N. 364 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 settembre 2010

Ordinanza del 7 settembre 2010 emessa  dal  Tribunale  amministrativo
regionale per la Lombardia sul ricorso proposto da Budel Cristina  ed
altro contro il comune di Besozzo. 
 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Lombardia -  Demolizione
  e  ricostruzione  di   edifici   -   Previsione,   con   norma   di
  interpretazione autentica che la ricostruzione dell'edificio e'  da
  intendersi senza vincolo di sagoma -  Contrasto  con  il  principio
  fondamentale  della  legislazione  statale  (art.   3   d.P.R.   n.
  380/2001), in materia  di  governo  del  territorio,  che  pone  un
  vincolo di volumetria e di sagoma tra il nuovo  edificio  e  quello
  preesistente. 
- Legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12, art. 27,  comma
  1, lett. d),  ultimo  periodo;  legge  della  Regione  Lombardia  5
  febbraio 2010, n. 7, art. 22. 
- Costituzione, art. 117, comma terzo; decreto del  Presidente  della
  Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, art. 3, comma 1, lett. d). 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Lombardia -  Demolizione
  e ricostruzione di edifici - Previsione che, a seguito dell'entrata
  in  vigore  della  legge  censurata,  cessi  di  avere  diritto  di
  applicazione nella Regione la disciplina  di  dettaglio,  prevista,
  tra gli altri, dall'art. 3 del d.P.R.  n.  380/2001,  che  pone  un
  vincolo di volumetria e di sagoma tra il nuovo  edificio  e  quello
  preesistente  -  Contrasto  con  il  principio  fondamentale  della
  legislazione statale in materia di governo del territorio. 
- Legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12, art. 103. 
- Costituzione, art. 117, comma terzo; decreto del  Presidente  della
  Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, art. 3, comma 1, lett. d). 
(GU n.49 del 9-12-2010 )
 
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha  pronunciato  la  presente  sentenza  sul  ricorso  numero  di
registro  generale  828  del  2008,  integrato  da  motivi  aggiunti,
proposto da Budel Cristina e Gallo Saverio,  rappresentati  e  difesi
dall'avv. Maria Cristina Colombo, presso il cui  studio,  in  Milano,
via Durini n. 24, sono elettivamente domiciliati; 
    Contro Comune di  Besozzo,  rappresentato  e  difeso  dagli  avv.
Giuseppe Bonomi e Gianmatteo Vitella, con domicilio eletto presso  lo
studio dell'avv. Ada Lucia De Cesaris, in Milano, via Cadore  n.  36,
per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia 
    nel ricorso principale: 
        a) del provvedimento prot.  n.  1256  del  22  gennaio  2008,
comunicato ai ricorrenti il successivo 30 gennaio 2008, con il  quale
il Comune di Besozzo ha disposto l'annullamento in  autotutela  della
denuncia di inizio attivita' n. 24/07, intestata a  Gallo  Saverio  e
Budel Cristina,  depositata  presso  la  Casa  Comunale  in  data  15
febbraio 2007, prot. 2723 ed avente per oggetto la riqualificazione e
ristrutturazione di edificio condonato; 
        b) di  ogni  atto  presupposto,  connesso  o  consequenziale,
ancorche' non conosciuto e, in particolare, per quanto occorra, della
comunicazione di  avvio  del  procedimento  prot.  n.  19767  del  14
dicembre 2007 e della comunicazione di avvio del  procedimento  prot.
n. 3332 del 26 febbraio 2008, concernente «l'eventuale adozione di un
provvedimento amministrativo al fine di  verificare  la  legittimita'
delle opere eseguite»; 
    nel ricorso per motivi aggiunti del 21 maggio 2008: 
        a) dell'ordinanza n. 37 del 21 aprile 2008,  prot.  n.  6681,
notificata in data 28 aprile 2008, con la quale il Comune di  Besozzo
ha  ordinato  ai  ricorrenti  l'immediata  sospensione  dei   lavori,
rilevati ad esito di sopralluogo eseguito in data 10 aprile 2008; 
        b) nonche' di tutti gli atti  connessi  e  conseguenti  e  in
particolare, per quanto occorra, del verbale datato 11  aprile  2008,
prot. n. 6143, relativo al sopralluogo effettuato in data  10  aprile
2008; 
        nonche' per la condanna del Comune di Besozzo al risarcimento
di tutti  i  danni  causati  dall'illegittima,  colposa  e  reiterata
inibizione dell'esecuzione delle  opere  oggetto  della  denuncia  di
inizio attivita' presentata dai  ricorrenti  al  Comune  in  data  15
febbraio 2007; 
    nel ricorso per motivi aggiunti del 17 luglio 2008: 
        a) dell'ordinanza n. 73 del 10 luglio 2008, prot.  n.  11416,
notificata ai ricorrenti in data 14 luglio  2008,  con  la  quale  il
Comune di Besozzo ha ordinato ai sigg. Saverio Gallo e Cristina Budel
il ripristino dello stato dei luoghi entro 30 giorni  dalla  data  di
notifica di tale provvedimento; 
        b) di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale; 
    nel ricorso per motivi aggiunti del 27 marzo 2009: 
        a) del provvedimento prot. n. 668 del 16.1.2009, con il quale
il Comune di Besozzo ha denegato l'istanza del permesso di  costruire
in sanatoria, presentata in data 9 ottobre 2008; 
        b) di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale,
ancorche' non conosciuto e, in particolare,  della  nota  2  dicembre
2008, prot. n. 18678  avente  ad  oggetto  «comunicazione  di  motivi
ostativi all'accoglimento  del  P.C.  184/08  presentato  in  data  9
ottobre 2009 prot. 15794»; 
    nel ricorso per motivi aggiunti depositato il 4 agosto 2009: 
        a) del provvedimento  prot.  n.  8793  del  25  maggio  2009,
notificato in data 5 giugno 2009, con il quale il Comune  di  Besozzo
ha reiterato l'ordinanza per il ripristino dello stato dei luoghi  n.
73 del 10 luglio 2008 ed ha  ordinato  ai  ricorrenti  il  ripristino
dello stato dei luoghi entro 90 giorni dalla  data  di  notifica  del
provvedimento impugnato; 
        b) di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale,
ancorche' non conosciuto; 
    nonche' per la condanna del Comune di Besozzo al risarcimento  di
tutti  i  danni   legati   all'illegittimo,   colposo   e   reiterato
comportamento del Comune che ha determinato  la  costante  inibizione
dell'esecuzione delle  opere  oggetto  della  d.i.a.  presentata  dai
ricorrenti al Comune di Besozzo in data 15 febbraio 2007. 
    Visto il ricorso ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Besozzo; 
    Relatore nell'udienza  pubblica  del  giorno  9  giugno  2010  la
dott.ssa Silvia Cattaneo e  uditi  per  le  parti  gli  avv.  Roberto
Ragozzino  (in  sostituzione  di  Colombo)   e   Sonia   Brangi   (in
sostituzione di Vitella); 
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. 
 
                              F a t t o 
 
    1. Con provvedimento prot. n. 1256 del 22 gennaio 2008, il Comune
di Besozzo ha annullato in  autotutela  la  dichiarazione  di  inizio
attivita' n. 24/07, presentata dai sig.ri Cristina  Budel  e  Saverio
Gallo in data 15 febbraio 2007, avente ad oggetto la riqualificazione
e ristrutturazione di un edificio condonato, per le seguenti ragioni: 
        l'intervento edilizio contrasta con l'art. 143  delle  n.t.a.
poiche', non rispettando la sagoma originaria, non  e'  riconducibile
alla nozione di  ristrutturazione  edilizia  mediante  demolizione  e
ricostruzione, dovendosi interpretare l'art. 27 della  1egge  Regione
Lombardia n. 12/2005 in  modo  conforme  all'art.  3  del  d.P.R.  n.
380/2001; 
        l'art.  143  delle  n.t.a.  consente  la   realizzazione   di
ampliamenti di edifici ricadenti in zona «Ambito  di  paesaggio  Snl»
nella sola ipotesi di immobili legittimamente  esistenti  al  momento
dell'entrata in vigore del p.r.g.: l'intervento in questione,  avendo
ad oggetto lavori di ampliamento di un edificio condonato in data  21
novembre 2006 e non rientra, dunque, nell'ambito di  applicazione  di
tale norma, stante l'irretroattivita' degli effetti del condono. 
    2.  Avverso  questa  determinazione   insorgono   i   ricorrenti,
articolando le seguenti doglianze: 
        I. nullita' del provvedimento di  annullamento  della  d.i.a.
per mancanza dei connotati  essenziali  del  provvedimento;  in  ogni
caso, violazione dell'art. 19 della  1.  n.  241/1990,  dell'art.  42
della legge n. 12/2005 e degli artt. 22 e 23 del d.P.R. n.  380/2001;
eccesso di potere per ingiustizia manifesta; 
        II. violazione e falsa applicazione dell'art. 21-nonies della
legge n. 241/1990; eccesso di potere  per  carenza  dei  presupposti,
difetto di istruttoria,  difetto  di  motivazione,  travisamento  dei
fatti e delle norme tecniche applicabili al caso di specie; 
        III. violazione e  falsa  applicazione  dell'art.  143  delle
n.t.a.; eccesso di potere per travisamento dei fatti, per difetto dei
presupposti; carenza di istruttoria;  illogicita'  manifesta:  l'art.
143 delle n.t.a. fa riferimento  all'esistenza  dell'immobile  e  non
alla sua legittima esistenza.  Ad  avviso  dei  ricorrenti,  inoltre,
l'unica definizione valida ed efficace di  ristrutturazione  edilizia
vigente in Lombardia e' quella dettata dall'art. 27, comma1,  lettera
d), della 1egge reg. Lombardia n. 12/2005,  ai  sensi  del  quale  la
ristrutturazione mediante  demolizione  e  contestuale  ricostruzione
deve rispettare solo il parametro della volumetria preesistente e non
anche quello della sagoma. 
    3. I ricorrenti  chiedono  la  condanna  dell'amministrazione  al
risarcimento  dei  danni  subiti  a  causa  della  inibizione   della
esecuzione delle opere oggetto della d.i.a. 
    4. Con un primo ricorso per motivi  aggiunti,  depositato  il  21
maggio 2008, i ricorrenti impugnano l'ordinanza n. 37 del  21  aprile
2008, prot. n. 6681 con cui il Comune di  Besozzo  ha  ordinato  loro
l'immediata sospensione dei lavori rilevati all'esito del sopralluogo
eseguito il 10 aprile 2008 ed il verbale  di  sopralluogo  datato  11
aprile 2008. 
    Queste le censure dedotte: 
        I.   violazione   del   principio   di   nominativita'    dei
provvedimenti  amministrativi;  eccesso  di  potere  per  illogicita'
manifesta;  eccesso  di  potere  per  violazione   del   divieto   di
aggravamento del procedimento amministrativo:  ne'  l'art.  21-quater
della 1egge n. 241/1990, ne' l'art.  37  del  d.P.R.  n.  380/2001  -
affermano i ricorrenti - consentono  una  sospensione  sine  die  dei
lavori; 
        II. violazione dell'art. 21-quater della 1egge  n.  241/1990,
la quale impone l'indicazione  di  un  termine  di  cessazione  degli
effetti; 
        III. violazione e falsa applicazione dell'art. 27 del  d.P.R.
n. 380/2001; eccesso di potere per illogicita' manifesta; eccesso  di
potere per violazione del divieto di  aggravamento  del  procedimento
amministrativo; eccesso  di  potere  per  carenza  di  istruttoria  e
difetto di motivazione, avendo il Comune  atteso  quasi  cinque  mesi
prima di assumere il provvedimento; 
        IV.  illegittimita'  derivata  per   i   vizi   dedotti   con
riferimento al provvedimento impugnato con il ricorso principale. 
    5. Con un secondo ricorso per motivi aggiunti, depositato  il  17
luglio 2008, i ricorrenti impugnano l'ordinanza n. 73 del  10  luglio
2008 con cui il Comune di Besozzo  ha  ordinato  loro  il  ripristino
dello stato dei luoghi, articolando le seguenti doglianze: 
        I. violazione dell'art. 1 della 1egge n. 689/1981; violazione
del principio  di  nominativita'  dei  provvedimenti  amministrativi;
violazione   del   principio   di   legalita',   dei    provvedimenti
sanzionatori; violazione e falsa applicazione degli artt. 27 e 37 del
d.P.R. n. 380/2001; eccesso di potere per  carenza  dei  presupposti,
per illogicita', per ingiustizia  manifesta,  per  contraddittorieta'
estrinseca e perplessita'; 
        II. violazione e falsa applicazione dell'art. 27  del  d.P.R.
n. 380/2001; eccesso di potere per illogicita' manifesta; eccesso  di
potere per violazione del divieto di  aggravamento  del  procedimento
amministrativo; eccesso  di  potere  per  carenza  di  istruttoria  e
difetto di motivazione; 
        III. illegittimita' derivata dai vizi che inficiano l'atto di
annullamento in autotutela impugnato con il ricorso principale. 
    6. Con un terzo ricorso per motivi aggiunti, depositato  in  data
19 marzo 2009, i ricorrenti impugnano il provvedimento prot.  n.  668
del 16 gennaio 2009 con cui il Comune di Besozzo ha  negato  loro  il
rilascio di un permesso di costruire in sanatoria avente  ad  oggetto
la realizzazione di un box, per i seguenti motivi: 
        I. violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 3, 7, 10  e
10-bis della 1egge n. 241/1990; eccesso  di  potere  per  difetto  di
istruttoria; per difetto assoluto di motivazione; per violazione  dei
principi del giusto  procedimento;  per  ingiustizia  manifesta;  per
sviamento dalla causa tipica; 
        II. violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della  1egge.
n. 241/1990 e degli artt. 139, 140 e 143  delle  n.t.a.;  eccesso  di
potere per travisamento  dei  fatti;  per  difetto  dei  presupposti;
carenza  di  istruttoria;   difetto   di   motivazione;   illogicita'
manifesta, essendo il box interrato; 
        III. violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della  1egge
n. 241/1990 e dell'art. 66 della 1egge Regione Lombardia n.  12/2005;
eccesso di  potere  per  travisamento  dei  fatti,  per  difetto  dei
presupposti;  carenza  di  istruttoria;   difetto   di   motivazione;
illogicita' e contraddittorieta' manifesta; 
        IV.  illegittimita'  derivata  dai  vizi  che  inficiano   il
provvedimento impugnato con il ricorso principale. 
    7. Con un quarto ricorso per motivi aggiunti, depositato in  data
4 agosto 2009, i ricorrenti impugnano, infine,  il  provvedimento  n.
8793 del 25 maggio 2009 con cui il Comune  di  Besozzo  ha  reiterato
l'ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi n. 73 del 10  luglio
2008, per i seguenti motivi: 
        I. violazione e falsa applicazione degli artt. 27, 31,  36  e
37 del d.P.R. n. 380/2001; violazione e falsa applicazione  dell'art.
3 del 1egge n. 241/1990; eccesso di potere per difetto di motivazione
e per carenza di istruttoria; 
        II.  illegittimita'   derivata   dai   vizi   lamentati   con
riferimento al provvedimento di diniego del permesso di costruire  in
sanatoria prot. n. 668 del 16 gennaio 2009; 
        III  illegittimita'   derivata   dai   vizi   lamentati   con
riferimento al provvedimento impugnato con il ricorso principale. 
    I ricorrenti ripropongono la domanda di  risarcimento  dei  danni
subiti in ragione  della  inibizione  della  esecuzione  delle  opere
oggetto della d.i.a presentata il 15 febbraio 2007. 
    8.  L'amministrazione  comunale  intimata  si  e'  costituita  in
giudizio e, oltre a contestare la fondatezza delle  censure  dedotte,
chiede che venga sollevata questione di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 22, della 1egge Regione Lombardia n. 17/2010 - ai sensi del
quale «nella disposizione di cui all'art. 27, comma  1,  lettera  d),
ultimo periodo, della  legge  ragionale  il  marzo  2005,  n.  12  la
ricostruzione  dell'edificio  e'  da  intendersi  senza  vincolo   di
sagoma»" - per violazione degli artt. 3, 25 e 117 della Costituzione. 
    9. All'udienza del 9 giugno 2010 il ricorso e' stato ritenuto per
la decisione. 
 
                            D i r i t t o 
 
    1. Con provvedimento prot. n. 1256 del 22 gennaio 2008, il Comune
di Besozzo ha annullato in  autotutela  la  dichiarazione  di  inizio
attivita' n. 24/07, presentata dai sig.ri Cristina  Budel  e  Saverio
Gallo in data 15 febbraio 2007 - avente ad oggetto  la  realizzazione
di lavori di  riqualificazione  e  ristrutturazione  di  un  edificio
condonato - per due autonome ragioni: 
        l'intervento edilizio si pone in  contrasto  con  l'art.  143
delle n.t.a. poiche', non rispettando la sagoma  originaria,  non  e'
riconducibile alla nozione di ristrutturazione mediante demolizione e
ricostruzione, dovendosi interpretare l'art. 27 della  1egge  Regione
Lombardia n. 12/2005 in  modo  conforme  all'art.  3  del  d.P.R.  n.
380/2001; 
        l'intervento  in  questione,  avente  ad  oggetto  opere   di
ristrutturazione, mutamento di destinazione d'uso nonche' ampliamento
di un edificio condonato  in  data  21  novembre  2006,  non  rientra
nell'ambito di applicazione dell'art. 143 delle n.t.a.  -  norma  che
consente la realizzazione di ampliamenti di edifici ricadenti in zona
«Ambito  di  paesaggio  Snl»   nella   sola   ipotesi   di   immobili
legittimamente esistenti al momento dell'entrata in vigore del p.r.g.
del 1999 - stante l'irretroattivita' degli effetti del condono. 
    2. Con il primo  motivo  del  ricorso  principale,  i  ricorrenti
lamentano  la  nullita'  del  provvedimento,   ai   sensi   dell'art.
21-septies della legge n.  241/1990,  in  quanto  privo  di  oggetto:
mancherebbe, a loro avviso, il provvedimento  amministrativo  oggetto
di autotutela, avendo la dichiarazione di inizio attivita' natura  di
atto privato. 
    La censura e' infondata. 
    Gia' prima dell'entrata in vigore  della  legge  n.  80/2005,  la
giurisprudenza affermava la sussistenza, in capo  alla  p.a.,  di  un
potere residuale di intervento in autotutela sulla  dichiarazione  di
inizio attivita', successivamente alla scadenza del termine  previsto
dalla legge per l'esercizio del potere inibitorio (Cons. Stato,  sez.
IV, 4 settembre 2002, n. 4453). 
    Con la legge  n.  80/2005,  il  legislatore  ha  recepito  questo
orientamento giurisprudenziale ed ha modificato l'art. 19 della legge
n.  241/1990  -  norma  che  detta  una  disciplina  generale   della
dichiarazione di  inizio  attivita'  applicabile  anche  alla  d.i.a.
edilizia facendo espressamente «salvo il potere  dell'amministrazione
competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai  sensi
degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. 
    Nessun  dubbio   sussiste,   dunque,   sulla   possibilita'   per
l'amministrazione di esercitare il potere di autotutela sulla d.i.a.,
e cio' a prescindere dalla soluzione della questione di quale sia  la
natura giuridica che ad essa si intenda attribuire. 
    Il Collegio ritiene, comunque, che il riferimento  all'autotutela
possa  spiegarsi  anche  restando  entro  i   confini   della   linea
interpretativa secondo cui la d.i.a.  e'  un  atto  del  privato:  il
potere di autotutela sulla d.i.a. e', difatti, da intendersi come  un
potere sui generis che della consueta autotutela decisoria  condivide
soltanto i presupposti ed il procedimento - dovendo essere esercitato
entro un ragionevole lasso di tempo, dopo aver valutato gli interessi
in conflitto e sussistendone le ragioni di interesse pubblico - e che
da essa si differenzia poiche' non implica  un'attivita'  di  secondo
grado insistente su un procedente provvedimento amministrativo. 
    Il richiamo, ad opera dell'art. 19 della legge n. 241/1990,  agli
artt. 21-quinquies e 21-nonies va, quindi, riferito alla possibilita'
di adottare non gia' atti di  autotutela  in  senso  proprio,  ma  di
esercitare i poteri di inibizione dell'attivita', e di rimozione  dei
suoi  effetti,  nell'osservanza   dei   presupposti   sostanziali   e
procedimentali previsti dal tali norme (Cons. Stato, sez.  VI,  sent.
n. 717/2009). 
    3.  Con  il   secondo   motivo   di   ricorso   viene   affermata
l'illegittimita' del  provvedimento  di  annullamento  in  autotutela
della d.i.a.  per  violazione  dell'art.  21-nonies  della  legge  n.
241/1990  in  quanto,   contrariamente   a   quanto   sostenuto   nel
provvedimento impugnato, sussisterebbe  una  posizione  di  interesse
qualificato in capo ai ricorrenti,  legata  al  decorso  del  termine
perentorio di trenta giorni dalla presentazione della d.i.a.  del  15
febbraio 2007, nel quale l'amministrazione puo' esercitare il  potere
inibitorio, ai sensi  dell'art.  42,  comma  9  della  legge  Regione
Lombardia n. 12/2005. 
    Ad avviso dei ricorrenti, il provvedimento impugnato non sarebbe,
inoltre, supportato  da  un  reale  e  concreto  interesse  pubblico,
differente dal mero ripristino della legalita' violata. 
    Sussisterebbe,  poi,  un  vizio  da  difetto  di  istruttoria   e
travisamento dei fatti: nel provvedimento il Comune sostiene che alla
data del 22 gennaio 2008 non  sarebbero  iniziati  i  lavori  oggetto
della  d.i.a.,  quando,  invece,  i  sig.ri  Budel  e  Gallo  avevano
comunicato l'inizio dei lavori in  data  7  dicembre  2007  e,  nella
perizia asseverata, redatta su loro incarico, il perito attesta che i
lavori erano in corso gia' a gennaio 2008. 
    Il motivo e' infondato. 
    Il  decorso  del  termine  perentorio  di  trenta  giorni   dalla
presentazione della dichiarazione di inizio attivita' costituisce  il
presupposto per l'esercizio del potere di autotutela: prima  di  tale
termine all'amministrazione compete, difatti, il differente potere di
verificare la sussistenza dei requisiti e presupposti  normativi  per
l'esercizio dell'attivita' oggetto di denuncia e,  se  del  caso,  di
inibire l'intervento edilizio. 
    Pur se, con il perfezionarsi della d.i.a., si consolida  in  capo
al privato una posizione di  affidamento  meritevole  di  protezione,
tuttavia,  «tale  affidamento  non  e'  certamente  cosi'  forte   da
escludere qualsiasi potere di intervento da parte della  p.a.,  anche
perche'  altrimenti  per  effetto  della  d.i.a.,   si   andrebbe   a
consolidare una posizione piu' stabile rispetto a quella  che  deriva
dal provvedimento autotizzatorio (il quale, ricorrendo le  condizioni
di legge, puo' essere appunto rimosso in via di  autotutela)»  (Cons.
Stato, sent. n. 717/2009). 
    Non puo', quindi, ritenersi che il decorso del termine di  trenta
giorni ingeneri un affidamento che prevalga, per cio' solo,  su  ogni
interesse pubblico alla rimozione del titolo abilitativo perche',  se
cosi'  fosse  verrebbe  negata  in  radice  ogni   possibilita'   per
l'amministrazione di intervenire in autotutela. 
    E', pertanto, legittima la valutazione  compiuta  dal  Comune  di
Besozzo che ha escluso la sussistenza in capo  agli  istanti  di  una
posizione di affidamento in considerazione del decorso  di  un  breve
lasso di tempo tra la pronuncia di questo Tar del 4 dicembre 2007, n.
6542 - di annullamento del provvedimento del 27 marzo 2007,  con  cui
il Comune aveva  inibito  la  realizzazione  dell'attivita'  edilizia
oggetto della d.i.a. (prima di  tale  momento,  difatti,  non  poteva
sussistere in capo ai  ricorrenti  alcuna  posizione  di  affidamento
circa la legittimita'  dell'attivita'  edilizia  ma  semmai  la  sola
aspettativa di un esito positivo della controversia) - e  l'esercizio
del potere di autotutela, con l'adozione, in data  22  gennaio  2008,
del provvedimento impugnato. 
    Altresi' corretta e' stata la considerazione dell'amministrazione
che ha escluso la sussistenza di una posizione di  affidamento  anche
perche' non  era  ancora  stata  posta  in  essere  alcuna  attivita'
edificatoria. 
    Non puo', difatti, ritenersi che il provvedimento sia viziato  da
difetto di istruttoria e  travisamento  dei  fatti:  quanto  asserito
nella perizia - redatta su incarico dei sig.ri Budel e Gallo, doc. n.
22 dei ricorrenti - in  ordine  all'impianto  di  una  baracca,  alla
sistemazione strada  di  accesso,  alla  realizzazione  di  opere  di
recinzione,  allo  spianamento  del  terreno  ed   allo   sbancamento
parziale, previa demolizione di un banco di roccia,  non  contraddice
affatto quanto affermato dalla  p.a.  circa  l'assenza  di  attivita'
edificatoria. 
    La realizzazione  di  mere  operazioni  di  sbancamento  non  e',
invero, sufficiente a configurare l'inizio  di  una  vera  e  propria
attivita' edificatoria (cfr. la giurisprudenza in tema  di  decadenza
del permesso di costruire: Tar Lombardia Milano,  sez.  II,  8  marzo
2007, n. 372; Tar Lazio Roma, sez. II, 11 maggio 2006, n. 3480; Cons.
Stato, sez. IV, 3 ottobre 2000, n. 5242). 
    Il provvedimento motiva adeguatamente in ordine alla  sussistenza
di un interesse pubblico all'annullamento della d.i.a.,  identificato
nella  «necessita'  di  tutelare   l'ordinato   assetto   urbanistico
dell'area   interessata   dall'intervento   edilizio,   cosi'    come
predeterminata  dalle  n.t.a.  del  p.r.g.  vigente,  soprattutto  in
considerazione   della   elevata   naturalita'   della   zona»;    il
provvedimento chiarisce,  inoltre,  come  l'amministrazione  comunale
intenda «preservare tale ambito di paesaggio, consistente in aree non
urbanizzate, destinate ad uso agricolo,  escluso  dalla  edificazione
per scopi agricoli ed al mantenimento delle attivita'  extra-agricole
esistenti». 
    In ordine a questi profili di interesse paesaggistico, posti alla
base del provvedimento di autotutela, alcuna  censura  e'  mossa  dai
ricorrenti. Ne' puo' trovare accoglimento la  generica  contestazione
secondo cui la violazione delle norme  che  disciplinano  l'attivita'
urbanistica puo' portare all'esercizio del  potere  di  vigilanza  ai
sensi dell'art. 27 del d.P.R. n. 380/2001 ma non all'adozione  di  un
provvedimento di secondo grado: l'esercizio del potere di  autotutela
rientra, difatti nella discrezionalita'  dell'amministrazione  ed  e'
insindacabile laddove, come accade nel caso di specie, e'  supportato
da una adeguata valutazione dell'interesse pubblico ad esso sotteso. 
    4. Con il terzo motivo di ricorso,  i  ricorrenti  lamentano,  in
primo luogo, l'erroneita' della interpretazione dell'art.  143  delle
n.t.a. accolta dall'amministrazione comunale, secondo  cui  la  norma
consente  unicamente  la  realizzazione  di  ampliamenti  di  edifici
legittimamente esistenti alla data di entrata in  vigore  del  p.r.g.
1999 e dunque non di un immobile - quale quello dei  sig.ri  Gallo  e
Budel - condonato nel 2006, stante l'irretroattivita'  degli  effetti
del condono. 
    La censura e' fondata. 
    L'art. 143 delle n.t.a. consente, per le zone poste in «Ambito di
Paesaggio Snl», «l'adeguamento degli edifici esistenti che, alla data
di entrata in vigore  del  p.r.g.  1999,  risultano  adibiti  ad  usi
extra-agricoli  e  degli   edifici   assoggettabili   a   cambio   di
destinazione d'uso ai sensi dell'ari. 4, legge Regione  Lombardia  15
gennaio 2001, n. 1». 
    L'immobile in  questione  era  esistente  alla  data  in  cui  la
variante generale al p.r.g. e' stata approvata  (6  aprile  2004).  I
ricorrenti hanno, difatti, prodotto una carta tecnica  regionale  del
1994, una aerofotogrammetria del 1997  e  le  ortofoto  estratte  dal
sistema cartografico regionale  del  1998  e  del  2003  nelle  quali
risulta indicato il fabbricato in questione. 
    Attesa l'esistenza dell'edificio alla data di approvazione  della
variante, l'intervento di  adeguamento  era,  dunque,  da  ritenersi.
ammissibile. 
    Il Collegio non condivide, invero, l'interpretazione  data  dalla
p.a. all'art. 143 delle  n.t.a.:  escludendo  la  realizzabilita'  di
interventi  di  ampliamento  su  edifici,  esistenti  alla  data   di
approvazione della variante al p.r.g. e  successivamente  oggetto  di
provvedimenti di sanatoria, l'amministrazione da' una  lettura  della
norma in contrasto con la sua lettera, chiedendo il ricorrere  di  un
requisito, quello  della  legittimita'  dell'esistenza,  che  non  e'
previsto. 
    La disposizione, nel consentire la realizzazione di interventi di
ampliamento, opera una distinzione tra edifici esistenti alla data di
approvazione  della  variante  al  p.r.g.   ed   edifici   realizzati
successivamente a tale data, ma non contiene  alcuna  previsione  che
consenta di espungere dai primi gli edifici  abusivi  successivamente
condonati. 
    Il riferimento alla «esistenza» dell'immobile non  puo',  quindi,
essere inteso nel senso della «legittima esistenza». 
    5. Sempre con il terzo motivo di ricorso, i ricorrenti  censurano
il  motivo   di   annullamento   della   d.i.a.   legato   alla   non
qualificabilita'  dell'intervento  quale  ristrutturazione   edilizia
mediante demolizione e ricostruzione, poiche' non rispetta la  sagoma
originaria,   e   lamentano   l'illegittimita'   dell'interpretazione
dell'art. 27, comma 1, lettera d) della legge  Regione  Lombardia  n.
12/2005, accolta dall'amministrazione comunale. 
    Ad avviso dei ricorrenti l'art.  103  della  legge  regionale  n.
12/2005 ha disapplicato l'art. 3 del d.P.R. n.  380/2001  e,  quindi,
l'unica definizione  di  ristrutturazione  vigente  in  Lombardia  e'
quella data dall'art. 27, comma 1, lettera d) ai  sensi  della  quale
«nell'ambito  degli  interventi  di  ristrutturazione  edilizia  sono
ricomprasi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione
parziale o totale nel rispetto della  volumetria  preesistente  fatte
salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa
antisismica». 
    Poiche', in forza di questa  previsione,  l'unico  parametro  che
deve essere rispettato e' quello della  volumetria  preesistente,  ed
essendo,  dunque,   irrilevante,   il   mantenimento   della   sagoma
preesistente - sostengono i ricorrenti - l'intervento  oggetto  della
d.i.a.  dovrebbe  qualificarsi  quale  ristrutturazione  edilizia   e
sarebbe pienamente rispettoso dell'art. 143 delle n.t.a. 
    6. Nelle more del giudizio, il legislatore regionale  ha  emanato
l'art. 22 della legge regionale n. 7/2010, norma  di  interpretazione
autentica dell'articolo 27, comma 1, lettera d), della legge  Regione
Lombardia n. 12/2005 ai sensi della quale «nella disposizione di  cui
all'art. 27,  comma  1,  lettera  d),  ultimo  periodo,  della  legge
regionale 11 marzo 2005, n. 12 la ricostruzione dell'edificio  e'  da
intendersi senza vincolo di sagoma». 
    7. Il Collegio ritiene che la questione di  costituzionalita'  di
quest'ultima     disposizione,     prospettata      dalla      difesa
dell'amministrazione resistente, sia rilevante e  non  manifestamente
infondata, nei sensi e nei limiti di seguito specificati. 
    8. Per quanto attiene profilo della rilevanza si  osserva  quanto
segue. 
    Il Collegio ha accolto il motivo di  ricorso  con  cui  e'  stata
lamentata l'illegittimita' della ragione di annullamento della d.i.a.
legata alla interpretazione dell'art. 143 delle n.t.a. 
    L'accoglimento  di   tale   censura   non   comporta,   tuttavia,
l'annullamento  del  provvedimento  impugnato:  in  presenza  di   un
provvedimento fondato su piu' motivi, ciascuno autonomamente idoneo a
darne giustificazione, solo l'accertamento  della  illegittimita'  di
tutti i motivi puo' portare alla sua caducazione. 
    A cio' consegue la necessita' di affrontare l'esame della censura
- rivolta avverso il motivo di annullamento della d.i.a. legato  alla
qualificazione dell'intervento edilizio  non  quale  ristrutturazione
edilizia mediante demolizione  e  ricostruzione  bensi'  quale  nuova
costruzione, attese le differenze nella sagoma rispetto  all'edificio
originario  -  con  cui  i  ricorrenti  contestano  la   legittimita'
dell'interpretazione dell'art. 27, comma 1, lettera d),  della  legge
Regione Lombardia n. 12/2005 accolta dall'amministrazione comunale  e
la necessita' che, nella ristrutturazione edilizia, sia rispettato il
vincolo della sagoma dell'edificio preesistente. 
    Risulta pertanto decisiva, ai fini della definizione del  ricorso
principale e dei ricorsi per  motivi  aggiunti  (con  i  quali  viene
lamentata l'illegittimita' dei provvedimenti successivamente adottati
dall'amministrazione  comunale  derivata  dalla  illegittimita'   del
provvedimento  di  annullamento  in  autotutela  della  d.i.a.),   la
verifica della compatibilita' con la Costituzione dell'art. 27, comma
1, lettera d) della legge Regione Lombardia n. 12/2005 e della  norma
interpretativa dettata dal legislatore regionale con l'art. 22  della
legge regionale n. 7/2010, ai sensi della quale  «nella  disposizione
di cui all'art. 27, comma 1, lettera d), ultimo periodo, della  legge
regionale 11 marzo 2005, n. 12 la ricostruzione dell'edificio  e'  da
intendersi senza vincolo di sagoma». 
    Quest'ultima disposizione, pur se  sopravvenuta,  trova,  invero,
applicazione nel presente giudizio, essendo indubbia la  sua  valenza
interpretativa, e dunque, la sua efficacia retroattiva. 
    9. Per quanto concerne, invece, la non manifesta infondatezza, si
osserva quanto segue. 
    9.1 Come e' noto, l'edilizia, pur se non prevista esplicitamente,
rientra nell'ambito  della  materia  «governo  del  territorio»,  che
l'art. 117, terzo comma, della Costituzione attribuisce alla potesta'
legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni (cfr. ex  multis,
Corte Cost., 25 settembre 2003, n. 303 e 19 dicembre 2003, n. 362). 
    La Corte Costituzionale ha, difatti, affermato  che  «la  materia
dei  titoli  abilitativi   ad   edificare   appartiene   storicamente
all'urbanistica  che,  in  base  all'art.  117   Cost.,   nel   testo
previgente, formava oggetto  di  competenza  concorrente.  La  parola
"urbanistica" non compare nel nuovo testo dell'art. 117, ma cio'  non
autorizza a ritenere che la relativa materia non sia piu'  ricompresa
nell'elenco  del  terzo  comma:  essa  fa  parte  del  "governo   del
territorio".  Se  si  considera  che  altre  materie  o  funzioni  di
competenza concorrente, quali porti e aeroporti civili,  grandi  reti
di trasporto e di navigazione, produzione, trasporto e  distribuzione
nazionale dell'energia, sono specificamente individuati nello  stesso
terzo comma dell'art. 117 Cost. e non rientrano quindi  nel  "governo
del territorio", appare del tutto implausibile che  dalla  competenza
statale di principio su questa materia siano stati estromessi aspetti
cosi' rilevanti, quali quelli  connessi  all'urbanistica,  e  che  il
"governo del territorio" sia stato ridotto a poco piu' di  un  guscio
vuoto» (cfr. Corte Cost., 25 settembre 2003, n. 303). 
    Le  Regioni  esercitano,  pertanto,  in  materia  edilizia,   una
potesta'  legislativa  concorrente,   nel   rispetto   dei   principi
fondamentali della legislazione statale. 
    In linea con tali dettami, la legge regionale lombarda n. 12/2005
precisa, all'art. 1, comma 1, che «la presente legge,  in  attuazione
di quanto previsto dall'articolo 117, terzo comma, della Costituzione
detta le norme di governo del territorio lombardo, definendo forme  e
modalita' di esercizio delle competenze spettanti alla Regione e agli
enti locali, nel rispetto dei principi fondamentali  dell'ordinamento
statale  e  comunitario,   nonche'   delle   peculiarita'   storiche,
culturali,  naturalistiche  e   paesaggistiche   che   connotano   la
Lombardia». 
    9.2 Ad avviso del Collegio, l'art.  3  del  d.P.R.  n.  380/2001,
recante la  definizione  degli  interventi  edilizi,  costituisce  un
principio fondamentale della legislazione statale, non derogabile dal
legislatore regionale. 
    Depongono  in  tal  senso  elementi  di  carattere  letterale   e
sistematico,  quale  la  rubrica  della  norma   «Definizioni   degli
interventi edilizi» e la collocazione nel titolo  I  della  parte  I,
recante «Disposizioni generali». 
    La natura di principio fondamentale dell'art.  3  del  d.P.R.  n.
380/2001, e', inoltre, desumibile dal complessivo impianto del  testo
unico dell'edilizia e dal rilievo centrale che in  esso  assumono  le
definizioni degli interventi edilizi. 
    La disciplina applicabile agli interventi  edilizi  e',  difatti,
legata alla loro qualificazione: si pensi, ad esempio, alla tipologia
di titolo abilitativo - se permesso di costruire o denuncia di inizio
attivita' - cui l'intervento e' assoggettato, all'onerosita'  o  meno
dell'intervento o alla differente disciplina sanzionatoria. 
    In considerazione di tale  valenza  trasversale,  le  definizioni
delle  tipologie  di  intervento  edilizio  sono,  quindi,   indubbia
espressione di un principio fondamentale. 
    Il carattere di principio fondamentale dell'art. 3 del d.P.R.  n.
380/2001, legato ad una esigenza di  uniformita'  delle  nozioni,  e'
dimostrato,  infine,  dalla  prevalenza  delle  definizioni  in  essa
previste  sulle  eventuali  diverse  disposizioni   contenute   negli
strumenti urbanistici generali e nei  regolamenti  edilizi  (art.  3,
comma 2, d.P.R. n. 380/2001). 
    9.3 L'art. 3, comma 1, lettera d) del d.P.R. 6  giugno  2001,  n.
380 definisce, quali interventi di  ristrutturazione  edilizia,  «gli
interventi rivolti a trasformare gli organismi  edilizi  mediante  un
insieme sistematico di opere che  possono  portare  ad  un  organismo
edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali  interventi
comprendono il  ripristino  o  la  sostituzione  di  alcuni  elementi
costitutivi   dell'edificio,   l'eliminazione,    la    modifica    e
l'inserimento  di  nuovi  elementi  ed  impianti.  Nell'ambito  degli
interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche  quelli
consistenti  nella  demolizione  e  ricostruzione   con   la   stessa
volumetria e sagoma di  quello  preesistente,  fatte  salve  le  sole
innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica». 
    La  prima  formulazione  della  norma   ricomprendeva   tra   gli
interventi di ristrutturazione  edilizia  «quelli  consistenti  nella
demolizione  e  successiva  fedele  ricostruzione  di  un  fabbricato
identico quanto a sagoma, volumi, area di  sedime  e  caratteristiche
dei  materiali,  fatte  salve  le  sole  innovazioni  necessarie  per
l'adeguamento alla normativa antisismica». 
    L'art. 1 del d.lgs. n. 27 dicembre 2002,  n.  301  ha  modificato
l'art. 3 del d.P.R.  n.  380/2001  eliminando  la  locuzione  «fedele
ricostruzione di un fabbricato identico,  quanto  a  sagoma,  volumi,
area di sedime e caratteristiche di materiali a quello  preesistente"
e l'ha sostituita con  l'espressione  «ricostruzione  con  la  stessa
volumetria e sagoma di quello preesistente» (art. 1, lettera a). 
    In mancanza dei requisiti previsti  dall'art.  3  del  d.P.R.  n.
380/2001,   l'intervento   non   puo'   essere   qualificato    quale
ristrutturazione  edilizia,  bensi'  quale  nuova  edificazione.   La
lettera  e)  dell'art.  3,  comma  1,  ricomprende  infatti  tra  gli
«interventi di nuova costruzione» quelli di  trasformazione  edilizia
ed urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite
alle lettere precedenti. 
    Due  sono,  dunque,  le  ipotesi  di  ristrutturazione   previste
dall'art. 3 del d.P.R. n. 380/2001: quella  contemplata  dalla  prima
parte della norma (c.d. intervento conservativo), che puo' comportare
anche l'inserimento di nuovi volumi o modifiche  della  sagoma  (cfr.
Cons. Stato, sez. IV, 8 ottobre 2007, n. 5214; Cass. pen, 17 febbraio
2010, n. 16393) e  quella  (c.d.  intervento  ricostruttivo)  attuata
mediante demolizione e ricostruzione, vincolata al rispetto di volume
e sagoma dell'edificio preesistente. 
    Quanto  al   titolo   abilitativo   necessario   per   realizzare
ristrutturazioni edilizie, l'art. 10 del d.P.R. n. 380/2001 subordina
a permesso di  costruire  gli  interventi  di  ristrutturazione  c.d.
pesante, quelli cioe' che portano alla realizzazione di un  organismo
in tutto o in parte  diverso  dal  precedente  e  consistente  in  un
aumento delle  unita'  immobiliari,  in  modifiche  del  volume,  dei
prospetti, della sagoma o delle superfici oppure,  per  gli  immobili
nella zona A, con mutamenti di destinazione  d'uso  (in  alternativa,
pero', l'intervento puo' essere anche  effeettuato  con  denuncia  di
inizio attivita' sulla base del combinato disposto artt. 3, 10 e  22,
comma 3, lettera a) del d.P.R. n. 380/2001). 
    In tutte le altre ipotesi di  ristrutturazione,  c.d.  leggere  -
quelle  cioe'  di  portata  minore  -  e'   sufficiente   la   previa
presentazione della dichiarazione di inizio attivita'. 
    La ristrutturazione attuata mediante demolizione e  ricostruzione
e', quindi, soggetta alla sola dichiarazione di inizio attivita' solo
se porta alla realizzazione di  un  organismo  che  abbia  la  stessa
volumetria e la stessa sagoma di quello preesistente. 
    9.4 La giurisprudenza accoglie un'interpretazione restrittiva del
concetto  di  ristrutturazione  edilizia   mediante   demolizione   e
ricostruzione, sempre volta a cogliere gli elementi che differenziano
tale tipologia di intervento da quello di nuova costruzione. 
    Ad  un  primo  orientamento  che  escludeva  la   demolizione   e
ricostruzione  dalla  fattispecie  di  ristrutturazione  (cfr.  Cons.
Stato, sez. V, 9 febbraio 1996, n. 144), e'  seguito  l'orientamento,
trasfuso  nel  Testo  Unico  dell'edilizia,  che   ha   compreso   la
fattispecie  nella   categoria   della   «ristrutturazione»   purche'
«fedele», in quanto modalita' estrema di conservazione  dell'edificio
preesistente nella sua consistenza  strutturale  (cfr.  Cons.  Stato,
sez. V, 10 agosto 2000, n. 4397). 
    Per la giurisprudenza pressoche'  unanime,  anche  escludendo  il
superato   criterio   della   fedele   ricostruzione,   esigenze   di
interpretazione logico-sistematica della nuova normativa  inducono  a
ritenere che la ristrutturazione edilizia,  per  essere  tale  e  non
finire per coincidere con la nuova costruzione, debba  conservare  le
caratteristiche  fondamentali   dell'edificio   preesistente   e   la
successiva ricostruzione dell'edificio debba riprodurre le precedenti
linee fondamentali quanto a sagoma e volumi;  diversamente  opinando,
sarebbe, difatti, sufficiente la  preesistenza  di  un  edificio  per
definire ristrutturazione qualsiasi nuova realizzazione  eseguita  in
luogo o sul luogo di quella preesistente (cfr. Cons. Stato, sez.  IV,
n. 1177/2008; sez. V, n. 476/04; n. 5310/03;  n,  4593/03;  18  marzo
2008, n. 1177; 8 ottobre 2007, n. 5214; 16 marzo 2007,  n.  1276;  22
maggio 2006, n. 3006; Cass., sez. III,  26  ottobre  2007,  18  marzo
2004). 
    Il  legame  con  l'edificio  preesistente,  quanto  a  sagoma   -
intendendosi con tale  concetto  «la  conformazione  planovolumetrica
della costruzione ed il suo perimetro considerato in senso  verticale
ed orizzontale», ovvero il contorno che viene ad assumere l'edificio,
ivi comprese le strutture perimetrali con gli aggetti  e  gli  sporti
(cfr. Cass. sez. III, 23 aprile 2004, n. 19034)  -  e  a  volumetria,
costituisce,  quindi,  per  unanime   giurisprudenza,   il   criterio
distintivo degli  interventi  di  recupero  del  patrimonio  edilizio
esistente dalle nuove costruzioni. 
    Le identita' di volume e sagoma del  nuovo  edificio  rispetto  a
quello originario giustificano, inoltre,  il  differente  regime  cui
sono soggetti gli interventi di  ristrutturazione  edilizia  rispetto
alle nuove costruzioni: ove la ristrutturazione mantenga inalterati i
parametri urbanistici ed edilizi preesistenti, l'intervento  non  e',
difatti, subordinato al rispetto dei vincoli  posti  dagli  strumenti
urbanistici sopravvenuti, giacche' la legittimazione urbanistica  del
manufatto da demolire si  trasferisce  su  quello  ricostruito  (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 14 novembre 1996, n. 1359; Cons. Stato, sez.  V,
28 marzo 1998 n. 369; Cass. civ., sez. II, 12 giugno 2001,  n.  7909;
Tar Calabria, Reggio Calabria, 24 gennaio 2001, n. 36; Puglia,  Bari,
sez. III, 22 luglio 2004 n. 3210) . 
    9.5 Delineato, cosi', il quadro della normativa statale, si passa
all'esame della disciplina dettata, per  la  Regione  Lombardia,  dal
legislatore regionale. 
    L'art. 27 della legge Regione Lombardia n. 12/2005,  al  comma  1
lettera   d)   prevede   che   «nell'ambito   degli   interventi   di
ristrutturazione edilizia sono ricompresi  anche  quelli  consistenti
nella demolizione e ricostruzione  parziale  o  totale  nel  rispetto
della  volumetria  preesistente  fatte  salve  le  sole   innovazioni
necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismic». 
    A differenza dell'art. 3, d.P.R. n. 380/2001,  che,  come  si  e'
visto, pone un vincolo di identita' di volumetria e di sagoma tra  il
nuovo edificio e quello preesistente, la norma regionale non menziona
il limite della sagoma. 
    L'art. 103 della legge Regione  Lombardia  n.  12/2005,  prevede,
inoltre, che, a seguito dell'entrata in vigore della  legge  12/2005,
cessi di avere diretta applicazione nella Regione  la  disciplina  di
dettaglio prevista, tra l'altro, dall'art. 3 del d.P.R. n.  380/2001,
con  cio'  escludendo  implicitamente  il  carattere   di   principio
fondamentale della norma  recante  le  definizioni  degli  interventi
edilizi. 
    9.6 Il Tar Lombardia ha ritenuto di poter accedere ad una lettura
uniforme alla Costituzione di queste disposizioni, nonostante  l'art.
27, comma 1, lettera d), della legge Regione Lombardia n. 12/2005 non
contenesse alcun riferimento al limite della sagoma dell'edificio. 
    Dapprima il Tar Lombardia, Brescia, con  la  sentenza  13  maggio
2008, n. 504, ha  affermato  che  «il  concetto  di  ristrutturazione
pervia demolizione come intervento che rispetta sia il volume sia  la
sagoma  dell'edificio  preesistente  e'  ben  fermo  e  ripetuto   di
frequente in  giurisprudenza,  si'  che  e'  poco  credibile  che  il
legislatore regionale, il quale intendesse abbandonarlo per  proporre
una innovazione, lo abbia fatto per  implicito,  senza  palesare  con
termini espressi tale intento». Ha ritenuto incongruo che  l'esigenza
del limite di  sagoma  «possa  venire  accantonata  senz'altro  dalle
legislazione regionale» e, quindi, «seguendo il costante insegnamento
della Corte costituzionale per cui sin quando e' possibile una  legge
ordinaria  va  interpretata  in  modo  conforme  a  Costituzione»  ha
concluso che «il limite della  sagoma,  attraente  ad  un  principio,
nella norma lombarda che non lo prevede espressamente, vada  ricavato
per via di interpretazione logica e sistematica». 
    Successivamente, anche questo Tar  ha  sostenuto  che  l'art.  27
comma 1, lettera d) della L.R. Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 dovesse
interpretarsi nel senso di prescrivere anche il rispetto della sagoma
dell'edificio  preesistente,  in  quanto  tale  requisito,   previsto
dall'art. 3, comma 1,  lettera  d)  del  D.P.R.  380/01,  costituisce
espressione   di   un   principio   generale   che   orienta    anche
l'interpretazione della legislazione regionale (Tar Lombardia Milano,
sez. II, 16 gennaio 2009, n. 153). 
    9.7 Una tale soluzione dell'antinomia tra le previsioni dell'art.
27, comma 1, lettera d), della legge Regione Lombardia n. 12/2005  ed
il principio fondamentale dettato dall'art. 3 del d.P.R. n.  380/2001
non puo' pero' piu' essere accolta. 
    Con l'art. 22 della legge regionale n. 7 del 5 febbraio 2010,  il
legislatore  regionale   ha,   difatti,   adottato   una   norma   di
interpretazione autentica, specificando che  «nella  disposizione  di
cui all'art. 27, comma 1, lettera d),  ultimo  periodo,  della  legge
regionale 11 marzo 2005, n. 12 la ricostruzione dell'edificio  e'  da
intendersi senza vincolo di sagoma». 
    Ad avviso del Collegio, il combinato  disposto  degli  artt.  27,
comma 1, lettera d) ultimo periodo, della legge Regione Lombardia  n.
12/2005, come interpretato dalla legge regionale n.  7/2010  -  nella
parte in cui esclude l'applicabilita' del limite  della  sagoma  alle
ristrutturazioni edilizie mediante demolizione e  ricostruzione  -  e
103 della legge Regione Lombardia n. 12/2005 -  nella  parte  in  cui
prevede che, a seguito dell'entrata in vigore  della  legge  12/2005,
cessi di avere diretta applicazione nella Regione  la  disciplina  di
dettaglio prevista, tra gli altri, dall'art. 3, d.P.R. n. 380/2001  -
si pone in aperto  contrasto  con  il  principio  fondamentale  della
legislazione statale dettato dall'art. 3 del d.P.R.  n.  380/2001  in
materia di governo del territorio e viola, dunque, l'art. 117,  comma
3 della Costituzione. 
    10.  In  conclusione,  il  ricorso  principale  e'   parzialmente
fondato, secondo quanto sopra esposto. 
    L'accoglimento della censura formulata con  il  terzo  motivo  di
ricorso,  indicata  al  punto   n.   4,   non   comporta,   comunque,
l'annullamento del provvedimento impugnato, giacche', in presenza  di
un provvedimento  fondato  su  piu'  motivi,  ciascuno  autonomamente
idoneo   a   darne   giustificazione,   solo   l'accertamento   della
illegittimita' di tutti i motivi puo' portare alla sua caducazione. 
    11. Nella restante parte, il giudizio deve essere sospeso  e  gli
atti vanno trasmessi alla Corte Costituzionale, essendo  rilevante  e
non   manifestamente   infondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale del  combinato  disposto  degli  artt.  27,  comma  1,
lettera d) e 103 della legge Regione Lombardia n. 12/2005 e dell'art.
22 della legge Regione  Lombardia  n.  7  del  5  febbraio  2010,  in
relazione all'art. 117, comma 3 della Costituzione,  per  le  ragioni
che si sono sopra esplicitate. 
    12. Ogni ulteriore statuizione in rito, in  merito  e  in  ordine
alle spese resta riservata alla decisione definitiva. 
 
                                P.Q.M. 
 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale del combinato disposto  degli  artt.  27,
comma 1, lettera d) e  103  legge  Regione  Lombardia  n.  12/2005  e
dell'art. 22, legge Regione Lombardia n. 7 del 5  febbraio  2010,  in
relazione all'art. 117, comma 3 della Costituzione. 
    Dispone la sospensione del presente giudizio. 
    Ordina  la  immediata  trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale. 
    Ordina che, a cura della Segreteria della  sezione,  la  presente
sentenza sia notificata alle parti in causa  e  al  Presidente  della
Giunta Regionale della  Lombardia  e  comunicata  al  Presidente  del
Consiglio regionale della Lombardia. 
    Riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore  statuizione  in
rito, in merito e in ordine alle spese. 
    Ordina che  la  presente  sentenza  sia  eseguita  dall'autorita'
amministrativa. 
    Cosi' deciso in Milano nella camera di  consiglio  del  giorno  9
giugno 2010. 
 
                        Il Presidente: Arosio 
 
 
                                         Il Consigliere: Spadavecchia