N. 105 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 6 ottobre 2010

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 6 ottobre 2010 (della Provincia autonoma di Trento). 
 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Economie negli Organi costituzionali, di
  governo e negli  apparati  politici  -  Incarichi  conferiti  dalle
  pubbliche amministrazioni ai titolari di cariche elettive,  inclusa
  la partecipazione ad organi collegiali - Previsione che diano luogo
  esclusivamente al rimborso delle spese sostenute  e  che  eventuali
  gettoni di presenza non possano superare l'importo  di  30  euro  a
  seduta - Lamentata  introduzione  di  una  norma  di  coordinamento
  finanziario indirizzata anche alle Province  autonome,  e  relativi
  enti locali e del sistema provinciale, laddove lo statuto  speciale
  sottrae  la  Provincia  di  Trento  alle  misure  di  coordinamento
  finanziario che valgono per  le  Regioni  ordinarie,  in  subordine
  previsione di limiti puntuali alle voci minute di spesa in luogo di
  vincoli  di  carattere  generale  e  complessivo  -  Ricorso  della
  Provincia  di  Trento  -   Denunciata   violazione   dell'autonomia
  finanziaria riconosciuta dallo statuto  speciale,  esorbitanza  dai
  limiti costituzionali imposti allo Stato nella materia  concorrente
  dell'armonizzazione dei  bilanci  pubblici  e  coordinamento  della
  finanza pubblica, indebita compressione dell'autonomia  finanziaria
  di spesa della Provincia, violazione delle  competenze  provinciali
  in materia organizzativa  e  finanziaria,  in  materia  di  finanza
  locale e coordinamento della  finanza  pubblica  e  di  ordinamento
  degli enti locali. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 5, comma 5. 
- Costituzione, art. 117, commi terzo e quarto; legge  costituzionale
  18 ottobre 2001, n. 3, art. 10; statuto della Regione Trentino-Alto
  Adige, artt. 8, n. 1, 79, commi 1, 2, 3, secondo e  terzo  periodo,
  4, primo periodo, 80 e Titolo VI; d.lgs. 16  marzo  1992,  n.  266,
  art. 2; d.lgs. 16 marzo 1992, n. 268, art. 17. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica  -  Riduzione  dei  costi  degli  apparati
  amministrativi - Misure di vario contenuto  volte  al  contenimento
  della spesa pubblica, quali la puntuale riduzione delle indennita',
  compensi, gettoni, retribuzioni o  altre  utilita'  corrisposti  ai
  componenti di organi collegiali  e  ai  titolari  di  incarichi  di
  qualsiasi tipo, riduzione  del  numero  dei  componenti  di  organi
  collegiali, riduzione della spesa annua per studi ed  incarichi  di
  consulenza, riduzione di spese per relazioni  pubbliche,  convegni,
  mostre, pubblicita' e rappresentanza, divieto di  sponsorizzazioni,
  riduzione di spese per missioni,  formazione  e  auto,  divieti  in
  materia di attivita' societaria - Definizione delle predette  quali
  disposizioni di principio ai fini del coordinamento  della  finanza
  pubblica  nei  confronti  della  Provincia,  nonche'   applicazione
  diretta delle disposizioni agli enti locali e agli enti del sistema
  provinciale - Lamentata introduzione di una norma di  coordinamento
  finanziario indirizzata anche alle Province  autonome,  e  relativi
  enti locali e del sistema provinciale, laddove lo statuto  speciale
  sottrae  la  Provincia  di  Trento  alle  misure  di  coordinamento
  finanziario che valgono per  le  Regioni  ordinarie,  in  subordine
  previsione di limiti puntuali alle voci minute di spesa in luogo di
  vincoli di carattere generale e complessivo - Mancato esonero degli
  enti pubblici e delle societa' pubbliche collegati  alla  Provincia
  dal versare le  somme  provenienti  dalle  riduzioni  di  spesa  al
  bilancio  dello  Stato  -  Ricorso  della  Provincia  di  Trento  -
  Denunciata lesione dell'autonomia  organizzativa  e  dell'autonomia
  finanziaria della Provincia, esorbitanza dai limiti  costituzionali
  imposti allo Stato nella  materia  concorrente  dell'armonizzazione
  dei  bilanci  pubblici  e  coordinamento  della  finanza  pubblica,
  indebita compressione dell'autonomia  finanziaria  di  spesa  della
  Provincia,  violazione  delle  competenze  provinciali  in  materia
  organizzativa  e  finanziaria,  in  materia  di  finanza  locale  e
  coordinamento della finanza pubblica e di  ordinamento  degli  enti
  locali. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 6, commi 3, 5, 6, 7, 8, 9,
  11, 12, 13, 14, 19, 20, primo periodo, e 21, secondo periodo. 
- Costituzione, art. 117, commi terzo e quarto; legge  costituzionale
  18 ottobre 2001, n. 3, art. 10; statuto della Regione Trentino-Alto
  Adige, artt. 79, comma 3, 80 e Titolo VI; d.lgs. 16 marzo 1992,  n.
  266, art. 2; d.lgs. 16 marzo 1992, n. 268, art. 17. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Contenimento delle spese in  materia  di
  impiego pubblico - Divieto per  Regioni,  enti  locali,  camere  di
  commercio, per il triennio 2011-2013, di corrispondere  ai  singoli
  dipendenti anche di livello dirigenziale, un trattamento  economico
  complessivo superiore a quello spettante per il  2010  -  Lamentata
  introduzione di una norma di coordinamento finanziario  indirizzata
  anche alle Province autonome, e relativi enti locali e del  sistema
  provinciale, laddove lo statuto speciale sottrae  la  Provincia  di
  Trento alle misure di coordinamento finanziario che valgono per  le
  Regioni ordinarie, in subordine previsione di limiti puntuali  alle
  voci minute di spesa in luogo di vincoli di  carattere  generale  e
  complessivo, nonche' invasione di ambiti di competenza  provinciale
  -  Ricorso  della  Provincia  di  Trento  -  Denunciata  violazione
  dell'autonomia finanziaria  riconosciuta  dallo  statuto  speciale,
  esorbitanza dai limiti  costituzionali  imposti  allo  Stato  nella
  materia concorrente  dell'armonizzazione  dei  bilanci  pubblici  e
  coordinamento  della  finanza   pubblica,   indebita   compressione
  dell'autonomia finanziaria di  spesa  della  Provincia,  violazione
  delle   competenze   provinciali   in   materia   organizzativa   e
  finanziaria, in materia di finanza  locale  e  coordinamento  della
  finanza pubblica e di ordinamento degli enti locali. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 1. 
- Costituzione, art. 117, commi terzo e quarto; legge  costituzionale
  18 ottobre 2001, n. 3, art. 10; statuto della Regione Trentino-Alto
  Adige, artt. 8, comma 1, n. 1, 79, 80 e Titolo VI; d.lgs. 16  marzo
  1992, n. 266, art. 2. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Contenimento delle spese in  materia  di
  impiego pubblico - Taglio per il triennio 2011-2013 dei trattamenti
  economici complessivi  dei  singoli  dipendenti,  anche  dirigenti,
  nella misura del 5 per cento per la parte eccedente i 90.000 euro e
  del 10 per cento per la parte eccedente i 150.000 euro -  Lamentata
  introduzione di una norma di coordinamento finanziario  indirizzata
  anche alle Province autonome, e relativi enti locali e del  sistema
  provinciale, laddove lo statuto speciale sottrae  la  Provincia  di
  Trento alle misure di coordinamento finanziario che valgono per  le
  Regioni ordinarie, in subordine previsione di limiti puntuali  alle
  voci minute di spesa in luogo di vincoli di  carattere  generale  e
  complessivo, nonche' invasione di ambiti di competenza  provinciale
  -  Ricorso  della  Provincia  di  Trento  -  Denunciata  violazione
  dell'autonomia finanziaria  riconosciuta  dallo  statuto  speciale,
  esorbitanza dai limiti  costituzionali  imposti  allo  Stato  nella
  materia concorrente  dell'armonizzazione  dei  bilanci  pubblici  e
  coordinamento  della  finanza   pubblica,   indebita   compressione
  dell'autonomia finanziaria di  spesa  della  Provincia,  violazione
  delle   competenze   provinciali   in   materia   organizzativa   e
  finanziaria, in materia di finanza  locale  e  coordinamento  della
  finanza pubblica e di ordinamento degli enti locali. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 2. 
- Costituzione, art. 117, commi terzo e quarto; legge  costituzionale
  18 ottobre 2001, n. 3, art. 10; statuto della Regione Trentino-Alto
  Adige, artt. 8, comma 1, n. 1, 79, 80 e Titolo VI; d.lgs. 16  marzo
  1992, n. 266, art. 2. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Contenimento delle spese in  materia  di
  impiego pubblico  -  Divieto  per  Regioni,  enti  regionali,  enti
  locali, per il  triennio  2011-2013,  di  incrementare  le  risorse
  destinate al trattamento accessorio del personale anche di  livello
  dirigenziale rispetto agli importi  stanziati  per  l'anno  2010  -
  Lamentata introduzione di una norma  di  coordinamento  finanziario
  indirizzata anche alle Province autonome, e relativi enti locali  e
  del sistema provinciale, laddove lo  statuto  speciale  sottrae  la
  Provincia di Trento alle misure di  coordinamento  finanziario  che
  valgono per le Regioni ordinarie, in subordine previsione di limiti
  puntuali alle voci minute di spesa in luogo di vincoli di carattere
  generale e complessivo, nonche' invasione di ambiti  di  competenza
  provinciale -  Ricorso  della  Provincia  di  Trento  -  Denunciata
  violazione dell'autonomia finanziaria  riconosciuta  dallo  statuto
  speciale, esorbitanza dai limiti costituzionali imposti allo  Stato
  nella materia concorrente dell'armonizzazione dei bilanci  pubblici
  e  coordinamento  della  finanza  pubblica,  indebita  compressione
  dell'autonomia finanziaria di  spesa  della  Provincia,  violazione
  delle   competenze   provinciali   in   materia   organizzativa   e
  finanziaria, in materia di finanza  locale  e  coordinamento  della
  finanza pubblica e di ordinamento degli enti locali. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 2-bis. 
- Costituzione, art. 117, commi terzo e quarto; legge  costituzionale
  18 ottobre 2001, n. 3, art. 10; statuto della Regione Trentino-Alto
  Adige, artt. 8, comma 1, n. 1, 79, 80 e Titolo VI; d.lgs. 16  marzo
  1992, n. 266, art. 2. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Contenimento delle spese in  materia  di
  impiego  pubblico  -   Divieto   di   corrispondere   importi   per
  l'espletamento di incarichi di livello  dirigenziale  aggiuntivi  -
  Lamentata introduzione di una norma  di  coordinamento  finanziario
  indirizzata anche alle Province autonome, e relativi enti locali  e
  del sistema provinciale, laddove lo  statuto  speciale  sottrae  la
  Provincia di Trento alle misure di  coordinamento  finanziario  che
  valgono per le Regioni ordinarie, in subordine previsione di limiti
  puntuali alle voci minute di spesa in luogo di vincoli di carattere
  generale e complessivo, nonche' invasione di ambiti  di  competenza
  provinciale -  Ricorso  della  Provincia  di  Trento  -  Denunciata
  violazione dell'autonomia finanziaria  riconosciuta  dallo  statuto
  speciale, esorbitanza dai limiti costituzionali imposti allo  Stato
  nella materia concorrente dell'armonizzazione dei bilanci  pubblici
  e  coordinamento  della  finanza  pubblica,  indebita  compressione
  dell'autonomia finanziaria di  spesa  della  Provincia,  violazione
  delle   competenze   provinciali   in   materia   organizzativa   e
  finanziaria, in materia di finanza  locale  e  coordinamento  della
  finanza pubblica e di ordinamento degli enti locali. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 3. 
- Costituzione, art. 117, commi terzo e quarto; legge  costituzionale
  18 ottobre 2001, n. 3, art. 10; statuto della Regione Trentino-Alto
  Adige, artt. 8, comma 1, n. 1, 79, 80 e Titolo VI; d.lgs. 16  marzo
  1992, n. 266, art. 2. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Contenimento delle spese in  materia  di
  impiego pubblico - Divieto, riferito ai  rinnovi  contrattuali  del
  personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni per il biennio
  2008/2009, di determinare aumenti retributivi superiori al 3,2  per
  cento,  anche  con  riguardo  ai  contratti  e  agli  accordi  gia'
  stipulati - Lamentata introduzione di una  norma  di  coordinamento
  finanziario indirizzata anche alle Province  autonome,  e  relativi
  enti locali e del sistema provinciale, laddove lo statuto  speciale
  sottrae  la  Provincia  di  Trento  alle  misure  di  coordinamento
  finanziario che valgono per  le  Regioni  ordinarie,  in  subordine
  previsione di limiti puntuali alle voci minute di spesa in luogo di
  vincoli di carattere generale e complessivo, nonche'  invasione  di
  ambiti di competenza  provinciale  -  Ricorso  della  Provincia  di
  Trento   -   Denunciata   violazione   dell'autonomia   finanziaria
  riconosciuta  dallo  statuto  speciale,  esorbitanza   dai   limiti
  costituzionali  imposti  allo  Stato  nella   materia   concorrente
  dell'armonizzazione dei  bilanci  pubblici  e  coordinamento  della
  finanza pubblica, indebita compressione dell'autonomia  finanziaria
  di spesa della Provincia, violazione delle  competenze  provinciali
  in materia organizzativa  e  finanziaria,  in  materia  di  finanza
  locale e coordinamento della  finanza  pubblica  e  di  ordinamento
  degli enti locali. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 4. 
- Costituzione, art. 117, commi terzo e quarto; legge  costituzionale
  18 ottobre 2001, n. 3, art. 10; statuto della Regione Trentino-Alto
  Adige, artt. 8, comma 1, n. 1, 79, 80 e Titolo VI; d.lgs. 16  marzo
  1992, n. 266, art. 2. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Contenimento delle spese in  materia  di
  impiego pubblico - Obbligo di ridurre del 50  per  cento  la  spesa
  sostenuta nell'anno 2009 per il personale  a  tempo  determinato  o
  utilizzato  con  convenzioni  o  con  contratti  di  collaborazione
  coordinata e continuativa, per i contratti di formazione-lavoro,  i
  rapporti formativi, la  somministrazione  di  lavoro  e  il  lavoro
  accessorio -  Definizione  delle  predette  quali  disposizioni  di
  principio ai fini del  coordinamento  della  finanza  pubblica  nei
  confronti  della  Provincia,  nonche'  applicazione  diretta  delle
  disposizioni agli enti locali e agli enti del sistema provinciale -
  Lamentata introduzione di una norma  di  coordinamento  finanziario
  indirizzata anche alle Province autonome, e relativi enti locali  e
  del sistema provinciale, laddove lo  statuto  speciale  sottrae  la
  Provincia di Trento alle misure di  coordinamento  finanziario  che
  valgono per le Regioni ordinarie, in subordine previsione di limiti
  puntuali alle voci minute di spesa in luogo di vincoli di carattere
  generale e complessivo  -  Ricorso  della  Provincia  di  Trento  -
  Denunciata lesione dell'autonomia  organizzativa  e  dell'autonomia
  finanziaria della Provincia, esorbitanza dai limiti  costituzionali
  imposti allo Stato nella  materia  concorrente  dell'armonizzazione
  dei  bilanci  pubblici  e  coordinamento  della  finanza  pubblica,
  indebita compressione dell'autonomia  finanziaria  di  spesa  della
  Provincia,  violazione  delle  competenze  provinciali  in  materia
  organizzativa  e  finanziaria,  in  materia  di  finanza  locale  e
  coordinamento della finanza pubblica e di  ordinamento  degli  enti
  locali. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 28. 
- Costituzione, art. 117, commi terzo e quarto; legge  costituzionale
  18 ottobre 2001, n. 3, art. 10; statuto della Regione Trentino-Alto
  Adige, artt. 79, comma 3, 80 e Titolo VI; d.lgs. 16 marzo 1992,  n.
  266, art. 2; d.lgs. 16 marzo 1992, n. 268, art. 17. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Contenimento delle spese in  materia  di
  impiego  pubblico  -  Societa'  non  quotate,  inserite  nel  conto
  economico consolidato della pubblica  amministrazione,  controllate
  direttamente o indirettamente  dalle  amministrazioni  pubbliche  -
  Obbligo  di   adeguamento   delle   politiche   assunzionali   alle
  disposizioni  introdotte  per  le   amministrazioni   pubbliche   -
  Lamentata introduzione di una norma  di  coordinamento  finanziario
  indirizzata anche alle Province autonome, e relativi enti locali  e
  del sistema provinciale, laddove lo  statuto  speciale  sottrae  la
  Provincia di Trento alle misure di  coordinamento  finanziario  che
  valgono per le Regioni ordinarie, in subordine previsione di limiti
  puntuali alle voci minute di spesa in luogo di vincoli di carattere
  generale e complessivo  -  Ricorso  della  Provincia  di  Trento  -
  Denunciata lesione dell'autonomia  organizzativa  e  dell'autonomia
  finanziaria della Provincia, esorbitanza dai limiti  costituzionali
  imposti allo Stato nella  materia  concorrente  dell'armonizzazione
  dei  bilanci  pubblici  e  coordinamento  della  finanza  pubblica,
  indebita compressione dell'autonomia  finanziaria  di  spesa  della
  Provincia,  violazione  delle  competenze  provinciali  in  materia
  organizzativa  e  finanziaria,  in  materia  di  finanza  locale  e
  coordinamento della finanza pubblica e di  ordinamento  degli  enti
  locali. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 29. 
- Costituzione, art. 117, commi terzo e quarto; legge  costituzionale
  18 ottobre 2001, n. 3, art. 10; statuto della Regione Trentino-Alto
  Adige, artt. 79, comma 3, 80 e Titolo VI; d.lgs. 16 marzo 1992,  n.
  266, art. 2; d.lgs. 16 marzo 1992, n. 268, art. 17. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Contenimento delle spese in  materia  di
  impiego pubblico - Patto di stabilita' interno  -  Possibilita'  di
  superamento per le Regioni a statuto speciale e  per  i  loro  enti
  territoriali  del  limite  imposto  dall'art.  9,  comma  28,  alle
  assunzioni di personale a tempo  determinato  -  Previsione  di  un
  criterio di priorita' nei meccanismi  di  assunzione  dei  predetti
  lavoratori - Lamentata limitazione delle possibili scelte  relative
  alle assunzioni, nonche' introduzione di una norma di coordinamento
  finanziario laddove lo statuto speciale sottrae la Provincia,  e  i
  relativi enti locali, alle misure di coordinamento finanziario  che
  valgono per le Regioni  ordinarie  -  Ricorso  della  Provincia  di
  Trento  -  Denunciata  lesione   dell'autonomia   organizzativa   e
  dell'autonomia finanziaria della Provincia, esorbitanza dai  limiti
  costituzionali  imposti  allo  Stato  nella   materia   concorrente
  dell'armonizzazione dei  bilanci  pubblici  e  coordinamento  della
  finanza pubblica, indebita compressione dell'autonomia  finanziaria
  di spesa della Provincia, violazione delle  competenze  provinciali
  in materia organizzativa  e  finanziaria,  in  materia  di  finanza
  locale e coordinamento della  finanza  pubblica  e  di  ordinamento
  degli enti locali. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art.14,  comma  24-bis,  ultimo
  periodo. 
- Costituzione, art. 117, commi terzo e quarto; legge  costituzionale
  18 ottobre 2001, n. 3, art. 10; statuto della Regione Trentino-Alto
  Adige, artt. 79, comma 3, 80 e Titolo VI; d.lgs. 16 marzo 1992,  n.
  266, art. 2; d.lgs. 16 marzo 1992, n. 268, art. 17. 
Regioni (in genere) - Misure urgenti in  materia  di  stabilizzazione
  finanziaria e di competitivita' economica - Dissenso  fra  Stato  e
  Regione o Province autonome in sede di  conferenza  dei  servizi  -
  Possibilita' di superare il mancato raggiungimento dell'intesa  con
  deliberazione del Consiglio dei ministri, non solo nelle materie di
  competenza statale, ma anche in quelle di competenza delle  Regioni
  e delle Province autonome,  con  riferimento  agli  enti  locali  -
  Lamentata violazione dei principi  elaborati  dalla  giurisprudenza
  costituzionale in tema di intesa forte - Ricorso della Provincia di
  Trento  -  Denunciata  lesione  delle  competenze   legislative   e
  amministrative della Provincia,  lesione  del  principio  di  leale
  collaborazione. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 49, comma 3, lett. b), che
  modifica i commi 3, 3-bis, 3-ter  e  3-quater  dell'art.  14-quater
  della legge 7 agosto 1990, n. 241. 
- Costituzione, artt. 117 e  118;  legge  costituzionale  18  ottobre
  2001, n. 3, art. 10; statuto  della  Regione  Trentino-Alto  Adige,
  artt. 8, nn. 1, 3, 4, 5, 6, 9, 14 e 20, 9, nn. 3, 7, 8 e 10, e  16;
  d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266, art. 4. 
Regioni (in genere) - Misure urgenti in  materia  di  stabilizzazione
  finanziaria e di competitivita'  economica  -  Disciplina  relativa
  alla conferenza dei servizi  -  Qualificazione  come  attinente  ai
  livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e
  sociali, ai sensi della lett.  m)  dell'art.  117,  comma  secondo,
  Cost. - Lamentato intento del legislatore statale di attirare  alla
  propria competenza esclusiva la disciplina relativa alla conferenza
  dei servizi, con incidenza in  materie  riservate  alla  competenza
  provinciale,  quali  la  tutela  e  conservazione  del   patrimonio
  storico-artistico, l'urbanistica, la tutela del paesaggio, l'igiene
  e la sanita' - Ricorso  della  Provincia  di  Trento  -  Denunciata
  lesione  delle  competenze  legislative  e   amministrative   della
  Provincia. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 49, comma 4,  modificativo
  dell'art. 29, comma 2-ter, della legge 7 agosto 1990, n. 241. 
- Costituzione, artt. 117 e  118;  legge  costituzionale  18  ottobre
  2001, n. 3, art. 10; statuto  della  Regione  Trentino-Alto  Adige,
  artt. 8, nn. 1, 3, 4, 5, 6, 9, 14 e 20, e 9, nn. 3, 7, 8 e 10. 
Iniziativa  economica  privata  -  Misure  urgenti  in   materia   di
  stabilizzazione  finanziaria  e  di  competitivita'   economica   -
  Introduzione della "Segnalazione certificata di  inizio  attivita'"
  (SCIA) sostitutiva della "Denuncia di  inizio  attivita'"  (DIA)  -
  Sostituzione diretta della preesistente normativa sia  statale  che
  regionale - Dichiarazione che la disciplina predetta  attiene  alla
  tutela della concorrenza e  costituisce  livello  essenziale  delle
  prestazioni concernenti i diritti  civili  e  sociali  -  Lamentata
  incidenza in ambiti di legislazione provinciale  e  in  particolare
  nella materia dell'urbanistica e piani regolatori -  Ricorso  della
  Provincia  di  Trento  -  Denunciata  violazione  della  competenza
  legislativa della Provincia. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 49, comma 4-ter. 
- Costituzione, artt. 117 e  118;  legge  costituzionale  18  ottobre
  2001, n. 3, art. 10; statuto  della  Regione  Trentino-Alto  Adige,
  artt. 8, nn. 1, 3, 4, 5, 6, 9, 14 e 20, e 9, nn.  3,  7,  8  e  10;
  d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266, art. 2. 
(GU n.49 del 9-12-2010 )
     Ricorso  della  Provincia  autonoma  di   Trento   (cod.   fisc.
00337460224), in persona del Presidente della Giunta provinciale  pro
tempore Lorenzo Dellai, autorizzato con  deliberazione  della  Giunta
provinciale 17 settembre 2010, n.  2169  (doc.  1),  rappresentata  e
difesa, come da procura speciale n. rep. 27398 del 21 settembre  2010
(doc. 2), rogata dal  dott.  Tommaso  Sussarellu,  Ufficiale  rogante
della Provincia, dall'avv.  prof.  Giandomenico  Falcon  (cod.  fisc.
FLCGDM45C06L736E) di Padova, dall'avv. Nicolo' Pedrazzoli (cod. fisc.
PDRNCL56R01G428C)  dell'Avvocatura  della  Provincia  di   Trento   e
dall'avv. Luigi Manzi (cod.  fisc.  MNZLGU34E15HSO1Y)  di  Roma,  con
domicilio eletto in Roma nello studio di questi in via  Confalonieri,
n.5 
    Contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,   per   la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale: 
        dell'articolo 5, comma 5; 
        dell'articolo 6, commi: 3; 5; 6; 7; 8; 9; 11; 12; 13; 14; 19;
20 primo periodo, e 21, secondo periodo; 
        dell'articolo 9, commi: 1; 2; 2-bis; 3; 4  se  ed  in  quanto
riferito alle Province autonome; 28 e 29; 
        dell'articolo 14, comma 24-bis; 
        dell'articolo 49, commi: 3, lettera b) che introduce il nuovo
comma 3 dell'articolo 14-quater della legge 7 agosto 1990, n. 241;  4
e 4-ter se ed in quanto riferito alle Province autonome; 
        del decreto-legge 31  maggio  2010,  n.  78,  recante  Misure
urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita'
economica, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010,
n. 122, pubblicata nel Supplemento ordinario n. 174/L  alla  Gazzetta
Ufficiale n. 176 del 30 luglio 2010, 
    per violazione: 
        dell'articolo 8 - in particolare n. 1); 3); 4); 5);  6);  9);
14); 20) -, dell'articolo 9 - in particolare n. 3); 7); 8)  10)  -  e
dell'articolo 16 dello Statuto speciale di autonomia di cui al d.P.R.
31  agosto  1972,  n.  670,  nonche'  delle  correlative   norme   di
attuazione; 
        del titolo VI dello Statuto speciale,  in  particolare  degli
articoli 79, 80 e 81, nonche' delle relative norme di attuazione  (in
particolare decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268); 
        del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, in particolare
articoli 2 e 4; 
        degli articoli 117, 118, 119  e  120  della  Costituzione  in
combinato disposto con l'articolo 10 della  legge  costituzionale  18
ottobre 2001, n. 3; 
        del principio di leale collaborazione, 
    nei modi e per i profili di seguito illustrati. 
 
                                Fatto 
 
    La  Provincia  autonoma  di  Trento  e'   dotata   di   autonomia
finanziaria, ai sensi del Titolo VI dello Statuto speciale. 
    Il titolo VI di tale Statuto e'  stato  da  poco  modificato  per
meglio armonizzare la speciale autonomia della Regione  Trentino-Alto
Adige e delle Province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano  con  le
esigenze della situazione finanziaria dello Stato italiano, anche nel
quadro degli impegni assunti nell'ambito dell'Unione europea,  e  per
tenere conto delle esigenze di  solidarieta'  derivanti  anche  dalla
attuazione del «federalismo fiscale», quale prefigurato  dalla  legge
di delega n. 42 del 2009. 
    Le modifiche hanno formato oggetto di uno specifico  accordo  tra
lo Stato e la Regione e le Provincie autonome, e sono state  adottate
con  la  procedura  di  cui  all'art.  104  dello  Statuto   speciale
attraverso l'art. 2, commi da 107 a 125, della legge n. 191 del 2009. 
    In particolare, il comma 107, lett. h) della legge n. 191/2009 ha
introdotto un nuovo testo dell'art. 79 dello Statuto,  il  quale  ora
stabilisce al comma 1 che «la regione e  le  province  concorrono  al
conseguimento degli obiettivi di perequazione  e  di  solidarieta'  e
all'esercizio dei diritti e dei doveri dagli stessi derivanti nonche'
all'assolvimento  degli  obblighi  di  carattere  finanziario   posti
dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle
altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite  dalla
normativa statale» nei seguenti modi: 
        «a) con l'intervenuta soppressione  della  somma  sostitutiva
dell'imposta   sul   valore   aggiunto   all'importazione   e   delle
assegnazioni a valere su leggi statali di settore; 
        b) con l'intervenuta soppressione della  somma  spettante  ai
sensi dell'articolo 78; 
        c) con il  concorso  finanziario  ulteriore  al  riequilibrio
della  finanza  pubblica  mediante  l'assunzione  di  oneri  relativi
all'esercizio di funzioni statali, anche delegate, definite  d'intesa
con il Ministero  dell'economia  e  delle  finanze,  nonche'  con  il
finanziamento  di  iniziative  e  di  progetti,  relativi  anche   ai
territori confinanti, complessivamente in misura pari a  100  milioni
di euro annui a decorrere dall'anno 2010 per ciascuna provincia...; 
        d) con le modalita' di coordinamento della  finanza  pubblica
definite al comma 3». 
    Il comma 2 dell'art. 79 aggiunge che «le misure di cui al comma 1
possono essere modificate esclusivamente con  la  procedura  prevista
dall'articolo  104  e  fino   alla   loro   eventuale   modificazione
costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica  di  cui
al comma 1». 
    Il comma 3 dispone ora che, «al fine di  assicurare  il  concorso
agli  obiettivi  di  finanza  pubblica,  la  regione  e  le  province
concordano con il Ministro dell'economia e delle finanze gli obblighi
relativi al patto di stabilita' interno con riferimento ai  saldi  di
bilancio da conseguire in ciascun periodo». 
    E' importante - anche ai fini del presente ricorso - sottolineare
che  la  medesima  disposizione  precisa  che,  «fermi  restando  gli
obiettivi complessivi  di  finanza  pubblica,  spetta  alle  province
stabilire gli obblighi relativi al  patto  di  stabilita'  interno  e
provvedere alle funzioni di coordinamento con riferimento  agli  enti
locali,  ai  propri  enti  e  organismi  strumentali,  alle   aziende
sanitarie, alle universita' non statali di cui all'articolo 17, comma
120, della legge 15 maggio 1997, n. 127, alle  camere  di  commercio,
industria, artigianato e agricoltura e agli altri enti od organismi a
ordinamento regionale o provinciale finanziati dalle  stesse  in  via
ordinaria», e che alla Provincia autonoma ed agli enti  sopraindicati
«non si applicano le misure adottate per le regioni e per  gli  altri
enti nel restante territorio nazionale». 
    Il comma  4  ribadisce  che  «le  disposizioni  statali  relative
all'attuazione degli obiettivi di  perequazione  e  di  solidarieta',
nonche' al rispetto degli obblighi derivanti dal patto di  stabilita'
interno, non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle
province e sono in  ogni  caso  sostituite  da  quanto  previsto  dal
presente articolo». 
    Infine, lo stesso comma 4 precisa, per i rapporti  con  le  norme
statali che non siano direttamente misure di  finanza  pubblica,  che
«la regione e le province provvedono alle finalita' di  coordinamento
della  finanza  pubblica   contenute   in   specifiche   disposizioni
legislative  dello  Stato,  adeguando  la  propria  legislazione   ai
principi costituenti limiti ai sensi degli articoli 4  e  5»,  ovvero
secondo le regole ordinarie dei rapporti tra legislazione provinciale
e legislazione statale. 
    Il sistema di rapporti cosi' stabilito ha  gia'  trovato  la  sua
prima attuazione. Infatti, con nota del 18 giugno 2010 (doc.  2),  il
Ministero dell'economia e delle finanze ha dato  il  proprio  assenso
alla proposta di patto di  stabilita'  della  Provincia  autonoma  di
Trento per l'anno  2010,  in  attuazione  del  gia'  citato  comma  3
dell'art. 79 St., che ha consolidato il  principio  consensuale  gia'
contenuto in  diverse  leggi  finanziarie  statali.  Dalla  nota  del
Ministro risulta che il patto «pone l'obiettivo di saldo  finanziario
programmatico in termini di competenza mista per l'anno 2010  pari  a
-733 milioni di euro, con un miglioramento di  259  milioni  di  euro
rispetto  al  saldo  finanziario  tendenziale   adeguato   al   nuovo
ordinamento». 
    La Provincia, dunque, ha rispettato l'Accordo di Milano del 2009,
che e' alla base della riforma del Titolo VI dello Statuto, e  si  e'
accollata un miglioramento di saldo finanziario pari a  259  milioni:
anche a fronte  di  cio'  (oltre  che  della  altre  misure  previste
dall'art.  79  dello  Statuto)  si  giustifica   l'esclusione   della
Provincia dalle misure di coordinamento  finanziario  previste  dalle
norme impugnate. 
    Del nuovo assetto dei rapporti tra Stato e Provincia di Trento in
materia finanziaria - pur solennemente concordato e  sancito  da  una
legge ancora recentissima - non tiene correttamente  e  compiutamente
conto (verosimilmente a causa delle modalita' di emanazione e poi  di
conversione, che non  hanno  consentito  un'ampia  discussione  della
materia) il d.l. n. 78/2010, convertito con modificazioni nella legge
30 luglio  2010,  n.  122,  recante  Misure  urgenti  in  materia  di
stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica. 
    Infatti, mentre nelle parti in cui esso non include  le  Province
tra i destinatari delle proprie norme esso puo' -  e  deve  -  essere
inteso alla luce delle disposizioni  sopra  esposte,  cio'  non  puo'
accadere quando l'inclusione della Provincia autonoma (o  degli  enti
del   sistema   provinciale)   sia   espressamente   disposta   dalle
disposizioni del decreto-legge. 
    Ed in realta'  esso  in  diversi  punti,  che  formano  l'oggetto
primario della presente impugnazione, comprende la Provincia autonoma
di  Trento  e  gli  enti  rientranti  nella  sua  competenza  tra   i
destinatari di norme che - a termini della nuova  formulazione  dello
Statuto di autonomia - non possono essere costituzionalmente  dirette
ad essi. 
    L'inclusione  della  Provincia  e  dei  predetti   enti   tra   i
destinatari delle norme impugnate avviene sia - a  volte  -  mediante
diretto ed espresso riferimento alle Province autonome sia - in altri
casi - mediante il riferimento alle pubbliche amministrazioni di  cui
al comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009 n. 196, cioe'
a quelle elencate annualmente dall'ISTAT entro il 31 luglio  di  ogni
anno. 
    Ora, tale elenco (e  precisamente,  per  quanto  riguarda  l'anno
2010, l'«Elenco delle amministrazioni pubbliche  inserite  nel  conto
economico consolidato individuate ai sensi dell'articolo 1,  comma  3
della legge 31 dicembre 2009, n. 196 - Legge  di  contabilita'  e  di
finanza pubblica», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 24  luglio
2010, n. 171) comprende espressamente, nella sezione «Amministrazioni
locali», tra l'altro, le Regioni e le Province autonome, i comuni, le
comunita' montane e le  unioni  di  comuni,  il  Museo  Castello  del
Buonconsiglio, monumenti e collezioni provinciali,  il  Museo  d'arte
moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, il Museo  degli  usi  e
costumi  della  gente  trentina,  il  Museo  Tridentino  di   scienze
naturali, Patrimonio del  Trentino  S.p.a.,  e  Trentino  Riscossione
S.p.a.,  nonche'  nella   sezione   «Amministrazioni   centrali»   la
Fondazione Bruno Kessler, la Fondazione Edmund Mach  ed  in  generale
gli enti ed istituzioni di ricerca. 
    Ne risulta che sia attraverso i richiami diretti  che  attraverso
quelli indiretti  il  d.l.  n.  78/2010  si  rivolge  in  parte  alla
Provincia autonoma di Trento: la quale invece, in virtu' delle  norme
sopra citate dell'art. 79 dello Statuto, e'  espressamente  sottratta
alle misure finanziarie che valgono per le altre Regioni, dato che  -
appunto - essa concorre «all'assolvimento degli obblighi di carattere
finanziario  posti  dall'ordinamento  comunitario,   dal   patto   di
stabilita' interno  e  dalle  altre  misure  di  coordinamento  della
finanza pubblica stabilite dalla normativa statale» con le specifiche
modalita' di cui al comma 1 dell'art. 79 e con il rispetto del  patto
di stabilita' interno concordato con il Ministero dell'economia. 
    Inoltre, il d.l. n. 78/2010 si rivolge, in taluni casi, agli enti
locali della provincia di Trento e agli  enti  pubblici  del  sistema
provinciale, in relazione ai quali «spetta  alle  province  stabilire
gli obblighi relativi al patto di  stabilita'  interno  e  provvedere
alle funzioni di coordinamento» (comma 3 dell'art. 79). 
    In considerazione di cio' e di quanto di seguito si esporra',  il
d.l.  n.  78/2010  risulta  in  parte  illegittimo  e  lesivo   delle
prerogative costituzionali della Provincia di Trento per le  seguenti
ragioni di 
 
                               Diritto 
 
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 5. 
    L'art. 5 e' inserito nel  capo  II,  Riduzione  del  costo  degli
apparati politici ed amministrativi, ed e' intitolato Economie  negli
Organi costituzionali, di governo e negli apparati politici. 
    Il comma 5 qui impugnato dispone che, «ferme le  incompatibilita'
previste dalla normativa  vigente,  nei  confronti  dei  titolari  di
cariche elettive, lo  svolgimento  di  qualsiasi  incarico  conferito
dalle pubbliche amministrazioni di cui al  comma  3  dell'articolo  1
della legge 31 dicembre 2009 n. 196,  inclusa  la  partecipazione  ad
organi collegiali di qualsiasi tipo, puo' dar luogo esclusivamente al
rimborso delle spese sostenute», e che «eventuali gettoni di presenza
non possono superare l'importo di 30 euro a seduta». 
    Dal riferimento all'art. 1, comma 3, legge  n.  196/2009  (elenco
ISTAT) risulta che  l'art.  5,  comma  5,  si  riferisce  anche  alle
Province autonome, agli enti locali della provincia di Trento e  agli
enti del sistema provinciale. 
    Tuttavia,  esso  pone  una  norma   puntuale   di   coordinamento
finanziario e si pone, dunque,  in  contrasto  con  l'art.  79  dello
Statuto speciale, che, come sopra esposto, in piu' punti precisa  che
le Province, gli enti locali trentini e gli enti  pubblici  collegati
alla Provincia e agli enti  locali  sono  sottratti  alle  misure  di
coordinamento finanziario che valgono  per  le  altre  Regioni.  Sono
violati, in particolare, il comma 1, che fa riferimento  «alle  altre
misure  di  coordinamento  della  finanza  pubblica  stabilite  dalla
normativa statale», il comma 2, il comma 3, secondo e  terzo  periodo
ed il comma 4, primo periodo dell'art. 79. 
    La diretta violazione dello Statuto  speciale  di  autonomia,  in
quanto illegittimamente la norma statale pone tra i  destinatari  dei
vincoli  posti  dalla   norma   la   Provincia   di   Trento,   rende
necessariamente subordinata una ulteriore e pur essa fondata censura,
relativa alla circostanza che la norma impugnata pone  un  limite  ad
una  voce  minuta  di  spesa  e  fissa  la  specifica  modalita'   di
contenimento di essa; il comma 5, dunque, e'  illegittimo  in  quanto
fuoriesce  dai  limiti  della  competenza  legislativa   statale   di
principio nella materia del coordinamento della finanza pubblica. 
    L'illegittimita' dei limiti puntuali alle voci minute  di  spesa,
infatti, e' stata piu' volte  dichiarata  da  codesta  Corte:  v.  le
sentt. 297/2009,  237/2009,  159/2008,  157/2007,  95/2007,  89/2007,
88/2006, 449/2005, 417/2005 e 390/2004. 
    Che si tratti di limiti puntuali riferiti  ad  oggetti  specifici
non puo' essere dubbio: si tratta infatti degli «incarichi» conferiti
«nei confronti dei titolari  di  cariche  elettive»,  e  di  essi  si
prescrive (oltretutto, in verosimile violazione dell'art. 36 Cost., e
del  diritto  ad  una  equa  retribuzione)  che  possono  dar   luogo
«esclusivamente  al  rimborso  delle  spese  sostenute»,  arrivandosi
persino a precisare che «eventuali gettoni di  presenza  non  possono
superare l'importo di 30 euro a seduta». 
    Sembra evidentemente contraddetto il principio  in  relazione  al
quale le esigenze della finanza  pubblica  possono  certo  comportare
vincoli anche per le autonomie territoriali, ma vincoli di  carattere
generale e complessivo,  al  cui  interno  i  titolari  di  autonomia
costituzionale possono decidere le diverse destinazioni, appunto,  in
modo autonomo. 
    In ogni caso, e' anche da lamentare  la  violazione  dell'art.  2
d.lgs. n. 266/1992, in quanto l'art. 5, comma 5, stabilisce una norma
di dettaglio autoapplicativa in materie di competenza provinciale. 
    Tale violazione sussisterebbe anche se - peraltro in evidente  ed
aperta contraddizione con l'art.  79  dello  Statuto  -  le  Province
autonome fossero soggette alle misure  di  coordinamento  finanziario
contenute nelle diverse leggi statali, e se pure fosse legittima  nel
contenuto la disposizione dell'art. 5, comma  5,  in  quanto  rivolta
alle regioni ed agli enti locali. 
    Le materie provinciali di riferimento  sono  in  primo  luogo  le
materie statutarie relative alla propria  autonomia  organizzativa  e
finanziaria (art. 8, n. 1, dello Statuto, l'intero  Titolo  VI),  ivi
compresa la finanza locale (v. l'art. 80 dello Statuto  e  l'art.  17
d.lgs. n. 268/1992), in secondo luogo il coordinamento della  finanza
pubblica (v. l'art. 117, comma 3, Cost.  e  l'art.  10  1.  cost.  n.
3/2001) e l'organizzazione  regionale  e  degli  enti  collegati  (v.
l'art. 117,  comma  4,  Cost),  in  quanto  le  norme  del  Titolo  V
garantiscano una autonomia piu' ampia di quella statutaria, a termini
dell'art. 10 della 1. cost. n. 3 del 2001. 
    Risulta dunque anche sotto questo  profilo  violata  la  speciale
autonomia garantita alla Provincia di Trento dallo  Statuto  e  dalle
norme di attuazione. 
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 6, commi 3, 5, 6, 7, 8, 9,
11, 12, 13, 14, 19, 20 primo periodo, e 21, secondo periodo. 
    L'art. 6 pone una serie di norme volte alla Riduzione  dei  costi
degli apparati amministrativi, norme dal contenuto  innegabilmente  e
chiaramente dettagliato, come si vedra' subito. 
    Forse proprio in considerazione di tale contenuto, che proprio in
ragione di tale carattere contrasterebbe - ove riferito alle  Regioni
- con i principi costituzionali in  materia  di  coordinamento  della
finanza pubblica elaborati dalla  giurisprudenza  costituzionale,  il
comma 20 dell'art.  6  dispone  che  «le  disposizioni  del  presente
articolo non si applicano in via diretta alle regioni, alle  province
autonome e agli enti del Servizio sanitario nazionale»,  ma  aggiunge
che per tali enti esse «costituiscono disposizioni  di  principio  ai
fini del coordinamento della finanza pubblica». In altre  parole,  la
disposizione del comma 20 cerca di «trasformare» in qualche  modo  le
disposizioni dettagliate in principi. 
    Tuttavia,   tale   tentativo   e'    necessariamente    destinato
all'insuccesso, e la qualificazione delle disposizioni  in  questione
come «principi» non fa - ad avviso della ricorrente Provincia  -  che
aggiungere illegittimita' ad illegittimita'. Il comma  20  e'  dunque
qui impugnato nella parte in cui esso  dispone  che  le  disposizioni
indicate  «costituiscono  disposizioni  di  principio  ai  fini   del
coordinamento della finanza pubblica», e nella parte in cui limita la
loro  «non  applicazione»  alle  regioni  e  Province  autonome  alla
applicazione «in via diretta». Gli  ulteriori  commi  indicati  sopra
sono invece direttamente impugnati in ragione del loro contenuto. 
    Il punto fondamentale e' che la qualificazione data dal comma 20,
come e' tipico delle norme di qualificazione, non e' idonea a  mutare
la realta' normativa dei commi precedenti, che resta quella di regole
dettagliate limitative di voci minute di spesa degli enti pubblici, e
che vincolare le Regioni e le Province autonome a tali pseudoprincipi
e' ugualmente illegittimo. 
    Nessun  dubbio  puo'  sussistere  sul   carattere   specifico   e
dettagliato delle disposizioni alle quali il comma 20 si riferisce. 
    Cosi', il comma 3 dispone che, a decorrere dal 1°  gennaio  2011,
le indennita', i compensi, i gettoni,  le  retribuzioni  o  le  altre
utilita'   comunque   denominate,   corrisposti    dalle    pubbliche
amministrazioni di cui al comma 3  dell'articolo  1  della  legge  31
dicembre 2009, n. 196, .... sono automaticamente ridotte del  10  per
cento rispetto agli importi risultanti alla data del 30 aprile 2010».
Inoltre, la disposizione stabilisce che «sino al  31  dicembre  2013,
gli emolumenti di cui al presente  comma  non  possono  superare  gli
importi risultanti alla data del 30  aprile  2010,  come  ridotti  ai
sensi del presente comma». 
    Il comma 7 statuisce che «a decorrere  dall'anno  2011  la  spesa
annua per studi ed incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a
studi ed incarichi di consulenza  conferiti  a  pubblici  dipendenti,
sostenuta  dalle  pubbliche  amministrazioni  di  cui  al   comma   3
dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009,  n.  196,...  non  puo'
essere superiore al 20 per cento di quella sostenuta nell'anno 2009». 
    Il  comma  8  dispone  che  «a  decorrere   dall'anno   2011   le
amministrazioni pubbliche... individuate dall'Istituto  nazionale  di
statistica (ISTAT)... non  possono  effettuare  spese  per  relazioni
pubbliche, convegni, mostre, pubblicita' e di rappresentanza, per  un
ammontare superiore al 20 per cento della spesa  sostenuta  nell'anno
2009 per le medesime finalita'». 
    Il  comma  9  stabilisce  che  «a  decorrere  dall'anno  2011  le
amministrazioni pubbliche... individuate dall'Istituto  nazionale  di
statistica   (ISTAT)...   non   possono    effettuare    spese    per
sponsorizzazioni». 
    Il  comma  12  dispone  che  «a  decorrere  dall'anno   2011   le
amministrazioni pubbliche... individuate dall'Istituto  nazionale  di
statistica (ISTAT)... non  possono  effettuare  spese  per  missioni,
anche all'estero, con esclusione  delle  missioni  internazionali  di
pace e delle Forze armate, delle missioni delle forze  di  polizia  e
dei vigili del fuoco,  del  personale  di  magistratura,  nonche'  di
quelle  strettamente  connesse  ad  accordi   internazionali   ovvero
indispensabili per assicurare la  partecipazione  a  riunioni  presso
enti e organismi internazionali o comunitari, nonche' con investitori
istituzionali necessari alla gestione del  debito  pubblico,  per  un
ammontare superiore al 50 per cento della spesa  sostenuta  nell'anno
2009». 
    Il comma 13 statuisce che «a decorrere dall'anno  2011  la  spesa
annua  sostenuta  dalle  amministrazioni   pubbliche...   individuate
dall'Istituto  nazionale  di  statistica  (ISTAT)...  per   attivita'
esclusivamente di formazione deve essere  non  superiore  al  50  per
cento della spesa sostenuta nell'anno  2009»;  si  aggiunge  che  «le
predette amministrazioni  svolgono  prioritariamente  l'attivita'  di
formazione tramite la Scuola superiore della pubblica amministrazione
ovvero tramite i propri organismi di formazione». 
    Il comma 14  stabilisce  che  «a  decorrere  dall'anno  2011,  le
amministrazioni pubbliche... individuate dall'Istituto  nazionale  di
statistica (ISTAT)...  non  possono  effettuare  spese  di  ammontare
superiore all'80 per cento della spesa sostenuta nell'anno  2009  per
l'acquisto,  la  manutenzione,   il   noleggio   e   l'esercizio   di
autovetture, nonche' per l'acquisto di buoni taxi»; si  aggiunge  che
«il predetto limite puo' essere derogato,  per  il  solo  anno  2011,
esclusivamente per effetto di contratti pluriennali gia' in essere». 
    Il comma 19  dispone  che  «al  fine  del  perseguimento  di  una
maggiore efficienza delle societa' pubbliche,...  le  amministrazioni
di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196,
non possono, salvo quanto  previsto  dall'art.  2447  codice  civile,
effettuare aumenti di capitale, trasferimenti straordinari,  aperture
di  credito,  ne'  rilasciare  garanzie  a  favore   delle   societa'
partecipate non quotate che  abbiano  registrato,  per  tre  esercizi
consecutivi, perdite  di  esercizio  ovvero  che  abbiano  utilizzato
riserve  disponibili   per   il   ripianamento   di   perdite   anche
infrannuali»; e che sono «in ogni  caso  consentiti  i  trasferimenti
alle societa' di cui  al  primo  periodo  a  fronte  di  convenzioni,
contratti di servizio o di programma  relativi  allo  svolgimento  di
servizi  di  pubblico  interesse   ovvero   alla   realizzazione   di
investimenti». 
    Come  si  vede,  si  tratta  di  disposizioni   molto   puntuali,
analitiche, che disciplinano «frammenti» di  realta'  finanziaria  ed
organizzativa. Ed in relazione ad  esse  le  Regioni  e  le  Province
autonome, nonostante quanto disposto dal comma 20, primo periodo, non
hanno ne' (in ragione della struttura delle norme)  potrebbero  avere
alcun margine di manovra. Non si tratterebbe  che  di  «recepire»  le
corrispondenti norme statali. 
    Cosi' illustrato il contenuto del comma  20,  in  relazione  alle
disposizioni specifiche alle quali esso si riferisce, risulta  chiaro
che esso, nell'inciso «per  i  quali  costituiscono  disposizioni  di
principio ai fini del coordinamento della  finanza  pubblica»,  ed  i
commi  sopra  illustrati,  recanti  limiti  puntuali,   sono   lesivi
dell'autonomia  organizzativa  e  dell'autonomia  finanziaria   della
Provincia. 
    Cio', in primo luogo, in quanto la  vincolano  in  contrasto  con
l'art. 79 dello Statuto, che - come visto supra - esonera le Province
autonome dalle misure di coordinamento finanziario che valgono per le
altre Regioni (v. soprattutto il comma 1, la' dove menziona le «altre
misure di coordinamento della finanza pubblica»): e cio' non in forza
di  un  privilegio,  ma  in  forza  di  un  regime  specifico   della
partecipazione  delle  Province   stesse   al   conseguimento   degli
obbiettivi di  finanza  pubblica,  specifico  oggetto  della  recente
riforma concordata della parte finanziaria dello Statuto. 
    In secondo luogo, anche prescindendo da cio', e cioe' anche ove -
peraltro in contraddizione evidente con lo  Statuto  -  si  dovessero
considerare  le  Province  soggette  alle  misure  di   coordinamento
finanziario contenute nelle diverse leggi statali, comunque le  norme
in questione sarebbero illegittime, per violazione anche delle regole
generali dei rapporti tra legislazione statale ed autonomia regionale
nella materia finanziaria. 
    Infatti, esse pongono limiti puntuali a voci minute di  spesa  e,
dunque, fuoriescono dai limiti della competenza  legislativa  statale
di principio nella materia del coordinamento della finanza  pubblica.
L'illegittimita' dei limiti puntuali alle voci minute  di  spesa,  e'
stata piu' volte dichiarata da codesta Corte, come visto nel punto 1. 
    Va ricordata, in particolare, per l'analogia  della  fattispecie,
la  sentenza  n.  297/2009,  che  ha   annullato   una   disposizione
sostanzialmente corrispondente a quella qui impugnata «nella parte in
cui afferma che possono  essere  desunti  "principi  fondamentali  di
coordinamento della finanza pubblica"  da  norme  che,  per  il  loro
contenuto, sono inidonee a esprimere tali principi», cioe'  da  norme
«idonee solo a incidere sulle indicate  singole  voci  di  spesa,  in
quanto  introducono  vincoli  puntuali  e  specifiche  modalita'   di
contenimento della spesa medesima». 
    Nel medesimo consolidato  orientamento  rientra  la  sentenza  n.
159/2008 (punto 6 del Diritto), che per di piu' ha accolto un ricorso
proposto da una Provincia  autonoma.  Ancora,  una  norma  analoga  a
quella del comma 3 dell'art. 6 e' stata annullata dalla  sentenza  n.
157/2007 (la norma statale riduceva del 10% le indennita' corrisposte
ai titolari degli  organi  politici  regionali);  v.  poi  le  sentt.
95/2007, 449/2005 e 417/2005, che hanno  dichiarato  l'illegittimita'
dei vincoli posti a consulenze, missioni e acquisti. 
    Non puo' dunque esservi dubbio alcuno sulla illegittimita'  delle
disposizioni impugnate, per le ragioni sopra esposte. 
    La clausola di salvaguardia di cui al comma 20, primo periodo, e'
illegittima anche nella parte in cui non comprende nel proprio ambito
di «esonero» dall'applicazione diretta gli enti locali e gli enti  ed
organismi appartenenti al sistema provinciale. Il  «mancato  esonero»
comporta dunque che per tali enti i commi sopra illustrati operino in
via diretta, dato  che  sono  rivolti  alle  amministrazioni  di  cui
all'art. 1, comma 3, legge n. 196/2009. 
    A tali enti, inoltre, sono applicabili anche i commi 5, 6 e 11. 
    In base alla prima disposizione, «tutti gli enti pubblici,  anche
economici, e gli organismi pubblici, anche con personalita' giuridica
di diritto privato, provvedono all'adeguamento dei rispettivi statuti
al fine di assicurare che, a decorrere dal primo  rinnovo  successivo
alla data di entrata in vigore del presente decreto,  gli  organi  di
amministrazione e quelli di controllo, ove  non  gia'  costituiti  in
forma monocratica, nonche' il collegio dei revisori, siano costituiti
da un numero  non  superiore,  rispettivamente,  a  cinque  e  a  tre
componenti». 
    Il comma 6  dispone  che,  «nelle  societa'  inserite  nel  conto
economico   consolidato   della   pubblica   amministrazione,    come
individuate dall'Istituto nazionale di statistica  (ISTAT)  ai  sensi
del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31  dicembre  2009,  n.  196,
nonche' nelle societa' possedute  direttamente  o  indirettamente  in
misura totalitaria, alla data  di  entrata  in  vigore  del  presente
provvedimento dalle amministrazioni pubbliche,  il  compenso  di  cui
all'articolo 2389, primo comma, del  codice  civile,  dei  componenti
degli organi di amministrazione e di quelli di controllo  e'  ridotto
del 10 per cento». 
    Infine, il comma 11 dispone che «le societa', inserite nel  conto
economico   consolidato   della   pubblica   amministrazione,    come
individuate dall'Istituto nazionale di statistica  (ISTAT)  ai  sensi
del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196,  si
conformano al principio di riduzione di spesa per studi e consulenze,
per relazioni pubbliche, convegni, mostre e pubblicita', nonche'  per
sponsorizzazioni, desumibile dai precedenti commi 7, 8 e 9». 
    Si tratta all'evidenza di norme puntuali e dettagliate. 
    In base al comma 5, la scelta possibile  -  per  gli  organi  del
primo tipo - e' fra 5 o 3 componenti,  mentre  per  il  collegio  dei
revisori la soluzione obbligata e' quella dei 3 componenti. 
    La riduzione di cui al comma 6 e' arbitrariamente determinata nel
10%, a prescindere dal livello iniziale  (con  violazione  anche  del
principio  di  ragionevolezza).  Il  comma  11   comunque   individua
specifiche voci di  spesa  da  ridurre,  precisando  ulteriormente  i
vincoli mediante il richiamo ai commi 7, 8 e 9, a loro volta puntuali
e dettagliati. 
    Dunque, i commi gia' censurati in relazione  alla  Provincia  (v.
sopra) ed i commi 5, 6 e 11 pongono limiti puntuali alla spesa  degli
enti locali, degli enti pubblici  del  sistema  provinciale  e  delle
societa' pubbliche. 
    Essi violano in particolare l'art. 79, comma 3, dello Statuto, in
base al quale «spetta alle province stabilire gli  obblighi  relativi
al  patto  di  stabilita'  interno  e  provvedere  alle  funzioni  di
coordinamento con riferimento agli enti  locali,  ai  propri  enti  e
organismi strumentali, alle aziende sanitarie, alle  universita'  non
statali di cui all' articolo 17, comma 120,  della  legge  15  maggio
1997, n. 127, alle camere  di  commercio,  industria,  artigianato  e
agricoltura e agli altri enti od organismi a ordinamento regionale  o
provinciale finanziati dalle stesse in via ordinaria», ed in base  al
quale «non si applicano le misure adottate per le regioni e  per  gli
altri enti nel restante territorio nazionale». 
    In  subordine,  qualora  -  peraltro  contro  l'evidente  dettato
dell'art. 79 dello Statuto - si ritenesse che anche gli  enti  locali
trentini e gli enti  del  sistema  provinciale  siano  soggetti  alle
misure di coordinamento contenute nelle leggi statali, i commi 3,  5,
6, 7, 8, 9, 11, 12, 13, 14, 19, 20, primo periodo, sarebbero comunque
illegittimi in  quanto  dettano  norme  direttamente  applicabili  in
materie di competenza della  Provincia,  in  violazione  dell'art.  2
d.lgs. n. 266/1992. 
    La materia provinciale  di  riferimento  e'  in  primo  luogo  la
propria autonomia organizzativa, la quale, come codesta ecc.ma  Corte
costituzionale ha sancito nella sentenza n. 159 del 2008 in relazione
alle Province autonome in un  caso  analogo  a  quello  presente,  e'
garantita «non solo dalle loro speciali disposizioni  statutarie,  ma
altresi'  dall'art.  117,  quarto  comma,  della   Costituzione,   da
intendersi applicabile a tutte le  Regioni,  ai  sensi  dell'art.  10
della legge cost. n. 3 del  2001,  il  quale  riserva  alla  potesta'
legislativa  residuale   regionale   la   disciplina   dell'autonomia
dell'organizzazione amministrativa» (punto 8.1 in diritto). 
    In  secondo  luogo,  va  anche  fatto  riferimento  alla  materia
finanziaria disciplinata dall'intero Titolo  VI  dello  Statuto,  ivi
compresa la finanza locale (v. l'art. 80 dello Statuto  e  l'art.  17
d.lgs. n. 268/1992). 
    Inoltre, va altresi' fatto  riferimento  al  coordinamento  della
finanza pubblica (v. l'art. 117, comma 3, Cost.) e all'organizzazione
regionale e degli enti collegati (v. l'art. 117, comma 4, Cost.),  in
quanto le norme del Titolo V garantiscano una autonomia piu' ampia di
quella statutaria, a termini dell'art. 10 della 1.  cost.  n.  3  del
2001. 
    Infine, i commi 3, 5, 6, 7, 8, 9, 11, 12, 13, 14,  19,  20  primo
periodo sono illegittimi per il loro contenuto, in quanto - come gia'
illustrato in relazione alla Provincia - dettano  norme  dettagliate,
che fuoriescono dai limiti del potere del legislatore  statale  nelle
materie del coordinamento della  finanza  pubblica  e  della  finanza
locale; si puo'  ricordare,  in  particolare,  per  l'analogia  della
fattispecie, la sentenza n. 159/2008 (punto 7 del Diritto). 
    Per quanto riguarda  la  spesa  dell'Azienda  provinciale  per  i
servizi sanitari, si puo' poi richiamare  la  sentenza  n.  341/2009,
punto 6, in base alla quale lo Stato non ha «ha  titolo  per  dettare
norme di coordinamento finanziario che definiscano  le  modalita'  di
contenimento di una spesa  sanitaria  che  e'  interamente  sostenuta
dalla Provincia autonoma di Trento». 
    Ugualmente deve dirsi nel presente caso. 
    Infine, e' illegittimo il secondo periodo del comma 21. 
    Per vero, tale disposizione, dopo avere disposto  che  «le  somme
provenienti dalle riduzioni di spesa di cui al presente articolo, con
esclusione di quelle di cui  al  primo  periodo  del  comma  6,  sono
versate annualmente dagli enti  e  dalle  amministrazioni  dotati  di
autonomia finanziaria ad apposito capitolo dell'entrata del  bilancio
dello Stato», precisa pero' che tale previsione «non si applica  agli
enti territoriali e  agli  enti,  di  competenza  regionale  o  delle
province autonome di Trento e  di  Bolzano,  del  Servizio  sanitario
nazionale». 
    Nella clausola di salvaguardia, o  di  esonero  dall'applicazione
della predetta disposizione, non sono compresi gli enti pubblici e le
societa' pubbliche collegati alla Provincia e agli enti locali  della
provincia: qualora essi dovessero ritenersi  implicitamente  compresi
nella clausola, non vi sarebbero ragioni di doglianza. 
    Invece, se tale interpretazione adeguatrice non fosse  possibile,
parte delle risorse affluite all'ordinamento provinciale in base allo
Statuto speciale verrebbe avocata allo Stato,  in  chiara  violazione
dell'autonomia  finanziaria  della  Provincia  e  degli  enti  locali
garantita dal Titolo VI dello Statuto. 
    In particolare, tutte  le  disposizioni  che  stabiliscono  quali
entrate spettino alla Provincia autonoma di Trento  hanno  l'evidente
scopo di garantire ad essa  una  determinata  quantita'  di  risorse,
affinche' essa le utilizzi nell'ambito  delle  proprie  competenze  e
finalita' statutarie e costituzionali. 
    Ove l'attuazione delle misure di finanza pubblica, stabilite  per
la Provincia di Trento in attuazione dell'art. 79  dello  Statuto,  e
particolarmente  attraverso  lo   specifico   patto   di   stabilita'
concordato con lo Stato, comporti riduzioni di spesa, tali  riduzioni
non possono  confluire  nel  bilancio  dello  Stato,  dato  che  cio'
equivarrebbe  ad  una  arbitraria  decurtazione  delle  risorse   che
spettano alla Provincia: la quale  invece  e'  abilitata  a  disporne
secondo i propri fini e nel quadro del proprio patto di stabilita'. 
    Di  qui  la  palese  illegittimita'  costituzionale  del  secondo
periodo del comma 21 e' illegittimo in  quanto  non  comprende  nella
clausola  di  salvaguardia,  o  di  esonero  dall'applicazione  della
predetta disposizione, gli enti  pubblici  e  le  societa'  pubbliche
collegati alla Provincia e agli enti locali della provincia. 
3) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 9, commi 1, 2,  2-bis,
3, 4, se ed in quanto sia riferito alle Province autonome, 28 e 29. 
    L'art. 9 detta norme sul Contenimento delle spese in  materia  di
impiego pubblico. Il comma 1 dispone che, «per gli anni 2011, 2012  e
2013 il trattamento economico  complessivo  dei  singoli  dipendenti,
anche  di  qualifica  dirigenziale,  ivi  compreso   il   trattamento
accessorio, previsto dai rispettivi ordinamenti delle amministrazioni
pubbliche» di cui al noto Elenco ISTAT «non puo'  superare,  in  ogni
caso, il trattamento ordinariamente spettante per l'anno 2010». 
    Tale norma si rivolge anche alle  Province  autonome,  agli  enti
locali e  agli  altri  enti  del  sistema  provinciale  -  in  quanto
menzionati  in  tale  Elenco:  essa,  dunque,  risulta  lesiva  delle
prerogative  costituzionali  della  Provincia  per  le  ragioni  gia'
esposte nel punto 1, con riferimento all'art. 5. 
    Si tratta, in primo luogo, della violazione  dell'art.  79  dello
Statuto, in quanto sono direttamente applicate alla  Provincia,  agli
enti locali ed agli enti provinciali  misure  di  contenimento  della
spesa. 
    Si tratta, in secondo luogo (ed ovviamente in  subordine),  della
generale violazione dell'autonomia organizzativa e finanziaria  della
Provincia e degli enti locali per eccesso dai limiti  della  potesta'
legislativa  statale  in  materia  di  coordinamento  della   finanza
pubblica, in quanto la disposizione pone un limite rigido ad una voce
specifica di spesa. 
    Si tratta, in terzo luogo, della violazione dell'art. 2 d.lgs. n.
266/1992, in quanto si tratta di norma  direttamente  applicativa  in
materia  di  evidente  competenza  provinciale  (sia  consentito   di
ricordare che il personale provinciale e collegato  fa  parte  di  un
separato  ambito  di   contrattazione,   di   livello   esso   stesso
provinciale) ai sensi dello Statuto  (ai  sensi  dell'art.  8,  comma
primo, n. 1, in particolare, la Provincia  ha  potesta'  primaria  in
materia di «ordinamento degli uffici provinciali e del  personale  ad
essi addetto»; in base all'art. 80, attuato dall'art.  17  d.lgs.  n.
268/1992, la  Provincia  ha  competenza  concorrente  in  materia  di
finanza locale). 
    Il comma 2 statuisce che, «in considerazione della eccezionalita'
della  situazione  economica  internazionale  e  tenuto  conto  delle
esigenze prioritarie di raggiungimento  degli  obiettivi  di  finanza
pubblica concordati in sede europea, a decorrere dal 1° gennaio  2011
e sino al 31 dicembre 2013 i trattamenti  economici  complessivi  dei
singoli dipendenti, anche di  qualifica  dirigenziale,  previsti  dai
rispettivi ordinamenti, delle amministrazioni pubbliche» del consueto
Elenco ISTAT «superiori a 90.000 euro lordi annui sono ridotti del  5
per cento per la parte eccedente il predetto importo fino  a  150.000
euro, nonche' del 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro». 
    In base a detta individuazione  dei  destinatari  tale  norma  si
rivolge anche alle Province, agli enti locali e agli altri  enti  del
sistema provinciale. 
    Essa, come il comma 1, viola l'art. 79 dello Statuto, l'autonomia
organizzativa e finanziaria  della  Provincia  e  degli  enti  locali
nonche' l'art. 2 d.lgs. n. 266/1992, per le  stesse  ragioni  esposte
nel punto  1,  con  riferimento  all'art.  5,  e  appena  riprese  in
relazione al comma 1. 
    Di qui l'evidente illegittimita' anche del comma 2. 
    Il comma 2-bis stabilisce che «a decorrere dal l° gennaio 2011  e
sino al  31  dicembre  2013  l'ammontare  complessivo  delle  risorse
destinate annualmente al trattamento accessorio del personale,  anche
di livello dirigenziale, di ciascuna  delle  amministrazioni  di  cui
all' articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo  2001,  n.
165, non puo' superare il corrispondente importo  dell'anno  2010  ed
e', comunque, automaticamente ridotto in  misura  proporzionale  alla
riduzione del personale in servizio». 
    Tale norma, pur individuando i propri destinatari in modo diverso
dal  riferimento  all'Elenco  ISTAT,  potrebbe   essere   considerata
applicabile anche alle Province, agli enti locali e agli  altri  enti
del sistema provinciale, in quanto rientranti nella generale  nozione
di pubblica amministrazione. 
    In questa ipotesi, essa applicherebbe le misure  di  contenimento
della spesa pubblica anche alla Provincia autonoma di Trento ed  agli
enti del sistema provinciale, ed inoltre pone  un  limite  rigido  ed
autoapplicativo ad una voce specifica e minuta di spesa. 
    Essa, dunque, risulta  lesiva  delle  prerogative  costituzionali
della  Provincia  e  costituzionalmente  illegittima  per  le  stesse
ragioni ora esposte in relazione ai precedenti commi  (oltre  che  al
punto 1, con riferimento all'art. 5). 
    In base al comma 3, «nei confronti dei titolari di  incarichi  di
livello dirigenziale generale delle amministrazioni  pubbliche,  come
individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT),  ai  sensi
del comma 3, dell'art. 1, della legge 31 dicembre 2009, n.  196,  non
si applicano le disposizioni normative e contrattuali che autorizzano
la corresponsione, a loro favore, di una quota dell'importo derivante
dall'espletamento di incarichi aggiuntivi». 
    Tale norma si rivolge anche alle Province,  agli  enti  locali  e
agli altri enti del sistema provinciale, applicando ad essi le misure
di contenimento della spesa pubblica  e  ponendo  un  limite  rigido,
autoapplicativo e non transitorio, ad una voce specifica e minuta  di
spesa. Essa, dunque, risulta lesiva delle prerogative  costituzionali
della Provincia per le stesse ragioni ora  esposte  in  relazione  ai
precedenti commi (oltre che al punto 1, con riferimento all'art. 5). 
    Il comma 4,  poi,  statuisce  che  «i  rinnovi  contrattuali  del
personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni per  il  biennio
2008-2009 ed i miglioramenti economici  del  rimanente  personale  in
regime di diritto pubblico per il medesimo biennio  non  possono,  in
ogni caso, determinare  aumenti  retributivi  superiori  al  3,2  per
cento»; che tale disposizione  «si  applica  anche  ai  contratti  ed
accordi stipulati prima della data di entrata in vigore del  presente
decreto»; che le clausole difformi «contenute nei predetti  contratti
ed accordi sono inefficaci»  e  che  «a  decorrere  dalla  mensilita'
successiva alla data di entrata in  vigore  del  presente  decreto  i
trattamenti retributivi saranno conseguentemente adeguati». 
    Tale  disposizione  individua   i   suoi   destinatari   mediante
l'espressione  generica  «pubbliche   amministrazioni»   e,   dunque,
potrebbe  essere  intesa  quale  norma  generale,  non  destinata  ad
applicarsi alle situazioni oggetto  di  regolazione  speciale,  quale
indubbiamente e' quella relativa alla Provincia autonoma  di  Trento.
Essa dunque e' suscettibile di  essere  intesa  in  modo  conforme  a
Statuto, cioe' nel senso di non applicarsi alle Province,  agli  enti
dell'ordinamento  provinciale  e,  in  generale,   ai   comparti   di
contrattazione collettiva provinciale. 
    Proprio  per  il  suo  riferirsi   in   genere   alle   pubbliche
amministrazioni, tra le quali ovviamente rientrano in astratto  anche
la Provincia di Trento e gli enti del sistema  provinciale,  essa  e'
anche suscettibile della opposta interpretazione. 
    In questo  caso,  ad  avviso  della  ricorrente  Provincia,  essa
sarebbe  illegittima  in  quanto  applica  ad  essi  le   misure   di
contenimento  della  spesa  pubblica  e  pone  un  limite  rigido  ed
autoapplicativo ad una voce specifica  e  minuta  di  spesa:  valendo
dunque per essa le censure ora esposte  in  relazione  ai  precedenti
commi (oltre che al punto 1, con riferimento all'art. 5). 
    Il  comma  28  dispone  che,  «a  decorrere  dall'anno  2011,  le
amministrazioni  dello  Stato,  anche  ad  ordinamento  autonomo,  le
agenzie,  incluse  le  Agenzie  fiscali...  gli  enti  pubblici   non
economici, le universita' e gli enti pubblici di cui all'articolo 70,
comma 4, del decreto legislativo 30  marzo  2001,  n.  165...,  fermo
quanto  previsto  dagli  articoli  7,  comma  6,  e  36  del  decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono avvalersi di  personale  a
tempo  determinato  o  con  convenzioni  ovvero  con   contratti   di
collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 50 per cento
della spesa sostenuta per le stesse finalita' nell'anno 2009»  (primo
periodo). Il secondo periodo stabilisce che uguale limite e'  fissato
per la spesa relativa a  contratti  di  formazione-lavoro,  ad  altri
rapporti formativi,  alla  somministrazione  di  lavoro,  nonche'  al
lavoro accessorio di cui all'articolo 70, comma  1,  lettera  d)  del
decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. 
    Il terzo periodo del comma 28 implica pero' che tali disposizioni
non si applichino alle Regioni e Province autonome,  in  quanto,  con
disposizione corrispondente a quella dell'art. 6, comma  20,  enuncia
che esse «costituiscono principi generali ai fini  del  coordinamento
della finanza pubblica ai quali si adeguano le regioni,  le  province
autonome, e gli enti del Servizio sanitario nazionale». 
    I tre periodi indicati del comma 28 sono dunque qui impugnati per
le stesse ragioni gia' esposte in  relazione  all'art.  6.  Il  terzo
periodo, in particolare, e' impugnato nella parte in cui esso  -  pur
implicando la non diretta applicazione dei precedenti  periodi  -  ne
afferma l'applicabilita' in quanto recante presunte  disposizioni  di
principio. 
    Infatti, come nel caso dell'art. 6, le norme contenute nel  comma
28,  a  dispetto  della  clausola  di  salvaguardia  appena   citata,
applicano alle Province autonome ed agli enti del sistema provinciale
le misure di contenimento della spesa,  in  violazione  dell'art.  79
dello Statuto. 
    Inoltre esse - come quelle  impugnate  dell'art.  6  -  risultano
illegittime anche per violazione delle regole generali  sui  rapporti
tra legislazione statale e regionale  nell'ambito  del  coordinamento
della finanza pubblica. Esse infatti non sono affatto disposizioni di
principio, ne' lo diventano  per  la  definizione  di  cui  al  terzo
periodo, ma sono tali da non consentire un autonomo  svolgimento.  Si
tratta di un limite rigido ad una voce specifica e minuta  di  spesa,
di una norma dettagliata che prevede  la  modalita'  di  contenimento
della voce di spesa, senza lasciare alcun  margine  di  manovra  alla
Provincia. Inoltre, il limite non e' transitorio. 
    Dunque, il comma 28 e' illegittimo per le ragioni  gia'  viste  a
proposito dell'art. 6: in primo luogo per la violazione dell'art.  79
dello Statuto, in quanto sono applicate  alla  Provincia,  agli  enti
locali ed agli enti provinciali misure di contenimento  della  spesa;
in secondo luogo (e sempre in subordine), per la generale  violazione
dell'autonomia organizzativa e finanziaria della  Provincia  e  degli
enti locali,  per  eccesso  dai  limiti  della  potesta'  legislativa
statale in materia di coordinamento della finanza pubblica, in quanto
la disposizione pone un limite rigido ad una voce specifica di spesa. 
    D'altronde, sia consentito di ricordare che l'illegittimita'  dei
vincoli puntuali alle  assunzioni  e'  gia'  stata  dichiarata  dalle
sentt. nn. 95/2008, 88/2006 e 390/2004. 
    Si noti che la limitata «clausola  di  salvaguardia»  di  cui  al
terzo  periodo  non  solo  non  vale  a  far  salva  la  legittimita'
costituzionale della disposizione in relazione alla Provincia  ed  in
genere al sistema provinciale, ma  e'  ulteriormente  illegittima  in
quanto, non comprendendo gli  enti  locali,  implica  addirittura  la
diretta applicazione agli enti  locali  della  Provincia  dei  limiti
posti dal comma 28. 
    Anche sotto questo  profilo,  esso  e'  illegittimo  per  ragioni
corrispondenti a quelle gia'  illustrate  a  proposito  dell'art.  6,
comma 20, primo periodo e sopra richiamate: in  primo  luogo  per  la
violazione dell'art. 79, comma 3,  secondo  e  terzo  periodo,  dello
Statuto, in quanto sono direttamente applicate agli enti  provinciali
(tranne  gli  «enti  sanitari»)  ed  agli  enti  locali   misure   di
contenimento della spesa; in secondo luogo (e sempre  in  subordine),
per eccesso dai limiti della potesta' legislativa statale in  materia
di coordinamento della finanza pubblica e finanza locale,  in  quanto
la disposizione pone un limite rigido ad una voce specifica di spesa;
in terzo luogo, per la violazione dell'art. 2 d.lgs. n. 266/1992,  in
quanto si tratta di norma  direttamente  applicativa  in  materia  di
evidente competenza provinciale, quale la finanza  locale  (art.  80,
comma 1, dello Statuto). 
    Va poi aggiunto che l'art. 17, comma 3, delle norme di attuazione
di cui al d.lgs. n. 268/1992, assegna alla Provincia  di  Trento  una
specifica competenza nella materia del comma 28, stabilendo che  «nel
rispetto delle competenze regionali in  materia  di  ordinamento  dei
comuni, le province disciplinano con legge i criteri  per  assicurare
un equilibrato sviluppo della finanza comunale, ivi compresi i limiti
all'assunzione   di    personale,    le    modalita'    di    ricorso
all'indebitamento,   nonche'    le    procedure    per    l'attivita'
contrattuale». 
    Di qui una ulteriore e specifica ragione  di  illegittimita'  del
comma 28, la' dove si applica agli enti locali trentini. 
    In base al comma 29, «le societa' non quotate, inserite nel conto
economico   consolidato   della   pubblica   amministrazione,    come
individuate dall'ISTAT ai sensi del comma  3  dell'articolo  1  della
legge  31  dicembre  2009,  n.  196,   controllate   direttamente   o
indirettamente dalle  amministrazioni  pubbliche,  adeguano  le  loro
politiche  assunzionali  alle  disposizioni  previste  nel   presente
articolo». 
    Tale norma si rivolge anche a societa' pubbliche dell'ordinamento
provinciale (ad  es.,  Patrimonio  del  Trentino  s.p.a.  e  Trentino
Riscossioni s.p.a.). Essa non e' fondata su alcuna ragione di  tutela
della  concorrenza  (al  contrario  di  altre  recenti   disposizioni
restrittive in materia di societa' regionali e degli enti locali), ma
si propone il solo scopo del contenimento della  spesa,  considerando
tali   societa'   come   equivalenti   funzionali   delle   pubbliche
amministrazioni. 
    Essa  introduce  dunque  limiti  finanziari  diretti  al  sistema
amministrativo  provinciale,  e  limiti  indiretti   alla   autonomia
finanziaria della stessa Provincia e degli enti locali provinciali. 
    In relazione a cio', essa e'  illegittima  per  le  ragioni  gia'
viste in relazione al comma 28: in  primo  luogo  per  la  violazione
dell'art. 79 dello Statuto, in  quanto  sono  direttamente  applicate
alla Provincia ed agli enti provinciali misure di contenimento  della
spesa; in secondo luogo (e sempre  in  subordine),  per  la  generale
violazione dell'autonomia organizzativa e finanziaria della Provincia
e  degli  enti  locali,  per  eccesso  dai  limiti   della   potesta'
legislativa  statale  in  materia  di  coordinamento  della   finanza
pubblica e finanza locale, in quanto la disposizione pone  un  limite
rigido ad una voce  specifica  di  spesa;  in  terzo  luogo,  per  la
violazione dell'art. 2 d.lgs. n. 266/1992, in  quanto  si  tratta  di
norma direttamente applicativa  in  materie  di  evidente  competenza
provinciale, quali l'organizzazione provinciale e la  finanza  locale
(art. 80, comma 1, dello Statuto). 
4) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 14, comma 24-bis. 
    L'art. 14 e' intitolato Patto  di  stabilita'  interno  ed  altre
disposizioni sugli enti territoriali. 
    Nel comma 24-bis, stabilisce che  «i  limiti  previsti  ai  sensi
dell'articolo 9, comma 28, possono essere superati  limitatamente  in
ragione della proroga dei rapporti  di  lavoro  a  tempo  determinato
stipulati dalle  regioni  a  statuto  speciale,  nonche'  dagli  enti
territoriali facenti parte delle predette  regioni,  a  valere  sulle
risorse  finanziarie  aggiuntive  appositamente  reperite  da  queste
ultime attraverso apposite misure di  riduzione  e  razionalizzazione
della spesa certificate dagli organi  di  controllo  interno»  (primo
periodo). Restano fermi, «in ogni caso, i  vincoli  e  gli  obiettivi
previsti ai sensi del presente articolo» (secondo  periodo).  Infine,
si  dispone  che  «le   predette   amministrazioni   pubbliche,   per
l'attuazione dei processi  assunzionali  consentiti  ai  sensi  della
normativa vigente, attingono prioritariamente ai lavoratori di cui al
presente comma, salva motivata indicazione concernente gli  specifici
profili professionali richiesti» (terzo periodo). 
    La prima disposizione  e'  connessa  a  quella,  gia'  esaminata,
dell'art. 9, comma 28, e si rivolge specificamente, tra l'altro, alla
Provincia di Trento e agli enti locali trentini, e rispetto a  questa
introduce  un  regime  limitatamente  preferenziale.  La   ricorrente
Provincia ritiene illegittimi - ed ha impugnato - i  vincoli  di  cui
all'art. 9, comma 28, e  dunque  ritiene  che  non  vi  debba  essere
ragione del regime limitatamente preferenziale:  ma  se  in  denegata
ipotesi tali vincoli risultassero legittimi il  regime  limitatamente
derogatorio risulterebbe, in quanto tale, favorevole. 
    Non vi e' dunque ragione di una specifica impugnazione del  primo
periodo. Oggetto di censura deve invece essere l'ultimo  periodo  del
comma 24-bis, che pure si rivolge specificamente, tra  l'altro,  alla
Provincia di Trento e agli enti locali trentini. Tale norma limita le
scelte possibili relative alle assunzioni, violando in modo  evidente
(non potendosi ragionevolmente  trattare  di  principio  di  riforma)
l'autonomia primaria della Provincia  nella  materia  del  personale,
stabilita dall'art. 8, comma primo, n. 1, dello Statuto  (ugualmente,
ma meno specificamente, potrebbe farsi  riferimento  alla  competenza
residuale di cui all'art. 117, comma 4, Cost., in forza dell'art.  10
1. cost. n. 3/2001). Si puo' ricordare che la sent.  n.  235/2010  ha
ricondotto all'organizzazione degli uffici regionali  una  norma  che
limitava la facolta' della Giunta regionale  di  ricorrere,  per  far
fronte alle proprie esigenze operative, all'assunzione di  lavoratori
con contratto a tempo determinato.  Inoltre,  considerando  l'intento
finanziario  della   norma,   risulta   anche   violata   l'autonomia
finanziaria della  Provincia,  ed  in  particolare  l'art.  79  dello
Statuto, per l'illegittima applicazione ad essa ed agli  enti  locali
trentini delle misure di contenimento della spesa e di  coordinamento
finanziario, dalle quali la Provincia e'  esonerata  in  ragione  del
regime specifico per essa stabilito. 
    Inoltre, e sempre in relazione al profilo finanziario, per quanto
riguarda gli enti locali, la disposizione viola, con il suo contenuto
dettagliato,  la  competenza  della  Provincia  nella  materia  della
finanza locale (art. 80 dello Statuto e art. 17, comma 3,  d.lgs.  n.
268/1992, in base al quale «le  province  disciplinano  con  legge  i
criteri  per  assicurare  un  equilibrato  sviluppo   della   finanza
comunale, ivi compresi i limiti all'assunzione di personale»). 
    Infine, e'  violato  l'art.  2  d.lgs.  n.  266/1992,  visto  che
l'ultimo periodo del comma 24-bis risulta direttamente applicabile in
materie di competenza provinciale. 
5) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 49, comma 3, lett. b),
comma 4 e comma 4-ter. 
    Il comma 3 dell'art. 49 modifica l'art. 14-quater della legge  n.
241/1990, intitolato Effetti del dissenso espresso  nella  conferenza
di servizi. 
    La lett. b) di tale comma sostituisce i commi 3, 3-bis,  3-ter  e
3-quater dell'art. 14-quater con il seguente: 
        «3. Al di fuori dei casi  di  cui  all'articolo  117,  ottavo
comma, della Costituzione, e  delle  infrastrutture  ed  insediamenti
produttivi strategici e di preminente  interesse  nazionale,  di  cui
alla parte seconda, titolo terzo, capo quarto del decreto legislativo
12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, nonche' dei  casi
di  localizzazione  delle  opere  di  interesse  statale,  ove  venga
espresso motivato dissenso da parte  di  un'amministrazione  preposta
alla tutela ambientale,  paesaggistico-territoriale,  del  patrimonio
storico-artistico  o  alla  tutela  della  salute  e  della  pubblica
incolumita', la questione, in attuazione e nel rispetto del principio
di leale collaborazione e dell'articolo 120  della  Costituzione,  e'
rimessa  dall'amministrazione  procedente  alla   deliberazione   del
Consiglio dei Ministri,  che  si  pronuncia  entro  sessanta  giorni,
previa intesa con la Regione o le  Regioni  e  le  Province  autonome
interessate, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale e una
regionale o tra piu' amministrazioni regionali, ovvero previa  intesa
con la Regione e gli enti locali interessati, in caso di dissenso tra
un'amministrazione statale o regionale e un ente locale  o  tra  piu'
enti locali. Se l'intesa  non  e'  raggiunta  nei  successivi  trenta
giorni, la deliberazione  del  Consiglio  dei  Ministri  puo'  essere
comunque adottata. Se il motivato dissenso e' espresso da una Regione
o  da  una  Provincia  autonoma  in  una  delle  materie  di  propria
competenza, il Consiglio  dei  Ministri  delibera  in  esercizio  del
proprio potere sostitutivo con la partecipazione dei Presidenti delle
Regioni o delle Province autonome interessate.». 
    Il comma  3-quinquies  dell'art.  14-quater,  rimasto  invariato,
stabilisce che  «restano  ferme  le  attribuzioni  e  le  prerogative
riconosciute alle regioni a statuto speciale e alle province autonome
di Trento e di Bolzano dagli statuti speciali di  autonomia  e  dalle
relative nonne di attuazione». 
    Il comma 4 dell'art. 49 d.l. n. 78/2010 modifica l'art. 29, comma
2-ter, legge n. 241/1990, aggiungendo la «conferenza di servizi»  fra
gli istituti che secondo la  disposizione  «attengono...  ai  livelli
essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo  comma,
lettera  m),  della  Costituzione».  Peraltro,   l'art.   29,   comma
2-quinquies, legge n. 241/1990 dispone  che  «le  regioni  a  statuto
speciale e le province autonome di Trento e di  Bolzano  adeguano  la
propria legislazione alle disposizioni del presente articolo, secondo
i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione». 
    In sintesi, il nuovo art. 14-quater, comma 3, legge n.  241/1990,
che menziona espressamente  le  Province  autonome,  prevede:  a)  un
potere sostitutivo del Consiglio dei ministri ex art.  120  Cost.  in
relazione a certi casi in cui vi sia un  dissenso  in  conferenza  di
servizi; b) un'intesa «debole» della Regione interessata, prima della
delibera  del  Consiglio  dei  ministri;  c)  la  partecipazione  dei
Presidenti delle Regioni o delle Province autonome  interessate  alla
seduta del  Consiglio  dei  Ministri  «se  il  motivato  dissenso  e'
espresso da una Regione o da una  Provincia  autonoma  in  una  delle
materie di propria competenza». 
    L'ultimo periodo del nuovo comma 3  fa  specifico  riferimento  a
materie di competenza della Provincia,  ma  anche  il  primo  periodo
menziona settori rientranti nella competenza provinciale:  v.  l'art.
8, n. 3 («tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico  e
popolare»), n. 5 («urbanistica»), n. 6 («tutela del  paesaggio»),  n.
13  («opere  di  prevenzione  e  di  pronto  soccorso  per  calamita'
pubbliche»), e l'art. 9, n. 10 («igiene e sanita'»). 
    Ad avviso della ricorrente  Provincia  sia  la  disposizione  che
prevede un potere sostitutivo del  Consiglio  dei  ministri,  sia  la
disposizione che prevede  un'intesa  di  carattere  debole  risultano
illegittime. 
    In primo luogo, sono palesemente violati l'art. 16 dello  Statuto
(che prevede la titolarita' provinciale delle funzioni amministrative
nelle materie di competenza legislativa,  secondo  il  principio  del
«parallelismo»)  e  l'art.  4  d.lgs.  n.  266/1992,  che  vieta   di
attribuire ad organi statali funzioni amministrative nelle materie di
competenza provinciale. 
    Non si comprende, infatti, per quale ragione,  nelle  materie  di
competenza amministrativa provinciale, il dissenso espresso a  tutela
di  valori  che  per  lo  piu'  rientrano  anch'essi  nelle   materie
provinciali (si e' gia' fatto riferimento alla tutela e conservazione
del patrimonio storico, artistico e popolare,  all'urbanistica,  alla
tutela del paesaggio, alle opere di prevenzione e di pronto  soccorso
per  calamita'  pubbliche  e  all'igiene  e  sanita',  tutte  materie
statutarie) debba implicare la competenza del Consiglio dei ministri. 
    Arbitrario e', in secondo  luogo,  il  tentativo  di  fondare  la
competenza del Consiglio dei ministri sul potere «sostitutivo»  dello
Stato ex art. 120 Cost., data  la  palese  mancanza  dei  presupposti
previsti da questa disposizione: il  «mancato  rispetto  di  norme  e
trattati  internazionali  o   della   normativa   comunitaria»   (qui
ovviamente fuori luogo), il «pericolo grave per  l'incolumita'  e  la
sicurezza pubblica», la «tutela dell'unita' giuridica  o  dell'unita'
economica e in particolare la tutela  dei  livelli  essenziali  delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali». 
    L'unico  «appiglio»  -  piu'  che  vero  collegamento  -  e'   il
riferimento ai livelli essenziali delle prestazioni, introdotto  -  a
proposito della conferenza di servizi - dal comma 4 dell'art. 49:  si
tratta, pero', come si vedra', di un  legame  del  tutto  arbitrario,
perche' l'attinenza dei procedimenti oggetto dell'art. 49,  comma  3,
ai livelli essenziali deve essere verificata  caso  per  caso  e,  in
determinate ipotesi,  questi  livelli  essenziali  potrebbero  essere
garantiti proprio dal dissenso delle amministrazioni poste  a  tutela
degli interessi «sensibili» menzionati dal comma 3.  Ne'  certo  puo'
essere in se' un  livello  essenziale  di  prestazione...  lo  stesso
potere decisorio statale: si ricordi, al contrario, che la competenza
alla decisione di ogni caso concreto non puo' che  essere  ricondotta
alle regole costituzionali di competenza, e  che  un  potere  statale
«sostitutivo» e' legittimo solo nell'ambito dei  presupposti  di  cui
all'art. 120. 
    Inoltre,  l'esercizio  del  potere  sostitutivo   presuppone   il
carattere obbligatorio dell'atto omesso (v. anche l'art. 8  legge  n.
131/2003), mentre l'art. 49, comma 3, non rispetta questo requisito. 
    Ancora, codesta Corte ha chiarito che l'art. 120 Cost. si applica
alle Regioni speciali solo in relazione alle competenze di  cui  esse
godono ex art. 10, 1. cost. n. 3/2001 (v. sent. N. 236/2004). 
    Dunque, l'art. 49, comma 3, risulta lesivo anche la' dove applica
l'art. 120 Cost. alle Province autonome  in  relazione  alle  materie
statutarie. 
    Anche ove in denegata ipotesi risultasse legittima la devoluzione
della decisione al Consiglio dei ministri, o  nelle  ipotesi  in  cui
risultasse tale, illegittima rimane in ogni modo la previsione  della
possibilita' di fare a meno dell'intesa. Infatti, dato che  la  norma
impugnata si applica in materie di competenza provinciale, o in  base
allo Statuto o in base al nuovo Titolo V, questa  possibilita'  viola
il principio di leale collaborazione, gli  artt.  8,  9  e  16  dello
Statuto, nonche' gli artt. 117 e 118 Cost in connessione  con  l'art.
10, 1. cost. n. 3/2001. 
    In queste materie, l'intesa con la Regione interessata dev'essere
necessariamente  «forte»  e  la  legge  statale  non  puo'  prevedere
meccanismi unilaterali per superare la mancata intesa,  come  risulta
da  una  consolidata  giurisprudenza   costituzionale.   Oltre   alle
fondamentali sentt. nn. 303/2003, 6/2004 e 62/2005, si puo' ricordare
qui la sent. n. 121/2010, che ha annullato una  norma  che  stabiliva
che «decorsi novanta giorni senza che sia stata raggiunta la predetta
intesa, gli accordi di programma possono essere comunque  approvati».
In quella occasione codesta Corte costituzionale ha sancito che «tale
norma vanifica la previsione dell'intesa, in  quanto  attribuisce  ad
una delle parti "un ruolo preminente,  incompatibile  con  il  regime
dell'intesa, caratterizzata [...]  dalla  paritaria  codeterminazione
dell'atto"; e che non e' legittima "la drastica previsione,  in  caso
di mancata intesa, della decisivita' della volonta' di una sola delle
parti,  la  quale  riduce  all'espressione  di  un  parere  il  ruolo
dell'altra"». 
    Ed anche la sent. n.  24/2007  ha  confermato  che,  per  ovviare
all'esigenza di «superare la situazione di stallo  determinata  dalla
mancata intesa» e per «dare concreta attuazione al principio di leale
collaborazione», spetta al legislatore «stabilire, semmai, un sistema
che imponga comportamenti rivolti allo scambio di informazioni e alla
manifestazione della volonta' di ciascuna delle parti  e,  in  ultima
ipotesi, contenga previsioni le quali  assicurino  il  raggiungimento
del risultato, senza la  prevalenza  di  una  parte  sull'altra  (per
esempio, mediante la indicazione di un soggetto terzo)». 
    La sent. n. 383/2005, riguardante proprio la Provincia di Trento,
ha anch'essa chiarito che l'art. 120, comma 2, Cost. «non puo' essere
applicato ad  ipotesi...  nelle  quali  l'ordinamento  costituzionale
impone il conseguimento di una necessaria intesa fra organi statali e
organi  regionali  per   l'esercizio   concreto   di   una   funzione
amministrativa attratta  in  sussidiarieta'  al  livello  statale  in
materie di competenza legislativa regionale»; la  Corte  ha  ribadito
che «tali intese costituiscono condizione  minima  e  imprescindibile
per  la  legittimita'  costituzionale  della  disciplina  legislativa
statale che effettui la "chiamata in sussidiarieta'" di una  funzione
amministrativa in materie affidate alla legislazione  regionale,  con
la conseguenza che deve trattarsi di vere e proprie intese "in  senso
forte", ossia di atti a struttura  necessariamente  bilaterale,  come
tali non superabili con decisione unilaterale di  una  delle  parti».
L'esigenza «che il  conseguimento  di  queste  intese  sia  non  solo
ricercato in termini effettivamente  ispirati  alla  reciproca  leale
collaborazione, ma anche agevolato per evitare situazioni di  stallo,
potra' certamente  ispirare  l'opportuna  individuazione,  sul  piano
legislativo, di procedure parzialmente innovative  volte  a  favorire
l'adozione dell'atto finale nei casi in cui siano insorte difficolta'
a conseguire l'intesa, ma tali procedure non potranno  in  ogni  caso
prescindere dalla permanente garanzia della posizione paritaria delle
parti coinvolte»;  e  «nei  casi  limite  di  mancato  raggiungimento
dell'intesa, potrebbe essere utilizzato, in ipotesi, lo strumento del
ricorso a questa Corte in sede di conflitto di attribuzione fra Stato
e Regioni». 
    Utile e' anche richiamare la sent. n. 378/2005: «e' ben vero  che
questa Corte ha talvolta ritenuto  che  l'istanza  costituita,  quale
vertice  del  potere  politico-amministrativo,  dal   Consiglio   dei
ministri fosse adeguata a superare lo stallo determinato dal  mancato
raggiungimento dell'intesa, ma cio' ha fatto in ipotesi  nelle  quali
non solo vi era una particolarmente pressante esigenza di  provvedere
(sentenza n. 6 del 2004), ma vi era altresi' un intreccio con materie
di competenza legislativa esclusiva dello Stato (sentenza n.  62  del
2005)». Diversamente - e come nel caso di  specie  -  «il  meccanismo
escogitato per superare la situazione  di  paralisi  determinata  dal
mancato raggiungimento dell'intesa e' tale da svilire  il  potere  di
codeterminazione riconosciuto alla Regione, dal momento che  la  mera
previsione della possibilita' per il Ministro di far prevalere il suo
punto di vista, ottenendone l'avallo dal Consiglio dei  ministri,  e'
tale da rendere quanto mai debole, fin dall'inizio del  procedimento,
la posizione della Regione che non condivida l'opinione del  Ministro
e da incidere sulla effettivita' del potere di codeterminazione  che,
ma (a questo punto) solo apparentemente, l'art. 8, comma 1,  continua
a riconoscere alla Regione». 
    Ne' la mancata previsione di un'intesa  «forte»  puo'  essere  in
alcun  modo  surrogata  dalla  partecipazione  dei  Presidenti  delle
Regioni  o  delle  Province  autonome  interessate  alla  seduta  del
Consiglio dei ministri  che  esercita  il  potere  sostitutivo:  tale
partecipazione si limita a «portare»  nel  Consiglio  la  voce  della
Provincia, senza tradursi in un  potere  di  «codeliberazione».  Essa
potra' costituire una  qualche  garanzia  nelle  ipotesi  in  cui  il
ricorso  alla  competenza  statale  governativa  sia   necessaria   e
giustificata sulla base di altro fondamento  costituzionale,  ma  non
puo' ovviamente costituire  autonomo  fondamento  costituzionale  del
potere statale. 
    Le  disposizioni  impugnate  sono  dunque  illegittime   per   la
violazione  dell'autonomia  amministrativa  della  Provincia  e   del
principio di leale collaborazione. 
    L'art. 49, comma 4, novellando l'art. 29 della legge n. 241/1990,
attribuisce alle disposizioni della stessa legge n.  241  concernenti
la «conferenza di  servizi»  il  carattere  di  norme  attinenti  «ai
livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo
comma, lettera m),  della  Costituzione»,  con  l'evidente  scopo  di
renderle vincolanti - e addirittura direttamente operanti  -  per  le
Regioni, secondo lo statuto proprio delle materie esclusive  statali.
Vero e' che il medesimo  art.  29  della  legge  n.  241  continua  a
prevedere (comma 2-quinquies) che le Regioni a statuto speciale e  le
Province  autonome  di  Trento  e  Bolzano   «adeguano   la   propria
legislazione alle  disposizioni  del  presente  articolo,  secondo  i
rispettivi  statuti  e  le  relative  norme  di  attuazione»,  ma  la
effettiva portata della clausola di salvaguardia e' posta  in  dubbio
dal fatto che - come si e' evidenziato appena sopra - alcune puntuali
disposizioni sulla conferenza di servizi si riferiscono espressamente
anche alle Province autonome. 
    La ricorrente censura quindi l'art. 49, comma 4, se ed in  quanto
ad essa applicabile. Poiche'  le  ragioni  della  incostituzionalita'
valgono  anche  per  il  comma  4-ter,  esse  verranno  subito  oltre
argomentate in modo unitario. 
    Il comma 4-ter fa riferimento alla «Segnalazione  certificata  di
inizio attivita' - Scia», che il precedente comma 4-bis dell'art.  49
ha introdotto in luogo della «Dichiarazione di inizio attivita'».  In
sintesi, il comma 4-bis sostituisce con la Scia una  vasta  serie  di
titoli abilitativi allo svolgimento di certe attivita'  (anche  -  ma
non solo - di natura  imprenditoriale,  commerciale  o  artigianale);
delimita i poteri di controllo che l'amministrazione competente  puo'
esercitare entro il  termine  perentorio  di  sessanta  giorni  dalla
presentazione della Scia;  definisce  i  (ridotti)  poteri  che  alla
stessa amministrazione  competono  decorso  il  periodo  di  sessanta
giorni. 
    A sua volta, il comma 4-ter qui impugnato stabilisce che:  a)  la
disciplina della Scia, nella sua integralita',  attiene  alla  tutela
della concorrenza e costituisce livello essenziale delle  prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali, ai sensi dell'art. 117, comma
2, lett. e) ed m), Cost.;  b)  la  medesima  disciplina  «sostituisce
direttamente [...] quella della  dichiarazione  di  inizio  attivita'
recata da ogni normativa statale e regionale». 
    L'indicazione dei pretesi  «titoli»  della  disciplina,  e  degli
effetti sulla normativa precedente, anche di fonte  regionale,  rende
pure qui palese l'intendimento del legislatore statale di dettare una
normativa completa, autosufficiente, non derogabile  dai  legislatori
locali. 
    Si puo' ancora dubitare che le nuove  norme  sulla  Scia  trovino
applicazione alle Province autonome:  il  riferimento  espresso  alla
sola  normativa  «regionale»  quale  oggetto  della  sostituzione,  e
l'appello a competenze spettanti allo Stato sulla base del  titolo  V
della Costituzione,  potrebbero  concorrere  ad  una  interpretazione
costituzionalmente  conforme,  che  tenga  conto   delle   competenze
spettanti alla Provincia ricorrente sulla base  delle  Statuto,  e  -
quanto al rapporto tra fonti statali  e  fonti  provinciali  -  delle
norme di attuazione del d.lgs. n. 266/1992. Ma  la  mancanza  di  una
esplicita clausola di salvaguardia, nel contesto  di  una  legge  che
pure ne contiene, non esclude con ragionevole sicurezza  una  diversa
interpretazione. La Provincia di Trento  censura  dunque  l'art.  49,
comma 4-ter, se ed in quanto ad essa applicabile. 
    Va in primo luogo osservato che,  se  pure  le  disposizioni  ora
esposte  attenessero  effettivamente  ai  «livelli  essenziali  delle
prestazioni» di cui alla lettera m) dell'art. 117, comma 2, Cost.,  o
alla «tutela della concorrenza» di cui  alla  lettera  e),  cio'  non
consentirebbe affatto di farle entrare a questo titolo nelle  materie
di competenza statutaria provinciale. 
    Cosi' facendo, infatti, la nuova definizione di materie riservate
allo Stato operata dalla legge costituzionale n. 3 del 2001  verrebbe
a  limitare  l'ampiezza  della   potesta'   legislativa   provinciale
delineata dallo Statuto: ma cio' e' giuridicamente  impossibile  -  e
risulterebbe dunque arbitrario - dato che lo impedisce la clausola di
cui all'art. 10 della stessa legge costituzionale, la  quale  prevede
si' l'estensione delle nuove norme del Titolo V della  Parte  seconda
della Costituzione alle autonomie speciali, ma solo in quanto cio' si
traduca per esse  in  maggiore  autonomia  rispetto  alla  situazione
statutaria. Il che non sarebbe ovviamente il caso quando si facessero
valere competenze esclusive statali. 
    Per le autonomie speciali, dunque, anche le norme  emanate  sotto
gli indicati titoli di cui all'art. 117,  comma  secondo,  potrebbero
operare  solo  nel  quadro  dei  limiti  statutari  alle   competenze
provinciali, quali delineati dagli art. 8 e 9 dello Statuto  speciale
in relazione alle potesta' legislative primarie e  concorrenti  della
Provincia. 
    Premesso che la autoqualificazione operata dal legislatore non e'
vincolante  (sentt.  nn.  387/2007,  207/2010),  e'   da   contestare
anzitutto che le discipline sulla conferenza di servizi e sulla  Scia
attengano effettivamente ai «livelli essenziali delle prestazioni» di
cui alla lettera m) dell'art. 117, comma 2, Cost. 
    La giurisprudenza costituzionale  ha  in  effetti  precisato,  in
positivo, che la lettera m)  consente  allo  Stato  solo  di  fissare
«standard strutturali e qualitativi delle  prestazioni  da  garantire
agli  aventi  diritto»  (sentt.  nn.  10/2010,  207/2010).   Con   le
disposizioni  sulla  conferenza  di  servizi  e  sulla  Scia  non  si
stabilisce invece  alcuno  standard  quantitativo  o  qualitativo  di
prestazioni determinate, attinenti a questo o a quel «diritto» civile
o sociale garantito dalla stessa Costituzione (sentenze nn.  387/2007
e 10/2010). 
    Al contrario, viene regolato in  un  certo  modo  lo  svolgimento
della   attivita'   amministrativa,   in   settori   vastissimi    ed
indeterminati, alcuni di indiscutibile competenza provinciale:  oltre
alla tutela e  conservazione  del  patrimonio  storico,  artistico  e
popolare, all'urbanistica, alla tutela del  paesaggio,  all'igiene  e
sanita', gia' ricordati a proposito della conferenza di  servizi,  si
evidenzia  che  la  normativa  sulla  Scia   incide   sulle   materie
dell'ordinamento degli uffici  provinciali,  dell'artigianato,  delle
miniere,  del  turismo,  del  commercio,  degli  esercizi   pubblici,
dell'industria..., materie spettanti alla Provincia  in  forza  dello
Statuto speciale (art. 8, nn. 1, 9, 14, 20; art. 9, nn. 3, 7,  10)  o
del nuovo Titolo V della Costituzione, in connessione con l'art.  10,
1. cost. n. 3/2001. 
    Con cio' pero' si violano le norme  costituzionali  e  statutarie
citate, per cui la disciplina delle funzioni amministrative di regola
non puo' che spettare allo Stato o alla Provincia secondo il  riparto
delle competenze per materia. Ed e' evidente che lo Stato  non  puo',
semplicemente appellandosi alla fissazione  dei  livelli  essenziali,
riservarsi la regolamentazione  di  interi  settori  materiali:  come
codesta ecc.ma Corte costituzionale ha espressamente escluso  con  la
sentenza n. 371/2008). 
    Giova poi ricordare un altro  punto  fermo  della  giurisprudenza
della Corte sui  «livelli  essenziali  delle  prestazioni».  Essa  ha
costantemente  censurato  la  confusione   -   spesso   operata   dal
legislatore  (per  ragioni  che  e'  facile  comprendere)  -  tra  la
determinazione dei livelli delle prestazioni, e la  disciplina  delle
posizioni soggettive degli amministrati. La distinzione e' in effetti
assolutamente necessaria:  se  non  fosse  operata,  posto  che  ogni
diritto o interesse implica un qualche  comportamento  altrui  (anche
solo  omissivo),  la  competenza  sulla  materia  della  lettera   m)
dell'art. 117 Cost. consentirebbe  allo  Stato  qualunque  intervento
conformativo di qualunque posizione soggettiva in  qualunque  materia
regionale/provinciale. Il che non puo'  essere,  e  non  e'.  Con  la
sentenza n. 387/2007 la Corte ha escluso che il diritto della persona
di scegliere la struttura di  cura  possa  costituzionalmente  essere
qualificato dal legislatore «livello essenziale  delle  prestazioni»:
in modo molto efficace, la sentenza sottolinea come  «l'inquadramento
della liberta' di scelta nell'ambito normativo dell'art. 117, secondo
comma, lettera m), Cost., non solo e' concettualmente  inappropriato,
ma comporta conseguenze lesive dell'autonomia  regionale,  in  quanto
consente il superamento dei confini tra principi  fondamentali  della
materia, riservati alla legislazione dello  Stato,  e  disciplina  di
dettaglio, riservata alle Regioni, tipici della competenza  ripartita
di  cui  al  terzo  comma  dell'art.  117  Cost.,  nel   cui   ambito
indubbiamente ricade la normativa de qua,  volta  alla  tutela  della
salute». 
    Assai significativa sul punto e' anche la sentenza  n.  271/2005,
la quale, con riguardo alla legislazione sulla  protezione  dei  dati
personali,  ha  ritenuto  «improprio  [...]   il   riferimento   alla
competenza esclusiva  dello  Stato  in  tema  di  determinazione  dei
livelli  essenziali  delle  prestazioni»,  dal   momento   che   tale
legislazione «non concerne prestazioni, bensi' la  stessa  disciplina
di  una  serie  di  diritti  personali  attribuiti  ad  ogni  singolo
interessato, consistenti nel potere di  controllare  le  informazioni
che lo riguardano e le modalita' con cui  viene  effettuato  il  loro
trattamento».  Ebbene:  proprio   la   «confusione»   tra   posizione
soggettiva  degli  amministrati  e   prestazione   si   trova   nelle
disposizioni legislative qui  censurate,  confusione  particolarmente
evidente in quella relativa alla  Scia  (mentre  anzi  la  disciplina
sulla conferenza  di  servizi  concerne  esclusivamente  il  modo  di
esercizio del potere, senza che da  essa  si  possa  evidenziare  una
specifica posizione soggettiva). 
    In effetti, le disposizioni  censurate  non  definiscono  affatto
«livelli essenziali» ai sensi della  lettera  m)  dell'art.  117;  al
contrario,  proprio  la  rigida  disciplina   della   Scia   potrebbe
determinare, in alcuni casi, una diminuzione dei  livelli  essenziali
delle   prestazioni   cui   hanno   diritto   persone    destinatarie
dell'attivita'  assentita  mediante  la   Segnalazione   certificata:
quando, ad esempio, in  conseguenza  delle  limitazioni  temporali  e
sostanziali alla attivita' di accertamento e controllo della pubblica
amministrazione che - senza  alcuna  considerazione  per  le  singole
realta' territoriali e organizzative - sono state poste dall'art. 19,
commi  3-4,  legge  n.  241/1990  (come  novellato  dal  comma  4-bis
dell'art. 49 d.l. n. 78), sia praticamente impedita la  verifica  del
rispetto di standard qualitativi di determinate prestazioni attinenti
ai diritti sociali. 
    La  ricorrente  non  contesta  che  alcuni  istituti  della  c.d.
«semplificazione   amministrativa»   (cui   sono   riconducibili   la
conferenza di servizi e la Scia, come vi era  riconducibile  la  Dia)
possano concretizzare o esprimere limiti vincolanti per  le  potesta'
legislative provinciali;  ma  cio'  implica  e  richiede  sempre  una
valutazione complessiva - alla luce del tipo di potesta'  legislativa
coinvolta - di tutti gli  interessi  che  vengono  in  rilievo  nella
singola materia/funzione interessata, valutazione «concreta» soggetta
al controllo della Corte; e il controllo, a  sua  volta,  per  essere
effettivo, non puo' che riguardare norme riferite a  ben  individuati
settori (v. ad es. la sentenza n. 336/2005, punto 11.1  del  Diritto,
sulla conferenza di servizi prevista dall'art. 87  del  Codice  delle
comunicazioni  elettroniche:  «Tale  funzione   [di   semplificazione
procedimentale e di snellimento dell'azione  amministrativa,  propria
della conferenza], nel contesto dello specifico procedimento in esame
e degli interessi allo stesso sottesi, consente di  ritenere  che  la
previsione contenuta nella disposizione censurata sia espressione  di
un principio fondamentale della legislazione»; v. anche  la  sentenza
n. 182/2006, punto 3 del Diritto, e la sentenza n. 350/2008). 
    Per esemplificare, e'  del  tutto  normale  -  e  potrebbe  dirsi
persino costituzionalmente necessario - che il  punto  di  equilibrio
tra l'interesse del  singolo  ad  iniziare  quanto  prima  una  certa
attivita', e l'esercizio del  potere-dovere  dell'amministrazione  di
tutelare  secondo  legge  gli  altri  interessi  toccati  da   quella
attivita', possa (o addirittura debba) essere diverso, a seconda  che
questi ultimi attengano al governo del territorio oppure alla  tutela
della salute o alla tutela del lavoro (il riferimento al governo  del
territorio e alla tutela della salute e del lavoro  non  e'  casuale,
evocando interessi che il comma 4-bis non prende in considerazione ai
fini della esclusione dall'ambito di operativita' della Scia). 
    Ancora: esigenze di semplificazione possono certo derivare  dalla
normativa comunitaria, vincolante per la Provincia, ed in particolare
dalla direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno:
ma anche la normativa comunitaria e'  attenta:  a)  a  far  salva  la
peculiarita' dei singoli settori, ammettendo ad esempio che in taluni
casi la  autorizzazione  allo  svolgimento  di  certe  attivita'  sia
subordinata ad un «adeguato esame» sulla presenza  della  «condizioni
stabilite» per ottenerla (ad es. art. 10, par. 5); b) a far salvo  il
riparto delle competenze tra Stato, Regioni e minori enti locali  (ad
es., art. 10, par. 7). 
    Del resto, il d.lgs.  n.  59/2010,  di  attuazione  della  citata
direttiva (non abrogato dal d.l. n. 78)  dispone  che  «relativamente
alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento  e
di Bolzano, i principi desumibili  dalle  disposizioni  di  cui  alla
Parte prima del presente decreto costituiscono norme fondamentali  di
riforma    economico-sociale    della    Repubblica    e     principi
dell'ordinamento   giuridico   dello    Stato»,    aggiungendo    che
«relativamente alle materie oggetto  di  competenza  concorrente,  le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano  esercitano  la
potesta' normativa nel rispetto dei principi  fondamentali  contenuti
nelle norme del presente decreto» (art. 1, commi 3-4). 
    Lo stesso decreto, poi, all'art, 84, e in  dichiarata  attuazione
dell'art. 117, comma 5, Cost., aggiunge  che  «nella  misura  in  cui
incidono su materie di competenza esclusiva regionale e su materie di
competenza concorrente,  le  disposizioni  del  presente  decreto  si
applicano fino alla data di entrata  in  vigore  della  normativa  di
attuazione della direttiva 2006/123/CE, adottata da ciascuna  regione
e   provincia   autonoma   nel   rispetto   dei   vincoli   derivanti
dall'ordinamento comunitario e dei principi  fondamentali  desumibili
dal presente decreto.». 
    Il comma 4-ter dichiara come  proprio  fondamento  costituzionale
anche la «tutela della  concorrenza»,  oltre  ai  livelli  essenziali
delle prestazioni. Ma esso, in realta', non  puo'  essere  ricondotto
nemmeno alla lettera e) dell'art. 117 Cost. 
    A parte la palese estraneita' a tale materia delle norme penali e
di quelle relative ai rimedi  giurisdizionali,  la  cui  adozione  la
Provincia certo  non  rivendica,  e'  evidente  la  estraneita'  alla
«tutela della concorrenza» del comma in esame anche  nelle  parti  in
cui non riguarda attivita' imprenditoriali e professionali,  e  nelle
parti  in  cui  concerne  (limitandoli)  i  poteri  di  controllo   e
repressivi delle amministrazioni preposte alla tutela dei  molteplici
interessi pubblici e privati, che sono stati presi in  considerazione
dalle  singole  leggi   di   settore   quando   hanno   previsto   le
autorizzazioni, licenze, pareri, nulla osta e simili. Con riferimento
a queste ultime norme limitatrici, anzi, la disposizione  puo'  avere
l'effetto di far rimanere «sul mercato» imprese o professionisti  con
requisiti (in senso lato) non del tutto conformi agli schemi  legali,
con conseguente alterazione della concorrenza «leale» tra  i  diversi
operatori. 
    Ma  anche  con  riferimento  alle  attivita'  imprenditoriali   e
professionali il comma 4-ter non e' espressione della  «tutela  della
concorrenza» nel senso della Costituzione,  come  interpretata  dalla
giurisprudenza  della  Corte.  Esso  non  riguarda  i  requisiti  per
l'accesso al mercato, o le condizioni  di  offerta  dei  beni  e  dei
servizi, o la parita' di trattamento tra gli operatori, o  misure  di
liberalizzazione  dei  mercati  (sentt.   nn.   401/2007,   431/2007,
452/2007, 326/2008): esso incide direttamente e principalmente  sullo
svolgimento   dell'attivita'   amministrativa    e    sui    relativi
procedimenti. 
    Si potrebbe al piu' affermare che la concorrenza e' agevolata dal
fatto che - riducendo i «tempi» per l'avvio di una  attivita'  (altro
discorso sarebbe comunque da fare per i «costi», se si considerassero
le necessarie «attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati»...)
-  un  soggetto  potrebbe  essere  indotto  ad  intraprendere  quella
attivita'. 
    Ma e' evidente che la decisione di  intraprendere  una  attivita'
dipende (anche) dall'insieme della normativa  (statale,  provinciale,
europea, internazionale) che la riguarda, cosi' che l'effetto che  la
semplificazione  della  disciplina  ha  sulla  concorrenza  e'   solo
accessorio ed  indiretto;  e  la  Corte  insegna  che,  nei  casi  di
interferenza, ai fini della  riconduzione  di  una  legge  all'una  o
all'altra materia, occorre operare un giudizio di prevalenza  (v.  ad
es. sentenza n. 370/2003). Particolarmente significativa in proposito
e' la sentenza n. 430/2007, la quale, pur riconoscendo  che  la  c.d.
liberalizzazione della vendita  dei  farmaci  «da  banco»  incide  su
attivita' professionali  e  commerciali,  nel  quadro  di  una  legge
diretta ad  eliminare  vincoli  e  restrizioni  nell'esercizio  delle
attivita'  di  distribuzione  dei  medicinali,   ha   ricondotto   la
liberalizzazione, in applicazione del criterio della prevalenza, alla
materia concorrente della «tutela della salute»,  e  ha  saggiato  la
costituzionalita'  della   norma   impugnata   secondo   lo   statuto
costituzionale  di  questa  materia,  tendendo  conto  di  tutta   la
normativa di settore (nella stessa prospettiva v. anche  la  sentenza
n. 350/2008, per cui, in applicazione del criterio della  prevalenza,
i centri di telefonia rientrano nella  materia  delle  comunicazioni,
pur toccando anche aspetti relativi al commercio,  ai  diritti  delle
persone, alla sicurezza dello Stato). 
    Gli argomenti che precedono valgono anche  ad  escludere  che  il
vincolo al rispetto integrale del comma 4-bis,  che  il  comma  4-ter
fonda sulle lettere e) ed m) dell'art. 117 Cost., possa «convertirsi»
in uno dei limiti che gli artt. 8 e 9 dello Statuto speciale  pongono
alle potesta' legislative primarie e concorrenti della Provincia.  Da
strumenti di semplificazione dei procedimenti possono anche ricavarsi
norme  fondamentali   di   riforma   economico-sociale   o   principi
dell'ordinamento giuridico: ma cio' va accertato caso  per  caso,  in
relazione alle singole previsioni, mentre non puo' dirsi  per  interi
complessi di discipline eterogenee. 
    In ogni caso, il comma 4-ter, la' dove dispone che la  disciplina
della Scia posta dal  comma  4-bis  «sostituisce  direttamente  [...]
quella  della  dichiarazione  di  inizio  attivita'  recata  da  ogni
normativa statale e regionale», e' incostituzionale - nella parte  in
cui si riferisce a leggi provinciali -  per  violazione  dell'art.  2
d.lgs n. 266/1992: si tratta di norma immediatamente applicativa,  in
contrasto con la regola  per  cui  il  dovere  di  adeguamento  della
legislazione provinciale ai principi e alle norme costituenti  limiti
costituzionali e recati da atto legislativo dello Stato deve avvenire
entro i sei mesi successivi  alla  pubblicazione  dell'atto  medesimo
nella Gazzetta Ufficiale,  rimanendo  nel  frattempo  applicabili  le
disposizioni legislative provinciali preesistenti. 
 
                                P.Q.M. 
 
    Voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale accogliere il ricorso,
dichiarando  l'illegittimita'  costituzionale  del  decreto-legge  31
maggio  2010,  n.  78,  recante  Misure   urgenti   in   materia   di
stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'    economica,
convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio  2010,  n.  122,
nelle parti, nei termini e  sotto  i  profili  esposti  nel  presente
ricorso. 
 
        Trento-Padova, addi' 27 settembre 2010 
 
Prof. Avv. Giandomenico Falcon - Avv. Nicolo' Pedrazzoli - Avv. Luigi
                                Manzi