del
decreto alla procedura e ai requisiti di cui  all'art.  17  legge  n.
400/1988)  e  anche  di  notevole  impatto  in  materia   concorrente
(coordinamento della finanza pubblica). Il terzo  periodo  del  comma
20, dunque, e' lesivo dell'art.  117,  comma  3  e  6,  Cost.  e  del
principio di leale  collaborazione,  in  quanto,  per  compensare  la
«deroga» all'art. 117,  comma  6,  Cost.,  avrebbe  dovuto  prevedere
almeno  l'intesa  con  la  Conferenza  Stato-Regioni,  in  luogo  del
semplice parere. 
    Si tratta  infatti  di  una  parte  rilevante  dei  trasferimenti
destinati alle Regioni, e vi e' dunque l'esigenza  che  esse  debbano
concordare l'attuazione del meccanismo distributivo  attuativo  della
norma, e non semplicemente essere «sentite» su di esso. 
    Una ulteriore specifica censura deve  essere  rivolta  all'ultimo
periodo del comma 12, il quale - attraverso un richiamo muto all'art.
15 legge n. 836/1973 a all'art. 8 legge n. 417/1978 - esclude che  il
personale dipendente contrattualizzato possa  essere  autorizzato  ad
usare il mezzo proprio  per  recarsi  in  missione,  con  conseguente
divieto di corrispondere una qualche indennita' chilometrica. 
    La norma - prima ancora che rappresentare un limite  puntuale  ad
una  singola  minuta  voce  di  spesa  -   incide   sulla   autonomia
organizzativa della Regione e sull'esercizio delle attivita' e  delle
funzioni  amministrative  da  essa  normate,  spettino  alla  Regione
medesima e siano dalla stessa attribuite ai Comuni o ad altri enti. 
    Da un lato,  si  nega  che  la  Regione  possa  discrezionalmente
valutare la  convenienza  tra  l'acquisto  di  un  proprio  mezzo  di
trasporto, l'avvalersi di un mezzo pubblico, oppure  l'avvalersi  del
mezzo del dipendente (salvo rimborsargli la spesa). D'altro lato,  e'
assicurata  la  possibilita'  materiale  di  svolgere   compiti   pur
legittimamente previsti dalla legge, in tutti i casi  di  carenza  di
mezzi propri da parte della amministrazione regionale e  delle  altre
amministrazioni competenti, e di insufficienza di mezzi di  trasporto
pubblici. 
    La norma e' quindi lesiva sia dell'art. 117, comma 4, Cost.,  per
la parte in cui incide sulla organizzazione della Regione, sia  -  in
generale - dei commi 3, 4, 5, 8 e 9 dell'art. 117 e dei commi 2  e  3
dell'art. 118, nella parte  in  cui  ostacola  lo  svolgimento  delle
attivita'  pubbliche  legittimamente  previste   dalla   legislazione
regionale. 
4) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 9, commi 2, 2-bis,  3,
4, 21, 28, 29 e 36. 
    L'art. 9 detta norme sul Contenimento delle spese in  materia  di
impiego pubblico. 
    Il comma 1 dispone che, «per  gli  anni  2011,  2012  e  2013  il
trattamento economico complessivo dei singoli  dipendenti,  anche  di
qualifica  dirigenziale,  ivi  compreso  il  trattamento  accessorio,
previsto dai rispettivi ordinamenti delle amministrazioni  pubbliche»
di cui al noto Elenco ISTAT «non puo'  superare,  in  ogni  caso,  il
trattamento ordinariamente spettante per l'anno 2010». 
    Il comma 2 statuisce che, «in considerazione della eccezionalita'
della  situazione  economica  internazionale  e  tenuto  conto  delle
esigenze prioritarie di raggiungimento  degli  obiettivi  di  finanza
pubblica concordati in sede europea, a decorrere dal 1° gennaio  2011
e sino al 31 dicembre 2013 i trattamenti  economici  complessivi  dei
singoli dipendenti, anche di  qualifica  dirigenziale,  previsti  dai
rispettivi ordinamenti, delle amministrazioni pubbliche» del consueto
Elenco ISTAT «superiori a 90.000 euro lordi annui sono ridotti del  5
per cento per la parte eccedente il predetto importo fino  a  150.000
euro, nonche' del 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro». 
    In base a detta individuazione  dei  destinatari  tale  norma  si
rivolge anche alle Regioni, agli enti locali e agli  altri  enti  del
sistema regionale. 
    Essa rappresenta una norma di dettaglio in materia di  competenza
concorrente, in quanto riguarda una voce specifica di spesa  e  fissa
con precisione la misura del «taglio». Di qui la violazione dell'art.
117, comma 3, Cost. e la  lesione  dell'autonomia  finanziaria  della
Regione e degli enti locali, per le ragioni gia' esposte nel punto 3. 
    Il comma 2-bis stabilisce che «a decorrere dal l° gennaio 2011  e
sino al  31  dicembre  2013  l'ammontare  complessivo  delle  risorse
destinate annualmente al trattamento accessorio del personale,  anche
di livello dirigenziale, di ciascuna  delle  amministrazioni  di  cui
all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30  marzo  2001,  n.
165, non puo' superare il corrispondente importo  dell'anno  2010  ed
e', comunque, automaticamente ridotto in  misura  proporzionale  alla
riduzione del personale in servizio». 
    Tale norma, pur individuando i propri destinatari in modo diverso
dal  riferimento  all'Elenco  ISTAT,  potrebbe   essere   considerata
applicabile anche alle regioni, agli enti locali e  agli  altri  enti
del sistema regionale, in quanto rientranti nella generale nozione di
pubblica amministrazione. 
    Essa pone  un  limite  rigido  ed  autoapplicativo  ad  una  voce
specifica e minuta di spesa e, dunque, comporta violazione  dell'art.
117, comma  3,  Cost.  e  lesione  dell'autonomia  finanziaria  della
Regione e degli enti locali, per le ragioni gia' esposte nel punto 3. 
    In base al comma 3, «nei confronti dei titolari di  incarichi  di
livello dirigenziale generale delle amministrazioni  pubbliche,  come
individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT),  ai  sensi
del comma 3, dell'art. 1, della legge 31 dicembre 2009, n.  196,  non
si applicano le disposizioni normative e contrattuali che autorizzano
la corresponsione, a loro favore, di una quota dell'importo derivante
dall'espletamento di incarichi aggiuntivi». 
    Tale norma si rivolge anche alle regioni, agli enti locali e agli
altri  enti  del  sistema  regionale,  ponendo  un   limite   rigido,
autoapplicativo e non transitorio, ad una voce specifica e minuta  di
spesa. Essa, dunque, risulta lesiva delle prerogative  costituzionali
della Regione per le stesse  ragioni  ora  esposte  in  relazione  ai
precedenti commi (oltre che al punto 3, con riferimento all'art. 6). 
    Il comma 4,  poi,  statuisce  che  «i  rinnovi  contrattuali  del
personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni per  il  biennio
2008-2009 ed i miglioramenti economici  del  rimanente  personale  in
regime di diritto pubblico per il medesimo biennio  non  possono,  in
ogni caso, determinare  aumenti  retributivi  superiori  al  3,2  per
cento»; che tale disposizione  «si  applica  anche  ai  contratti  ed
accordi stipulati prima della data di entrata in vigore del  presente
decreto»; che le clausole difformi «contenute nei predetti  contratti
ed accordi sono inefficaci»  e  che  «a  decorrere  dalla  mensilita'
successiva alla data di entrata in  vigore  del  presente  decreto  i
trattamenti retributivi saranno conseguentemente adeguati». 
    Tale  disposizione  individua   i   suoi   destinatari   mediante
l'espressione  generica  «pubbliche   amministrazioni»   e,   dunque,
potrebbe essere intesa come applicabile alle regioni. 
    In questo caso, essa sarebbe illegittima in quanto pone un limite
rigido ed autoapplicativo ad una voce specifica e  minuta  di  spesa:
valendo dunque per essa  le  censure  ora  esposte  in  relazione  ai
precedenti commi (oltre che al punto 3, con riferimento all'art. 6). 
    Gli stessi commi 2, 3 e 4,  poi,  si  pongono  in  contrasto  con
l'art.  39  Cost.,  perche'  incidono  sull'entita'  dei  trattamenti
economici determinata dai contratti  collettivi  stipulati  dall'ARAN
per conto delle regioni. 
    Come  la  giurisprudenza  costituzionale  ha  in  piu'  occasioni
affermato, vi e' una riserva di contrattazione collettiva in  materia
di retribuzioni, che la legge non  puo'  violare  (art.  39  Cost.  e
attuativamente legge n. 421/1992), come  fanno  invece  i  commi  ora
indicati. 
    Tale   violazione   si   traduce   in   lesione    dell'autonomia
organizzativa e finanziaria regionale (art. 117, comma 4, e art.  119
Cost.) perche'  lo  Stato  altera  unilateralmente  le  scelte  fatte
dall'ARAN per conto delle Regioni e pone limiti puntuali a specifiche
voci di spesa regionale. Si puo' ricordare qui  l'art.  2,  comma  2,
lett. ii) della  legge  n.  42/2009,  che  auspica  -  come  criterio
direttivo per i decreti legislativi attuativi dell'art. 119  Cost.  -
la «previsione di  strumenti  che  consentano  autonomia  ai  diversi
livelli di governo nella gestione della  contrattazione  collettiva»:
criterio che e' contraddetto dalle norme impugnate. 
    Inoltre,  le  norme  in  questione  violano   il   principio   di
ragionevolezza e l'art. 36  Cost.,  perche'  riducono  i  trattamenti
fissati nei contratti collettivi,  che  si  presumono  essere  quelli
proporzionati alla qualita' e quantita' del lavoro prestato. 
    Le  disposizioni   impugnate   producono   un'ingiustificata   ed
irragionevole alterazione del sinallagma  contrattuale,  danneggiando
gravemente i singoli lavoratori a fronte di una  «limitata  incidenza
sul totale della manovra» (cosi' l'audizione della  Corte  dei  conti
del 10 giugno 2010, presso la Commissione Bilancio del Senato). 
    Tali  violazioni  si   riflettono   in   lesione   dell'autonomia
finanziaria ed  organizzativa  regionale,  perche'  la  gestione  del
personale  regionale  e  del  bilancio  rientra  indubbiamente  nelle
competenze regionali. 
    Il  comma  21  dell'art.  9  stabilisce  che  «per  il  personale
contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate  ed
i passaggi tra le aree eventualmente disposti negli anni 2011, 2012 e
2013 hanno effetto, per  i  predetti  anni,  ai  fini  esclusivamente
giuridici». 
    Tale norma e' illegittima per le ragioni illustrate  a  proposito
dei commi 2, 3 e 4: a) violazione dell'art. 117, comma  3,  Cost.  in
quanto si tratta di norma dettagliata che pone un  limite  rigido  ad
una voce minuta di spesa; b) violazione degli artt. 3, 36 e 39  Cost.
in quanto, a fronte dello svolgimento di una funzione di livello piu'
elevato, con contenuti professionali piu' complessi  e  con  maggiori
responsabilita', il dipendente «promosso» dopo il 1º gennaio 2011  si
troverebbe a percepire una retribuzione diversa  da  quella  prevista
dal   contratto   collettivo   e   corrispondente   ad   un    lavoro
qualitativamente diverso (con discriminazione rispetto ai  dipendenti
«promossi» prima del 2011, che - a parita' di lavoro -  riceverebbero
uno stipendio diverso). 
    Cio'  si  traduce  in  lesione  dell'autonomia  organizzativa   e
finanziaria regionale, perche' la gestione del personale regionale  e
del bilancio rientra indubbiamente nelle competenze regionali. 
    Il comma 28, primo periodo, dispone che, «a  decorrere  dall'anno
2011, le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento  autonomo,
le agenzie, incluse le  Agenzie  fiscali...  gli  enti  pubblici  non
economici, le universita' e gli enti pubblici di cui all'articolo 70,
comma 4, del decreto legislativo 30  marzo  2001,  n.  165...,  fermo
quanto  previsto  dagli  articoli  7,  comma  6,  e  36  del  decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono avvalersi di  personale  a
tempo  determinato  o  con  convenzioni  ovvero  con   contratti   di
collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 50 per cento
della spesa sostenuta per le stesse finalita' nell'anno 2009». 
    Il secondo periodo stabilisce che uguale limite e' fissato per la
spesa relativa a contratti di formazione-lavoro,  ad  altri  rapporti
formativi,  alla  somministrazione  di  lavoro,  nonche'  al   lavoro
accessorio di cui all'articolo 70, comma 1, lettera  d)  del  decreto
legislativo 10 settembre 2003, n. 276. 
    Il terzo periodo del comma 28 stabilisce  che  tali  disposizioni
«costituiscono principi generali  ai  fini  del  coordinamento  della
finanza pubblica  ai  quali  si  adeguano  le  regioni,  le  province
autonome, e gli enti del Servizio sanitario nazionale». Esso  dunque,
pur implicando pero' che esse non  si  applichino  direttamente  alle
regioni, impone l'adeguamento di queste a tali  «principi  generali»,
con disposizione corrispondente a quella dell'art. 6, comma 20. 
    I tre periodi indicati del comma 28 sono dunque qui impugnati per
le stesse ragioni gia' esposte in  relazione  all'art.  6.  Il  terzo
periodo, in particolare, e' impugnato nella parte in cui esso  -  pur
implicando la non diretta applicazione dei precedenti  periodi  -  ne
afferma l'applicabilita' in quanto recante presunte  disposizioni  di
principio. 
    Infatti, come nel caso dell'art. 6, le norme contenute nel  comma
28 risultano illegittime per violazione delle regole sui rapporti tra
legislazione statale e regionale nell'ambito del coordinamento  della
finanza pubblica. Esse non sono affatto  disposizioni  di  principio,
ne' lo diventano per la definizione di cui al terzo periodo, ma  sono
tali da non consentire un  autonomo  svolgimento.  Si  tratta  di  un
limite rigido ad una voce specifica e minuta di spesa, di  una  norma
dettagliata che prevede la modalita' di contenimento  della  voce  di
spesa, senza lasciare alcun margine di manovra alla Regione. Inoltre,
il limite non e' transitorio. 
    Dunque, il comma 28 e' illegittimo per le ragioni  gia'  viste  a
proposito  dell'art.  6,  cioe'  per  la  violazione   dell'autonomia
organizzativa e finanziaria della Regione e degli enti  locali  (che,
fra l'altro, non sono compresi nella clausola di salvaguardia di  cui
al terzo periodo, con conseguente applicabilita' diretta dei  limiti:
sulla legittimazione della Regione a tutelare l'autonomia finanziaria
degli enti locali v. le  sentt.  nn.  298/2009,  169/2007,  punto  3;
95/2007, 417/2005, 196/2004 e 533/2002), per eccesso dai limiti della
potesta'  legislativa  statale  in  materia  di  coordinamento  della
finanza pubblica, in quanto la disposizione pone un limite rigido  ad
una voce specifica di spesa. 
    D'altronde, sia consentito di ricordare che l'illegittimita'  dei
vincoli puntuali alle  assunzioni  e'  gia'  stata  dichiarata  dalle
sentt. nn. 95/2008, 88/2006 e 390/2004. 
    In base al comma 29, «le societa' non quotate, inserite nel conto
economico   consolidato   della   pubblica   amministrazione,    come
individuate dall'ISTAT ai sensi del comma  3  dell'articolo  1  della
legge  31  dicembre  2009,  n.  196,   controllate   direttamente   o
indirettamente dalle  amministrazioni  pubbliche,  adeguano  le  loro
politiche  assunzionali  alle  disposizioni  previste  nel   presente
articolo». 
    Tale norma si rivolge anche a societa' pubbliche dell'ordinamento
regionale. 
    Essa non e' fondata su alcuna ragione di tutela della concorrenza
(al contrario di altre recenti disposizioni restrittive in materia di
societa' regionali e degli enti locali), ma si propone il solo  scopo
del  contenimento  della  spesa,  considerando  tali  societa'   come
equivalenti funzionali delle pubbliche amministrazioni. 
    Essa  introduce  dunque  limiti  finanziari  diretti  al  sistema
amministrativo  regionale,  e   limiti   indiretti   alla   autonomia
finanziaria della stessa Regione e degli enti locali. In relazione  a
cio', essa e' illegittima per le ragioni gia' viste in  relazione  al
comma 28, cioe' per  la  violazione  dell'autonomia  organizzativa  e
finanziaria della Regione e degli enti locali, per eccesso dai limiti
della potesta' legislativa statale in materia di coordinamento  della
finanza pubblica, in quanto la disposizione pone un limite rigido  ad
una voce specifica di spesa. 
    Il comma 36 stabilisce che, «per gli enti  di  nuova  istituzione
non derivanti da processi di accorpamento  o  fusione  di  precedenti
organismi, limitatamente al quinquennio decorrente  dall'istituzione,
le nuove assunzioni, previo esperimento delle procedure di mobilita',
fatte salve le maggiori facolta' assunzionali eventualmente  previste
dalla legge istitutiva, possono essere effettuate nel limite del  50%
delle  entrate  correnti   ordinarie   aventi   carattere   certo   e
continuativo  e,  comunque  nel  limite  complessivo  del  60%  della
dotazione organica»; e che a tal fine «gli enti  predispongono  piani
annuali  di  assunzioni  da  sottoporre  all'approvazione  da   parte
dell'amministrazione vigilante d'intesa  con  il  Dipartimento  della
funzione pubblica ed il Ministero dell'economia e delle finanze». 
    Il   riferimento   della   seconda   norma   all'«amministrazione
vigilante»  e  ad  un'«intesa  con  il  Dipartimento  della  funzione
pubblica ed il  Ministero  dell'economia  e  delle  finanze»  usa  il
linguaggio proprio dei rapporti tra amministrazione statale  ed  enti
strumentali, e potrebbe dunque far intendere il  comma  36  come  non
rivolto agli  enti  para-regionali  e  para-comunali:  in  tal  caso,
verrebbero meno le ragioni di doglianza. 
    Qualora, invece, il comma 36  fosse  da  intendere  come  rivolto
anche al sistema regionale, esso sarebbe illegittimo  per  violazione
degli artt. 3, 97, 117, commi 3 e 4, e 119 Cost. 
    La norma, infatti, ponendo un limite alle assunzioni  degli  enti
pararegionali  e  paracomunali,  e'   affetta   dagli   stessi   vizi
evidenziati con riferimento al comma 28, in  quanto  pone  un  limite
rigido ad una voce specifica di spesa: non si tratta, dunque,  di  un
principio di coordinamento della finanza pubblica, ma  di  una  norma
dettagliata lesiva dell'autonomia finanziaria della Regione  e  degli
enti locali. 
    Inoltre,  il  limite  e'  irragionevole  e  pregiudica  il   buon
andamento della pubblica amministrazione, perche' costringe gli  enti
a  restare  per  diversi  anni  «sotto-organico»  e  pone  un  limite
percentuale alle  spese  per  il  personale  (il  50%  delle  entrate
correnti certe) che e' fissato in modo rigido  ed  indiscriminato,  a
prescindere da quali possano essere  le  altre  necessita'  di  spesa
degli enti pubblici. La violazione degli artt. 3 e 97 si riflette  in
lesione dell'autonomia organizzativa e finanziaria  della  Regione  e
degli enti locali, dato che le politiche assunzionali non possono non
rientrare in tale sfera di autonomia. 
5) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 14, commi 1, 2, 7, 9 e
32. 
    L'art. 14 e' intitolato Patto  di  stabilita'  interno  ed  altre
disposizioni sugli enti territoriali. 
    Il comma  1  dispone  che,  «ai  fini  della  tutela  dell'unita'
economica della Repubblica,  le  regioni,  le  province  autonome  di
Trento e di Bolzano, le province e i comuni con popolazione superiore
a 5.000 abitanti concorrono alla  realizzazione  degli  obiettivi  di
finanza pubblica per il triennio 2011-2013 nelle misure  seguenti  in
termini di fabbisogno e indebitamento netto: a) le regioni a  statuto
ordinario per 4.000 milioni di euro  per  l'anno  2011  e  per  4.500
milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2012». 
    Il comma 2 statuisce che «le risorse statali a  qualunque  titolo
spettanti alle regioni a statuto ordinario  sono  ridotte  in  misura
pari a 4.000 milioni di euro per l'anno 2011 e  a  4.500  milioni  di
euro annui a decorrere dall'anno 2012»;  che  le  predette  riduzioni
«sono ripartite secondo criteri e  modalita'  stabiliti  in  sede  di
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  regioni  e  le
province autonome di Trento e di Bolzano entro novanta  giorni  dalla
data di entrata in vigore della legge  di  conversione  del  presente
decreto, e recepiti con decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, secondo principi che tengano conto della adozione di misure
idonee ad assicurare il rispetto del patto di  stabilita'  interno  e
della minore incidenza  percentuale  della  spesa  per  il  personale
rispetto alla spesa corrente  complessiva  nonche'  dell'adozione  di
misure di contenimento  della  spesa  sanitaria  e  dell'adozione  di
azioni di contrasto al fenomeno dei falsi invalidi»; che in caso  «di
mancata deliberazione della Conferenza Stato-Regioni entro il termine
di novanta giorni dalla data di entrata  in  vigore  della  legge  di
conversione del presente decreto, e per gli anni successivi  al  2011
entro il 30 settembre dell'anno precedente, il decreto del Presidente
del Consiglio dei ministri e' comunque emanato,  entro  i  successivi
trenta giorni, ripartendo la riduzione dei trasferimenti  secondo  un
criterio proporzionale». Norme analoghe sono  poi  stabilite  per  le
province ed i comuni. 
    Dunque, i commi 1 e 2 operano un drastico «taglio» delle «risorse
statali  a  qualunque  titolo  spettanti  alle  regioni   a   statuto
ordinario», in «misura pari a 4.000 milioni di euro per l'anno 2011 e
a 4.500 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2012». Il comma 1
dell'art. 14 e' analogo all'art.  77,  comma  1,  d.l.  n.  112/2008,
mentre la previsione della drastica riduzione di cui al comma  2  non
si ritrova nell'art. 77. 
    Le norme impugnate operano una rilevante riduzione  alle  risorse
spettanti alle regioni e questa riduzione si aggiunge alle altre gia'
operate  negli  anni  precedenti.  La  ripetizione  delle  misure  di
contenimento della spesa  fa  venir  meno  la  transitorieta'  talora
invocata  dalla  Corte  a  giustificazione  delle  norme  statali  di
coordinamento finanziario. La gravita' delle riduzioni previste dalle
leggi statali non va considerata isolatamente, misura per misura,  ma
nel complesso delle manovre operate dallo Stato negli ultimi anni. 
    La riduzione operata dai commi 1 e 2 incide in modo rilevante sul
bilancio regionale. Ipotizzando una ripartizione proporzionale  delle
riduzioni tra tutte le regioni (in realta', il riparto  proporzionale
scatta solo in caso di mancato funzionamento del meccanismo di cui al
comma 2), poiche' il bilancio della Regione  Liguria  corrisponde  al
3,7% dei bilanci di tutte le regioni ordinarie, la  Liguria  verrebbe
privata di circa 150 milioni di euro.  Ora,  poiche'  il  totale  dei
trasferimenti statali alla Liguria nel 2010 e' di 827 milioni  circa,
se ne ricava che le norme impugnate sanciscono un «taglio»  di  quasi
il  20%  del  bilancio  regionale.  Pare  evidente  la  rilevanza   e
l'insostenibilita' della manovra per il bilancio regionale. 
    La gravita'  dei  tagli  risulta  anche  dalla  stessa  relazione
presentata al Senato sul ddl di conversione  (doc.  3).  Infatti,  la
riduzione  di  4000  milioni  per  il  2011  supera  il  totale   dei
trasferimenti previsti in attuazione della legge n. 59/1997  (che  e'
di  3186  milioni),  cioe'  il  totale  dei  trasferimenti   ritenuti
necessari proprio per l'esercizio delle nuove funzioni trasferite. 
    Le risorse tagliate sono destinate - come e' ovvio e come risulta
dalla  relazione  appena   citata   -   all'esercizio   di   funzioni
costituzionalmente  spettanti  alle  regioni  (ad   es.,   assistenza
sociale, trasporto pubblico locale, istruzione). 
    Di conseguenza e' necessario constatare che i commi 1 e 2 violano
l'autonomia amministrativa regionale (art. 118 Cost.)  e  l'art.  119
Cost., in particolare il comma 4, in base al quale le risorse di  cui
ai  commi  precedenti  «consentono...  alle  regioni  di   finanziare
integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite». 
    Ad integrazione ed attuazione di tale norma costituzionale e' poi
intervenuta la legge n. 42/2009, il cui art. 2, comma  2,  lett.  ll)
prevede, fra i criteri direttivi dei decreti attuativi dell'art. 119,
la «certezza delle risorse e stabilita'  tendenziale  del  quadro  di
finanziamento, in misura corrispondente alle funzioni attribuite». Le
norme impugnate violano palesemente questo  criterio  direttivo:  che
evidentemente non vale soltanto in relazione ai decreti delegati,  ma
esprime una esigenza di  fondo  dell'ordinamento  costituzionale  dei
rapporti finanziari tra lo Stato e le regioni. 
    In effetti, il d.l. n. 78/2010 si pone in controtendenza rispetto
agli strumenti di coordinamento previsti dalla  legge  n.  42/2009  e
dalla  legge  n.  196/2009,   che   valorizzano   le   procedure   di
concertazione. Tale «anomalia» e' stata evidenziata dalla Commissione
parlamentare  per  l'attuazione  del   federalismo   fiscale,   nelle
osservazioni svolte sulla Relazione concernente il quadro generale di
finanziamento degli enti territoriali, trasmessa dal Governo ai sensi
dell'art. 2, comma 6, legge n. 42/2009 (v. doc. 4, punto 2). 
    La  Commissione  parlamentare  ha  anche  sottolineato  che,   «a
differenza di quanto si  e'  verificato  negli  anni  precedenti,  il
raggiungimento dei risparmi  previsti  per  i  singoli  comparti  non
risulta  affidato  all'applicazione  dello  strumento  del  Patto  di
stabilita'  interno,  bensi'  ottenuto  direttamente  attraverso   la
riduzione delle risorse, spettanti agli enti» (enfasi aggiunta). 
    In effetti, lo Stato ha  -  senza  alcuna  concertazione  con  le
Regioni - operato  un  drastico  taglio  delle  risorse,  taglio  che
risulta  irragionevole  perche'  disposto  «alla  cieca»,  senza  che
risultino considerate le prestazioni erogate dalle  Regioni  e  senza
che sia allegato lo specifico bisogno a fondamento della  misura  (il
comma 1 menziona genericamente la «tutela dell'unita' economica della
Repubblica»). Ne' si potrebbe dire che lo Stato ha tenuto  conto  dei
«costi standard», dato che esso non li ha ancora definiti (l'art.  2,
comma 6, legge n. 42/2009 e' tuttora inattuato). 
    Contro la manovra le regioni hanno espresso all'unanimita' parere
negativo e hanno approvato diversi documenti (v. doc.  5),  chiedendo
l'applicazione della  legge  n.  42/2009  ed  invocando  il  rispetto
dell'art. 119, comma 4, Cost. In particolare, con le osservazioni del
24 giugno 2010, le regioni hanno evidenziato il modo in cui l'art. 14
viola il principio di corrispondenza tra funzioni conferite e risorse
necessarie. 
    Oltre a violare gli artt. 118 e 119, come gia'  visto,  le  norme
impugnate appaiono contrastare anche con l'art. 117, comma  3,  Cost.
Esse,  infatti,  non  pongono   limiti   alla   spesa   ma   tagliano
direttamente, ex abrupto, le risorse regionali: si tratta, dunque, di
norme  autoapplicative  e  non  transitorie.  Le  regioni  non   sono
propriamente tenute a «svolgere», ad attuare una norma di  principio,
ma piu' che altro devono fare fronte alle conseguenze  di  una  norma
autoapplicativa, tagliando i servizi individuati nel gia' citato all.
1 della relazione al ddl di conversione. 
    Ne'  puo'  dirsi,  infine  che  tale  taglio   investe   l'intera
amministrazione pubblica, e che cosi' come lo Stato deve  ridurre  le
proprie  spese,  allo  stesso  modo  devono  fare  le  regioni,   per
l'oggettiva assenza delle risorse. Infatti, il «taglio» imposto  alle
regioni e' di molto superiore a quello richiesto  all'amministrazione
statale, e questa differenza non ha  altra  giustificazione  che  una
determinazione unilaterale ed arbitraria dello Stato. Se pure  dunque
le oggettive esigenze  della  finanza  pubblica  giustificassero  una
riduzione  delle  risorse,  in  assenza  di  parametri  oggettivi  la
riduzione non potrebbe legittimamente essere  maggiore  della  misura
richiesta alle stesse amministrazioni dello Stato. 
    Il comma 7 dell'art. 14 costituisce  il  comma  557  dell'art.  1
legge n. 296/2006 con i seguenti commi: 
        «557. Ai fini del concorso delle autonomie regionali e locali
al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, gli enti  sottoposti
al patto di stabilita' interno assicurano la riduzione delle spese di
personale,  al  lordo   degli   oneri   riflessi   a   carico   delle
amministrazioni e dell'IRAP, con esclusione degli oneri  relativi  ai
rinnovi  contrattuali,  garantendo  il  contenimento  della  dinamica
retributiva e occupazionale, con azioni da modulare nell'ambito della
propria autonomia e rivolte, in termini  di  principio,  ai  seguenti
ambiti  prioritari  di  intervento:   a)   riduzione   dell'incidenza
percentuale delle spese di  personale  rispetto  al  complesso  delle
spese correnti, attraverso  parziale  reintegrazione  dei  cessati  e
contenimento   della   spesa   per   il   lavoro    flessibile;    b)
razionalizzazione      e      snellimento       delle       strutture
burocratico-amministrative, anche attraverso accorpamenti  di  uffici
con l'obiettivo di ridurre l'incidenza  percentuale  delle  posizioni
dirigenziali in organico; c) contenimento delle dinamiche di crescita
della  contrattazione   integrativa,   tenuto   anche   conto   delle
corrispondenti disposizioni dettate per le amministrazioni statali. 
        557-bis.   Ai   fini   dell'applicazione   del   comma   557,
costituiscono  spese  di  personale  anche  quelle  sostenute  per  i
rapporti  di  collaborazione  coordinata  e  continuativa,   per   la
somministrazione di lavoro, per il personale di cui all'articolo  110
del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonche' per  tutti  i
soggetti a vario titolo utilizzati, senza estinzione del rapporto  di
pubblico impiego, in  strutture  e  organismi  variamente  denominati
partecipati o comunque facenti capo all'ente. 
        557-ter. In caso  di  mancato  rispetto  del  comma  557,  si
applica il divieto di cui all'art. 76, comma 4, del decreto-legge  25
giugno 2008, n. 112, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  6
agosto 2008, n. 133». 
    L'art. 76, comma 4, cosi' richiamato, dispone che,  «in  caso  di
mancato rispetto  del  patto  di  stabilita'  interno  nell'esercizio
precedente e' fatto divieto agli enti di procedere ad  assunzioni  di
personale   a   qualsiasi   titolo,   con   qualsivoglia    tipologia
contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione continuata  e
continuativa e di somministrazione, anche con riferimento ai processi
di stabilizzazione in atto». 
    Nella versione precedente del comma 557, non era prevista  alcuna
conseguenza per  la  mancata  riduzione  delle  spese  di  personale,
ovviamente fermo  restando  il  rispetto  complessivo  dei  parametri
stabiliti dal patto di stabilita', ed erano ammesse deroghe ai limiti
previsti, in presenza di particolari indicatori di «virtuosita'». 
    La norma precedente, dunque,  rispettava  l'autonomia  regionale,
perche'  si  preoccupava  del  rispetto  dei  limiti  complessivi   e
differenziava le diverse situazioni. Su questa base, le regioni hanno
potuto intraprendere le proprie politiche del personale, pur restando
soggette ai limiti globali di spesa fissati dalla legge statale. 
    Ora, invece, la riduzione della spesa del  personale  e'  imposta
senza possibilita' di deroga e tale  vincolo  e'  sanzionato  con  il
blocco delle assunzioni. 
    Inoltre, la disposizione e' formulata in modo ambiguo perche' non
e' precisato rispetto a quando bisogna ridurre la spesa e  quando  si
accerta il mancato rispetto del dovere. 
    Ne' vi e' una procedura di leale collaborazione per accertare  la
eventuale violazione del vincolo. 
    La regione, dunque, corre il rischio  di  incorrere  nella  grave
sanzione del blocco delle assunzioni in  relazione  a  politiche  del
personale legittimamente attuate nel vigore della precedente norma, o
di non poter completare le politiche del personale gia' decise, anche
in virtu' di un quadro normativo nazionale volto  al  superamento  di
situazioni di lavoro precario nella p.a. 
    Cio' rappresenta una violazione del principio di ragionevolezza e
buona amministrazione (artt. 3 e 97 Cost.), con  conseguente  lesione
dell'autonomia organizzativa e finanziaria regionale (art. 117, comma
4, e art. 119 Cost.). Un'ordinaria  programmazione  delle  assunzioni
copre un arco temporale triennale: l'art.  14,  comma  7,  e'  dunque
illegittimo nella  parte  in  cui  non  prevede  la  possibilita'  di
articolare la riduzione di spesa in un arco di tempo almeno triennale
o comunque sufficiente per un mutamento  di  indirizzo  da  parte  di
quelle  amministrazioni  che  non  hanno  ridotto  la  spesa  per  il
personale  nel  rispetto  delle  condizioni   fissate   dalla   norma
previgente. 
    E'  chiara  inoltre  la  violazione  del   principio   di   leale
collaborazione nell'assenza di una procedura in  contraddittorio  per
l'accertamento del superamento dei limiti posti dalla norma. 
    L'art. 14, comma 9, sostituisce  l'art.  76,  comma  7,  d.l.  n.
112/2008 nel modo seguente: «E' fatto divieto  agli  enti  nei  quali
l'incidenza delle spese di personale e' pari o superiore al 40% delle
spese correnti di procedere ad assunzioni di  personale  a  qualsiasi
titolo e con qualsivoglia tipologia  contrattuale;  i  restanti  enti
possono procedere ad assunzioni di personale nel limite  del  20  per
cento  della   spesa   corrispondente   alle   cessazioni   dell'anno
precedente». Tale disposizione si applica a decorrere dal 1°  gennaio
2011, con riferimento alle cessazioni verificatesi nell'anno 2010. 
    Tale norma pone limiti  rigidi  alle  assunzioni,  in  violazione
degli artt. 117, comma 3 e comma  4  (in  relazione  alla  competenza
regionale sul personale e sulla propria organizzazione), e 119 Cost.,
e dunque esorbitando cosi' dal potere statale  di  dettare  norme  di
principio in materia di coordinamento della  finanza  pubblica:  come
codesta ecc.ma Corte costituzionale  ha  gia'  in  diverse  occasioni
accertato e stabilito in relazione a norme di questo tipo (v.  sentt.
nn. 95/2008, 88/2006, 390/2004). 
    L'art.  14,  comma  32,  pone  limiti   molto   stringenti   alla
possibilita' per i comuni di costituire societa'. 
    Esso stabilisce che, «fermo quanto previsto  dall'art.  3,  commi
27, 28 e 29, della legge 24 dicembre  2007,  n.  244,  i  comuni  con
popolazione  inferiore  a  30.000  abitanti  non  possono  costituire
societa'», e che entro il 31  dicembre  2011  «i  comuni  mettono  in
liquidazione le societa' gia' costituite  alla  data  di  entrata  in
vigore del presente decreto, ovvero ne cedono le partecipazioni»; che
tale  norma  «non  si  applica  alle  societa',  con   partecipazione
paritaria ovvero con partecipazione  proporzionale  al  numero  degli
abitanti, costituite da piu' comuni la  cui  popolazione  complessiva
superi i 30.000 abitanti»; che i comuni «con popolazione compresa tra
30.000 e 50.000 abitanti possono detenere la  partecipazione  di  una
sola societa'»; che entro il 31  dicembre  2011  «i  predetti  comuni
mettono in liquidazione le altre societa' gia' costituite». 
    Infine, si dispone che «con decreto del Ministro per  i  rapporti
con le regioni e per la coesione  territoriale,  di  concerto  con  i
Ministri dell'economia e delle  finanze  e  per  le  riforme  per  il
federalismo,... sono determinate le modalita' attuative del  presente
comma nonche' ulteriori ipotesi di esclusione dal relativo ambito  di
applicazione». 
    L'art. 14, comma 32, pone limiti rigidi e non temporanei  ad  una
voce specifica di  spesa  dei  comuni:  esso,  dunque,  ha  carattere
dettagliato e invade la competenza legislativa regionale  in  materia
di coordinamento della finanza pubblica (art. 117, comma  3,  Cost.).
Infatti, il carattere e la stessa rigidita' dei limiti del  comma  32
mostrano che la sua ratio non e' la tutela  della  concorrenza  (ne',
ovviamente, l'ordinamento civile) ma solo  il  risparmio  nell'azione
amministrativa locale, e che dunque la materia di riferimento non  e'
una materia statale esclusiva, ma una materia regionale con  potesta'
statale concorrente. 
    Esso,  sempre  per  il  suo  carattere  dettagliato,  lede  anche
l'autonomia organizzativa e finanziaria dei comuni (art.  114,  comma
2, e art. 119  Cost.),  che  -  come  gia'  visto  -  la  Regione  e'
legittimata a difendere davanti a codesta Corte.  Tale  autonomia  e'
lesa anche  per  l'irragionevolezza  della  norma,  che  tiene  conto
soltanto della dimensione dei comuni, senza considerare la  solidita'
economica delle societa', la natura dei servizi  resi  e  l'eventuale
produzione di utili. 
    L'ultimo periodo del comma 32 prevede un d.m.  che  ha  contenuto
sostanzialmente regolamentare, con conseguente  violazione  dell'art.
117, comma 6, Cost., dato che esso interviene in materia concorrente.
Codesta  Corte  piu'  volte  ha  applicato  criteri  sostanziali  per
qualificare un d.m. come normativo o meno (v. le sentt. nn. 274/2010,
88/2003, punto 3 Diritto; 12/2004, 328/2006, 94/2007). 
    In ogni modo, risulta anche paradossale che nel  procedimento  di
codecisione del decreto  sia  coinvolto  il  Ministro  competente  al
livello statale per il «federalismo», ma non siano affatto  coinvolte
le  sedi  istituzionali  di  confronto  con  le  Regioni,  in  aperta
violazione anche del principio di leale  collaborazione,  per  omessa
previsione   della   necessita'   dell'intesa   con   la   Conferenza
Stato-Regioni o Unificata. 
6) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 15, comma 6-ter, lett.
b) e d), e comma 6-quater. 
    Il comma 6-ter dell'art. 15 modifica l'art. 12 d.lgs. n. 79/1999,
in materia di concessioni idroelettriche. La lett. b) del comma 6-ter
aggiunge nell'art. 12 il comma 1-bis, stabilendo  che,  «al  fine  di
consentire il rispetto del  termine  per  l'indizione  delle  gare  e
garantire  un  equo  indennizzo  agli  operatori  economici  per  gli
investimenti effettuati ai sensi dell'articolo 1,  comma  485,  della
legge 23 dicembre 2005, n. 266, le concessioni di cui al comma 1 sono
prorogate di cinque anni». 
    Anche la lett. d) prevede una proroga,  sostituendo  il  comma  8
dell'art. 12 e disponendo quanto  segue:  «in  attuazione  di  quanto
previsto dall'articolo 44, secondo comma, della Costituzione, e  allo
scopo di consentire la sperimentazione di forme di  compartecipazione
territoriale nella gestione, le  concessioni  di  grande  derivazione
d'acqua per uso idroelettrico in vigore... alla data del 31  dicembre
2010, ricadenti in tutto o in  parte  nei  territori  delle  province
individuate mediante i criteri di  cui  all'articolo  1,  comma  153,
della legge 27 dicembre 2006, n. 296, le quali  siano  conferite  dai
titolari, anteriormente alla  pubblicazione  del  relativo  bando  di
indizione della gara di cui al  comma  1  del  presente  articolo,  a
societa' per azioni a composizione mista pubblico-privata partecipate
nella misura complessiva minima del 30 per cento e massima del 40 per
cento del capitale sociale dalle province  individuate  nel  presente
comma e/o da societa' controllate dalle medesime, fermo in  tal  caso
l'obbligo  di  individuare  gli  eventuali  soci  delle  societa'   a
controllo provinciale mediante procedure competitive, sono  prorogate
a condizioni immutate per un periodo di anni  sette,  decorrenti  dal
termine della concessione quale  risultante  dall'applicazione  delle
proroghe di cui al comma l-bis». 
    Il  comma  6-quater  dell'art.  15  statuisce,   poi,   che   «le
disposizioni dei commi 6, 6-bis e  6-ter  del  presente  articolo  si
applicano fino all'adozione di diverse  disposizioni  legislative  da
parte delle regioni, per quanto di loro competenza». Dunque,  sia  la
lett. b) che la lett. d) del comma 6-ter  prevedono  una  proroga  di
concessioni di grande derivazione d'acqua per uso idroelettrico: esse
intervengono   nella   materia   della   «produzione,   trasporto   e
distribuzione nazionale  dell'energia»,  attribuita  alla  competenza
legislativa concorrente delle regioni (art.  117,  comma  3,  Cost.).
L'illegittimita'  di  tali  norme  risulta  dalle  ragioni  poste   a
fondamento della sent.1/2008 di codesta Corte, che ha  annullato  una
disposizione (art. 1, comma 485, legge n. 266/2005) che prorogava  di
10 anni le concessioni esistenti. La Corte  ha  dichiarato  la  norma
«lesiva delle competenze regionali, in quanto la  previsione  di  una
proroga di dieci anni delle concessioni in atto costituisce una norma
di dettaglio» (punto 8.5 del Diritto). 
    Si puo' ricordare anche la sent. n. 340/2009,  secondo  la  quale
«la relazione tra normativa di principio e normativa di dettaglio  va
intesa nel  senso  che  alla  prima  spetta  prescrivere  criteri  ed
obiettivi, essendo  riservata  alla  seconda  l'individuazione  degli
strumenti concreti da utilizzare  per  raggiungere  detti  obiettivi»
(nel medesimo senso, v. la sent. n. 237/2009). 
    Del resto, il carattere dettagliato  delle  norme  contenute  nel
comma  6-ter  e'  confermato  dallo  stesso   comma   6-quater,   che
attribuisce ad esse carattere cedevole. 
    Oltre a violare l'art. 117, comma 3, Cost., le norme in questione
ledono anche  le  competenze  amministrative  regionali,  perche'  la
previsione della proroga dei rapporti concessori preclude l'esercizio
da parte della Regione delle funzioni ad essa spettanti in materia di
gestione del demanio idrico (v. art. 118 Cost., artt. 86  ss.  d.lgs.
n. 112/1998 e d.P.C.m. 12 ottobre 2000). 
    Quanto al comma 6-quater, esso si pone in  contrasto  con  l'art.
117, comma 3, Cost., perche' nelle materie concorrenti lo  Stato  non
puo' adottare norme di dettaglio neppure con carattere cedevole. Gia'
prima del 2001 le norme di dettaglio cedevoli erano ammesse  solo  in
casi limitati (per rendere applicabili  nuove  leggi  cornice  o  per
evitare l'inadempimento di obblighi internazionali).  Dopo  la  legge
cost. n. 3/2001, da piu' parti si e' affermata l'inammissibilita'  di
norme statali di dettaglio nelle materie concorrenti, e anche codesta
Corte ha osservato che «la nuova formulazione dell'art. 117, comma 3,
rispetto  a  quella  previgente  dell'art.  117,  comma  1,   esprime
l'intento di una piu' netta distinzione fra la competenza regionale a
legiferare in queste materie e la competenza statale,  limitata  alla
determinazione dei principi fondamentali della disciplina» (sent.  n.
282/2002, punto 4). 
    Comunque, anche qualora si ritenessero ammissibili norme  statali
di dettaglio cedevoli in casi determinati (per rendere operanti nuove
leggi  cornice  o  per  rendere  operative  funzioni   amministrative
attratte in sussidiarieta'), il comma  6-quater  sarebbe  illegittimo
perche' non puo' fondarsi su tali giustificazioni. 
7) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 49, comma 3, lett. b),
comma 4, comma 4-bis e comma 4-ter. 
    Il comma 3 dell'art. 49 modifica l'art. 14-quater della legge  n.
241/1990, intitolato Effetti del dissenso espresso  nella  conferenza
di servizi. 
    La lett. b) di tale comma sostituisce i commi 3, 3-bis,  3-ter  e
3-quater dell'art. 14-quater con il seguente: 
        «3. Al di fuori dei casi  di  cui  all'articolo  117,  ottavo
comma, della Costituzione, e  delle  infrastrutture  ed  insediamenti
produttivi strategici e di preminente  interesse  nazionale,  di  cui
alla parte seconda, titolo terzo, capo quarto del decreto legislativo
12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, nonche' dei  casi
di  localizzazione  delle  opere  di  interesse  statale,  ove  venga
espresso motivato dissenso da parte  di  un'amministrazione  preposta
alla tutela ambientale,  paesaggistico-territoriale,  del  patrimonio
storico-artistico  o  alla  tutela  della  salute  e  della  pubblica
incolumita', la questione, in attuazione e nel rispetto del principio
di leale collaborazione e dell'articolo 120  della  Costituzione,  e'
rimessa  dall'amministrazione  procedente  alla   deliberazione   del
Consiglio dei Ministri,  che  si  pronuncia  entro  sessanta  giorni,
previa intesa con la regione o le  regioni  e  le  Province  autonome
interessate, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale e una
regionale o tra piu' amministrazioni regionali, ovvero previa  intesa
con la regione e gli enti locali interessati, in caso di dissenso tra
un'amministrazione statale o regionale e un ente locale  o  tra  piu'
enti locali. Se l'intesa  non  e'  raggiunta  nei  successivi  trenta
giorni, la deliberazione  del  Consiglio  dei  Ministri  puo'  essere
comunque adottata. Se il motivato dissenso e' espresso da una regione
o  da  una  provincia  autonoma  in  una  delle  materie  di  propria
competenza, il Consiglio  dei  Ministri  delibera  in  esercizio  del
proprio potere sostitutivo con la partecipazione dei Presidenti delle
Regioni o delle Province autonome interessate.». 
    Il comma 4 dell'art. 49 d.l. n. 78/2010 modifica l'art. 29, comma
2-ter, legge n. 241/1990, aggiungendo la «conferenza di servizi»  fra
gli istituti che secondo la  disposizione  «attengono...  ai  livelli
essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo  comma,
lettera m), della Costituzione». 
    In sintesi, il nuovo art. 14-quater, comma 3, legge  n.  241/1990
prevede: a) un potere sostitutivo del Consiglio dei ministri ex  art.
120 Cost. in relazione a certi casi in cui  vi  sia  un  dissenso  in
conferenza  di  servizi;  b)   un'intesa   «debole»   della   Regione
interessata, prima della delibera del Consiglio dei ministri;  c)  la
partecipazione dei presidenti delle regioni o delle province autonome
interessate alla seduta del Consiglio dei Ministri  «se  il  motivato
dissenso e' espresso da una Regione o da una  Provincia  autonoma  in
una delle materie di propria competenza». 
    L'ultimo periodo del nuovo comma 3  fa  specifico  riferimento  a
materie di competenza  della  Regione,  ma  anche  il  primo  periodo
menziona settori rientranti nella  competenza  regionale:  v.  l'art.
117, comma 3, Cost. («governo del territorio», «tutela della salute»,
«protezione civile»). 
    Ad avviso  della  ricorrente  Regione  sia  la  disposizione  che
prevede un potere sostitutivo del  Consiglio  dei  ministri,  sia  la
disposizione che prevede  un'intesa  di  carattere  debole  risultano
illegittime. 
    In primo luogo, e' palesemente violata l'autonomia amministrativa
regionale e, dunque, l'art. 118 Cost. Non si comprende, infatti,  per
quale ragione il dissenso espresso dalla Regione in materie regionali
debba implicare la competenza del Consiglio dei ministri. 
    Arbitrario e', in secondo  luogo,  il  tentativo  di  fondare  la
competenza del Consiglio dei ministri sul potere «sostitutivo»  dello
Stato ex art. 120 Cost., data  la  palese  mancanza  dei  presupposti
previsti da questa disposizione: il  «mancato  rispetto  di  norme  e
trattati  internazionali  o   della   normativa   comunitaria»   (qui
ovviamente fuori luogo), il «pericolo grave per  l'incolumita'  e  la
sicurezza pubblica», la «tutela dell'unita' giuridica  o  dell'unita'
economica e in particolare la tutela  dei  livelli  essenziali  delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali». 
    L'unico  «appiglio»  -  piu'  che  vero  collegamento  -  e'   il
riferimento ai livelli essenziali delle prestazioni, introdotto  -  a
proposito della conferenza di servizi - dal comma 4 dell'art. 49:  si
tratta, pero', come si vedra', di un  legame  del  tutto  arbitrario,
perche' l'attinenza dei procedimenti oggetto dell'art. 49,  comma  3,
ai livelli essenziali deve essere verificata  caso  per  caso  e,  in
determinate ipotesi,  questi  livelli  essenziali  potrebbero  essere
garantiti proprio dal dissenso delle amministrazioni poste  a  tutela
degli interessi «sensibili» menzionati dal comma 3.  Ne'  certo  puo'
essere in se' un  livello  essenziale  di  prestazione...  lo  stesso
potere decisorio statale: si ricordi, al contrario, che la competenza
alla decisione di ogni caso concreto non puo' che  essere  ricondotta
alle regole costituzionali di competenza, e  che  un  potere  statale
«sostitutivo» e' legittimo solo nell'ambito dei  presupposti  di  cui
all'art. 120. 
    Inoltre,  l'esercizio  del  potere  sostitutivo   presuppone   il
carattere obbligatorio dell'atto omesso (v. anche l'art. 8  legge  n.
131/2003), mentre l'art. 49, comma 3, non rispetta questo requisito. 
    Anche ove in denegata ipotesi risultasse legittima la devoluzione
della decisione al Consiglio dei ministri, o  nelle  ipotesi  in  cui
risultasse tale, illegittima rimane in ogni modo la previsione  della
possibilita' di fare a meno dell'intesa. Infatti, dato che  la  norma
impugnata si applica  in  materie  di  competenza  regionale,  questa
possibilita' viola il principio di leale collaborazione  nonche'  gli
artt. 117 e 118 Cost. 
    In queste materie, l'intesa con la Regione interessata dev'essere
necessariamente  «forte»  e  la  legge  statale  non  puo'  prevedere
meccanismi unilaterali per superare la mancata intesa,  come  risulta
da  una  consolidata  giurisprudenza   costituzionale.   Oltre   alle
fondamentali sentt. nn. 303/2003, 6/2004 e 62/2005, si puo' ricordare
qui la sent. n. 121/2010, che ha annullato una  norma  che  stabiliva
che «decorsi novanta giorni senza che sia stata raggiunta la predetta
intesa, gli accordi di programma possono essere comunque  approvati».
In quella occasione codesta Corte costituzionale ha sancito che «tale
norma vanifica la previsione dell'intesa, in  quanto  attribuisce  ad
una delle parti "un ruolo preminente,  incompatibile  con  il  regime
dell'intesa, caratterizzata [...]  dalla  paritaria  codeterminazione
dell'atto"; e che non e' legittima "la drastica previsione,  in  caso
di mancata intesa, della decisivita' della volonta' di una sola delle
parti,  la  quale  riduce  all'espressione  di  un  parere  il  ruolo
dell'altra"». 
    Ed anche la sent. n.  24/2007  ha  confermato  che,  per  ovviare
all'esigenza di «superare la situazione di stallo  determinata  dalla
mancata intesa» e per «dare concreta attuazione al principio di leale
collaborazione», spetta al legislatore «stabilire, semmai, un sistema
che imponga comportamenti rivolti allo scambio di informazioni e alla
manifestazione della volonta' di ciascuna delle parti  e,  in  ultima
ipotesi, contenga previsioni le quali  assicurino  il  raggiungimento
del risultato, senza la  prevalenza  di  una  parte  sull'altra  (per
esempio, mediante la indicazione di un soggetto terzo)». 
    La sent. n. 383/2005 ha anch'essa chiarito che l'art. 120,  comma
2, Cost.  «non  puo'  essere  applicato  ad  ipotesi...  nelle  quali
l'ordinamento  costituzionale  impone   il   conseguimento   di   una
necessaria  intesa  fra  organi  statali  e  organi   regionali   per
l'esercizio concreto  di  una  funzione  amministrativa  attratta  in
sussidiarieta'  al  livello  statale   in   materie   di   competenza
legislativa  regionale»;  la  Corte  ha  ribadito  che  «tali  intese
costituiscono condizione minima e imprescindibile per la legittimita'
costituzionale della disciplina legislativa statale che  effettui  la
"chiamata  in  sussidiarieta'"  di  una  funzione  amministrativa  in
materie affidate alla legislazione regionale, con la conseguenza  che
deve trattarsi di vere e proprie intese "in senso  forte",  ossia  di
atti a struttura necessariamente bilaterale, come tali non superabili
con decisione unilaterale di una delle  parti».  L'esigenza  «che  il
conseguimento di queste intese sia  non  solo  ricercato  in  termini
effettivamente ispirati alla reciproca leale collaborazione, ma anche
agevolato  per  evitare  situazioni  di  stallo,  potra'   certamente
ispirare  l'opportuna  individuazione,  sul  piano  legislativo,   di
procedure  parzialmente  innovative  volte  a   favorire   l'adozione
dell'atto  finale  nei  casi  in  cui  siano  insorte  difficolta'  a
conseguire l'intesa, ma tali procedure  non  potranno  in  ogni  caso
prescindere dalla permanente garanzia della posizione paritaria delle
parti coinvolte»;  e  «nei  casi  limite  di  mancato  raggiungimento
dell'intesa, potrebbe essere utilizzato, in ipotesi, lo strumento del
ricorso a questa Corte in sede di conflitto di attribuzione fra Stato
e Regioni». 
    Utile e' anche richiamare la sent. 378/2005:  «e'  ben  vero  che
questa Corte ha talvolta ritenuto  che  l'istanza  costituita,  quale
vertice  del  potere  politico-amministrativo,  dal   Consiglio   dei
ministri fosse adeguata a superare lo stallo determinato dal  mancato
raggiungimento dell'intesa, ma cio' ha fatto in ipotesi  nelle  quali
non solo vi era una particolarmente pressante esigenza di  provvedere
(sentenza n. 6 del 2004), ma vi era altresi' un intreccio con materie
di competenza legislativa esclusiva dello Stato (sentenza n.  62  del
2005)». Diversamente - e come nel caso di  specie  -  «il  meccanismo
escogitato per superare la situazione  di  paralisi  determinata  dal
mancato raggiungimento dell'intesa e' tale da svilire  il  potere  di
codeterminazione riconosciuto alla Regione, dal momento che  la  mera
previsione della possibilita' per il Ministro di far prevalere il suo
punto di vista, ottenendone l'avallo dal Consiglio dei  ministri,  e'
tale da rendere quanto mai debole, fin dall'inizio del  procedimento,
la posizione della Regione che non condivida l'opinione del  Ministro
e da incidere sulla effettivita' del potere di codeterminazione  che,
ma (a questo punto) solo apparentemente, l'art. 8, comma 1,  continua
a riconoscere alla Regione». 
    Ne' la mancata previsione di un'intesa  «forte»  puo'  essere  in
alcun  modo  surrogata  dalla  partecipazione  dei  presidenti  delle
regioni  o  delle  province  autonome  interessate  alla  seduta  del
Consiglio dei ministri  che  esercita  il  potere  sostitutivo:  tale
partecipazione si limita a «portare»  nel  Consiglio  la  voce  della
Regione, senza tradursi  in  un  potere  di  «codeliberazione».  Essa
potra' costituire una  qualche  garanzia  nelle  ipotesi  in  cui  il
ricorso  alla  competenza  statale  governativa  sia   necessaria   e
giustificata sulla base di altro fondamento  costituzionale,  ma  non
puo' ovviamente costituire  autonomo  fondamento  costituzionale  del
potere statale. 
    Le  disposizioni  impugnate  sono  dunque  illegittime   per   la
violazione  dell'autonomia  amministrativa  della   Regione   e   del
principio di leale collaborazione. 
    L'art. 49, comma 4, novellando l'art. 29 della legge n. 241/1990,
attribuisce alle disposizioni della stessa legge n.  241  concernenti
la «conferenza di  servizi»  il  carattere  di  norme  attinenti  «ai
livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo
comma, lettera m),  della  Costituzione»,  con  l'evidente  scopo  di
renderle vincolanti - e addirittura direttamente operanti  -  per  le
regioni, secondo lo statuto proprio delle materie esclusive statali. 
    Poiche' le ragioni della incostituzionalita' del comma 4  valgono
anche per il comma 4-ter, esse verranno  argomentate  oltre  in  modo
unitario, con riferimento a questa ultima disposizione. 
    L'art. 49, comma 4-bis, legge  n.  133/2010  prevede  l'integrale
sostituzione  dell'art.  19  legge  n.  241/1990  -   relativo   alla
dichiarazione di inizio attivita'  -  con  il  nuovo  istituto  della
«segnalazione certificata di inizio attivita'» (c.d. «Scia»). 
    Rispetto  alla  versione  precedente,  il  nuovo  art.   19   si'
caratterizza per il fatto di prevedere sempre la  facolta'  di  avvio
immediato dell'attivita', contestualmente  alla  presentazione  della
segnalazione: generalizzando cosi' la previsione gia'  contenuta  nel
d.lgs. 26 marzo 2010, n.  59,  di  recepimento  della  direttiva  del
Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006, n. 123 (c.d.
«Direttiva servizi»), che aveva reintrodotto - per  le  attivita'  di
cui alla medesima direttiva - la Dia «ad effetto immediato». 
    Si ripropone in tal modo, in chiave generale,  la  configurazione
originariamente prevista per la Dia dal legislatore del  1990,  quale
dichiarazione contestuale all'avvio dell'attivita'. 
    Sotto tale profilo, tuttavia, la nuova  regola  va  anche  oltre.
Infatti, la scomparsa della  precisazione  contenuta  nel  precedente
vecchio comma 4 dell'art. 19 legge n. 241/1990  (il  quale  stabiliva
che «restano ferme le disposizioni di  legge  vigenti  che  prevedono
termini diversi da quelli  di  cui  ai  commi  2  e  3  per  l'inizio
dell'attivita'  e  per  l'adozione  da   parte   dell'amministrazione
competente di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attivita'
e di rimozione  dei  suoi  effetti»)  -  unitamente  alla  previsione
contenuta nell'art. 49, comma 4-ter, legge n. 122/2010  (secondo  cui
«la disciplina di cui al comma 4-bis sostituisce direttamente,  dalla
data di entrata in vigore della legge  di  conversione  del  presente
decreto, quella della dichiarazione di  inizio  attivita'  recata  da
ogni normativa statale e regionale») depone nel senso di ritenere che
alla nuova  Scia  debba  essere  integralmente  ricondotta  anche  la
preesistente disciplina in materia di «Dia edilizia»: la quale,  fino
ad ora, aveva mantenuto profili di autonomia rispetto al  modello  di
Dia generale. 
    Nel senso dell'integrale sostituzione della Dia edilizia  con  la
nuova Scia si e'  espressa  anche  la  nota  16  settembre  2010  del
Ministero per la semplificazione normativa:  la  quale  -  oltre  che
sulla base dei profili dinanzi indicati - perviene a tale conclusione
anche alla  luce  delle  indicazioni  emerse  nel  corso  dei  lavori
parlamentari (ove  si  legge  che  «la  norma  ha  anche  un  profilo
abrogativo  della  normativa  statale  difforme,  per  cui  si   deve
intendere che ad essa va ricondotta anche la denuncia  di  inizio  di
attivita' edilizia, disciplinata dagli articoli 22 e 23 del d.P.R. n.
380/2001»), nonche'  in  considerazione  dell'innovativo  riferimento
-contenuto nel comma 1 del nuovo art. 19 legge  n.  241/1990  -  alle
«asseverazioni di tecnici abilitati»: espressione  che  richiama  per
l'appunto il contenuto dell'art. 23 d.P.R.  n.  380/2001  (il  quale,
come noto, stabilisce che la Dia edilizia sia  «accompagnata  da  una
dettagliata relazione a firma di un  progettista  abilitato  e  dagli
opportuni elaborati progettuali, che asseveri  la  conformita'  delle
opere da realizzare agli strumenti urbanistici  approvati  e  non  in
contrasto con quelli adottati  ed  ai  regolamenti  edilizi  vigenti,
nonche'  il  rispetto  delle  norme  di   sicurezza   e   di   quelle
igienico-sanitarie»). 
    Su  tali  basi,  ritiene  la  ricorrente  Regione  che  la  nuova
disciplina della Scia risulti incostituzionale e lesiva delle proprie
prerogative sotto molteplici profili. Innanzitutto - con  riferimento
agli ambiti non  edilizi  -  la  dettagliata  previsione  dei  moduli
procedimentali della Scia (che, ai sensi del comma 4-ter del medesimo
art.  49   legge   n.   122/2010,   sono   destinati   a   sostituire
automaticamente tutte le discipline  regionali  in  materia  di  Dia)
finisce per invadere la  competenza  regionale  in  molti  ambiti  di
legislazione residuale regionale ex art.  117,  comma  4,  Cost.:  in
particolare con  riferimento  a  commercio,  artigianato,  turismo  e
attivita' produttive in genere. La lesione  cosi'  determinata  delle
prerogative regionali non  e'  certo  esclusa  in  conseguenza  della
autoqualificazione recata dal comma 4-ter  (specificamente  impugnato
oltre). 
    Al contempo, la puntuale disciplina delle modalita' di intervento
attraverso l'esercizio del potere di inibizione  e  di  conformazione
dell'attivita' - quale prevista al comma 3 del nuovo art. 19 legge n.
241/1990 interferisce con i poteri di controllo il cui  esercizio  e'
attribuito alle amministrazioni locali:  con  conseguente  violazione
dell'art. 114, comma 2, Cost., che riconosce l'autonomia  dei  poteri
degli enti locali, e dell' art. 118, comma 1, Cost. che riconosce  le
funzioni amministrative dei comuni. 
    Con  riferimento  specifico  alla  Dia  edilizia,  si   ribadisce
innanzitutto come la previsione per cui la Scia consente in ogni caso
l'immediato avvio dell'attivita' rappresenta una regola di dettaglio,
in quanto tale preclusa allo  Stato  in  una  materia  -  quella  del
governo del territorio (cui, come noto, e' riconducibile  l'edilizia)
- demandata alla potesta' legislativa  concorrente:  con  conseguente
limitazione della potesta' statale alla sola fissazione dei principi. 
    Al riguardo, si rammenta come nella sentenza n. 303/2003  codesta
Corte abbia riconosciuto  che  rappresenta  principio  necessario  la
«compresenza nella legislazione di titoli abilitativi  preventivi  ed
espressi [permesso di costruire] e taciti, quale e' la Dia». 
    Ma naturalmente altro e' la  previsione  di  siffatto  principio,
altro e' la pretesa statuale di disciplinare nei minimi dettagli  gli
aspetti procedimentali di tali  titoli,  incluso  -  con  riferimento
specifico alla Dia - la regola  che  stabilisce  dopo  quanti  giorni
dalla presentazione della segnalazione (nessuno, in questo  caso)  e'
possibile iniziare l'attivita'. 
    E' chiaro infatti, che in questo modo, il legislatore statale non
si limita a fissare regole di principio, ma interviene a disciplinare
i dettagli della materia. Nell'imporre non solo la Dia - ora  Scia  -
in luogo del permesso edilizio,  ma  nel  disciplinare  le  modalita'
stesse  di  funzionamento  della  Scia,  il  momento  nel  quale   il
«segnalante» puo' realizzare  il  progetto  (piu'  che  iniziare  una
attivita',  come  la  denominazione  dovrebbe   far   pensare),   nel
disciplinare i tempi ed i limiti del potere  o  dovere  di  controllo
dell'amministrazione lo Stato ha chiaramente superato i limiti  della
propria potesta' legislativa concorrente di principio in  materia  di
governo del territorio, come posta  dalla  Costituzione  e  precisata
dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte  costituzionale  (v.  da
ultimo sentenza n. 278 del 2010,  ove  si  accerta  che  spetta  alle
Regioni, e non allo Stato, di disciplinare i casi nei quali strutture
residenziali mobili nei  campeggi  possono  essere  realizzate  senza
alcun adempimento). 
    Di qui, una prima ragione di  illegittimita'  per  contrasto  con
l'art. 117, comma 3, Cost. 
    Sotto altro profilo, si deve poi osservare come l'estensione alla
Dia  edilizia  della  facolta'  di  immediato  inizio  dell'attivita'
(prevista al comma  2  del  novellato  art.  19  legge  n.  241/1990)
determini ulteriori criticita',  in  considerazione  della  peculiare
materia cui si riferisce. 
    La  questione  attiene  in  particolare  all'ipotesi  in  cui  un
soggetto inizi l'attivita' pur in assenza dei presupposti  di  legge:
sulla base di  una  Scia  che  contiene  false  dichiarazioni  o  che
comunque e' altrimenti errata. 
    Ferma restando la rivendicazione  della  competenza  regionale  a
disporre in materia, nei settori commerciali  l'immediato  inizio  di
attivita' - pur in assenza dei presupposti  richiesti  -  non  appare
particolarmente  grave.   Nella   normalita'   dei   casi,   infatti,
l'attivazione del potere inibitorio e di  rimozione  degli  eventuali
effetti dannosi medio  tempore  prodotti  (art.  19,  comma  3)  puo'
risultare idoneo (perlomeno astrattamente) a tutelare  gli  interessi
protetti dalle normative che prevedono il previo  titolo  abilitativo
(sostituito dalla Scia): dal momento che si  tratta  di  settori  nei
quali le attivita' svolte, in linea di principio, non  appaiono  tali
da determinare effetti irreversibili. 
    Discorso completamente diverso vale, invece, con riferimento alla
Dia edilizia. L'attivita' edilizia infatti, per sua natura, determina
immediatamente una materiale - e  potenzialmente  assai  rilevante  -
alterazione del territorio. 
    E' pur vero che, a seguito dell'intervento  dell'amministrazione,
gli interventi potrebbero essere fisicamente rimossi e la  situazione
pregressa ripristinata. 
    Tale ripristino, tuttavia, non sempre e' possibile: sia sotto  il
profilo materiale (si veda al riguardo quanto disposto dall'art.  33,
comma 2, d.P.R. n. 380/2001, il quale  espressamente  si  occupa  dei
profili sanzionatori di opere abusive in relazione alle quali non sia
possibile il ripristino dello stato dei luoghi) sia per gli eccessivi
costi che il ripristino potrebbe comportare. 
    Ne' si dica - con riferimento a tale ultima ipotesi  -  che  tali
oneri ricadrebbero comunque necessariamente sui privati  trasgressori
che hanno dato inizio alla attivita' di trasformazione in assenza dei
presupposti. 
    E'  infatti  possibile  (soprattutto  nel  caso   di   interventi
complessi e costosi) che questi non abbiano le risorse per provvedere
al ripristino. Si pensi al caso di una societa' che - in  conseguenza
dell'elevato  costo  del  ripristino  -  fallisca  (o  venga   «fatta
fallire», per evitare l'esborso). In tali ipotesi, la possibilita' di
dare reale seguito alla «rimozione degli effetti dannosi» si verrebbe
oltremodo complicando. 
    Ma anche al di fuori  di  siffatta  eventualita',  il  meccanismo
dell'esecuzione in danno rappresenta comunque una soluzione che -  in
sede pratica - si presenta di disagevole attivazione. 
    Del resto, sono ben note e rientrano  nell'esperienza  comune  le
enormi difficolta' - ed i costi - che le  Amministrazioni  incontrano
nell'ottenere la demolizione degli intereventi abusivi. 
    In tale contesto e' importante  sottolineare  come,  ai  fini  di
quanto si viene dicendo, sia del tutto irrilevante la circostanza che
gli interventi abusivamente eseguiti  in  assenza  o  in  difformita'
dalla Dia siano sottoposti - in linea generale (e salvo eccezioni)  -
alla sola  sanzione  pecuniaria  ai  sensi  dell'art.  37  d.P.R.  n.
380/2001. 
    In primo luogo, infatti, si osserva come  il  tempestivo  impiego
del potere inibitori da  parte  delle  amministrazioni  comunali  era
comunque in grado di prevenire in radice  la  commissione  dell'abuso
(cosa naturalmente preferibile  rispetto  alla  misura  sanzionatoria
successiva) anche con riferimento a tipologie  di  interventi  che  -
ancorche'  non  consentite  nel  caso  concreto  -  fossero  comunque
astrattamente riconducibili all'ambito di applicabilita' della Dia. 
    Ma, soprattutto, l'uso preventivo del potere  inibitorio  era  in
grado di impedire il verificarsi dell'eventualita' - ben piu' grave -
in cui il privato presentasse una Dia per realizzare  interventi  che
avrebbero invece richiesto il rilascio del permesso di  costruire  (e
che tuttavia non lo avrebbero concretamente potuto conseguire per  il
contrasto con la disciplina - normativa o di piano - di riferimento).
In  tali  casi,  le  amministrazioni  comunali  erano  in  grado   di
intervenire bloccando l'esecuzione del lavori prima dell'inizio della
loro esecuzione, mentre cio' non  sarebbe  ora  piu'  possibile:  con
tutti  i  conseguenti  problemi  di  cui  s'e'  detto  (ivi  compresa
l'impossibilita' - in determinati casi - di disporre la rimessione in
pristino: cfr. il citato art. 33, comma 2, d.P.R. n. 380/2001). 
    Su queste premesse, e' chiaro che la  totale  eliminazione  della
possibilita' delle amministrazioni (virtuose) di  operare  un  seppur
rapido esame preventivo dei  progetti,  allo  scopo  di  impedire  in
radice la realizzazione degli abusi, appare non solo  una  violazione
della competenza regionale, ma anche una violazione del principio  di
ragionevolezza  e  di  buon  andamento  dell'amministrazione  di  cui
all'art. 97, comma primo, Cost.: una violazione  che  la  Regione  e'
legittimata ad impugnare in quanto essa si traduce in una limitazione
della propria potesta' legislativa. 
    D'altronde, le evidenti specificita' del settore erano la ragione
per la quale il legislatore del 2005 - nel sostituire  alla  denuncia
la dichiarazione di inizio attivita' con  la  previsione  di  diverse
regole di carattere generale, ritenute  applicabili  anche  alla  Dia
edilizia  (si  pensi  ad  esempio,  alla  previsione  del  potere  di
autotutela) - aveva pero' opportunamente ritenuto di mantenere alcune
peculiarita'  della  Dia  edilizia,  stabilendo  in  particolare  che
«restano ferme le disposizioni di legge vigenti che prevedono termini
diversi da quelli di cui ai commi 2 e 3 per l'inizio dell'attivita' e
per  l'adozione   da   parte   dell'amministrazione   competente   di
provvedimenti  di  divieto  di  prosecuzione  dell'attivita'   e   di
rimozione dei suoi effetti» (vecchio art. 19, comma 4). 
    Del  tutto  irragionevolmente,  la  disposizione  qui   censurata
elimina  tale  clausola  di  salvezza:  spogliando  la   tutela   del
territorio di questa - pur tenue - forma di tutela. In tal modo, essa
determina un inammissibile sbilanciamento  a  favore,  apparentemente
(ma si veda quanto si dira' subito di seguito), dell'interesse ad una
rapida  (rectius immediata) definizione delle  procedure  abilitative
edilizie: ma  sacrificando  in  misura  del  tutto  irragionevole  ed
ingiustificata - ed evidentissima -  le  esigenze  della  tutela  del
territorio nonche' quelle organizzative delle stesse  amministrazioni
cui e' affidato il potere di verifica: le quali - in un  contesto  in
cui le notorie  e  crescenti  difficolta'  di  bilancio  dello  Stato
impongono  sempre  maggiori  tagli  alle  risorse  e  restrizioni  di
personale - si vedranno  costrette,  con  i  sempre  minori  mezzi  a
disposizione, ad «inseguire i cantieri» che potrebbero spuntare da un
giorno all'altro sull'intero territorio comunale. 
    Per non dire, poi, dell'interesse dei terzi che  si  vedano  lesi
dall'attivita' costruttiva: la cui posizione - gia'  tradizionalmente
sofferta, come  ben  noto,  in  materia  di  Dia  edilizia  -  verra'
ulteriormente pregiudicata. 
    D'altra parte, come accennato, non e' nemmeno del tutto certo che
la novella qui  contestata  vada  realmente  nel  senso  di  tutelare
l'effettivo interesse del costruttore. 
    Chi realizza  un  intervento  edilizio,  infatti,  ha  certamente
interesse a conoscere in tempi rapidi e certi se puo' o non puo' dare
corso a tale intervento. Ma altrettanto certamente  ha  interesse  ad
operare in quadro di regole sicure: conoscendo in anticipo se  quanto
sta realizzando e' o non e' conforme a diritto. 
    Sotto tale profilo, l'immediato inizio  dei  lavori  accentua  il
rischio che quanto e' in corso di realizzazione venga in  seguito  ad
incorrere nell'esercizio (ora solo successivo) del potere inibitorio.
Con esiti potenzialmente in  grado  di  danneggiare  tutte  le  parti
interessate: sia l'amministrazione ed il terzo (che  si  troverebbero
fisicamente  di  fronte  ad  opere  gia'  realizzate  e  delle  quali
dovrebbero preoccuparsi di ottenere la  demolizione)  che  lo  stesso
costruttore, che si vede l'intervento bloccato in corso d'opera,  con
enorme aumento dei costi. 
    Per tale via,  il  pesante  sacrificio  che  viene  imposto  agli
interessi  contrapposti  di  cui  s'e'  detto,  non   viene   nemmeno
bilanciato da un risolutivo vantaggio  a  favore  dell'interesse  del
costruttore. 
    Per le ragioni fin  qui  esposte,  il  nuovo  art.  19  legge  n.
241/1990,  come  modificato  dall'art.  49,  comma  4-bis,  legge  n.
122/2010, appare costituzionalmente illegittimo nel  suo  comma  2  -
nella parte in cui prevede la possibilita'  di  iniziare  l'attivita'
costruttiva alla data della presentazione della  segnalazione  (senza
prevedere una  clausola  di  salvezza  per  le  diverse  disposizioni
previste per la Dia edilizia) - per contrasto con l'art. 3 Cost.  per
violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalita',  e  con
l'art.  97  Cost.,  per  violazione  del  principio  buon   andamento
dell'attivita' amministrativa. 
    Nella misura in cui interferisce con i  poteri  di  controllo  di
comuni e regioni sull'attivita' edilizia, la disposizione e' altresi'
illegittima per violazione degli artt. 114 e 118 Cost. 
    Per opportuna completezza, si noti come la previsione che  si  e'
appena effettuata -  circa  gli  effetti  che  la  Scia,  cosi'  come
disciplinata dalle contestate  disposizioni,  avrebbe  sul  «sistema»
edilizio - non sia il frutto di una visione pessimistica delle cose o
di uno strumentale allarmismo. 
    Essa rappresenta invece la logica conseguenza della presa  d'atto
che (sotto il profilo che qui  rileva)  la  Scia  non  fa  altro  che
estremizzare gli effetti di un sistema - quello della Dia -  che  nel
corso di un ventennio ha gia' dato cattiva prova  di  se',  palesando
rilevanti  limiti  e  determinando  oggettivi  problemi   di   tenuta
complessiva,  che  gli  addetti  ai  lavori  (giuristi  e  non)   ben
conoscono. 
    Tal difficolta' «sistemiche» emergono con chiarezza dalla lettura
degli innumerevoli contributi dottrinali in tema di Dia. 
    Ma esse sono state messe bene in luce anche dalla giurisprudenza. 
    A tale riguardo, sia consentito riportare alcuni brevi  passi  di
una pronuncia del Giudice amministrativo (Tar  Lombardia,  Milano,  7
luglio 2004, n. 3086), il quale - abbandonando per un istante la mera
valutazione del caso sottoposto alla sua attenzione -  svolge  alcune
significative considerazioni piu' generali sulla tenuta  del  sistema
Dia. 
    Osserva dunque il Tar come «la formula D.LA., se, da  una  parte,
semplifica il procedimento amministrativo  a  tutto  vantaggio  degli
amministratori e tecnici dell'amministrazione comunale (non certo  di
chi viene leso), dall'altra, finisce per paralizzare la stessa tutela
giurisdizionale. Questa viene .... 
        a)  attivata  necessariamente  ad  opere  iniziate   (ed   e'
difficile supporre il contrario), 
        b) a volte, "frenata" dal mancato accesso agli atti (cosi' e'
avvenuto anche nel caso in esame), 
        c)  forzatamente  gestita  da  una  struttura,   notoriamente
penalizzata da una cronica carenza di organico (dei magistrati e  del
relativo personale amministrativo), senza considerare che ...... 
        d) proprio quei magistrati (che non  ritengono  di  cavarsela
con la "non impugnabilita' della DIA",) sono spesso costretti a  fare
quello che, nei 20 gg. dalla presentazione della DIA, non hanno fatto
varie migliaia  di  soggetti  dei  vari  Comuni,  che  rientrano  nel
territorio di competenza giudiziaria, responsabili del  procedimento,
professionisti, impiegati  di  vario  livello  e  funzioni)»  (enfasi
originarie). 
    Tutto  cio',  in  un  contesto  in  cui   «la   normativa   sulle
asseverazioni di rito (comma 12 dell'art. 4 della legge n. n. 493/93)
ha dato piena fiducia al  professionista  qualificato,  affinche',  a
spese  del  privato  interessato,  svolga  la  pubblica  funzione  di
attestare la conformita' dell'opera, ma l'andazzo comportamentale  di
sottovalutare  il  dovere  (comma  15  dello  stesso   articolo)   di
denunciare le "false dichiarazioni" asseverate e  di  mandare  esenti
dal rischio di un giudizio penale chi avesse  abusato  della  fiducia
attribuitagli dalla legge, incrina esso stesso il sistema  DIA»  (Tar
Lombardia, Milano, 7 luglio 2004, n. 3086, cit.). 
    In  tale  sconfortante  quadro,   il   legislatore   -   anziche'
intervenire per cercare di porre gi opportuni correttivi - ha  deciso
all'opposto di rendere ancora piu'  squilibrata  la  Dia  (ora  Scia)
edilizia:  rimuovendo  anche  quella  tenue  garanzia   rappresentate
dall'inizio differenziato dei lavori. 
    Le considerazioni dinanzi  esposte  sono  destinate  ad  assumere
ancora maggiore  valenza  ove  si  condivida  quell'orientamento  che
ritiene la Scia applicabile in materia edilizia  al  posto  non  solo
della Dia «normale», ma anche della c.d. «super-dia», di cui all'art.
22, comma 3, d.P.R. n. 380/2001. 
    Il che aumenterebbe l'impatto gia' problematico dell'istituto. 
    Risultano  dunque  ancor  di  piu'  accentuati   i   profili   di
incostituzionalita' dinanzi indicati. 
    Il comma  4-ter  qui  impugnato  stabilisce,  come  si  e'  sopra
ricordato, che: a) la disciplina della Scia, nella sua  integralita',
attiene  alla  tutela  della  concorrenza   e   costituisce   livello
essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e  sociali,
ai sensi dell'art. 117, comma  2,  lett.  e)  ed  m),  Cost.;  b)  la
medesima disciplina  «sostituisce  direttamente  [...]  quella  della
dichiarazione di inizio attivita' recata da ogni normativa statale  e
regionale». 
    L'indicazione dei pretesi  «titoli»  della  disciplina,  e  degli
effetti sulla normativa precedente, anche di fonte  regionale,  rende
palese pure qui - come nel comma 4 - l'intendimento  del  legislatore
statale di  dettare  una  normativa  completa,  autosufficiente,  non
derogabile dai legislatori locali. Ma tanto  il  comma  4  quanto  il
comma 4-ter sono costituzionalmente illegittimi. 
    Premesso che la autoqualificazione operata dal legislatore non e'
vincolante  (sentt.  nn.  387/2007,  207/2010),  e'   da   contestare
anzitutto che le discipline sulla conferenza di servizi e sulla  Scia
attengano effettivamente ai «livelli essenziali delle prestazioni» di
cui alla lettera m) dell'art. 117, comma 2, Cost. 
    La giurisprudenza costituzionale  ha  in  effetti  precisato,  in
positivo, che la lettera m)  consente  allo  Stato  solo  di  fissare
«standard strutturali e qualitativi delle  prestazioni  da  garantire
agli  aventi  diritto»  (sentt.  nn.  10/2010,  207/2010).   Con   le
disposizioni  sulla  conferenza  di  servizi  e  sulla  Scia  non  si
stabilisce invece  alcuno  standard  quantitativo  o  qualitativo  di
prestazioni determinate, attinenti a questo o a quel «diritto» civile
o sociale garantito dalla stessa Costituzione (sentenze nn.  387/2007
e 10/2010). 
    Al contrario, viene regolato in  un  certo  modo  lo  svolgimento
della   attivita'   amministrativa,   in   settori   vastissimi    ed
indeterminati, alcuni di indiscutibile competenza regionale, quali il
governo del territorio, la tutela della salute,  l'ordinamento  degli
uffici  regionali,  l'artigianato,  il  turismo,  il  commercio  ...,
materie spettanti alla Regione in forza dell'art. 117, commi  3  e  4
Cost. 
    Con cio' pero' si violano le norme costituzionali citate, per cui
la disciplina delle funzioni amministrative di regola  non  puo'  che
spettare  allo  Stato  o  alla  Regione  secondo  il  riparto   delle
competenze per materia.  Ed  e'  evidente  che  lo  Stato  non  puo',
semplicemente appellandosi alla fissazione  dei  livelli  essenziali,
riservarsi la regolamentazione  di  interi  settori  materiali:  come
codesta ecc.ma Corte costituzionale ha espressamente escluso  con  la
sentenza n. 371/2008). 
    Giova poi ricordare un altro  punto  fermo  della  giurisprudenza
della Corte sui  «livelli  essenziali  delle  prestazioni».  Essa  ha
costantemente  censurato  la  confusione   -   spesso   operata   dal
legislatore  (per  ragioni  che  e'  facile  comprendere)  -  tra  la
determinazione dei livelli delle prestazioni, e la  disciplina  delle
posizioni soggettive degli amministrati. La distinzione e' in effetti
assolutamente necessaria:  se  non  fosse  operata,  posto  che  ogni
diritto o interesse implica un qualche  comportamento  altrui  (anche
solo  omissivo),  la  competenza  sulla  materia  della  lettera   m)
dell'art. 117 Cost. consentirebbe  allo  Stato  qualunque  intervento
conformativo di qualunque posizione soggettiva in  qualunque  materia
regionale. Il che non puo' essere, e  non  e'.  Con  la  sentenza  n.
387/2007 la  Corte  ha  escluso  che  il  diritto  della  persona  di
scegliere  la  struttura  di  cura  possa  costituzionalmente  essere
qualificato dal legislatore «livello essenziale  delle  prestazioni»:
in modo molto efficace, la sentenza sottolinea come  «l'inquadramento
della liberta' di scelta nell'ambito normativo dell'art. 117, secondo
comma, lettera m), Cost., non solo e' concettualmente  inappropriato,
ma comporta conseguenze lesive dell'autonomia  regionale,  in  quanto
consente il superamento dei confini tra principi  fondamentali  della
materia, riservati alla legislazione dello  Stato,  e  disciplina  di
dettaglio, riservata alle Regioni, tipici della competenza  ripartita
di  cui  al  terzo  comma  dell'art.  117  Cost.,  nel   cui   ambito
indubbiamente ricade la normativa de qua,  volta  alla  tutela  della
salute». 
    Assai significativa sul punto e' anche la sentenza  n.  271/2005,
la quale, con riguardo alla legislazione sulla  protezione  dei  dati
personali,  ha  ritenuto  «improprio  [...]   il   riferimento   alla
competenza esclusiva  dello  Stato  in  tema  di  determinazione  dei
livelli  essenziali  delle  prestazioni»,  dal   momento   che   tale
legislazione «non concerne prestazioni, bensi' la  stessa  disciplina
di  una  serie  di  diritti  personali  attribuiti  ad  ogni  singolo
interessato, consistenti nel potere di  controllare  le  informazioni
che lo riguardano e le modalita' con cui  viene  effettuato  il  loro
trattamento».  Ebbene:  proprio   la   «confusione»   tra   posizione
soggettiva  degli  amministrati  e   prestazione   si   trova   nelle
disposizioni legislative qui  censurate,  confusione  particolarmente
evidente in quella relativa alla  Scia  (mentre  anzi  la  disciplina
sulla conferenza  di  servizi  concerne  esclusivamente  il  modo  di
esercizio del potere, senza che da  essa  si  possa  evidenziare  una
specifica posizione soggettiva). 
    In effetti, le disposizioni  censurate  non  definiscono  affatto
«livelli essenziali» ai sensi della  lettera  m)  dell'art.  117;  al
contrario,  proprio  la  rigida  disciplina   della   Scia   potrebbe
determinare, in alcuni casi, una diminuzione dei  livelli  essenziali
delle   prestazioni   cui   hanno   diritto   persone    destinatarie
dell'attivita'  assentita  mediante  la   Segnalazione   certificata:
quando, ad esempio, in  conseguenza  delle  limitazioni  temporali  e
sostanziali alla attivita' di accertamento e controllo della pubblica
amministrazione che - senza  alcuna  considerazione  per  le  singole
realta' territoriali e organizzative - sono state poste dall'art. 19,
commi  3-4,  legge  n.  241/1990  (come  novellato  dal  comma  4-bis
dell'art. 49 d.l. n. 78), sia praticamente impedita la  verifica  del
rispetto di standard qualitativi di determinate prestazioni attinenti
ai diritti sociali. 
    La  ricorrente  non  contesta  che  alcuni  istituti  della  c.d.
«semplificazione   amministrativa»   (cui   sono   riconducibili   la
conferenza di servizi e la Scia, come vi era  riconducibile  la  Dia)
possano concretizzare o esprimere limiti vincolanti per  le  potesta'
legislative  regionali;  ma  cio'  implica  e  richiede  sempre   una
valutazione complessiva - alla luce del tipo di potesta'  legislativa
coinvolta - di tutti gli  interessi  che  vengono  in  rilievo  nella
singola materia/funzione interessata, valutazione «concreta» soggetta
al controllo della Corte; e il controllo, a  sua  volta,  per  essere
effettivo, non puo' che riguardare norme riferite a  ben  individuati
settori (v. ad es. la sentenza n. 336/2005, punto 11.1  del  Diritto,
sulla conferenza di servizi prevista dall'art. 87  del  Codice  delle
comunicazioni  elettroniche:  «Tale  funzione   [di   semplificazione
procedimentale e di snellimento dell'azione  amministrativa,  propria
della conferenza], nel contesto dello specifico procedimento in esame
e degli interessi allo stesso sottesi, consente di  ritenere  che  la
previsione contenuta nella disposizione censurata sia espressione  di
un principio fondamentale della legislazione»; v. anche  la  sentenza
n. 182/2006, punto 3 del Diritto, e la sentenza n. 350/2008). 
    Per esemplificare, e'  del  tutto  normale  -  e  potrebbe  dirsi
persino costituzionalmente necessario - che il  punto  di  equilibrio
tra l'interesse del  singolo  ad  iniziare  quanto  prima  una  certa
attivita', e l'esercizio del  potere-dovere  dell'amministrazione  di
tutelare  secondo  legge  gli  altri  interessi  toccati  da   quella
attivita', possa (o addirittura debba) essere diverso, a seconda  che
questi ultimi attengano al governo del territorio oppure alla  tutela
della salute o alla tutela del lavoro (il riferimento al governo  del
territorio e alla tutela della salute e del lavoro  non  e'  casuale,
evocando interessi che il comma 4-bis non prende in considerazione ai
fini della esclusione dall'ambito di operativita' della Scia). 
    Ancora: esigenze di semplificazione possono certo derivare  dalla
normativa comunitaria, vincolante per la Regione, ed  in  particolare
dalla direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno:
ma anche la normativa comunitaria e'  attenta:  a)  a  far  salva  la
peculiarita' dei singoli settori, ammettendo ad esempio che in taluni
casi la  autorizzazione  allo  svolgimento  di  certe  attivita'  sia
subordinata ad un «adeguato esame» sulla presenza  della  «condizioni
stabilite» per ottenerla (ad es. art. 10, par. 5); b) a far salvo  il
riparto delle competenze tra Stato, Regioni e minori enti locali  (ad
es., art. 10, par. 7). 
    Del resto, il d.lgs.  n.  59/2010,  di  attuazione  della  citata
direttiva (non abrogato dal d.l. n. 78)  dispone  che  «relativamente
alle materie oggetto di  competenza  concorrente,  le  regioni  e  le
province autonome di Trento  e  di  Bolzano  esercitano  la  potesta'
normativa nel rispetto  dei  principi  fondamentali  contenuti  nelle
norme del presente decreto» (art. 1, comma  4).  Lo  stesso  decreto,
poi, all'art, 84, e in dichiarata attuazione dell'art. 117, comma  5,
Cost., aggiunge che «nella misura  in  cui  incidono  su  materie  di
competenza  esclusiva  regionale   e   su   materie   di   competenza
concorrente, le disposizioni del presente decreto si  applicano  fino
alla data di entrata in vigore della normativa  di  attuazione  della
direttiva 2006/123/CE,  adottata  da  ciascuna  regione  e  provincia
autonoma  nel  rispetto  dei   vincoli   derivanti   dall'ordinamento
comunitario e  dei  principi  fondamentali  desumibili  dal  presente
decreto.» 
    Il comma 4-ter dichiara come  proprio  fondamento  costituzionale
anche la «tutela della  concorrenza»,  oltre  ai  livelli  essenziali
delle prestazioni. Ma esso, in realta', non  puo'  essere  ricondotto
nemmeno alla lettera e) dell'art. 117 Cost. 
    A parte la palese estraneita' a tale materia delle norme penali e
di quelle relative ai rimedi  giurisdizionali,  la  cui  adozione  la
Regione certo non rivendica, e' evidente la estraneita' alla  «tutela
della concorrenza» del comma in esame anche nelle parti  in  cui  non
riguarda attivita' imprenditoriali e professionali, e nelle parti  in
cui concerne (limitandoli) i poteri di controllo e  repressivi  delle
amministrazioni  preposte  alla  tutela  dei   molteplici   interessi
pubblici e privati, che sono  stati  presi  in  considerazione  dalle
singole leggi di settore quando  hanno  previsto  le  autorizzazioni,
licenze, pareri, nulla osta e simili. Con riferimento a queste ultime
norme limitatrici, anzi, la disposizione puo' avere l'effetto di  far
rimanere «sul mercato» imprese o  professionisti  con  requisiti  (in
senso  lato)  non  del  tutto  conformi  agli  schemi   legali,   con
conseguente alterazione  della  concorrenza  «leale»  tra  i  diversi
operatori. 
    Ma  anche  con  riferimento  alle  attivita'  imprenditoriali   e
professionali il comma 4-ter non e' espressione della  «tutela  della
concorrenza» nel senso della Costituzione,  come  interpretata  dalla
giurisprudenza  della  Corte.  Esso  non  riguarda  i  requisiti  per
l'accesso al mercato, o le condizioni  di  offerta  dei  beni  e  dei
servizi, o la parita' di trattamento tra gli operatori, o  misure  di
liberalizzazione  dei  mercati  (sentt.   nn.   401/2007,   431/2007,
452/2007, 326/2008): esso incide direttamente e principalmente  sullo
svolgimento   dell'attivita'   amministrativa    e    sui    relativi
procedimenti. 
    Si potrebbe al piu' affermare che la concorrenza e' agevolata dal
fatto che - riducendo i «tempi» per l'avvio di una  attivita'  (altro
discorso sarebbe comunque da fare per i «costi», se si considerassero
le necessarie «attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati»...)
-  un  soggetto  potrebbe  essere  indotto  ad  intraprendere  quella
attivita'. 
    Ma e' evidente che la decisione di  intraprendere  una  attivita'
dipende (anche) dall'insieme  della  normativa  (statale,  regionale,
europea, internazionale) che la riguarda, cosi' che l'effetto che  la
semplificazione  della  disciplina  ha  sulla  concorrenza  e'   solo
accessorio ed  indiretto;  e  la  Corte  insegna  che,  nei  casi  di
interferenza, ai fini della  riconduzione  di  una  legge  all'una  o
all'altra materia, occorre operare un giudizio di prevalenza  (v.  ad
es. sentenza n. 370/2003). Particolarmente significativa in proposito
e' la sentenza n. 430/2007, la quale, pur riconoscendo  che  la  c.d.
liberalizzazione della vendita  dei  farmaci  «da  banco»  incide  su
attivita' professionali  e  commerciali,  nel  quadro  di  una  legge
diretta ad  eliminare  vincoli  e  restrizioni  nell'esercizio  delle
attivita'  di  distribuzione  dei  medicinali,   ha   ricondotto   la
liberalizzazione, in applicazione del criterio della prevalenza, alla
materia concorrente della «tutela della salute»,  e  ha  saggiato  la
costituzionalita'  della   norma   impugnata   secondo   lo   statuto
costituzionale  di  questa  materia,  tendendo  conto  di  tutta   la
normativa di settore (nella stessa prospettiva v. anche  la  sentenza
n. 350/2008, per cui, in applicazione del criterio della  prevalenza,
i centri di telefonia rientrano nella  materia  delle  comunicazioni,
pur toccando anche aspetti relativi al commercio,  ai  diritti  delle
persone, alla sicurezza dello Stato). 
 
                               P.Q.M. 
 
    Voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale accogliere il ricorso,
dichiarando  l'illegittimita'  costituzionale  del  decreto-legge  31
maggio  2010,  n.  78,  recante  Misure   urgenti   in   materia   di
stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'    economica,
convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio  2010,  n.  122,
nelle parti, nei termini e  sotto  i  profili  esposti  nel  presente
ricorso. 
        Padova-Roma, addi' 27 settembre 2010 
 
          Prof. avv. Giandomenico Falcon - avv. Luigi Manzi 
 
 
                                                             Allegati 
    1) Deliberazione della Giunta regionale  21  settembre  2010,  n.
1095.