N. 346 SENTENZA 29 novembre - 1 dicembre 2010

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Provincia  autonoma   di   Bolzano   -   Minoranze   linguistiche   -
  Toponomastica - Disposizioni che prevedono la permanenza in  vigore
  del r.d. n. 800 del 1923 "Lezione ufficiale dei nomi dei  comuni  e
  delle altre  localita'  dei  territori  annessi"  -  Ricorso  della
  Provincia autonoma di Bolzano - Ritenuta lesione  della  competenza
  legislativa  della  Provincia  in  materia   di   toponomastica   -
  Disposizioni, meramente ricognitive, sprovviste di  autonoma  forza
  precettiva   -   Difetto   di   interesse   diretto    e    attuale
  all'impugnazione - Inammissibilita' della questione. 
- D.lgs. 1° dicembre 2009, n. 179, art. 1, commi 1 e 2. 
- Costituzione, artt. 3, 5, 6, 10, 11,  76,  77,  116  e  117,  primo
  comma; Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol,
  artt. 2, 3, 8, n. 2, 16, 19, 99, 100, 101, 102, 105 e  107;  d.P.R.
  30 giugno 1951, n. 574; d.P.R. 19 ottobre 1977, n. 846;  d.P.R.  31
  luglio 1978, n. 571; d.P.R. 10 febbraio  1983,  n.  89;  d.P.R.  15
  luglio 1988, n. 574; Accordo di Parigi tra Italia e Austria  del  5
  settembre 1946; Trattato di pace di Parigi del  10  febbraio  1947;
  Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo  10  dicembre  1948;
  Convenzione per la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
  liberta'  fondamentali  del  4  novembre  1950;   Risoluzione   del
  Consiglio economico e sociale delle Nazioni  Unite  del  23  aprile
  1959, n. 715 (XXVII), all. A; Risoluzione del Consiglio economico e
  sociale delle Nazioni Unite del 31 maggio  1968,  n.  1314  (XLIV);
  Carta europea delle lingue regionali  o  minoritarie  adottata  dal
  Consiglio d'Europa il 5 novembre 1992;  Risoluzione  dell'Assemblea
  generale   delle   Nazioni   Unite   del    18    dicembre    1992;
  Convenzione-quadro per la  protezione  delle  minoranze  nazionali,
  fatta  a  Strasburgo  il  1°  febbraio  1995;   Convenzione   sulla
  protezione  e  promozione  delle   diversita'   delle   espressioni
  culturali del 20 ottobre 2005. 
(GU n.49 del 9-12-2010 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino
  CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe  FRIGO,
  Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1 e 2,
del decreto  legislativo  1°  dicembre  2009,  n.  179  (Disposizioni
legislative  anteriori  al  1°  gennaio  1970,  di  cui  si   ritiene
indispensabile la permanenza in  vigore,  a  norma  dell'articolo  14
della legge 28 novembre 2005, n. 246), limitatamente  alla  parte  in
cui mantiene in vigore  il  regio  decreto  29  marzo  1923,  n.  800
(Allegato 2, n. 190), convertito in legge  17  aprile  1925,  n.  473
(Allegato 1, n. 182), promosso dalla Provincia  autonoma  di  Bolzano
con ricorso notificato il 12 febbraio 2010, depositato in cancelleria
il 22 febbraio 2010 ed iscritto al n. 23 del registro ricorsi 2010. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  5  ottobre  2010  il  giudice
relatore Paolo Grossi; 
    Uditi gli avvocati Stephan Beikircher, Michele Costa e Renate von
Guggenberg per la Provincia autonoma di Bolzano  e  l'avvocato  dello
Stato Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ricorso notificato il 12 febbraio 2010 e  depositato  il
successivo 22 febbraio 2010, la  Provincia  autonoma  di  Bolzano  ha
promosso - in riferimento agli articoli 2, 3, 8, n. 2,  16,  19,  99,
100, 101, 102,  105  e  107  dello  statuto  speciale  della  Regione
Trentino-Alto Adige/Südtirol (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), nonche'
agli articoli 3, 5, 6, 10, 11, 76, 77, 116 e 117, primo comma,  della
Costituzione e, inoltre, in relazione a diverse norme  di  attuazione
dello statuto (tra le quali, in particolare: d.P.R. 30  giugno  1951,
n. 574; d.P.R. 19 ottobre 1977, n. 846; d.P.R.  31  luglio  1978,  n.
571; d.P.R. 10 febbraio 1983, n. 89; d.P.R. 15 luglio 1988, n.  574);
nonche' in relazione all'Accordo di Parigi tra Italia e Austria del 5
settembre 1946; al Trattato di pace di Parigi del 10  febbraio  1947;
alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo 10 dicembre 1948;
alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali del  4  novembre  1950;  alla  Risoluzione  del
Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite del 23 aprile 1959,
n. 715 (XXVII), all. A; alla Risoluzione del  Consiglio  economico  e
sociale delle Nazioni Unite del 31 maggio 1968, n. 1314 (XLIV);  alla
Carta europea delle  lingue  regionali  o  minoritarie  adottata  dal
Consiglio   d'Europa   il   5   novembre   1992;   alla   Risoluzione
dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 18 dicembre  1992  in
tema  di  diritti  di  persone   appartenenti   a   minoranze;   alla
Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, fatta
a Strasburgo il 1° febbraio 1995; alla Convenzione sulla protezione e
promozione  delle  diversita'  delle  espressioni  culturali  del  20
ottobre 2005 - questione di legittimita' costituzionale dell'art.  1,
commi 1 e 2,  del  decreto  legislativo  1°  dicembre  2009,  n.  179
(Disposizioni legislative anteriori al 1° gennaio  1970,  di  cui  si
ritiene indispensabile la permanenza in vigore, a norma dell'articolo
14 della legge 28 novembre 2005, n. 246), «limitatamente  alla  parte
in cui mantiene in vigore il regio decreto  29  marzo  1923,  n.  800
(Allegato 2, n. 190), convertito in legge  17  aprile  1925,  n.  473
(Allegato 1, n. 182)». 
    Dopo aver succintamente esposto il contesto normativo  nel  quale
si inquadrano le disposizioni impugnate, la  ricorrente  lamenta,  in
definitiva, che queste, disponendo -  con  efficacia  dalla  data  di
entrata in vigore  del  provvedimento,  il  15  dicembre  2009,  come
previsto  attraverso  una  «clausola  d'urgenza»  -  la   sottrazione
all'effetto abrogativo, tra gli altri, del  regio  decreto  29  marzo
1923, n. 800 (Lezione ufficiale dei nomi dei  comuni  e  delle  altre
localita' dei territori annessi), convertito in legge 17 aprile 1925,
n. 473, che si sarebbe prodotto a decorrere dal giorno successivo, il
16 dicembre 2009, in virtu' di quanto stabilito, salvi alcuni limiti,
dall'art. 2, comma 1, del decreto-legge  22  dicembre  2008,  n.  200
(Misure urgenti in materia di semplificazione normativa), convertito,
con modificazioni, in legge 18 febbraio 2009, n. 9,  abbiano  violato
le particolari prerogative riconosciute alla  Provincia  autonoma  di
Bolzano», risultando costituzionalmente illegittime in riferimento ai
parametri indicati. 
      
    Con il primo motivo di ricorso - tra i  cinque  sviluppati  -  la
Provincia ricorrente si duole, in particolare, che «con  l'emanazione
del decreto legislativo in parte qua,  lo  Stato  ha  dato  corso  ad
un'evidente violazione della competenza legislativa  esclusiva  della
Provincia autonoma di Bolzano in materia di toponomastica»  (art.  8,
comma 1, n. 2, d.P.R. n. 670 del 1972), «e delle relative  competenze
amministrative  in  materia»  (art.  16  d.P.R.  n.  670  del  1972):
sarebbero state «lese  le  prerogative  riconosciute  alla  Provincia
autonoma di Bolzano per la presenza di minoranze linguistiche sul suo
territorio a tutela delle stesse» e,  di  conseguenza,  «violati  gli
specifici vincoli in essa esistenti  in  tema  di  uso  della  lingua
tedesca e ladina», in dispregio del  principio  della  «parificazione
linguistica, avente carattere generale,  assoluto  ed  inderogabile»,
con conseguente  violazione,  oltre  che  delle  citate  disposizioni
statutarie, anche degli articoli 3,  5,  6,  116  della  Costituzione
nonche'  dei  richiamati  atti  internazionali  e,  con  cio',  degli
articoli 10, 11 e 117, primo comma, della Costituzione. 
    Con il secondo motivo di ricorso si lamenta che  le  disposizioni
impugnate siano «viziate da eccesso di delega», in  violazione  degli
artt. 76 e 77 della  Costituzione:  sia  perche'  sarebbe  stato  «il
legislatore ordinario a decidere di abrogare»  il  r.d.  n.  800  del
1923; sia perche', risultando tra i principi  e  i  criteri  indicati
nella legge di delegazione (legge 28 novembre 2005, n. 246, art.  14,
comma 14, lettere a e b) «quello dell'esclusione  delle  disposizioni
oggetto  di   abrogazione   tacita   o   implicita   nonche'   quello
dell'esclusione dalla permanenza in  vigore  delle  disposizioni  che
abbiano  esaurito  la  loro  funzione  o  siano  prive  di  effettivo
contenuto normativo o siano comunque obsolete» - come  per  l'appunto
sarebbe il r.d. n. 800 del 1923  -  «il  mantenimento  in  vigore  o,
meglio, la riviviscenza di  tale  norma  non  rientra  nel  perimetro
tracciato dal legislatore delegante». 
    Con il terzo motivo,  la  Provincia  ricorrente  lamenta  che  le
disposizioni   impugnate   siano   state   «emanate   in   violazione
dell'articolo  107  dello  Statuto  speciale  di  autonomia  per   il
Trentino-Alto   Adige/Südtirol»:   il   quale,    disciplinando    il
procedimento  di  emanazione  di  speciali  norme,  quali  quelle  di
attuazione dello statuto, e prevedendo, per questo, «un  istituto  di
cooperazione paritaria, rappresentato dalla commissione  paritetica»,
espressione del principio di «leale collaborazione», impedisce che lo
Stato  possa   modificare   o   derogare   norme   di   questo   tipo
«unilateralmente» e al di fuori  della  prevista  procedura.  Qualora
necessario, «sarebbe stato, quindi, questo l'unico strumento a cui lo
Stato  poteva  eventualmente  ricorrere  per   introdurre   eventuali
normative in materia di toponomastica». 
    Con il quarto motivo, la ricorrente  si  duole  della  violazione
dell'art. 105 dello statuto speciale nonche' delle risoluzioni n. 715
A (XXVII) del 23 aprile 1959 e n. 1314 (XLIV) del 31 maggio 1968  del
Consiglio Economico e  Sociale  delle  Nazioni  Unite  e,  «per  cio'
stesso», degli articoli 10, 11, 117, primo comma, della Costituzione. 
    Ribadito che «non era necessario mantenere in vigore  ovvero  far
rivivere espressamente le norme di cui  al  regio  decreto  29  marzo
1923, n. 800, ed alla relativa legge di conversione  [...],  peraltro
del tutto obsolete e per di piu' in stridente contrasto con norme  di
natura  costituzionale  e  para-costituzionali  nonche'   con   norme
contenute in  atti  internazionali»,  la  ricorrente  rileva  che  la
Regione e' titolare (ai  sensi  dell'art.  4,  n.  3,  dello  statuto
speciale)  di  competenza  legislativa  esclusiva   in   materia   di
ordinamento degli enti locali e delle  relative  circoscrizioni,  nei
limiti imposti dalla Costituzione, e che, ai sensi dell'art. 7  dello
statuto medesimo (corrispondentemente a quanto previsto dall'art. 133
Cost.), «con leggi della regione, sentite le popolazioni interessate,
possono  essere  istituiti  nuovi  comuni  e   modificate   le   loro
circoscrizioni e denominazioni». 
    Nell'arco degli ultimi sessanta anni,  la  Regione  Trentino-Alto
Adige/Südtirol  avrebbe  «emanato  una  ventina  di  leggi  volte  ad
incidere sulla denominazione e  circoscrizione  di  comuni  siti  nel
territorio provinciale di Bolzano», mentre  lo  statuto  direttamente
menziona diverse localita',  fra  le  quali  Bolzano.  «Alla  vigente
disciplina statale in materia di toponimia»  occorrerebbe,  pertanto,
rifarsi «per i nomi geografici non disciplinati in  base  alle  fonti
appena citate». 
    Riproposta  la  distinzione  tra  denominazioni  dei  luoghi  «di
carattere  amministrativo»   (per   Regioni,   Province,   Comuni   e
articolazioni  sub-comunali)  e  di  «carattere  non  amministrativo»
(«vale a dire dei luoghi non entificati», «la  cui  ufficializzazione
e' in definitiva rimessa  ...  alle  carte  topografiche  ufficiali»,
sulla base del principio secondo cui le denominazioni «non vanno  mai
imposte, ma rilevate») e ricordato che «il territorio  della  Regione
Trentino-Alto  Adige/Südtirol   e   della   Provincia   autonoma   di
Bolzano/Bozen non fa eccezione  alle  regole  di  carattere  generale
[...], se non in minima misura, dovuta al grado di maggiore autonomia
riconosciuta alle due province di Trento e di Bolzano», la ricorrente
ha osservato che «la denominazione della Regione stessa e'  stabilita
direttamente  con  legge  costituzionale  (artt.  116  e  131   della
Costituzione)»; che «la forma bilingue  Trentino-Alto  Adige/Südtirol
della Regione e', peraltro, stabilita solo nel primo  degli  articoli
menzionati, modificato con l'articolo 2 della legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3,  mentre  nel  secondo  dei  detti  articoli,  non
interessato  dalla   riforma,   e'   rimasta   l'originaria   dizione
monolingue»; che «le  province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,
essendo per piu' versi equiparate alle regioni, ne seguono  anche  il
regime; di conseguenza sono anch'esse menzionate  direttamente  nella
Carta costituzionale [...], anche  se  non  in  forma  bilingue,  che
rimane assicurata, per quella di  Bolzano,  dall'articolo  114  dello
statuto speciale  per  il  Trentino-Alto  Adige/  Südtirol»;  che  lo
statuto regionale si preoccupa di  definire  anche  i  confini  delle
Province di Trento e Bolzano, «la modificazione dei quali non  segue,
pertanto, il regime previsto per le altre province, ma presuppone una
procedura costituzionale, come per le regioni». 
    Con il quinto motivo di ricorso, lamentandosi il contrasto  delle
norme  impugnate  con  i  richiamati  atti  internazionali   (e,   in
particolare, la Carta europea delle lingue  regionali  o  minoritarie
adottata  dal  Consiglio  d'Europa  il   5   novembre   1992   e   la
Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, fatta
a Strasburgo il 1° febbraio 1995) e,  percio',  la  violazione  degli
articoli 10, 11 e 117, primo comma, Cost., la  ricorrente  sottolinea
che «in tali atti internazionali si affermano principi di eguaglianza
e non discriminazione per motivi attinenti alla lingua e  si  intende
garantire  la  effettiva  partecipazione  degli   appartenenti   alle
minoranze nazionali alla vita collettiva del loro paese attraverso il
diritto  all'uso  della  lingua  nelle  relazioni  istituzionali,  il
diritto all'istruzione anche nella lingua  minoritaria,  il  sostegno
alla cultura della minoranza», impegnandosi  le  parti  contraenti  a
garantire l'effettivo esercizio dei diritti riconosciuti. 
    2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  per  chiedere  una  declaratoria  di  inammissibilita'  o  di
infondatezza della questione. 
    Ricostruito brevemente l'iter degli atti normativi  ai  quali  si
riferisce il ricorso, nell'atto di costituzione si e' preliminarmente
osservato che «in base a questo complesso normativo, in pratica,  non
si e' mai prodotta, a partire dal 16 dicembre 2009, l'abrogazione del
r.d. n. 800/23, e questo e' rimasto ininterrottamente in vigore». 
    In riferimento alle specifiche ragioni esposte  nel  ricorso,  la
difesa erariale ha eccepito: 1) quanto al primo e al  quinto  motivo,
che  essi  sarebbero  infondati,  atteso  che,  proprio  sulla   base
dell'art. 105 dello statuto speciale,  «la  persistente  vigenza  del
r.d. n. 800/23 non puo' [...] essere contraria allo Statuto,  per  lo
meno fino a quando la Provincia  non  eserciti,  nelle  forme  e  nei
limiti previsti dallo Statuto  speciale,  le  proprie  competenze  in
materia». D'altra parte, prevedendo il detto r.d.  n.  800  del  1923
«l'indicazione bilingue dei toponimi», esso «e' idoneo a garantire  i
diritti di entrambi i gruppi linguistici coesistenti nel territorio»;
2) quanto al secondo motivo  di  ricorso,  concernente  l'eccesso  di
delega, esso sarebbe, da un lato,  inammissibile,  non  apparendo  la
Provincia «legittimata a denunciare l'eccesso di delega di un decreto
legislativo statale» (e, cioe', a formulare  una  censura  «eccedente
l'ambito di quelle dirette a rivendicare il rispetto delle competenze
provinciali»);  d'altro  canto,  esso  sarebbe,   «in   ogni   caso»,
infondato: l'ipotesi di un'abrogazione tacita del  r.d.  n.  800  del
1923  sarebbe,  infatti,  esclusa  dalla  circostanza  della  mancata
emanazione di «norme  successive  regolanti  la  medesima  materia  e
incompatibili con esso» e, invece, «la salvaguardia» di detto decreto
risulterebbe, piuttosto, «imposta dal principio di cui  all'art.  14,
comma 14, lettera c), della legge n. 246/05»  a  tutela  di  «diritti
costituzionali fondamentali»,  la  cui  lesione  costituirebbe,  «per
l'intera  popolazione   provinciale   (a   prescindere   dal   gruppo
linguistico  di  appartenenza)»,   «quantomeno,   un   insormontabile
ostacolo alla liberta' di movimento»; 3) anche  il  terzo  motivo  di
ricorso  sarebbe  infondato:  nella  prospettiva,   sostenuta   dalla
ricorrente, secondo cui  ogni  intervento  normativo  in  materia  di
denominazione dei  comuni  altoatesini  dovrebbe  seguire,  ai  sensi
dell'art. 107 dello statuto, le procedure ivi previste, risulterebbe,
infatti, illegittima anche l'abrogazione del r.d.  n.  800  del  1923
disposta dalla legge di conversione del d.l. n. 200 del  2008  al  di
fuori di quelle procedure.  D'altra  parte,  il  decreto  legislativo
impugnato «non ha  introdotto  alcuna  innovazione  nella  disciplina
della toponomastica provinciale»: limitandosi ad impedire che il r.d.
n. 800 del 1923 «perdesse vigore», ha lasciato, invece,  che  questo,
per l'appunto, rimanesse «ininterrottamente in  vigore»,  costituendo
«la  sola  fonte  normativa  regolante  la  materia»;  4)   parimenti
infondato sarebbe il quarto motivo di ricorso, secondo il quale,  sul
presupposto della competenza esclusiva della Provincia nella  materia
de qua, risulterebbe illegittima  qualsiasi  legge  dello  Stato  che
intendesse disciplinarla. Disponendosi soltanto che il  r.d.  n.  800
del 1923 (rispetto alla cui adozione e' indubbio che  sussistesse  la
competenza dello Stato) «permanesse  in  vigore  senza  soluzione  di
continuita'» o restasse  escluso  dall'abrogazione,  non  si  sarebbe
introdotta «alcuna nuova disciplina inerente alla  denominazione  dei
comuni» ne', in assenza di un obbligo costituzionale di  abrogazione,
si sarebbe provocata alcuna lesione nella sfera di  competenza  della
Provincia. 
    3. - In prossimita' dell'udienza, la ricorrente ha presentato una
memoria per insistere nella richiesta di una  pronuncia  caducatoria,
ribadendo   gli   argomenti   esposti   per   sostenere    che    «la
reintroduzione», attraverso le disposizioni impugnate,  del  r.d.  n.
800 del 1923 «significa l'introduzione nell'ordinamento di una  serie
di prescrizioni lesive delle prerogative riconosciute alla  Provincia
autonoma di Bolzano per la presenza di minoranze linguistiche sul suo
territorio e a tutela delle stesse nonche' dei specifici  vincoli  in
tema di uso della lingua tedesca e ladina e  comprime  le  competenze
provinciali in materia di toponomastica». 
    Diversamente da quanto  eccepito  dall'Avvocatura,  l'abrogazione
del r.d. n. 800 del 1923 sarebbe,  infatti,  stata  disposta  «ovvero
confermata» gia' con l'art. 2, comma 1, del d.l. n. 200  del  2008  a
decorrere  dal  16  dicembre  2009  e  la   sottrazione   all'effetto
abrogativo sarebbe stata ottenuta proprio con l'entrata in vigore, il
giorno precedente, del decreto legislativo n.  179  del  2009  munito
della «clausola d'urgenza». 
    Quanto all'argomento secondo cui  la  «persistente  vigenza»  del
r.d. n. 800  del  1923  discenderebbe  dall'art.  105  dello  statuto
speciale, la Provincia osserva, in replica,  che  l'applicazione,  in
materia,  delle  leggi  dello  Stato  «non  significa  e   non   puo'
significare che si debba mantenere in vigore un decreto con il  quale
e' stata identificata una nomenclatura  esclusivamente  italiana  per
tutte le denominazioni tedesche, di conseguenza vietate,  salve  rare
eccezioni» (e pertanto non «idonea a garantire i diritti di  entrambi
i gruppi linguistici», «in evidente contrasto»  anche  con  l'art.  3
Cost.): dovendosi piuttosto detta applicazione potersi riferire  alle
«sole regole procedurali per l'individuazione»  dei  toponimi  «sulla
base di studi storico-linguistici» e non a  quelle  che  in  un  dato
momento ne abbiano imposto un uso determinato. 
    Il richiamo al solo art. 105 dello statuto  sarebbe,  del  resto,
«fuori luogo», «data la marea di fonti normative da cui  discende  la
disciplina delle denominazioni». E, in ogni caso,  l'unico  strumento
disponibile «per introdurre ovvero reintrodurre normative in  materia
di toponomastica» sarebbe stata  la  procedura,  in  altre  occasioni
attivata, di cui all'art. 107 dello statuto speciale, che prevede, in
linea  con  il  principio  di  leale  collaborazione,   istituti   di
cooperazione  paritaria  quali   la   Commissione   paritetica,   per
l'emanazione di  speciali  norme  come  quelle  di  attuazione  dello
statuto. 
    Quanto al denunciato vizio di eccesso di delega,  in  riferimento
all'art.  76  Cost.,  la  Provincia  sottolinea  di  aver  con   cio'
lamentato, come indicato da costante  giurisprudenza  costituzionale,
la lesione di proprie competenze, che «la reviviscenza» del  r.d.  n.
800 del 1923 violerebbe. 
    D'altra parte, «tale  decreto  non  poteva  essere  mantenuto  in
vigore», e andava invece considerato «obsoleto  e,  quindi,  abrogato
tacitamente» in base ai principi di cui alla stessa legge di  delega,
tenuto  conto  della  opposta  volonta'  espressa   dal   legislatore
ordinario «appena dieci mesi prima dell'entrata in vigore del decreto
legislativo n. 179 del 2009» (e che, percio', risulterebbe innovativo
nella disciplina della materia). 
    Ne' l'abrogazione  del  r.d.  n.  800  del  1923  avrebbe  potuto
tradursi, come eccepito dall'Avvocatura, «nella  lesione  di  diritti
costituzionali fondamentali  per  la  popolazione  provinciale»,  dal
momento  che  detto  decreto  «non  puo'  assolutamente  considerarsi
normativa sulla toponomastica, essendo la procedura per denominare  i
luoghi prevista da ben altre norme». Nel vigente sistema, infatti, al
legislatore regionale spetterebbe la competenza «per le denominazioni
dei Comuni e per le modifiche alle denominazioni preesistenti»  ed  a
quello provinciale quella «per la  rimanente  toponomastica  locale»,
«con la conseguenza che il legislatore statale non  puo'  intervenire
sulla materia»: cio' che, invece, sarebbe avvenuto  proprio  «facendo
rivivere il r.d. n. 800/1923». 
    4. - Anche il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha,  in
prossimita' dell'udienza, presentato una memoria per insistere  nella
richiesta di una declaratoria di inammissibilita' o di non fondatezza
della questione promossa. 
    L'inammissibilita'  riguarderebbe  il   profilo   relativo   alla
denominazione dei Comuni,  la  cui  competenza  esclusiva,  ai  sensi
dell'art. 7 dello statuto speciale, risulta attribuita  alla  Regione
Trentino-Alto Adige/Südtirol e non a quella della Provincia  autonoma
di Bolzano, competente, invece, in  base  all'art.  8,  n.  2,  dello
statuto medesimo, in materia di toponomastica locale (si richiama, al
riguardo, la sentenza di questa Corte n. 28 del 1964). 
    La non fondatezza riguarderebbe la questione  anche  se  limitata
alle denominazioni di luogo diverse da quelle dei Comuni.  Non  solo,
infatti, il r.d. n. 800 del  1923  non  lederebbe  il  principio  del
bilinguismo  ne'  le  competenze  della  Provincia,  ma   anzi   esso
espressamente prevedrebbe che  l'indicazione  bilingue  dei  nomi  di
luogo sia data quando necessario «per ragioni  di  pratica  e  comune
intelligenza». La stessa garanzia sarebbe «resa  indefettibile»,  del
resto, dall'art. 101 dello  statuto,  che  impone  di  utilizzare  la
toponomastica tedesca «se la legge  provinciale  ne  abbia  accertata
l'esistenza ed approvata la dizione»,  rinviando,  per  «l'attuazione
concreta»,  «all'iniziativa  legislativa   e   amministrativa   della
Provincia». 
    «La finalita'  della  disposizione  impugnata»,  pertanto,  lungi
dall'essere  quella  di  «sopprimere  le  indicazioni  toponomastiche
tedesche», sarebbe stata, piu' semplicemente, quella «di evitare  che
si aprisse un vuoto normativo nelle  denominazioni  ufficiali  (tanto
italiane  quanto  tedesche)  dei  luoghi  compresi   nel   territorio
provinciale»:  e  un'eventuale  abrogazione   del   decreto   avrebbe
determinato una «situazione di grave incertezza in una  materia  che,
palesemente, non puo' tollerarla». 
    D'altra parte, non potrebbe seriamente dubitarsi della competenza
del legislatore statale a disporre il mantenimento in vigore del r.d.
n. 800 del 1923: sia perche' tale  competenza  deriverebbe  dall'art.
105 dello statuto speciale,  in  relazione  perfino  ad  un  «obbligo
costituzionale» di disporre la permanenza in vigore di detto  decreto
prima del prodursi dell'effetto abrogativo; sia perche',  in  termini
piu' generali, essa risulterebbe «in  qualche  modo  incidente  sulle
garanzie di tutela delle minoranze linguistiche dell'Alto Adige»,  la
quale   costituisce    «principio    fondamentale    dell'ordinamento
costituzionale». 
    Indicate le tappe del percorso  della  giurisprudenza  di  questa
Corte in materia, anche sotto il profilo del «riparto delle  relative
competenze», l'Avvocatura richiama la sentenza n. 159 del 2009, i cui
principi,  «all'esito  di  questo  svolgimento»,  consentirebbero  di
considerare «senza alcun dubbio» attribuita al legislatore statale la
disciplina  delle  «modalita'  di  attuazione  della   tutela   delle
minoranze linguistiche, nella prospettiva del bilanciamento  di  tale
tutela con i diritti fondamentali della  generalita',  che  non  sono
meno  meritevoli  di  tutela»,  spettando  agli   enti   territoriali
(«esponenziali delle minoranze tutelate»)  di  «concorrere  a  questo
processo    mediante    la    legislazione    attuativa    concordata
pariteticamente con lo Stato». 
    Inserendosi  «chiaramente»  in  questo  contesto,  la   normativa
impugnata risulterebbe, pertanto, conforme  a  un  composito  assetto
normativo  «ormai  consolidato»  e  capace  di  soddisfare  «in  modo
equilibrato le diverse esigenze rilevanti». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Con il ricorso indicato in epigrafe, la  Provincia  autonoma
di Bolzano ha promosso - in riferimento agli articoli 2, 3, 8, n.  2,
16, 19, 99, 100, 101, 102, 105 e 107  dello  statuto  speciale  della
Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670),
nonche' agli articoli 3, 5, 6, 10, 11,  76,  77,  116  e  117,  primo
comma, della Costituzione e, inoltre, in relazione a diverse norme di
attuazione dello statuto medesimo e ad accordi e atti  internazionali
con precisione indicati supra (Ritenuto in fatto, n. 1)  -  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1 e 2, del  decreto
legislativo  1°  dicembre  2009,  n.  179  (Disposizioni  legislative
anteriori al 1° gennaio 1970, di cui  si  ritiene  indispensabile  la
permanenza in  vigore,  a  norma  dell'articolo  14  della  legge  28
novembre 2005, n. 246), «limitatamente alla parte in cui mantiene  in
vigore il regio decreto 29 marzo 1923, n. 800 (Allegato 2,  n.  190),
convertito in legge 17 aprile 1925, n. 473 (Allegato 1, n. 182)». 
    2. - La Provincia ricorrente lamenta, in sintesi, che il  decreto
legislativo n. 179 del 2009, nel disporre la  «reintroduzione»  o  la
«revivescenza» nell'ordinamento del regio decreto 29 marzo  1923,  n.
800 (Lezione ufficiale dei nomi dei comuni e  delle  altre  localita'
dei territori annessi), come convertito in legge 17 aprile  1925,  n.
473, dopo che  esso  era  stato  ricompreso  nell'elenco  degli  atti
legislativi destinati all'abrogazione ad opera dell'art. 2, comma  1,
del decreto-legge 22 dicembre 2008, n. 200 (Misure urgenti in materia
di semplificazione  normativa),  convertito,  con  modificazioni,  in
legge 18 febbraio 2009, n.  9,  abbia  provocato  una  lesione  della
competenza  esclusiva  della  Provincia  medesima   in   materia   di
toponomastica, ad essa attribuita dalle norme dello statuto  speciale
della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol. 
    3. - Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,   costituendosi   in
giudizio,  ha  concluso  perche'  la   questione   venga   dichiarata
inammissibile o infondata, con argomenti sviluppati sulla base  della
preliminare osservazione secondo cui dal complesso normativo  di  cui
alle norme impugnate si ricaverebbe che «in pratica  non  si  e'  mai
prodotta, a partire dal 16 dicembre 2009, l'abrogazione del  r.d.  n.
800/23, e questo e' rimasto ininterrottamente in vigore». 
    4. - La questione e' inammissibile. 
    4.1. - Il decreto legislativo n. 179 del 2009, impugnato all'art.
1, commi 1 e 2, consta di un solo articolo, composto di cinque commi,
e di due Allegati. 
    La norma di cui al comma 1 prevede che «Ai fini e per gli effetti
dell'articolo 14, commi 14, 14-bis e 14-ter, della legge 28  novembre
2005,  n.  246,  e  successive  modificazioni,  nell'Allegato  1  del
presente  decreto  legislativo  sono  individuate   le   disposizioni
legislative statali, pubblicate anteriormente  al  1°  gennaio  1970,
anche se modificate con  provvedimenti  successivi,  delle  quali  e'
indispensabile la permanenza in vigore». 
    La norma di  cui  al  comma  2  stabilisce  che  «Sono  sottratte
all'effetto abrogativo di cui all'articolo  2  del  decreto-legge  22
dicembre 2008, n. 200, convertito, con modificazioni, dalla legge  18
febbraio 2009, n. 9, le  disposizioni  indicate  nell'Allegato  2  al
presente decreto legislativo, che permangono in vigore anche ai sensi
e per gli effetti dell'articolo 14, commi 14, 14-bis e 14-ter,  della
legge 28 novembre 2005, n. 246, e successive modificazioni». 
    Nell'elenco di cui all'Allegato  n.  1  (Atti  normativi  salvati
pubblicati anteriormente al 1° gennaio 1970) e' indicata, al n.  182,
la legge n. 473 del 1925; nell'elenco di cui all'Allegato n. 2  (Atti
salvati dall'elenco delle abrogazioni allegato al  decreto  legge  22
dicembre 2008 n. 200, cosi' come convertito dalla legge  18  febbraio
2009, n. 9) e' indicato, al n. 190, il r.d. n. 800 del 1923. 
    4.2. - Il decreto legislativo  in  parola  e'  stato  emanato  in
esecuzione della delega legislativa di cui all'art. 14,  commi  14  e
15, della legge 28 novembre 2005, n. 246 (Semplificazione e riassetto
normativo per l'anno 2005), disposta per l'individuazione, sulla base
di  specifici  «principi  e  criteri  direttivi»,  di   «disposizioni
legislative statali, pubblicate anteriormente  al  1°  gennaio  1970,
anche se modificate con  provvedimenti  successivi,  delle  quali  si
ritiene indispensabile la permanenza in vigore»  (comma  14)  nonche'
per la «semplificazione» o il «riassetto  della  materia  che  ne  e'
oggetto», «anche al fine di armonizzare le disposizioni mantenute  in
vigore con quelle pubblicate successivamente alla data del 1° gennaio
1970» (comma 15). 
    Il testo originario del richiamato art. 14, comma  14,  e'  stato
poi sostituito ad opera dell'art. 4, comma 1, lettera a), della legge
18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per  lo  sviluppo  economico,  la
semplificazione, la competitivita' nonche'  in  materia  di  processo
civile), che, confermando la disposizione delegante,  ha  introdotto,
ai  commi  14-bis,  14-ter  e  14-quater,  ulteriori  discipline  per
stabilire la persistente applicabilita'  delle  disposizioni  statali
«nelle materie appartenenti alla legislazione regionale», «fino  alla
data di entrata in vigore  delle  relative  disposizioni  regionali»;
nonche' l'abrogazione, decorsi  alcuni  termini,  delle  disposizioni
legislative statali non comprese nei decreti legislativi emanati;  o,
ancora,  l'ampliamento  della   delega,   destinata   all'abrogazione
espressa di disposizioni da considerare tacitamente o  implicitamente
abrogate o «comunque obsolete». 
    4.3. - Nella pendenza dei termini per l'esercizio  della  delega,
e' stato emanato il  ricordato  d.l.  n.  200  del  2008,  il  quale,
all'art. 2, comma 1, nel testo sostituito dalla legge di  conversione
18 febbraio 2009, n. 9, ha disposto che, «a decorrere dal 16 dicembre
2009»,  avesse  luogo  l'abrogazione  delle   disposizioni   elencate
nell'Allegato 1, facendo tuttavia «salva l'applicazione dei commi  14
e 15  dell'articolo  14  della  legge  28  novembre  2005,  n.  246».
Nell'elenco di cui all'Allegato 1 era  indicato,  al  n.  10136  bis,
introdotto in sede di conversione, il r.d. n. 800 del 1923. 
    4.4.  -  Su  queste  basi,  si  puo'  agevolmente  ricavare  che,
diversamente da quanto prospettato  dalla  ricorrente,  l'entrata  in
vigore, il 15 dicembre 2009, del decreto legislativo n. 179 del 2009,
lungi  dal  determinare  la  «reintroduzione»  o  la   «reviviscenza»
nell'ordinamento del richiamato r.d. n. 800 del 1923, come convertito
in legge n. 473 del 1925,  ha  semplicemente  consentito  di  vederne
confermata la vigenza, sull'ovvio  presupposto  -  evidenziato  dalla
difesa dello Stato - che esso non l'avesse  perduta  e  che  percio',
altrettanto evidentemente, non avesse necessita' di riacquistarla. 
    Inserendo, infatti,  da  un  lato,  la  legge  n.  473  del  1925
nell'elenco  degli  atti  la  cui  «permanenza   in   vigore»   viene
considerata   «indispensabile»   e,   dall'altro,   conseguentemente,
impedendo, con espressa disposizione, che, a partire dal 16  dicembre
2009,  si  producesse,  per  «le  disposizioni  elencate»,  l'effetto
abrogativo previsto dall'art. 2, comma 1, del  decreto-legge  n.  200
del 2008 come convertito, le norme impugnate  si  sono  evidentemente
limitate ad assicurare che, tra gli altri, il r.d. n. 800  del  1923,
per l'appunto, non cessasse di restare in vigore, come era stato  per
decenni. 
    E' ben vero che - a parte i profili  strettamente  connessi  alla
cronologia dell'efficacia delle disposizioni in esame -  la  volonta'
abrogativa manifestata dal legislatore dell'urgenza, sia pure con  le
modificazioni apportate in sede parlamentare, risulti, in definitiva,
contraddetta, relativamente a  specifici  atti,  da  quella,  invece,
conservativa,  espressa  dal  legislatore   delegato,   peraltro   in
esecuzione del suo mandato. 
    Ma e' altrettanto pacifico che - indipendentemente  dal  problema
dei rapporti tra poteri (e limiti) del  legislatore  delegato  e  uso
insindacabile della ragionevole discrezionalita' legislativa, nonche'
dalla questione, altrettanto generale, se possa o meno reputarsi,  in
ipotesi, sussistente, in capo al legislatore, un qualche  obbligo  di
abrogazione -, la norma di cui all'art. 2, comma 1, del decreto-legge
n. 200 del 2008, come convertito, nel prevedere  l'abrogazione  degli
atti in elenco a decorrere dalla data indicata,  ha  espressamente  e
specificamente   previsto   che   questa   dovesse   valere    «salva
l'applicazione dei commi 14 e 15  dell'articolo  14  della  legge  28
novembre 2005, n. 246». Cosi'  che,  in  altri  termini,  l'efficacia
dell'abrogazione,  prevista,   come   gia'   rilevato,   nelle   more
dell'esercizio della delega, e' apparsa sin da subito ragionevolmente
destinata a trovare un limite nel complesso  normativo  di  cui  alla
legge di delegazione. E, d'altra parte,  corrispondentemente,  l'art.
1,  comma  2,  impugnato,  nel  sottrarre  le  indicate  disposizioni
all'effetto abrogativo ormai prossimo a prodursi, ne ha stabilito  la
permanenza in vigore «anche ai sensi e per gli effetti» della delega:
con cio' espressamente  confermando  l'intenzione  di  escludere  che
potesse eventualmente risultare destinato all'abrogazione,  ad  opera
del legislatore dell'urgenza, un atto che il  successivo  legislatore
delegato considerasse, invece,  meritevole  di  essere  mantenuto  in
vigore. 
    4.5.  -  Proprio  in  ragione  della   sua   funzione   meramente
ricognitiva, il decreto legislativo n. 179 del 2009 appare, pertanto,
nelle disposizioni impugnate, sprovvisto di una  propria  e  autonoma
forza precettiva o, se si preferisce, di  quel  carattere  innovativo
che si suole considerare proprio degli atti normativi: non e' dubbio,
infatti,  che,  nell'individuare  le  disposizioni  da  mantenere  in
vigore, esso non ridetermini ne' in alcun modo corregga  le  relative
discipline,  limitandosi  a  confermare,  peraltro  indirettamente  -
attraverso, cioe', la mera individuazione di atti da  «salvare»-,  la
persistente e immutata loro efficacia. 
    4.6. -  In  quanto  tali,  le  disposizioni  impugnate  appaiono,
percio', prive della capacita' di ledere, per  se'  stesse,  come  si
lamenta, la sfera della  competenza  della  Provincia  ricorrente  in
materia di «toponomastica»; il tutto a prescindere  dal  problema  di
cio' che con questa espressione si voglia intendere e  di  cio'  che,
invece, riguardi la materia  della  «denominazione  dei  comuni»,  ai
fini, eventualmente, del riparto delle relative  competenze,  secondo
lo statuto speciale, tra Provincia  autonoma  di  Bolzano  e  Regione
Trentino-Alto Adige/Südtirol. 
    Ne consegue il difetto, in capo alla ricorrente, di un diretto  e
attuale interesse a sostenere l'impugnazione proposta. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara  l'inammissibilita'  della  questione  di   legittimita'
costituzionale dell'articolo 1, commi 1 e 2, del decreto  legislativo
1° dicembre 2009, n. 179 (Disposizioni legislative  anteriori  al  1°
gennaio 1970, di cui  si  ritiene  indispensabile  la  permanenza  in
vigore, a norma dell'articolo 14 della legge  28  novembre  2005,  n.
246), promossa - in riferimento agli articoli 2, 3, 8, n. 2, 16,  19,
99, 100, 101, 102, 105 e 107 dello  statuto  speciale  della  Regione
Trentino-Alto Adige/Südtirol (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), nonche'
agli articoli 3, 5, 6, 10, 11, 76, 77, 116 e 117, primo comma,  della
Costituzione e, inoltre, in relazione a diverse norme  di  attuazione
del medesimo statuto (tra le quali, in particolare: d.P.R. 30  giugno
1951, n. 574; d.P.R. 19 ottobre 1977, n. 846; d.P.R. 31 luglio  1978,
n. 571; d.P.R. 10 febbraio 1983, n. 89; d.P.R.  15  luglio  1988,  n.
574); nonche'  in  relazione  all'Accordo  di  Parigi  tra  Italia  e
Austriadel 5 settembre 1946; al Trattato di pace  di  Parigi  del  10
febbraio 1947; alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo 10
dicembre 1948; alla  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali del  4  novembre  1950;  alla
Risoluzione del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite del
23 aprile  1959,  n.  715  (XXVII),  all.  A;  alla  Risoluzione  del
Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite del 31 maggio 1968,
n.  1314  (XLIV);  alla  Carta  europea  delle  lingue  regionali   o
minoritarie adottata dal Consiglio d'Europa il 5 novembre 1992;  alla
Risoluzione  dell'Assemblea  generale  delle  Nazioni  Unite  del  18
dicembre 1992 in tema di diritti di persone appartenenti a minoranze;
alla Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze  nazionali,
fatta a Strasburgo  il  1°  febbraio  1995;  alla  Convenzione  sulla
protezione e promozione delle diversita' delle espressioni  culturali
del 20 ottobre 2005 - «limitatamente alla parte in  cui  mantiene  in
vigore il regio decreto 29 marzo 1923, n. 800 (Allegato 2,  n.  190),
convertito in legge 17 aprile 1925, n. 473  (Allegato  1,  n.  182)»,
dalla  Provincia  autonoma  di  Bolzano  con  il   ricorso   di   cui
all'epigrafe. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 29 novembre 2010. 
 
                       Il Presidente: Amirante 
 
 
                        Il redattore: Grossi 
 
 
                      Il cancelliere: Di Paola 
 
    Depositata in cancelleria il 1º dicembre 2010. 
 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola