N. 106 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 6 ottobre 2010
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 6 ottobre 2010 (della Regione Emilia-Romagna). Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Economie negli Organi costituzionali, di governo e negli apparati politici - Importi corrispondenti alle riduzioni di spesa che verranno deliberate dalle Regioni, con riferimento ai trattamenti economici indicati nell'art. 121 della Costituzione - Riassegnazione al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato - Lamentata imposizione di un vincolo specifico nell'ipotesi in cui la disposizione debba essere interpretata come un vincolo per le Regioni a ridurre le indennita' dei titolari degli organi politici, ovvero lamentata assegnazione degli importi a un fondo dello Stato, nell'ipotesi in cui la disposizione sia ritenuta non cogente quanto all'an della specifica riduzione di spesa - Ricorso della Regione Emilia-Romagna - Denunciata lesione dell'autonomia finanziaria regionale, lesione della autonomia organizzativa e delle competenze di settore delle Regioni, violazione dei principi di buon andamento della pubblica amministrazione e di ragionevolezza. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 5, comma 1. - Costituzione, artt. 3, 97, primo comma, 117, 118 e 119. Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Riduzione dei costi degli apparati amministrativi - Misure di vario contenuto volte al contenimento della spesa pubblica - Definizione delle predette disposizioni, indirizzate alle Regioni e agli enti del Servizio sanitario regionale, quali disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica - Ritenuta applicazione delle predette disposizioni in via diretta, anziche' come principi, agli enti locali e agli enti pubblici regionali - Lamentata introduzione di puntuali e dettagliate limitazioni a singole voci di spesa, vincolanti le Regioni, gli enti locali, gli enti regionali, le societa' pubbliche - Ricorso della Regione Emilia-Romagna - Denunciata violazione dell'autonomia organizzativa e dell'autonomia finanziaria della Regione e degli enti locali. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 6, comma 20, primo periodo. - Costituzione, artt. 117, 118 e 119. Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Riduzione dei costi degli apparati amministrativi - Accantonamento, a decorrere dal 2011, di una quota pari al 10 per cento dei trasferimenti erariali di cui all'art. 7 della legge 15 marzo 1997, n. 59, a favore delle regioni a statuto ordinario, per essere successivamente destinata alle regioni medesime che abbiano attuato quanto stabilito dall'art. 3 del d.l. n. 2 del 2010, convertito con la legge n. 42 del 2010 - Prevista attuazione con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia, sentita la Conferenza Stato-Regioni - Ritenuta natura sostanzialmente regolamentare dell'atto e previsione del parere in luogo dell'intesa - Ricorso della Regione Emilia-Romagna - Denunciata violazione della potesta' legislativa concorrente e della potesta' regolamentare della Regione, lesione del principio di leale collaborazione. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 6, comma 20, terzo periodo. - Costituzione, art. 117, commi terzo e sesto. Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Riduzione dei costi degli apparati amministrativi - Esclusione che il personale dipendente contrattualizzato possa essere autorizzato ad usare il mezzo proprio per recarsi in missione, con conseguente divieto di corrispondere una qualche indennita' chilometrica - Lamentato ostacolo allo svolgimento delle attivita' pubbliche - Ricorso della Regione Emilia-Romagna - Denunciata violazione dell'autonomia organizzativa della Regione. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 6, comma 12, ultimo periodo. - Costituzione, artt. 117, commi terzo, quarto, quinto, ottavo e nono, e 118, commi secondo e terzo. Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Contenimento delle spese in materia di impiego pubblico - Divieto per Regioni, enti regionali, enti locali, per il triennio 2011-2013, di corrispondere ai singoli dipendenti anche di livello dirigenziale, un trattamento economico complessivo superiore a quello spettante per il 2010 - Lamentata natura di dettaglio della norma, laddove lo Stato potrebbe dettare solo vincoli di carattere generale e complessivo - Ricorso della Regione Emilia-Romagna - Denunciata violazione dell'autonomia organizzativa e dell'autonomia finanziaria della Regione, degli enti locali e degli enti strumentali regionali, esorbitanza dello Stato dalla competenza legislativa nella materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 1. - Costituzione, art. 117, comma terzo. Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Contenimento delle spese in materia di impiego pubblico - Divieto per Regioni, enti regionali, enti locali, per il triennio 2011-2013, di incrementare le risorse destinate al trattamento accessorio del personale anche di livello dirigenziale rispetto agli importi stanziati per l'anno 2010 - Lamentata natura di dettaglio della norma, laddove lo Stato potrebbe dettare solo vincoli di carattere generale e complessivo - Ricorso della Regione Emilia-Romagna - Denunciata violazione dell'autonomia organizzativa e dell'autonomia finanziaria della Regione, degli enti locali e degli enti strumentali regionali, esorbitanza dello Stato dalla competenza legislativa nella materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 2-bis. - Costituzione, art. 117, comma terzo. Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Contenimento delle spese in materia di impiego pubblico - Divieto, riferito ai rinnovi contrattuali del personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni per il biennio 2008/2009, di determinare aumenti retributivi superiori al 3,2 per cento, anche con riguardo ai contratti e agli accordi gia' stipulati - Lamentata introduzione di puntuali e dettagliate limitazioni a singole voci di spesa, vincolanti le Regioni, gli enti locali, gli enti regionali, intervento statale unilaterale nella contrattazione collettiva con riduzione dei trattamenti - Ricorso della Regione Emilia-Romagna - Denunciata violazione dell'autonomia finanziaria e organizzativa della Regione e degli enti locali, violazione della competenza legislativa concorrente della Regione, violazione della riserva di contrattazione collettiva in materia di retribuzioni, del principio di ragionevolezza e del diritto a un trattamento proporzionato al lavoro prestato. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 4. - Costituzione, artt. 3, 36, 39, 117, commi terzo e quarto, e 119. Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Contenimento delle spese in materia di impiego pubblico - Efficacia delle progressioni di carriera del personale contrattualizzato, negli anni 2011-2013, ai fini esclusivamente giuridici - Lamentata introduzione di puntuali e dettagliate limitazioni a singole voci di spesa, intervento statale unilaterale nella contrattazione collettiva con riduzione dei trattamenti - Ricorso della Regione Emilia-Romagna - Denunciata violazione dell'autonomia finanziaria e organizzativa della Regione e degli enti locali, violazione della competenza legislativa concorrente della Regione, esorbitanza dello Stato dalla competenza legislativa nella materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica, violazione del principio di ragionevolezza, di eguaglianza e del diritto a un trattamento proporzionato al lavoro prestato. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 21. - Costituzione, artt. 3, 36, 39, 117, commi terzo e quarto, e 119. Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Contenimento delle spese in materia di impiego pubblico - Obbligo per le Regioni e gli enti del Servizio sanitario nazionale di ridurre del 50 per cento la spesa sostenuta nell'anno 2009 per il personale a tempo determinato o utilizzato con convenzioni o con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, per i contratti di formazione-lavoro, i rapporti formativi, la somministrazione di lavoro e il lavoro accessorio - Previsione che le disposizioni predette costituiscano principi generali ai fini del coordinamento della finanza pubblica - Ritenuta applicazione delle predette disposizioni in via diretta, anziche' come principi, agli enti locali e agli enti pubblici regionali - Lamentata introduzione di puntuali e dettagliate limitazioni a singole voci di spesa - Ricorso della Regione Emilia-Romagna - Denunciata violazione dell'autonomia organizzativa e dell'autonomia finanziaria della Regione e degli enti locali, esorbitanza dello Stato dalla competenza legislativa nella materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 28. - Costituzione, artt. 117, commi terzo e quarto, e 119. Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Patto di stabilita' interno - Divieto assoluto agli enti nei quali l'incidenza delle spese di personale e' pari o superiore al 40% delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale, possibilita' per i restanti enti di procedere ad assunzioni nel limite del 20% della spesa corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente - Lamentata esorbitanza del potere statale di dettare norme di principio in materia di coordinamento della finanza pubblica - Ricorso della Regione Emilia-Romagna - Denunciata violazione della competenza regionale sul personale e sulla propria organizzazione, violazione dell'autonomia finanziaria regionale. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 14, comma 9, sostitutivo dell'art. 76, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112. - Costituzione, artt. 117, commi terzo e quarto, e 119. Energia - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Proroghe di concessioni di grande derivazione d'acqua per uso idroelettrico - Lamentata introduzione di norme di dettaglio - Ricorso della Regione Emilia-Romagna - Denunciata violazione della competenza legislativa concorrente della Regione. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 15, comma 6-quater. - Costituzione, art. 117, comma terzo. Iniziativa economica privata - Edilizia e urbanistica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Introduzione della «Segnalazione certificata di inizio attivita'» (SCIA) sostitutiva della «Denuncia di inizio attivita'» (DIA) - Ritenuta applicabilita' della nuova disciplina della DIA commerciale (SCIA) anche al settore dell'edilizia, con estensione alla DIA edilizia della facolta' di immediato inizio dell'attivita' - Lamentata sostituzione diretta della preesistente normativa sia statale che regionale nei settori del commercio, artigianato, turismo, attivita' commerciali, interferenza con i poteri di controllo attribuiti agli enti locali, nonche' interferenza nella materia del governo del territorio attraverso regole di dettaglio irrazionali e foriere di abusi - Ricorso della Regione Emilia-Romagna - Denunciata violazione della competenza legislativa concorrente e residuale della Regione, violazione dell'autonomia e delle funzioni amministrative degli enti locali, lesione dei principi di ragionevolezza e proporzionalita' e di buon andamento dell'amministrazione. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 49, comma 4-bis, sostitutivo dell'art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241. - Costituzione, artt. 3, 97, 97, primo comma, 114, 114, comma secondo, 117, commi terzo e quarto, 118 e 118, primo comma. Iniziativa economica privata - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Previsione che la disciplina della SCIA, nella sua integralita', attiene alla tutela della concorrenza e costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, ai sensi dell'art. 117, comma secondo, lett. e) ed m), Cost. - Previsione che la nuova disciplina della SCIA sostituisce direttamente quella della DIA recata da ogni normativa statale e regionale - Lamentata erroneita' della autoqualificazione, ritenuta incidenza su ambiti di legislazione regionale di natura residuale o concorrente con avocazione degli stessi allo Stato - Ricorso della Regione Emilia-Romagna - Denunciata violazione della competenza legislativa della Regione in materia di governo del territorio, tutela della salute, ordinamento degli uffici regionali, artigianato, turismo, commercio. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 49, comma 4-ter, - Costituzione, art. 117, commi terzo e quarto. Iniziativa economica privata - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Semplificazione e riduzione degli adempimenti amministrativi gravanti sulle piccole e medie imprese - Previsione dello strumento della delegificazione e definizione dei principi e criteri direttivi da seguirsi nell'adozione dei regolamenti governativi - Lamentata incidenza su ambiti di legislazione regionale di natura residuale o concorrente - Ricorso della Regione Emilia-Romagna - Denunciata violazione della competenza legislativa e regolamentare della Regione in materie di competenza concorrente e residuale, lesione del principio di leale collaborazione. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 49, comma 4-quater. - Costituzione, art. 117, commi terzo, quarto e sesto.(GU n.50 del 15-12-2010 )
Ricorso della Regione Emilia-Romagna, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore Vasco Errani, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale 20 settembre 2010, n. 1406 (doc. 1), rappresentata e difesa, come da procura speciale a margine del presente atto, dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova e dall'avv. Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma nello studio di quest'ultimo in via Confalonieri, n. 5; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale: dell'articolo 5, comma 1; dell'articolo 6, commi 12 e 20; dell'articolo 9, commi 1; 2-bis; 4 21 e 28; dell'articolo 14, comma 9; dell'articolo 15, comma 6-quater; dell'articolo 49, commi: 4-bis, 4-ter e 4-quater, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, pubblicata nel Supplemento ordinario n. 174/L alla Gazzetta Ufficiale n. 176 del 30 luglio 2010, per violazione degli articoli 3, 97, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione nonche' del principio di leale collaborazione, nei modi e per i profili di seguito illustrati. F a t t o Con il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, il Governo ha adottato Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica. Si tratta di un ampio intervento normativo, diviso in tre titoli: nel primo sono comprese norme di Stabilizzazione finanziaria, volte a ridurre la spesa, nel secondo norme di Contrasto all'evasione fiscale e contributiva e nel terzo norme riguardanti Sviluppo ed infrastrutture. Diverse delle norme contenute nel primo titolo, pero', non tengono affatto conto delle regole costituzionali in materia di coordinamento finanziario, le quali, pur attribuendo allo Stato un consistente potere di guida, garantiscono al tempo stesso - all'interno di quel potere di guida - le autonome determinazioni di ciascuna Regione (e per il presente ricorso della Regione Emilia-Romagna) nell'esercizio della propria autonomia di spesa. Numerose disposizioni, invece, contravvenendo alle regole costituzionali, pongono alle Regioni (ed agli enti locali) limiti rigidi a voci specifiche di spesa, incidendo su decisioni gia' prese, fondi gia' stanziati e determinando la conseguenza di gravi tagli ai servizi pubblici erogati con le risorse regionali, con rilevanti ma inevitabili effetti negativi sui cittadini emiliani. L'inclusione della Regione e degli enti locali e pararegionali tra i destinatari delle norme impugnate avviene sia - a volte - mediante diretto ed espresso riferimento alle Regioni sia - in altri casi - mediante il riferimento alle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, cioe' a quelle elencate annualmente dall'ISTAT entro il 31 luglio di ogni anno. E tale elenco (e precisamente, per quanto riguarda l'anno 2010, l'«Elenco delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato individuate ai sensi dell'articolo 1, comma 3 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 - Legge di contabilita' e di finanza pubblica», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 24 luglio 2010, n. 171) comprende espressamente, nella sezione «Amministrazioni locali», tra l'altro, le Regioni e le Province autonome, i comuni, le comunita' montane e le unioni di comuni, gli enti per il diritto allo studio universitario, gli enti per il turismo, gli enti regionali del lavoro, le aziende ospedaliere, le Asl, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e diversi altri enti rientranti nell'orbita regionale. Risulta poi lesiva una norma contenuta nel terzo titolo, cioe' l'art. 49, che muta la disciplina della denuncia di inizio attivita' in segnalazione certificata di inizio attivita', oltre ad attrarre d'autorita' tale istituto alla competenza esclusiva statale. Le disposizioni che di seguito si illustreranno, dunque, risultano illegittime e lesive delle competenze costituzionali della Regione per le seguenti ragioni di D i r i t t o 1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1. L'art. 5 e' inserito nel capo II, Riduzione del costo degli apparati politici ed amministrativi, ed e' intitolato Economie negli Organi costituzionali, di governo e negli apparati politici. Il comma 1 statuisce che «per gli anni 2011, 2012 e 2013, gli importi corrispondenti alle riduzioni di spesa che, anche con riferimento alle spese di natura amministrativa e per il personale, saranno autonomamente deliberate entro il 31 dicembre 2010, con le modalita' previste dai rispettivi ordinamenti dalla Presidenza della Repubblica, dal Senato della Repubblica, dalla Camera dei deputati e dalla Corte costituzionale sono versati al bilancio dello Stato per essere riassegnati al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato»; si aggiunge che «al medesimo Fondo sono riassegnati gli importi corrispondenti alle riduzioni di spesa che verranno deliberate dalle Regioni, con riferimento ai trattamenti economici degli organi indicati nell'art. 121 della Costituzione». Non e' chiaro se l'ultimo periodo del comma 1 intenda vincolare le Regioni a ridurre le indennita' dei titolari degli organi politici, o intenda solo fissare la destinazione delle risorse corrispondenti alle riduzioni che eventualmente le Regioni disporranno. Nel primo caso, la norma sarebbe chiaramente illegittima per violazione dell'art. 117, comma 3, Cost., in quanto stabilirebbe un vincolo ad una voce di spesa specifica e particolare: e, dunque, avrebbe carattere dettagliato in materia di competenza concorrente, nella quale lo Stato ha titolo soltanto a dettare principi fondamentali. Si puo' ricordare qui, a conferma, la sent. n. 157/2007, che ha dichiarato l'illegittimita' di una norma della legge n. 266/05 che riduceva del 10% le indennita' corrisposte ai titolari degli organi politici regionali. Ma anche ove si intendesse la disposizione come non cogente quanto all'an della specifica riduzione di spesa, in applicazione del canone della interpretazione conforme a Costituzione, l'ultimo periodo del comma 1 sarebbe in ogni modo illegittimo perche' prevede l'assegnazione degli importi al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato, ovvero l'assegnazione di tale fondo allo Stato. In pratica, si applica un meccanismo contrario a quello previsto dall'art. 119 della Costituzione: anziche' essere lo Stato a finanziare le Regioni, si obbligano le Regioni a finanziare lo Stato mediante gli stessi fondi che in attuazione della Costituzione lo Stato assegna alle Regioni. Cio' implica lesione dell'autonomia finanziaria regionale perche' risorse che provengono dalle entrate generali della Regione vengono «avocate» allo Stato senza altra ragione che la circostanza che la Regione spende di meno per una specifica voce di spesa. L'ingerenza nell'autonomia finanziaria regionale non si puo' giustificare a titolo di coordinamento della finanza pubblica perche' la norma e' dettagliata e va a colpire una specifica e minuta voce di spesa. Oltre all'art. 119, l'art. 5, comma 1, viola anche gli artt. 117 e 118 Cost. perche' impedisce alla Regione di utilizzare gli importi in questione per altri scopi, da essa individuati nell'esercizio della propria autonomia organizzativa e delle proprie competenze di settore. E' infine violato il principio di buon andamento e di ragionevolezza di cui all'art. 97, comma primo, e all'art. 3 Cost., in quanto la devoluzione del risparmio al bilancio statale evidentemente lo disincentiva, dato che la Regione non ne potrebbe trarre alcun vantaggio. 2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 6, commi 12 e 20. L'art. 6 pone una serie di norme volte alla Riduzione dei costi degli apparati amministrativi, norme dal contenuto innegabilmente e chiaramente dettagliato, come si vedra' subito. Forse proprio in considerazione di tale contenuto, che proprio in ragione di tale carattere contrasterebbe - ove riferito alle Regioni - con i principi costituzionali in materia di coordinamento della finanza pubblica elaborati dalla giurisprudenza costituzionale, il comma 20 dell'art. 6 dispone che «le disposizioni del presente articolo non si applicano in via diretta alle regioni, alle province autonome e agli enti del Servizio sanitario nazionale», ma aggiunge che per tali enti esse «costituiscono disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica». In altre parole, la disposizione del comma 20 cerca di «trasformare» in qualche modo le disposizioni dettagliate in principi. Tuttavia, tale tentativo e' necessariamente destinato all'insuccesso, e la qualificazione delle disposizioni in questione come «principi» non fa - ad avviso della ricorrente Regione - che aggiungere illegittimita' ad illegittimita'. Il comma 20 e' dunque qui impugnato nella parte in cui esso dispone che le disposizioni indicate «costituiscono disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica», e nella parte in cui limita la loro «non applicazione» alle Regioni alla applicazione «in via diretta». Il punto fondamentale e' che la qualificazione data dal comma 20, come e' tipico delle norme di qualificazione, non e' idonea a mutare la realta' normativa dei commi cui si riferisce, che resta quella di regole dettagliate limitative di voci minute di spesa degli enti pubblici, e che vincolare le Regioni a tali pseudoprincipi e' ugualmente illegittimo. Nessun dubbio poi puo' sussistere sul carattere specifico e dettagliato delle disposizioni alle quali il comma 20 si riferisce. Cosi', il comma 3 dispone che «a decorrere dal 1° gennaio 2011, le indennita', i compensi, i gettoni, le retribuzioni o le altre utilita' comunque denominate, corrisposti dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, .... sono automaticamente ridotte del 10 per cento rispetto agli importi risultanti alla data del 30 aprile 2010». Inoltre, la disposizione stabilisce che «sino al 31 dicembre 2013, gli emolumenti di cui al presente comma non possono superare gli importi risultanti alla data del 30 aprile 2010, come ridotti ai sensi del presente comma». Il comma 7 statuisce che «a decorrere dall'anno 2011 la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a studi ed incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti, sostenuta dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196,... non puo' essere superiore al 20 per cento di quella sostenuta nell'anno 2009». Il comma 8 dispone che «a decorrere dall'anno 2011 le amministrazioni pubbliche... individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT)... non possono effettuare spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicita' e di rappresentanza, per un ammontare superiore al 20 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 per le medesime finalita'». Il comma 9 stabilisce che «a decorrere dall'anno 2011 le amministrazioni pubbliche... individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT)... non possono effettuare spese per sponsorizzazioni». Il comma 12 dispone che «a decorrere dall'anno 2011 le amministrazioni pubbliche... individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT)... non possono effettuare spese per missioni, anche all'estero, con esclusione delle missioni internazionali di pace e delle Forze armate, delle missioni delle forze di polizia e dei vigili del fuoco, del personale di magistratura, nonche' di quelle strettamente connesse ad accordi internazionali ovvero indispensabili per assicurare la partecipazione a riunioni presso enti e organismi internazionali o comunitari, nonche' con investitori istituzionali necessari alla gestione del debito pubblico, per un ammontare superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009». Il comma 13 statuisce che «a decorrere dall'anno 2011 la spesa annua sostenuta dalle amministrazioni pubbliche... individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT)... per attivita' esclusivamente di formazione deve essere non superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009»; si aggiunge che «le predette amministrazioni svolgono prioritariamente l'attivita' di formazione tramite la Scuola superiore della pubblica amministrazione ovvero tramite i propri organismi di formazione». Il comma 14 stabilisce che «a decorrere dall'anno 2011, le amministrazioni pubbliche... individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT)... non possono effettuare spese di ammontare superiore all'80 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 per l'acquisto, la manutenzione, il noleggio e l'esercizio di autovetture, nonche' per l'acquisto di buoni taxi»; si aggiunge che «il predetto limite puo' essere derogato, per il solo anno 2011, esclusivamente per effetto di contratti pluriennali gia' in essere». Il comma 19 dispone che «al fine del perseguimento di una maggiore efficienza delle societa' pubbliche,... le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, non possono, salvo quanto previsto dall'art. 2447 codice civile, effettuare aumenti di capitale, trasferimenti straordinari, aperture di credito, ne' rilasciare garanzie a favore delle societa' partecipate non quotate che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali»; e che sono «in ogni caso consentiti i trasferimenti alle societa' di cui al primo periodo a fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico interesse ovvero alla realizzazione di investimenti». Come si vede, si tratta di disposizioni molto puntuali, analitiche, che disciplinano «frammenti» di realta' finanziaria ed organizzativa. Ed in relazione ad esse le Regioni, nonostante quanto disposto dal comma 20, primo periodo, non hanno ne' (in ragione della struttura delle norme) potrebbero avere alcun margine di manovra. Non si tratterebbe che di «recepire» le corrispondenti norme statali. Cosi' illustrato il contenuto del comma 20, in relazione alle specifica disposizione di cui al comma 12, risulta chiaro che esso, nell'inciso «per i quali costituiscono disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica», ed il comma 12 cui si riferisce, sono lesivi dell'autonomia organizzativa e dell'autonomia finanziaria della Regione. Infatti, essi pongono limiti puntuali a voci minute di spesa e fissano anche la modalita' di contenimento della spesa, esorbitando dai limiti della competenza legislativa statale di principio nella materia del coordinamento della finanza pubblica. L'illegittimita' dei limiti puntuali alle voci minute di spesa e' stata piu' volte dichiarata da codesta Corte: v. le sentt. nn. 297/2009, 237/2009, 159/2008, 157/2007, 95/2007, 89/2007, 88/2006, 449/2005, 417/2005 e 390/2004. Va ricordata, in particolare, per l'analogia della fattispecie, la sentenza n. 297/2009, che ha annullato una disposizione sostanzialmente corrispondente a quella qui impugnata «nella parte in cui afferma che possono essere desunti "principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica" da norme che, per il loro contenuto, sono inidonee a esprimere tali principi», cioe' da norme «idonee solo a incidere sulle indicate singole voci di spesa, in quanto introducono vincoli puntuali e specifiche modalita' di contenimento della spesa medesima». Nel medesimo consolidato orientamento rientra la sentenza n. 159/2008 (punto 6 del Diritto). Del resto, una norma analoga a quella del comma 3 dell'art. 6 (pure non impugnato con il presente ricorso) e' stata annullata dalla sentenza n. 157/2007 (la norma statale riduceva del 10% le indennita' corrisposte ai titolari degli organi politici regionali); v. poi le sentt. nn. 95/2007, 449/2005 e 417/2005, che hanno dichiarato l'illegittimita' dei vincoli posti a consulenze, missioni e acquisti. Non puo' dunque esservi dubbio alcuno sulla illegittimita' delle disposizioni impugnate, per le ragioni sopra esposte. Esse contraddicono il principio in relazione al quale le esigenze della finanza pubblica possono certo comportare vincoli anche per le autonomie territoriali, ma vincoli di carattere generale e complessivo, al cui interno i titolari di autonomia costituzionale possono decidere le diverse destinazioni, appunto, in modo autonomo. La clausola di salvaguardia di cui al comma 20, primo periodo, e' illegittima anche nella parte in cui non comprende nel proprio ambito di «esonero» dall'applicazione diretta gli enti locali e gli enti ed organismi appartenenti al sistema regionale. Il «mancato esonero» comporta dunque che per tali enti i commi sopra illustrati operino in via diretta, dato che sono rivolti alle amministrazioni di cui all'art. 1, comma 3, legge n. 196/2009. A causa del mancato esonero, si pongono limiti puntuali alla spesa degli enti locali, degli enti pubblici del sistema regionale e delle societa' pubbliche. Ma tali limiti sono illegittimi in quanto dettano norme dettagliate, che fuoriescono dal potere del legislatore statale nelle materie del coordinamento della finanza pubblica; si puo' ricordare, in particolare, per l'analogia della fattispecie, la sentenza n. 159/2008 (punto 7 del Diritto). Ed e' pure pacifico che la Regione e' legittimata a difendere l'autonomia finanziaria e organizzativa (ogni limitazione di spesa si traduce in limitazione delle possibili scelte organizzative) dei propri enti strumentali e delle proprie societa' ma e' anche abilitata a tutelare l'autonomia finanziaria degli enti locali (v. sentt. nn. 298/2009, 169/2007, punto 3; 95/2007, 417/2005, 196/2004 e 533/2002). Infine, e' illegittimo anche il terzo periodo del comma 20 dell'art. 6. Il secondo periodo dispone che, «a decorrere dal 2011, una quota pari al 10 per cento dei trasferimenti erariali di cui all'art. 7 della legge 15 marzo 1997, n. 59, a favore delle regioni a statuto ordinario e' accantonata per essere successivamente svincolata e destinata alle regioni a statuto ordinario che hanno attuato quanto stabilito dall'art. 3 del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, convertito con legge 26 marzo 2010, n. 42 e che aderiscono volontariamente alle regole previste dal presente articolo». In relazione a cio', il terzo periodo prevede che, «con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-Regioni, sono stabiliti modalita', tempi e criteri per l'attuazione del presente comma». Pare evidente che quest'ultima norma prevede un atto sostanzialmente regolamentare (nonostante la qualificazione legislativa, con la quale si cerca di giustificare la sottrazione del decreto alla procedura e ai requisiti di cui all'art. 17 legge n. 400/1988) e anche di notevole impatto in materia concorrente (coordinamento della finanza pubblica). Il terzo periodo del comma 20, dunque, e' lesivo dell'art. 117, comma 3 e 6, Cost. e del principio di leale collaborazione, in quanto, per compensare la «deroga» all'art. 117, comma 6, Cost., avrebbe dovuto prevedere almeno l'intesa con la Conferenza Stato-Regioni, in luogo del semplice parere. Si tratta infatti di una parte rilevante dei trasferimenti destinati alle Regioni, e vi e' dunque l'esigenza che esse debbano concordare l'attuazione del meccanismo distributivo attuativo della norma, e non semplicemente essere «sentite» su di esso. Specificamente illegittimo e lesivo della autonomia regionale appare l'ultimo periodo del comma 12, il quale - attraverso un richiamo muto all'art. 15 legge n. 836/1973 a all'art. 8 legge n. 417/1978 - esclude che il personale dipendente contrattualizzato possa essere autorizzato ad usare il mezzo proprio per recarsi in missione, con conseguente divieto di corrispondere una qualche indennita' chilometrica. La norma - prima ancora che rappresentare un limite puntuale ad una singola minuta voce di spesa - incide sulla autonomia organizzativa della Regione e sull'esercizio delle attivita' e delle funzioni amministrative da essa normate, spettino alla Regione medesima e siano dalla stessa attribuite ai Comuni o ad altri enti. Da un lato, si nega che la Regione possa discrezionalmente valutare la convenienza tra l'acquisto di un proprio mezzo di trasporto, l'avvalersi di un mezzo pubblico, oppure l'avvalersi del mezzo del dipendente (salvo rimborsargli la spesa). D'altro lato, e' assicurata la possibilita' materiale di svolgere compiti pur legittimamente previsti dalla legge, in tutti i casi di carenza di mezzi propri da parte della amministrazione regionale e delle altre amministrazioni competenti, e di insufficienza di mezzi di trasporto pubblici. La norma e' quindi lesiva sia dell'art. 117, comma 4, Cost., per la parte in cui incide sulla organizzazione della Regione, sia - in generale - dei commi 3, 4, 5, 8 e 9 dell'art. 117 e dei commi 2 e 3 dell'art. 118, nella parte in cui ostacola lo svolgimento delle attivita' pubbliche legittimamente previste dalla legislazione regionale. 3) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 9, commi 1, 2-bis, 4, 21, 28. L'art. 9 detta norme sul Contenimento delle spese in materia di impiego pubblico. Il comma 1 dispone che, «per gli anni 2011, 2012 e 2013 il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso il trattamento accessorio, previsto dai rispettivi ordinamenti delle amministrazioni pubbliche» di cui al noto Elenco ISTAT «non puo' superare, in ogni caso, il trattamento ordinariamente spettante per l'anno 2010». In base a detta individuazione dei destinatari tale norma si rivolge anche alle Regioni, agli enti locali e agli altri enti del sistema regionale. Essa rappresenta una norma di dettaglio in materia di competenza concorrente, in quanto riguarda una voce specifica di spesa e fissa con precisione la misura del «taglio». Di qui la violazione dell'art. 117, comma 3, Cost. e la lesione dell'autonomia organizzativa e finanziaria della Regione e degli enti locali, per le ragioni gia' esposte nel punto 2. Il comma 2-bis stabilisce che «a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 l'ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non puo' superare il corrispondente importo dell'anno 2010 ed e', comunque, automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio». Tale norma, pur individuando i propri destinatari in modo diverso dal riferimento all'Elenco ISTAT, potrebbe essere considerata applicabile anche alle Regioni, agli enti locali e agli altri enti del sistema regionale, in quanto rientranti nella generale nozione di pubblica amministrazione. Essa pone un limite rigido ed autoapplicativo ad una voce specifica e minuta di spesa e, dunque, comporta violazione dell'art. 117, comma 3, Cost. e lesione dell'autonomia finanziaria della Regione e degli enti locali, per le ragioni gia' esposte nel punto 3. Il comma 4, poi, statuisce che «i rinnovi contrattuali del personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni per il biennio 2008-2009 ed i miglioramenti economici del rimanente personale in regime di diritto pubblico per il medesimo biennio non possono, in ogni caso, determinare aumenti retributivi superiori al 3,2 per cento»; che tale disposizione «si applica anche ai contratti ed accordi stipulati prima della data di entrata in vigore del presente decreto»; che le clausole difformi «contenute nei predetti contratti ed accordi sono inefficaci» e che «a decorrere dalla mensilita' successiva alla data di entrata in vigore del presente decreto i trattamenti retributivi saranno conseguentemente adeguati». Tale disposizione individua i suoi destinatari mediante l'espressione generica «pubbliche amministrazioni» e, dunque, potrebbe essere intesa come applicabile alle Regioni. In questo caso, essa sarebbe illegittima in quanto pone un limite rigido ed autoapplicativo ad una voce specifica e minuta di spesa: valendo dunque per essa le censure ora esposte in relazione ai precedenti commi (oltre che al punto 2, con riferimento all'art. 6). Lo stesso comma 4, poi, si pone in contrasto con l'art. 39 Cost., perche' incide sull'entita' dei trattamenti economici determinata dai contratti collettivi stipulati dall'ARAN per conto delle Regioni. Come la giurisprudenza costituzionale ha in piu' occasioni affermato, vi e' una riserva di contrattazione collettiva in materia di retribuzioni, che la legge non puo' violare (art. 39 Cost. e attuativamente legge n. 421/1992), come fanno invece i commi ora indicati. Tale violazione si traduce in lesione dell'autonomia organizzativa e finanziaria regionale (art. 117, comma 4, e art. 119 Cost.) perche' lo Stato altera unilateralmente le scelte fatte dall'ARAN per conto delle Regioni e pone limiti puntuali a specifiche voci di spesa regionale. Si puo' ricordare qui l'art. 2, comma 2, lett. ii) della legge n. 42/2009, che auspica - come criterio direttivo per i decreti legislativi attuativi dell'art. 119 Cost. - la «previsione di strumenti che consentano autonomia ai diversi livelli di governo nella gestione della contrattazione collettiva»: criterio che e' contraddetto dalla norma impugnata. Inoltre, la norma in questione viola il principio di ragionevolezza e l'art. 36 Cost., perche' riduce i trattamenti fissati nei contratti collettivi, che si presumono essere quelli proporzionati alla qualita' e quantita' del lavoro prestato. La disposizione impugnata produce un'ingiustificata ed irragionevole alterazione del sinallagma contrattuale, danneggiando gravemente i singoli lavoratori a fronte di una «limitata incidenza sul totale della manovra» (cosi' l'audizione della Corte dei conti del 10 giugno 2010, presso la Commissione Bilancio del Senato). Tale violazione si riflette in lesione dell'autonomia finanziaria ed organizzativa regionale, perche' la gestione del personale regionale e del bilancio rientra indubbiamente nelle competenze regionali. Il comma 21 dell'art. 9 stabilisce che «per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposti negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici». Tale norma e' illegittima per le ragioni illustrate a proposito del comma 4: a) violazione dell'art. 117, comma 3, Cost. in quanto si tratta di norma dettagliata che pone un limite rigido ad una voce minuta di spesa; b) violazione degli artt. 3, 36 e 39 Cost. in quanto, a fronte dello svolgimento di una funzione di livello piu' elevato, con contenuti professionali piu' complessi e con maggiori responsabilita', il dipendente «promosso» dopo il 1º gennaio 2011 si troverebbe a percepire una retribuzione diversa da quella prevista dal contratto collettivo e corrispondente ad un lavoro qualitativamente diverso (con discriminazione rispetto ai dipendenti «promossi» prima del 2011, che - a parita' di lavoro - riceverebbero uno stipendio diverso). Cio' si traduce in lesione dell'autonomia organizzativa e finanziaria regionale, perche' la gestione del personale regionale e del bilancio rientra indubbiamente nelle competenze regionali. Il comma 28, primo periodo, dispone che, «a decorrere dall'anno 2011, le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, incluse le Agenzie fiscali... gli enti pubblici non economici, le universita' e gli enti pubblici di cui all'articolo 70, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165..., fermo quanto previsto dagli articoli 7, comma 6, e 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalita' nell'anno 2009». Il secondo periodo stabilisce che uguale limite e' fissato per la spesa relativa a contratti di formazione-lavoro, ad altri rapporti formativi, alla somministrazione di lavoro, nonche' al lavoro accessorio di cui all'articolo 70, comma 1, lettera d) del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. Il terzo periodo del comma 28 stabilisce che tali disposizioni «costituiscono principi generali ai fini del coordinamento della finanza pubblica ai quali si adeguano le regioni, le province autonome, e gli enti del Servizio sanitario nazionale». Esso dunque, pur implicando pero' che esse non si applichino direttamente alle Regioni, impone l'adeguamento di queste a tali principi generali, con disposizione corrispondente a quella dell'art. 6, comma 20. I tre periodi indicati del comma 28 sono dunque qui impugnati per le stesse ragioni gia' esposte in relazione all'art. 6. Il terzo periodo, in particolare, e' impugnato nella parte in cui esso - pur implicando la non diretta applicazione dei precedenti periodi - ne afferma l'applicabilita' in quanto recante presunte disposizioni di principio. Infatti, come nel caso dell'art. 6, le norme contenute nel comma 28 risultano illegittime per violazione delle regole sui rapporti tra legislazione statale e regionale nell'ambito del coordinamento della finanza pubblica. Esse non sono affatto disposizioni di principio, ne' lo diventano per la definizione di cui al terzo periodo, ma sono tali da non consentire un autonomo svolgimento. Si tratta di un limite rigido ad una voce specifica e minuta di spesa, di una norma dettagliata che prevede la modalita' di contenimento della voce di spesa, senza lasciare alcun margine di manovra alla Regione. Inoltre, il limite non e' transitorio. Dunque, il comma 28 e' illegittimo per le ragioni gia' viste a proposito dell'art. 6, cioe' per la violazione dell'autonomia organizzativa e finanziaria della Regione e degli enti locali (che, fra l'altro, non sono compresi nella clausola di salvaguardia di cui al terzo periodo, con conseguente applicabilita' diretta dei limiti: sulla legittimazione della Regione a tutelare l'autonomia finanziaria degli enti locali v. le sentt. nn. 298/2009, 169/2007, punto 3; 95/2007, 417/2005, 196/2004 e 533/2002), per eccesso dai limiti della potesta' legislativa statale in materia di coordinamento della finanza pubblica, in quanto la disposizione pone un limite rigido ad una voce specifica di spesa. D'altronde, sia consentito di ricordare che l'illegittimita' dei vincoli puntuali alle assunzioni e' gia' stata dichiarata dalle sentt. nn. 95/2008, 88/2006 e 390/2004. 4) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 14, comma 9. L'art. 14, comma 9, sostituisce l'art. 76, comma 7, d.l. n. 112/2008 nel modo seguente: «E' fatto divieto agli enti nei quali l'incidenza delle spese di personale e' pari o superiore al 40% delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale; i restanti enti possono procedere ad assunzioni di personale nel limite del 20 per cento della spesa corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente». Tale disposizione si applica a decorrere dal 1° gennaio 2011, con riferimento alle cessazioni verificatesi nell'anno 2010. Tale norma pone limiti rigidi alle assunzioni, in violazione degli artt. 117, comma 3 e comma 4 (in relazione alla competenza regionale sul personale e sulla propria organizzazione), e 119 Cost., e dunque esorbitando cosi' dal potere statale di dettare norme di principio in materia di coordinamento della finanza pubblica: come codesta ecc.ma Corte costituzionale ha gia' in diverse occasioni accertato e stabilito in relazione a norme di questo tipo (v. sentt. nn 95/2008, 88/2006, 390/2004). 5) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 15, comma 6-quater. Il comma 6-quater dell'art. 15 statuisce che «le disposizioni dei commi 6, 6-bis e 6-ter del presente articolo si applicano fino all'adozione di diverse disposizioni legislative da parte delle regioni, per quanto di loro competenza». Esso si pone dunque in contrasto con l'art. 117, comma 3, Cost., perche' nelle materie concorrenti lo Stato non puo' adottare norme di dettaglio neppure con carattere cedevole. Gia' prima del 2001 le norme di dettaglio cedevoli erano ammesse solo in casi limitati (per rendere applicabili nuove leggi cornice o per evitare l'inadempimento di obblighi internazionali). Dopo la l. cost. n. 3/2001, da piu' parti si e' affermata l'inammissibilita' di norme statali di dettaglio nelle materie concorrenti, e anche codesta Corte ha osservato che «la nuova formulazione dell'art. 117, comma 3, rispetto a quella previgente dell'art. 117, comma 1, esprime l'intento di una piu' netta distinzione fra la competenza regionale a legiferare in queste materie e la competenza statale, limitata alla determinazione dei principi fondamentali della disciplina» (sent. 282-2002, punto 4). Comunque, anche qualora si ritenessero ammissibili norme statali di dettaglio cedevoli in casi determinati (per rendere operanti nuove leggi cornice o per rendere operative funzioni amministrative attratte in sussidiarieta'), il comma 6-quater sarebbe illegittimo perche' non puo' fondarsi su tali giustificazioni. 6) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 49, comma 4-bis, comma 4-ter e comma 4-quater. L'art. 49, comma 4-bis, legge n. 133/2010 prevede l'integrale sostituzione dell'art. 19 legge n. 241/1990 - relativo alla dichiarazione di inizio attivita' - con il nuovo istituto della «segnalazione certificata di inizio attivita'» (c.d. «Scia»). Rispetto alla versione precedente, il nuovo art. 19 si caratterizza per il fatto di prevedere sempre la facolta' di avvio immediato dell'attivita', contestualmente alla presentazione della segnalazione: generalizzando cosi' la previsione gia' contenuta nel d.lgs. 26 marzo 2010 n. 59, di recepimento della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 n. 123 (c.d. «Direttiva servizi»), che aveva reintrodotto - per le attivita' di cui alla medesima direttiva - la Dia «ad effetto immediato». Si ripropone in tal modo, in chiave generale, la configurazione originariamente prevista per la Dia dal legislatore del 1990, quale dichiarazione contestuale all'avvio dell'attivita'. Sotto tale profilo, tuttavia, la nuova regola va anche oltre. Infatti, la scomparsa della precisazione contenuta nel precedente vecchio comma 4 dell'art. 19 legge n. 241/1990 (il quale stabiliva che «restano ferme le disposizioni di legge vigenti che prevedono termini diversi da quelli di cui ai commi 2 e 3 per l'inizio dell'attivita' e per l'adozione da parte dell'amministrazione competente di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attivita' e di rimozione dei suoi effetti») - unitamente alla previsione contenuta nell'art. 49, comma 4-ter, legge n. 122/2010 (secondo cui «la disciplina di cui al comma 4-bis sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, quella della dichiarazione di inizio attivita' recata da ogni normativa statale e regionale») depone nel senso di ritenere che alla nuova Scia debba essere integralmente ricondotta anche la preesistente disciplina in materia di «Dia edilizia»: la quale, fino ad ora, aveva mantenuto profili di autonomia rispetto al modello di Dia generale. Nel senso dell'integrale sostituzione della Dia edilizia con la nuova Scia si e' espressa anche la nota 16 settembre 2010 del Ministero per la semplificazione normativa: la quale - oltre che sulla base dei profili dinanzi indicati - perviene a tale conclusione anche alla luce delle indicazioni emerse nel corso dei lavori parlamentari (ove si legge che «la norma ha anche un profilo abrogativo della normativa statale difforme, per cui si deve intendere che ad essa va ricondotta anche la denuncia di inizio di attivita' edilizia, disciplinata dagli articoli 22 e 23 del d.P.R. n. 380/2001»), nonche' in considerazione dell'innovativo riferimento - contenuto nel comma 1 del nuovo art. 19 legge n. 241/1990 - alle «asseverazioni di tecnici abilitati»: espressione che richiama per l'appunto il contenuto dell'art. 23 d.P.R. n. 380/2001 (il quale, come noto, stabilisce che la Dia edilizia sia «accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che asseveri la conformita' delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonche' il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie»). Su tali basi, ritiene la ricorrente Regione che la nuova disciplina della Scia risulti incostituzionale e lesiva delle proprie prerogative sotto molteplici profili. Innanzitutto - con riferimento agli ambiti non edilizi - la dettagliata previsione dei moduli procedimentali della Scia (che, ai sensi del comma 4-ter del medesimo art. 49 legge n. 122/2010, sono destinati a sostituire automaticamente tutte le discipline regionali in materia di Dia) finisce per invadere la competenza regionale in molti ambiti di legislazione residuale regionale ex art 117, comma 4, Cost.: in particolare con riferimento a commercio, artigianato, turismo e attivita' produttive in genere. La lesione cosi' determinata delle prerogative regionali non e' certo esclusa in conseguenza della arbitraria autoqualificazione recata dal comma 4-ter (specificamente impugnato oltre). Al contempo, la puntuale disciplina delle modalita' di intervento attraverso l'esercizio del potere di inibizione e di conformazione dell'attivita' - quale prevista al comma 3 del nuovo art. 19 legge n. 241/1990 - interferisce con i poteri di controllo il cui esercizio e' attribuito alle amministrazioni locali: con conseguente violazione dell'art. 114, comma 2, Cost, che riconosce l'autonomia dei poteri degli enti locali, e dell' art. 118, comma 1, Cost. che riconosce le funzioni amministrative dei comuni. Con riferimento specifico alla Dia edilizia, si ribadisce innanzitutto come la previsione per cui la Scia consente in ogni caso l'immediato avvio dell'attivita' rappresenta una regola di dettaglio, in quanto tale preclusa allo Stato in una materia - quella del governo del territorio (cui, come noto, e' riconducibile l'edilizia) - demandata alla potesta' legislativa concorrente: con conseguente limitazione della potesta' statale alla sola fissazione dei principi. Al riguardo, si rammenta come nella sentenza n. 303/2003 codesta Corte abbia riconosciuto che rappresenta principio necessario la «compresenza nella legislazione di titoli abilitativi preventivi ed espressi [permesso di costruire] e taciti, quale e' la Dia». Ma naturalmente altro e' la previsione di siffatto principio, altro e' la pretesa statuale di disciplinare nei minimi dettagli gli aspetti procedimentali di tali titoli, incluso - con riferimento specifico alla Dia - la regola che stabilisce dopo quanti giorni dalla presentazione della segnalazione (nessuno, in questo caso) e' possibile iniziare l'attivita'. E' chiaro infatti, che in questo modo, il legislatore statale non si limita a fissare regole di principio, ma interviene a disciplinare i dettagli della materia. Nell'imporre non solo la Dia - ora Scia - in luogo del permesso edilizio, ma nel disciplinare le modalita' stesse di funzionamento della Scia, il momento nel quale il «segnalante» puo' realizzare il progetto (piu' che iniziare una attivita', come la denominazione dovrebbe far pensare), nel disciplinare i tempi ed i limiti del potere o dovere di controllo dell'amministrazione lo Stato ha chiaramente superato i limiti della propria potesta' legislativa concorrente di principio in materia di governo del territorio, come posta dalla Costituzione e precisata dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale (v. da ultimo sentenza n. 278 del 2010, ove si accerta che spetta alle Regioni, e non allo Stato, di disciplinare i casi nei quali strutture residenziali mobili nei campeggi possono essere realizzate senza alcun adempimento). Di qui, una prima ragione di illegittimita' per contrasto con l'art. 117, comma 3, Cost. Sotto altro profilo, si deve poi osservare come l'estensione alla Dia edilizia della facolta' di immediato inizio dell'attivita' (prevista al comma 2 del novellato art. 19 legge n. 241/1990) determini ulteriori criticita', in considerazione della peculiare materia cui si riferisce. La questione attiene in particolare all'ipotesi in cui un soggetto inizi l'attivita' pur in assenza dei presupposti di legge: sulla base di una Scia che contiene false dichiarazioni o che comunque e' altrimenti errata. Ferma restando la rivendicazione della competenza regionale a dispone in materia, nei settori commerciali l'immediato inizio di attivita' - pur in assenza dei presupposti richiesti - non appare particolarmente grave. Nella normalita' dei casi, infatti, l'attivazione del potere inibitorio e di rimozione degli eventuali effetti dannosi medio tempore prodotti (art. 19, comma 3) puo' risultare idoneo (perlomeno astrattamente) a tutelare gli interessi protetti dalle normative che prevedono il previo titolo abilitativo (sostituito dalla Scia): dal momento che si tratta di settori nei quali le attivita' svolte, in linea di principio, non appaiono tali da determinare effetti irreversibili. Discorso completamente diverso vale, invece, con riferimento alla Dia edilizia. L'attivita' edilizia infatti, per sua natura, determina immediatamente una materiale - e potenzialmente assai rilevante - alterazione del territorio. E' pur vero che, a seguito dell'intervento dell'amministrazione, gli interventi potrebbero essere fisicamente rimossi e la situazione pregressa ripristinata. Tale ripristino, tuttavia, non sempre e' possibile: sia sotto il profilo materiale (si veda al riguardo quanto disposto dall'art. 33, comma 2, d.P.R. n. 380/2001, il quale espressamente si occupa dei profili sanzionatori di opere abusive in relazione alle quali non sia possibile il ripristino dello stato dei luoghi) sia per gli eccessivi costi che il ripristino potrebbe comportare. Ne' si dica - con riferimento a tale ultima ipotesi - che tali oneri ricadrebbero comunque necessariamente sui privati trasgressori che hanno dato inizio alla attivita' di trasformazione in assenza dei presupposti. E' infatti possibile (soprattutto nel caso di interventi complessi e costosi) che questi non abbiano le risorse per provvedere al ripristino. Si pensi al caso di una societa' che - in conseguenza dell'elevato costo del ripristino - fallisca (o venga «fatta fallire», per evitare l'esborso). In tali ipotesi, la possibilita' di dare reale seguito alla «rimozione degli effetti dannosi» si verrebbe oltremodo complicando. Ma anche al di fuori di siffatta eventualita', il meccanismo dell'esecuzione in danno rappresenta comunque una soluzione che - in sede pratica - si presenta di disagevole attivazione. Del resto, sono ben note e rientrano nell'esperienza comune le enormi difficolta' - ed i costi - che le Amministrazioni incontrano nell'ottenere la demolizione degli intereventi abusivi. In tale contesto e' importante sottolineare come, ai fini di quanto si viene dicendo, sia del tutto irrilevante la circostanza che gli interventi abusivamente eseguiti in assenza o in difformita' dalla Dia siano sottoposti - in linea generale (e salvo eccezioni) - alla sola sanzione pecuniaria ai sensi dell'art. 37 d.P.R. n. 380/2001. In primo luogo, infatti, si osserva come il tempestivo impiego del potere inibitorio da parte delle amministrazioni comunali era comunque in grado di prevenire in radice la commissione dell'abuso (cosa naturalmente preferibile rispetto alla misura sanzionatoria successiva) anche con riferimento a tipologie di interventi che - ancorche' non consentite nel caso concreto - fossero comunque astrattamente riconducibili all'ambito di applicabilita' della Dia. Ma, soprattutto, l'uso preventivo del potere inibitorio era in grado di impedire il verificarsi dell'eventualita' - ben piu' grave - in cui il privato presentasse una Dia per realizzare interventi che avrebbero invece richiesto il rilascio del permesso di costruire (e che tuttavia non lo avrebbero concretamente potuto conseguire per il contrasto con la disciplina - normativa o di piano - di riferimento). In tali casi, le amministrazioni comunali erano in grado di intervenire bloccando l'esecuzione del lavori prima dell'inizio della loro esecuzione, mentre cio' non sarebbe ora piu' possibile: con tutti i conseguenti problemi di cui s'e' detto (ivi compresa l'impossibilita' - in determinati casi - di disporre la rimessione in pristino: cfr. il citato art. 33, comma 2, d.P.R. n. 380/2001). Su queste premesse, e' chiaro che la totale eliminazione della possibilita' delle amministrazioni (virtuose) di operare un seppur rapido esame preventivo dei progetti, allo scopo di impedire in radice la realizzazione degli abusi, appare non solo una violazione della competenza regionale, ma anche una violazione del principio di ragionevolezza e di buon andamento dell'amministrazione di cui all'art. 97, comma primo, Cost.: una violazione che la Regione e' legittimata ad impugnare in quanto essa si traduce in una limitazione della propria potesta' legislativa. D'altronde, le evidenti specificita' del settore erano la ragione per la quale il legislatore del 2005 - nel sostituire alla denuncia la dichiarazione di inizio attivita' con la previsione di diverse regole di carattere generale, ritenute applicabili anche alla Dia edilizia (si pensi ad esempio, alla previsione del potere di autotutela) - aveva pero' opportunamente ritenuto di mantenere alcune peculiarita' della Dia edilizia, stabilendo in particolare che «restano ferme le disposizioni di legge vigenti che prevedono termini diversi da quelli di cui ai commi 2 e 3 per l'inizio dell'attivita' e per l'adozione da parte dell'amministrazione competente di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attivita' e di rimozione dei suoi effetti» (vecchio art. 19, comma 4). Del tutto irragionevolmente, la disposizione qui censurata elimina tale clausola di salvezza: spogliando la tutela del territorio di questa - pur tenue - forma di tutela. In tal modo, essa determina un inammissibile sbilanciamento a favore, apparentemente (ma si veda quanto si dira' subito di seguito), dell'interesse ad una rapida (rectius immediata) definizione delle procedure abilitative edilizie: ma sacrificando in misura del tutto irragionevole ed ingiustificata - ed evidentissima - le esigenze della tutela del territorio nonche' quelle organizzative delle stesse amministrazioni cui e' affidato il potere di verifica: le quali - in un contesto in cui le notorie e crescenti difficolta' di bilancio dello Stato impongono sempre maggiori tagli alle risorse e restrizioni di personale - si vedranno costrette, con i sempre minori mezzi a disposizione, ad «inseguire i cantieri» che potrebbero spuntare da un giorno all'altro sull'intero territorio comunale. Per non dire, poi, dell'interesse dei terzi che si vedano lesi dall'attivita' costruttiva: la cui posizione - gia' tradizionalmente sofferta, come ben noto, in materia di Dia edilizia - verra' ulteriormente pregiudicata. D'altra parte, come accennato, non e' nemmeno del tutto certo che la novella qui contestata vada realmente nel senso di tutelare l'effettivo interesse del costruttore. Chi realizza un intervento edilizio, infatti, ha certamente interesse a conoscere in tempi rapidi e certi se puo' o non puo' dare corso a tale intervento. Ma altrettanto certamente ha interesse ad operare in quadro di regole sicure: conoscendo in anticipo se quanto sta realizzando e' o non e' conforme a diritto. Sotto tale profilo, l'immediato inizio dei lavori accentua il rischio che quanto e' in corso di realizzazione venga in seguito ad incorrere nell'esercizio (ora solo successivo) del potere inibitorio. Con esiti potenzialmente in grado di danneggiare tutte le parti interessate: sia l'amministrazione ed il terzo (che si troverebbero fisicamente di fronte ad opere gia' realizzate e delle quali dovrebbero preoccuparsi di ottenere la demolizione) che lo stesso costruttore, che si vede l'intervento bloccato in corso d'opera, con enorme aumento dei costi. Per tale via, il pesante sacrificio che viene imposto agli interessi contrapposti di cui s'e' detto, non viene nemmeno bilanciato da un risolutivo vantaggio a favore dell'interesse del costruttore. Per le ragioni fin qui esposte, il nuovo art. 19 legge n. 241/1990, come modificato dall'art. 49, comma 4-bis, legge n. 122/2010, appare costituzionalmente illegittimo nel suo comma 2 - nella parte in cui prevede la possibilita' di iniziare l'attivita' costruttiva alla data della presentazione della segnalazione (senza prevedere una clausola di salvezza per le diverse disposizioni previste per la Dia edilizia) - per contrasto con l'art. 3 Cost. per violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalita', e con l'art. 97 Cost., per violazione del principio buon andamento dell'attivita' amministrativa. Nella misura in cui interferisce con i poteri di controllo di comuni e regioni sull'attivita' edilizia, la disposizione e' altresi' illegittima per violazione degli artt. 114 e 118 Cost. Per opportuna completezza, si noti come la previsione che si e' appena effettuata - circa gli effetti che la Scia, cosi' come disciplinata dalle contestate disposizioni, avrebbe sul «sistema» edilizio - non sia il frutto di una visione pessimistica o di uno strumentale allarmismo. Essa rappresenta invece la logica conseguenza della presa d'atto che (sotto il profilo che qui rileva) la Scia non fa altro che estremizzare gli effetti di un sistema - quello della Dia - che nel corso di un ventennio ha gia' dato cattiva prova di se', palesando rilevanti limiti e determinando oggettivi problemi di tenuta complessiva, che gli addetti ai lavori (giuristi e non) ben conoscono. Tal difficolta' «sistemiche» emergono con chiarezza dalla lettura degli innumerevoli contributi dottrinali in tema di Dia. Ma esse sono state messe bene in luce anche dalla giurisprudenza. A tale riguardo, sia consentito riportare alcuni brevi passi di una pronuncia del Giudice amministrativo (Tar Lombardia, Milano, 7 luglio 2004, n. 3086), il quale - abbandonando per un istante la mera valutazione del caso sottoposto alla sua attenzione - svolge alcune significative considerazioni piu' generali sulla tenuta del sistema Dia. Osserva dunque il Tar come «la formula D.I.A., se, da una parte, semplifica il procedimento amministrativo a tutto vantaggio degli amministratori e tecnici dell'amministrazione comunale (non certo di chi viene leso), dall'altra, finisce per paralizzare la stessa tutela giurisdizionale. Questa viene .... a) attivata necessariamente ad opere iniziate (ed e' difficile supporre il contrario), b) a volte, "frenata" dal mancato accesso agli atti (cosi' e' avvenuto anche nel caso in esame), c) forzatamente gestita da una struttura, notoriamente penalizzata da una cronica carenza di organico (dei magistrati e del relativo personale amministrativo), senza considerare che ...... d) proprio quei magistrati (che non ritengono di cavarsela con la "non impugnabilita' della DIA") sono spesso costretti a fare quello che, nei 20 gg. dalla presentazione della DIA, non hanno fatto varie migliaia di soggetti dei vari Comuni, che rientrano nel territorio di competenza giudiziaria, responsabili del procedimento, professionisti, impiegati di vario livello e funzioni)» (enfasi originarie). Tutto cio', in un contesto in cui «la normativa sulle asseverazioni di rito (comma 12 dell'art. 4 della legge n. 493/93) ha dato piena fiducia al professionista qualificato, affinche', a spese del privato interessato, svolga la pubblica funzione di attestare la conformita' dell'opera, ma l'andazzo comportamentale di sottovalutare il dovere (comma 15 dello stesso articolo) di denunciare le "false dichiarazioni" asseverate e di mandare esenti dal rischio di un giudizio penale chi avesse abusato della fiducia attribuitagli dalla legge, incrina esso stesso il sistema DIA» (Tar Lombardia, Milano, 7 luglio 2004, n. 3086, cit.). In tale sconfortante quadro, il legislatore - anziche' intervenire per cercare di porre gli opportuni correttivi - ha deciso all'opposto di rendere ancora piu' squilibrata la Dia (ora Scia) edilizia: rimuovendo anche quella tenue garanzia rappresentate dall'inizio differenziato dei lavori. Le considerazioni dinanzi esposte sono destinate ad assumere ancora maggiore valenza ove si condivida quell'orientamento che ritiene la Scia applicabile in materia edilizia al posto non solo della Dia «normale», ma anche della c.d. «super-dia», di cui all'art. 22, comma 3, d.P.R. n. 380/2001. Il che aumenterebbe l'impatto gia' problematico dell'istituto. Risultano dunque ancor di piu' accentuati i profili di incostituzionalita' dinanzi indicati. Il comma 4-ter qui impugnato stabilisce, come si e' sopra ricordato, che: a) la disciplina della Scia, nella sua integralita', attiene alla tutela della concorrenza e costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. e) ed m), Cost.; b) la medesima disciplina «sostituisce direttamente [...] quella della dichiarazione di inizio attivita' recata da ogni normativa statale e regionale». L'indicazione dei pretesi «titoli» della disciplina, e degli effetti sulla normativa precedente, anche di fonte regionale, rende palese l'intendimento del legislatore statale di dettare una normativa completa, autosufficiente, non derogabile dai legislatori locali. Ma cio' ne determina l'illegittimita' costituzionale. Premesso che la autoqualificazione operata dal legislatore non e' vincolante (sentt. nn .387/2007, 207/2010), e' da contestare anzitutto che la disciplina sulla Scia attenga effettivamente ai «livelli essenziali delle prestazioni» di cui alla lettera m) dell'art. 117, comma 2, Cost. La giurisprudenza costituzionale ha in effetti precisato, in positivo, che la lettera m) consente allo Stato solo di fissare «standard strutturali e qualitativi delle prestazioni da garantire agli aventi diritto» (sentt. nn. 10/2010, 207/2010). Con le disposizioni sulla conferenza di servizi e sulla Scia non si stabilisce invece alcuno standard quantitativo o qualitativo di prestazioni determinate, attinenti a questo o a quel «diritto» civile o sociale garantito dalla stessa Costituzione (sentenze nn. 387/2007 e 10/2010). Al contrario, viene regolato in un certo modo lo svolgimento della attivita' amministrativa, in settori vastissimi ed indeterminati, alcuni di indiscutibile competenza regionale, quali il governo del territorio, la tutela della salute, l'ordinamento degli uffici regionali, l'artigianato, il turismo, il commercio ..., materie spettanti alla Regione in forza dell'art. 117, commi 3 e 4 Cost. Con cio' pero' si violano le norme costituzionali citate, per cui la disciplina delle funzioni amministrative di regola non puo' che spettare allo Stato o alla Regione secondo il riparto delle competenze per materia. Ed e' evidente che lo Stato non puo', semplicemente appellandosi alla fissazione dei livelli essenziali, riservarsi la regolamentazione di interi settori materiali: come codesta ecc.ma Corte costituzionale ha espressamente escluso con la sentenza n. 371/2008). Giova poi ricordare un altro punto fermo della giurisprudenza della Corte sui «livelli essenziali delle prestazioni». Essa ha costantemente censurato la confusione - spesso operata dal legislatore (per ragioni che e' facile comprendere) - tra la determinazione dei livelli delle prestazioni, e la disciplina delle posizioni soggettive degli amministrati. La distinzione e' in effetti assolutamente necessaria: se non fosse operata, posto che ogni diritto o interesse implica un qualche comportamento altrui (anche solo omissivo), la competenza sulla materia della lettera m) dell'art. 117 Cost. consentirebbe allo Stato qualunque intervento conformativo di qualunque posizione soggettiva in qualunque materia regionale. Il che non puo' essere, e non e'. Con la sentenza n. 387/2007 la Corte ha escluso che il diritto della persona di scegliere la struttura di cura possa costituzionalmente essere qualificato dal legislatore «livello essenziale delle prestazioni»: in modo molto efficace, la sentenza sottolinea come «l'inquadramento della liberta' di scelta nell'ambito normativo dell'art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., non solo e' concettualmente inappropriato, ma comporta conseguenze lesive dell'autonomia regionale, in quanto consente il superamento dei confini tra principi fondamentali della materia, riservati alla legislazione dello Stato, e disciplina di dettaglio, riservata alle Regioni, tipici della competenza ripartita di cui al terzo comma dell'art. 117 Cost., nel cui ambito indubbiamente ricade la normativa de qua, volta alla tutela della salute». Assai significativa sul punto e' anche la sentenza n. 271/2005, la quale, con riguardo alla legislazione sulla protezione dei dati personali, ha ritenuto «improprio [...] il riferimento alla competenza esclusiva dello Stato in tema di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni», dal momento che tale legislazione «non concerne prestazioni, bensi' la stessa disciplina di una serie di diritti personali attribuiti ad ogni singolo interessato, consistenti nel potere di controllare le informazioni che lo riguardano e le modalita' con cui viene effettuato il loro trattamento». Ebbene: proprio la «confusione» tra posizione soggettiva degli amministrati e prestazione si trova nelle disposizioni legislative qui censurate sulla Scia. In effetti, le disposizioni censurate non definiscono affatto «livelli essenziali» ai sensi della lettera m) dell'art. 117; al contrario, proprio la rigida disciplina della Scia potrebbe determinare, in alcuni casi, una diminuzione dei livelli essenziali delle prestazioni cui hanno diritto persone destinatarie dell'attivita' assentita mediante la Segnalazione certificata: quando, ad esempio, in conseguenza delle limitazioni temporali e sostanziali alla attivita' di accertamento e controllo della pubblica amministrazione che - senza alcuna considerazione per le singole realta' territoriali e organizzative - sono state poste dall'art. 19, commi 3-4, legge n. 241/1990 (come novellato dal comma 4-bis dell'art. 49 d.l. n. 78), sia praticamente impedita la verifica del rispetto di standard qualitativi di determinate prestazioni attinenti ai diritti sociali. La ricorrente non contesta che alcuni istituti della c.d. «semplificazione amministrativa» (cui e' riconducibile la Scia, come vi era riconducibile la Dia) possano concretizzare o esprimere limiti vincolanti per le potesta' legislative regionali; ma cio' implica e richiede sempre una valutazione complessiva - alla luce del tipo di potesta' legislativa coinvolta - di tutti gli interessi che vengono in rilievo nella singola materia/funzione interessata, valutazione «concreta» soggetta al controllo della Corte; e il controllo, a sua volta, per essere effettivo, non puo' che riguardare norme riferite a ben individuati settori (v. ad es. la sentenza n. 336/2005, punto 11.1 del Diritto, sulla conferenza di servizi prevista dall'art. 87 del Codice delle comunicazioni elettroniche: «Tale funzione [di semplificazione procedimentale e di snellimento dell'azione amministrativa, propria della conferenza], nel contesto dello specifico procedimento in esame e degli interessi allo stesso sottesi, consente di ritenere che la previsione contenuta nella disposizione censurata sia espressione di un principio fondamentale della legislazione»; v. anche la sentenza n. 182/2006, punto 3 del Diritto, e la sentenza n. 350/2008). Per esemplificare, e' del tutto normale - e potrebbe dirsi persino costituzionalmente necessario - che il punto di equilibrio tra l'interesse del singolo ad iniziare quanto prima una certa attivita', e l'esercizio del potere-dovere dell'amministrazione di tutelare secondo legge gli altri interessi toccati da quella attivita', possa (o addirittura debba) essere diverso, a seconda che questi ultimi attengano al governo del territorio oppure alla tutela della salute o alla tutela del lavoro (il riferimento al governo del territorio e alla tutela della salute e del lavoro non e' casuale, evocando interessi che il comma 4-bis non prende in considerazione ai fini della esclusione dall'ambito di operativita' della Scia). Ancora: esigenze di semplificazione possono certo derivare dalla normativa comunitaria, vincolante per la Regione, ed in particolare dalla direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno: ma anche la normativa comunitaria e' attenta: a) a far salva la peculiarita' dei singoli settori, ammettendo ad esempio che in taluni casi la autorizzazione allo svolgimento di certe attivita' sia subordinata ad un «adeguato esame» sulla presenza della «condizioni stabilite» per ottenerla (ad es. art. 10, par. 5); b) a far salvo il riparto delle competenze tra Stato, Regioni e minori enti locali (ad es., art. 10, par. 7). Del resto, il d.lgs. n. 59/2010, di attuazione della citata direttiva (non abrogato dal d.l. n. 78) dispone che «relativamente alle materie oggetto di competenza concorrente, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la potesta' normativa nel rispetto dei principi fondamentali contenuti nelle norme del presente decreto» (art. 1, comma 4). Lo stesso decreto, poi, all'art. 84, e in dichiarata attuazione dell'art. 117, comma 5, Cost., aggiunge che «nella misura in cui incidono su materie di competenza esclusiva regionale e su materie di competenza concorrente, le disposizioni del presente decreto si applicano fino alla data di entrata in vigore della normativa di attuazione della direttiva 2006/123/CE, adottata da ciascuna regione e provincia autonoma nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dei principi fondamentali desumibili dal presente decreto.». Il comma 4-ter dichiara come proprio fondamento costituzionale anche la «tutela della concorrenza», oltre ai livelli essenziali delle prestazioni. Ma esso, in realta', non puo' essere ricondotto nemmeno alla lettera e) dell'art. 117 Cost. A parte la palese estraneita' a tale materia delle norme penali e di quelle relative ai rimedi giurisdizionali, la cui adozione la Regione certo non rivendica, e' evidente la estraneita' alla «tutela della concorrenza» del comma in esame anche nelle parti in cui non riguarda attivita' imprenditoriali e professionali, e nelle parti in cui concerne (limitandoli) i poteri di controllo e repressivi delle amministrazioni preposte alla tutela dei molteplici interessi pubblici e privati, che sono stati presi in considerazione dalle singole leggi di settore quando hanno previsto le autorizzazioni, licenze, pareri, nulla osta e simili. Con riferimento a queste ultime norme limitatrici, anzi, la disposizione puo' avere l'effetto di far rimanere «sul mercato» imprese o professionisti con requisiti (in senso lato) non del tutto conformi agli schemi legali, con conseguente alterazione della concorrenza «leale» tra i diversi operatori. Ma anche con riferimento alle attivita' imprenditoriali e professionali il comma 4-ter non e' espressione della «tutela della concorrenza» nel senso della Costituzione, come interpretata dalla giurisprudenza della Corte. Esso non riguarda i requisiti per l'accesso al mercato, o le condizioni di offerta dei beni e dei servizi, o la parita' di trattamento tra gli operatori, o misure di liberalizzazione dei mercati (sentt. nn. 401/2007, 431/2007, 452/2007, 326/2008): esso incide direttamente e principalmente sullo svolgimento dell'attivita' amministrativa e sui relativi procedimenti. Si potrebbe al piu' affermare che la concorrenza e' agevolata dal fatto che - riducendo i «tempi» per l'avvio di una attivita' (altro discorso sarebbe comunque da fare per i «costi», se si considerassero le necessarie «attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati»...) - un soggetto potrebbe essere indotto ad intraprendere quella attivita'. Ma e' evidente che la decisione di intraprendere una attivita' dipende (anche) dall'insieme della normativa (statale, regionale, europea, internazionale) che la riguarda, cosi' che l'effetto che la semplificazione della disciplina ha sulla concorrenza e' solo accessorio ed indiretto; e la Corte insegna che, nei casi di interferenza, ai fini della riconduzione di una legge all'una o all'altra materia, occorre operare un giudizio di prevalenza (v. ad es. sentenza n. 370/2003). Particolarmente significativa in proposito e' la sentenza n. 430/2007, la quale, pur riconoscendo che la c.d. liberalizzazione della vendita dei farmaci «da banco» incide su attivita' professionali e commerciali, nel quadro di una legge diretta ad eliminare vincoli e restrizioni nell'esercizio delle attivita' di distribuzione dei medicinali, ha ricondotto la liberalizzazione, in applicazione del criterio della prevalenza, alla materia concorrente della «tutela della salute», e ha saggiato la costituzionalita' della norma impugnata secondo lo statuto costituzionale di questa materia, tenendo conto di tutta la normativa di settore (nella stessa prospettiva v. anche la sentenza n. 350/2008, per cui, in applicazione del criterio della prevalenza, i centri di telefonia rientrano nella materia delle comunicazioni, pur toccando anche aspetti relativi al commercio, ai diritti delle persone, alla sicurezza dello Stato). Infine, risulta illegittimo l'art. 49, comma 4-quater. Esso prevede l'adozione da parte del Governo di uno o piu' regolamenti di delegificazione, aventi ad oggetto la semplificazione e la riduzione degli «adempimenti amministrativi gravanti sulle piccole e medie imprese», con il «fine di promuovere lo sviluppo del sistema produttivo e la competitivita' delle imprese». La assoluta genericita' dell'oggetto dei regolamenti di delegificazione viene «precisata» dai principi e criteri direttivi che sono posti, in particolare da quelli delle lettere a) e b): si osservera' la «proporzionalita' degli adempimenti amministrativi in relazione alla dimensione dell'impresa e al settore di attivita', nonche' alle esigenze di tutela degli interessi pubblici coinvolti»; si elimineranno provvedimenti amministrativi, attestazioni, adempimenti e procedure - comunque essi siano denominati - quando «non necessari rispetto alla tutela degli interessi pubblici in relazione alla dimensione dell'impresa ovvero alle attivita' esercitate». Da queste «precisazioni» risulta che il potere regolamentare istituito ha ad oggetto ogni forma di disciplina amministrativa che si riferisca alle «piccole e medie imprese». E' di tutta evidenza pero' che le «piccole e medie imprese» possono essere riguardate da una molteplicita' di punti di vista, in funzione degli interessi che di volta in volta vengono in rilievo, interessi che gravitano anche in materie regionali: dal governo del territorio alla tutela della salute, dalla tutela e sicurezza del lavoro alla ricerca scientifica e tecnologica fini al sostegno all'innovazione per i settori produttivi (art. 117, comma 3, Cost.), dal turismo al commercio all'industria (art. 117, comma 4). Ebbene: la norma impugnata dimentica tutto cio', e suppone l'esistenza di una materia esclusiva statale dal nome «piccole e medie imprese», nella disciplina della quale lo Stato avrebbe il potere di valutare ogni interesse pubblico coinvolto, potrebbe intervenire con atti di natura regolamentare, senza nemmeno alcuna partecipazione regionale. Vero e' che il comma 4-quater vincola il Governo al rispetto di quanto previsto (tra gli altri) dall'art. 20 della legge n. 59 del 1997, e che l'art. 20 al comma 2 limita la possibilita' di adottare i regolamenti solo alle norme di competenza dello Stato; ma - testualmente - il comma 2 dell'art. 20 vale solo per i regolamenti previsti dalla legge annuale per la semplificazione e il riassetto normativo, mentre l'impugnato comma 4-quater e' norma del tutto slegata da quel tipo di legge. Inoltre, anche in considerazione dei criteri direttivi, non si vede in quale materia di competenza statale potrebbero intervenire i regolamenti, senza coincidere con le materie di competenza regionale. Ne', a giustificare la norma, varrebbe appellarsi alla «tutela della concorrenza»: come si e' argomentato sopra al in relazione al comma 4-ter, l'effetto che la semplificazione ha sulla tutela della concorrenza e' solo indiretto e marginale, senza trascurare che - mancando nel comma impugnato altre piu' specifiche indicazioni - esso non supera il test della necessita' e della proporzionalita' della misura rispetto al fine perseguito, come invece sarebbe necessario secondo la giurisprudenza della Corte, affinche' non siano svuotare del tutto le competenze regionali. Il comma 4-quater e' quindi illegittimo per violazione dell'art. 117, commi 3, 4, 6, nonche' del principio di leale collaborazione, nella parte in cui prevede l'adozione di regolamenti di delegificazione in materie di competenza regionale.
P.Q.M. Voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale accogliere il ricorso, dichiarando l'illegittimita' costituzionale del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, nelle parti, nei termini .e sotto i profili esposti nel presente ricorso. Padova-Roma, addi' 27 settembre 2010 Prof. Avv. Giandomenico Falcon - Avv. Luigi Manzi