N. 106 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 6 ottobre 2010

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 6 ottobre 2010 (della Regione Emilia-Romagna). 
 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Economie negli Organi costituzionali, di
  governo e negli apparati politici  -  Importi  corrispondenti  alle
  riduzioni di spesa  che  verranno  deliberate  dalle  Regioni,  con
  riferimento ai trattamenti economici indicati nell'art.  121  della
  Costituzione -  Riassegnazione  al  Fondo  per  l'ammortamento  dei
  titoli di Stato - Lamentata imposizione  di  un  vincolo  specifico
  nell'ipotesi in cui la disposizione debba essere interpretata  come
  un vincolo per le Regioni a  ridurre  le  indennita'  dei  titolari
  degli organi politici, ovvero lamentata assegnazione degli  importi
  a un fondo dello Stato, nell'ipotesi in  cui  la  disposizione  sia
  ritenuta non cogente quanto all'an  della  specifica  riduzione  di
  spesa - Ricorso della Regione Emilia-Romagna -  Denunciata  lesione
  dell'autonomia  finanziaria  regionale,  lesione  della   autonomia
  organizzativa  e  delle  competenze  di  settore   delle   Regioni,
  violazione  dei  principi  di   buon   andamento   della   pubblica
  amministrazione e di ragionevolezza. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 5, comma 1. 
- Costituzione, artt. 3, 97, primo comma, 117, 118 e 119. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica  -  Riduzione  dei  costi  degli  apparati
  amministrativi - Misure di vario contenuto  volte  al  contenimento
  della spesa pubblica -  Definizione  delle  predette  disposizioni,
  indirizzate  alle  Regioni  e  agli  enti  del  Servizio  sanitario
  regionale,  quali   disposizioni   di   principio   ai   fini   del
  coordinamento della finanza pubblica - Ritenuta applicazione  delle
  predette disposizioni in via diretta, anziche' come principi,  agli
  enti locali e agli enti pubblici regionali - Lamentata introduzione
  di puntuali e dettagliate limitazioni  a  singole  voci  di  spesa,
  vincolanti le Regioni, gli enti  locali,  gli  enti  regionali,  le
  societa'  pubbliche  -  Ricorso  della  Regione  Emilia-Romagna   -
  Denunciata violazione dell'autonomia organizzativa e dell'autonomia
  finanziaria della Regione e degli enti locali. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio  2010,  n.  122,  art.  6,  comma  20,  primo
  periodo. 
- Costituzione, artt. 117, 118 e 119. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica  -  Riduzione  dei  costi  degli  apparati
  amministrativi - Accantonamento, a decorrere dal 2011, di una quota
  pari al 10 per cento dei trasferimenti erariali di cui  all'art.  7
  della legge 15 marzo 1997, n. 59, a favore delle regioni a  statuto
  ordinario,  per  essere  successivamente  destinata  alle   regioni
  medesime che abbiano attuato quanto stabilito dall'art. 3 del  d.l.
  n. 2 del 2010, convertito con la legge n. 42 del  2010  -  Prevista
  attuazione con decreto di natura  non  regolamentare  del  Ministro
  dell'economia,  sentita  la  Conferenza  Stato-Regioni  -  Ritenuta
  natura sostanzialmente regolamentare  dell'atto  e  previsione  del
  parere in luogo dell'intesa - Ricorso della Regione  Emilia-Romagna
  - Denunciata violazione della potesta'  legislativa  concorrente  e
  della potesta' regolamentare della Regione, lesione  del  principio
  di leale collaborazione. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio  2010,  n.  122,  art.  6,  comma  20,  terzo
  periodo. 
- Costituzione, art. 117, commi terzo e sesto. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica  -  Riduzione  dei  costi  degli  apparati
  amministrativi   -   Esclusione   che   il   personale   dipendente
  contrattualizzato  possa  essere  autorizzato  ad  usare  il  mezzo
  proprio  per  recarsi  in  missione,  con  conseguente  divieto  di
  corrispondere  una  qualche  indennita'  chilometrica  -  Lamentato
  ostacolo allo svolgimento delle attivita' pubbliche - Ricorso della
  Regione  Emilia-Romagna  -  Denunciata  violazione   dell'autonomia
  organizzativa della Regione. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010,  n.  122,  art.  6,  comma  12,  ultimo
  periodo. 
- Costituzione, artt. 117, commi  terzo,  quarto,  quinto,  ottavo  e
  nono, e 118, commi secondo e terzo. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Contenimento delle spese in  materia  di
  impiego pubblico  -  Divieto  per  Regioni,  enti  regionali,  enti
  locali, per il triennio  2011-2013,  di  corrispondere  ai  singoli
  dipendenti anche di livello dirigenziale, un trattamento  economico
  complessivo superiore a quello spettante per il  2010  -  Lamentata
  natura di dettaglio della norma, laddove lo Stato potrebbe  dettare
  solo vincoli di carattere generale e complessivo  -  Ricorso  della
  Regione  Emilia-Romagna  -  Denunciata  violazione   dell'autonomia
  organizzativa e dell'autonomia  finanziaria  della  Regione,  degli
  enti locali e degli enti strumentali regionali,  esorbitanza  dello
  Stato dalla competenza legislativa nella  materia  concorrente  del
  coordinamento della finanza pubblica. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 1. 
- Costituzione, art. 117, comma terzo. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Contenimento delle spese in  materia  di
  impiego pubblico  -  Divieto  per  Regioni,  enti  regionali,  enti
  locali, per il  triennio  2011-2013,  di  incrementare  le  risorse
  destinate al trattamento accessorio del personale anche di  livello
  dirigenziale rispetto agli importi  stanziati  per  l'anno  2010  -
  Lamentata  natura  di  dettaglio  della  norma,  laddove  lo  Stato
  potrebbe dettare solo vincoli di carattere generale e complessivo -
  Ricorso  della  Regione  Emilia-Romagna  -  Denunciata   violazione
  dell'autonomia organizzativa  e  dell'autonomia  finanziaria  della
  Regione, degli enti locali  e  degli  enti  strumentali  regionali,
  esorbitanza dello Stato dalla competenza legislativa nella  materia
  concorrente del coordinamento della finanza pubblica. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 2-bis. 
- Costituzione, art. 117, comma terzo. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Contenimento delle spese in  materia  di
  impiego pubblico - Divieto, riferito ai  rinnovi  contrattuali  del
  personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni per il biennio
  2008/2009, di determinare aumenti retributivi superiori al 3,2  per
  cento,  anche  con  riguardo  ai  contratti  e  agli  accordi  gia'
  stipulati  -  Lamentata  introduzione  di  puntuali  e  dettagliate
  limitazioni a singole voci di spesa,  vincolanti  le  Regioni,  gli
  enti locali, gli enti  regionali,  intervento  statale  unilaterale
  nella contrattazione collettiva con  riduzione  dei  trattamenti  -
  Ricorso  della  Regione  Emilia-Romagna  -  Denunciata   violazione
  dell'autonomia finanziaria e organizzativa della  Regione  e  degli
  enti locali, violazione della  competenza  legislativa  concorrente
  della  Regione,  violazione   della   riserva   di   contrattazione
  collettiva  in  materia   di   retribuzioni,   del   principio   di
  ragionevolezza e del diritto  a  un  trattamento  proporzionato  al
  lavoro prestato. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 4. 
- Costituzione, artt. 3, 36, 39, 117, commi terzo e quarto, e 119. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Contenimento delle spese in  materia  di
  impiego pubblico - Efficacia delle  progressioni  di  carriera  del
  personale  contrattualizzato,  negli  anni   2011-2013,   ai   fini
  esclusivamente giuridici - Lamentata  introduzione  di  puntuali  e
  dettagliate limitazioni a singole voci di spesa, intervento statale
  unilaterale  nella  contrattazione  collettiva  con  riduzione  dei
  trattamenti - Ricorso della  Regione  Emilia-Romagna  -  Denunciata
  violazione dell'autonomia finanziaria e organizzativa della Regione
  e  degli  enti  locali,  violazione  della  competenza  legislativa
  concorrente della Regione, esorbitanza dello Stato dalla competenza
  legislativa  nella  materia  concorrente  del  coordinamento  della
  finanza pubblica, violazione del principio  di  ragionevolezza,  di
  eguaglianza e del diritto a un trattamento proporzionato al  lavoro
  prestato. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 21. 
- Costituzione, artt. 3, 36, 39, 117, commi terzo e quarto, e 119. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Contenimento delle spese in  materia  di
  impiego pubblico - Obbligo per le Regioni e gli enti  del  Servizio
  sanitario nazionale di ridurre del 50 per cento la spesa  sostenuta
  nell'anno 2009 per il personale a tempo  determinato  o  utilizzato
  con convenzioni o con  contratti  di  collaborazione  coordinata  e
  continuativa, per i  contratti  di  formazione-lavoro,  i  rapporti
  formativi, la somministrazione di lavoro e il lavoro  accessorio  -
  Previsione che  le  disposizioni  predette  costituiscano  principi
  generali  ai  fini  del  coordinamento  della  finanza  pubblica  -
  Ritenuta applicazione delle predette disposizioni in  via  diretta,
  anziche' come principi, agli  enti  locali  e  agli  enti  pubblici
  regionali  -  Lamentata  introduzione  di  puntuali  e  dettagliate
  limitazioni a  singole  voci  di  spesa  -  Ricorso  della  Regione
  Emilia-Romagna - Denunciata violazione dell'autonomia organizzativa
  e dell'autonomia finanziaria della Regione  e  degli  enti  locali,
  esorbitanza dello Stato dalla competenza legislativa nella  materia
  concorrente del coordinamento della finanza pubblica. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 28. 
- Costituzione, artt. 117, commi terzo e quarto, e 119. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Patto di stabilita'  interno  -  Divieto
  assoluto agli enti nei quali l'incidenza delle spese  di  personale
  e' pari o superiore al 40% delle spese  correnti  di  procedere  ad
  assunzioni di  personale,  possibilita'  per  i  restanti  enti  di
  procedere  ad  assunzioni  nel   limite   del   20%   della   spesa
  corrispondente alle cessazioni  dell'anno  precedente  -  Lamentata
  esorbitanza del potere statale di dettare  norme  di  principio  in
  materia di coordinamento della finanza  pubblica  -  Ricorso  della
  Regione Emilia-Romagna -  Denunciata  violazione  della  competenza
  regionale sul personale e sulla propria organizzazione,  violazione
  dell'autonomia finanziaria regionale. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 14, comma  9,  sostitutivo
  dell'art. 76, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112. 
- Costituzione, artt. 117, commi terzo e quarto, e 119. 
Energia - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria  e
  di competitivita' economica - Proroghe  di  concessioni  di  grande
  derivazione d'acqua per uso idroelettrico - Lamentata  introduzione
  di norme di dettaglio -  Ricorso  della  Regione  Emilia-Romagna  -
  Denunciata  violazione  della  competenza  legislativa  concorrente
  della Regione. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 15, comma 6-quater. 
- Costituzione, art. 117, comma terzo. 
Iniziativa economica  privata  -  Edilizia  e  urbanistica  -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita'  economica  -   Introduzione   della   «Segnalazione
  certificata di inizio attivita'» (SCIA) sostitutiva della «Denuncia
  di inizio attivita'» (DIA) - Ritenuta  applicabilita'  della  nuova
  disciplina  della  DIA  commerciale   (SCIA)   anche   al   settore
  dell'edilizia, con estensione alla DIA edilizia della  facolta'  di
  immediato inizio dell'attivita' -  Lamentata  sostituzione  diretta
  della preesistente normativa sia statale che regionale nei  settori
  del  commercio,  artigianato,   turismo,   attivita'   commerciali,
  interferenza con i poteri di controllo attribuiti agli enti locali,
  nonche' interferenza  nella  materia  del  governo  del  territorio
  attraverso regole di dettaglio irrazionali e  foriere  di  abusi  -
  Ricorso della Regione Emilia-Romagna - Denunciata violazione  della
  competenza  legislativa  concorrente  e  residuale  della  Regione,
  violazione dell'autonomia e  delle  funzioni  amministrative  degli
  enti   locali,   lesione   dei   principi   di   ragionevolezza   e
  proporzionalita' e di buon andamento dell'amministrazione. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella  legge  30  luglio  2010,  n.  122,  art.  49,  comma  4-bis,
  sostitutivo dell'art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241. 
- Costituzione, artt.  3,  97,  97,  primo  comma,  114,  114,  comma
  secondo, 117, commi terzo e quarto, 118 e 118, primo comma. 
Iniziativa  economica  privata  -  Misure  urgenti  in   materia   di
  stabilizzazione  finanziaria  e  di  competitivita'   economica   -
  Previsione che la disciplina della SCIA,  nella  sua  integralita',
  attiene  alla  tutela  della  concorrenza  e  costituisce   livello
  essenziale  delle  prestazioni  concernenti  i  diritti  civili   e
  sociali, ai sensi dell'art. 117, comma secondo,  lett.  e)  ed  m),
  Cost. - Previsione che la nuova disciplina della  SCIA  sostituisce
  direttamente quella della DIA recata da ogni  normativa  statale  e
  regionale - Lamentata erroneita' della autoqualificazione, ritenuta
  incidenza su ambiti di legislazione regionale di natura residuale o
  concorrente con avocazione degli stessi allo Stato - Ricorso  della
  Regione Emilia-Romagna -  Denunciata  violazione  della  competenza
  legislativa della Regione in materia  di  governo  del  territorio,
  tutela  della   salute,   ordinamento   degli   uffici   regionali,
  artigianato, turismo, commercio. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 49, comma 4-ter, 
- Costituzione, art. 117, commi terzo e quarto. 
Iniziativa  economica  privata  -  Misure  urgenti  in   materia   di
  stabilizzazione  finanziaria  e  di  competitivita'   economica   -
  Semplificazione  e  riduzione  degli   adempimenti   amministrativi
  gravanti sulle piccole e medie imprese - Previsione dello strumento
  della  delegificazione  e  definizione  dei  principi   e   criteri
  direttivi da seguirsi nell'adozione dei regolamenti  governativi  -
  Lamentata incidenza su ambiti di legislazione regionale  di  natura
  residuale o concorrente - Ricorso della  Regione  Emilia-Romagna  -
  Denunciata violazione della competenza legislativa e  regolamentare
  della Regione in materie di  competenza  concorrente  e  residuale,
  lesione del principio di leale collaborazione. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 49, comma 4-quater. 
- Costituzione, art. 117, commi terzo, quarto e sesto. 
(GU n.50 del 15-12-2010 )
    Ricorso della Regione Emilia-Romagna, in persona  del  Presidente
della Giunta regionale pro  tempore  Vasco  Errani,  autorizzato  con
deliberazione della Giunta regionale 20 settembre 2010, n. 1406 (doc.
1), rappresentata e difesa, come da procura speciale  a  margine  del
presente atto,  dall'avv.  prof.  Giandomenico  Falcon  di  Padova  e
dall'avv. Luigi Manzi di Roma, con domicilio  eletto  in  Roma  nello
studio di quest'ultimo in via Confalonieri, n. 5; 
    Contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   per   la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale: 
    dell'articolo 5, comma 1; 
    dell'articolo 6, commi 12 e 20; 
    dell'articolo 9, commi 1; 2-bis; 4 21 e 28; 
    dell'articolo 14, comma 9; 
    dell'articolo 15, comma 6-quater; 
    dell'articolo 49, commi: 4-bis, 4-ter e 4-quater, 
        del decreto-legge 31  maggio  2010,  n.  78,  recante  Misure
urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita'
economica, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010,
n. 122, pubblicata nel Supplemento ordinario n. 174/L  alla  Gazzetta
Ufficiale n. 176 del 30 luglio 2010, 
    per violazione degli articoli 3, 97, 117, 118, 119  e  120  della
Costituzione nonche' del principio di leale collaborazione, nei  modi
e per i profili di seguito illustrati. 
 
                              F a t t o 
 
    Con il decreto-legge 31  maggio  2010,  n.  78,  convertito,  con
modificazioni, nella legge 30 luglio 2010,  n.  122,  il  Governo  ha
adottato Misure urgenti in materia di stabilizzazione  finanziaria  e
di competitivita' economica. 
    Si tratta di un ampio intervento normativo, diviso in tre titoli:
nel primo sono comprese norme di Stabilizzazione finanziaria, volte a
ridurre la spesa, nel secondo norme di Contrasto all'evasione fiscale
e  contributiva  e  nel   terzo   norme   riguardanti   Sviluppo   ed
infrastrutture. 
    Diverse delle  norme  contenute  nel  primo  titolo,  pero',  non
tengono affatto conto  delle  regole  costituzionali  in  materia  di
coordinamento finanziario, le quali, pur attribuendo  allo  Stato  un
consistente  potere  di  guida,  garantiscono  al  tempo   stesso   -
all'interno di quel potere di guida - le autonome  determinazioni  di
ciascuna  Regione  (e  per  il   presente   ricorso   della   Regione
Emilia-Romagna) nell'esercizio della propria autonomia di spesa. 
    Numerose  disposizioni,  invece,   contravvenendo   alle   regole
costituzionali, pongono alle Regioni (ed  agli  enti  locali)  limiti
rigidi a voci specifiche di spesa, incidendo su decisioni gia' prese,
fondi gia' stanziati e determinando la conseguenza di gravi tagli  ai
servizi pubblici erogati con le risorse regionali, con  rilevanti  ma
inevitabili effetti negativi sui cittadini emiliani. 
    L'inclusione della Regione e degli enti  locali  e  pararegionali
tra i destinatari delle norme impugnate  avviene  sia  -  a  volte  -
mediante diretto ed espresso riferimento alle Regioni sia - in  altri
casi - mediante il riferimento alle pubbliche amministrazioni di  cui
al comma 3 dell'articolo 1 della legge  31  dicembre  2009,  n.  196,
cioe' a quelle elencate annualmente dall'ISTAT entro il 31 luglio  di
ogni anno. 
    E tale elenco (e precisamente, per quanto riguarda  l'anno  2010,
l'«Elenco  delle  amministrazioni  pubbliche   inserite   nel   conto
economico consolidato individuate ai sensi dell'articolo 1,  comma  3
della legge 31 dicembre 2009, n. 196 - Legge  di  contabilita'  e  di
finanza pubblica», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 24  luglio
2010, n. 171) comprende espressamente, nella sezione «Amministrazioni
locali», tra l'altro, le Regioni e le Province autonome, i comuni, le
comunita' montane e le unioni di comuni, gli enti per il diritto allo
studio universitario, gli enti per il turismo, gli enti regionali del
lavoro, le aziende ospedaliere, le Asl, gli istituti  di  ricovero  e
cura  a  carattere  scientifico  e  diversi  altri  enti   rientranti
nell'orbita regionale. 
    Risulta poi lesiva una norma contenuta nel  terzo  titolo,  cioe'
l'art. 49, che muta la disciplina della denuncia di inizio  attivita'
in segnalazione certificata di inizio attivita',  oltre  ad  attrarre
d'autorita' tale istituto alla competenza esclusiva statale. 
    Le  disposizioni  che  di  seguito  si   illustreranno,   dunque,
risultano illegittime e lesive delle competenze costituzionali  della
Regione per le seguenti ragioni di 
 
                            D i r i t t o 
 
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1. 
    L'art. 5 e' inserito nel  capo  II,  Riduzione  del  costo  degli
apparati politici ed amministrativi, ed e' intitolato Economie  negli
Organi costituzionali, di governo e negli apparati politici. 
    Il comma 1 statuisce che «per gli anni 2011,  2012  e  2013,  gli
importi  corrispondenti  alle  riduzioni  di  spesa  che,  anche  con
riferimento alle spese di natura amministrativa e per  il  personale,
saranno autonomamente deliberate entro il 31 dicembre  2010,  con  le
modalita' previste dai rispettivi ordinamenti dalla Presidenza  della
Repubblica, dal Senato della Repubblica, dalla Camera dei deputati  e
dalla Corte costituzionale sono versati al bilancio dello  Stato  per
essere riassegnati al Fondo per l'ammortamento dei titoli di  Stato»;
si aggiunge che «al  medesimo  Fondo  sono  riassegnati  gli  importi
corrispondenti alle riduzioni di spesa che verranno deliberate  dalle
Regioni,  con  riferimento  ai  trattamenti  economici  degli  organi
indicati nell'art. 121 della Costituzione». 
    Non e' chiaro se l'ultimo periodo del comma 1  intenda  vincolare
le  Regioni  a  ridurre  le  indennita'  dei  titolari  degli  organi
politici, o  intenda  solo  fissare  la  destinazione  delle  risorse
corrispondenti  alle   riduzioni   che   eventualmente   le   Regioni
disporranno. 
    Nel primo caso, la  norma  sarebbe  chiaramente  illegittima  per
violazione dell'art. 117, comma 3, Cost., in quanto  stabilirebbe  un
vincolo ad una voce di spesa  specifica  e  particolare:  e,  dunque,
avrebbe carattere dettagliato in materia di  competenza  concorrente,
nella  quale  lo  Stato  ha  titolo  soltanto  a   dettare   principi
fondamentali.  Si  puo'  ricordare  qui,  a  conferma,  la  sent.  n.
157/2007, che ha dichiarato l'illegittimita' di una norma della legge
n. 266/05 che riduceva del 10% le indennita' corrisposte ai  titolari
degli organi politici regionali. 
    Ma anche ove si  intendesse  la  disposizione  come  non  cogente
quanto all'an della specifica riduzione di spesa, in applicazione del
canone  della  interpretazione  conforme  a  Costituzione,   l'ultimo
periodo del comma 1 sarebbe in ogni modo illegittimo perche'  prevede
l'assegnazione degli importi al Fondo per l'ammortamento  dei  titoli
di Stato, ovvero l'assegnazione di tale fondo allo Stato. 
    In pratica, si applica un meccanismo contrario a quello  previsto
dall'art.  119  della  Costituzione:  anziche'  essere  lo  Stato   a
finanziare le Regioni, si obbligano le Regioni a finanziare lo  Stato
mediante gli stessi fondi che in  attuazione  della  Costituzione  lo
Stato assegna alle Regioni. 
    Cio' implica lesione dell'autonomia finanziaria regionale perche'
risorse che provengono dalle entrate generali della  Regione  vengono
«avocate» allo Stato senza altra ragione che la  circostanza  che  la
Regione spende di meno per una specifica voce di spesa. 
    L'ingerenza nell'autonomia  finanziaria  regionale  non  si  puo'
giustificare a titolo di coordinamento della finanza pubblica perche'
la norma e' dettagliata e va a colpire una specifica e minuta voce di
spesa. 
    Oltre all'art. 119, l'art. 5, comma 1, viola anche gli artt.  117
e 118 Cost. perche' impedisce alla Regione di utilizzare gli  importi
in questione per altri  scopi,  da  essa  individuati  nell'esercizio
della propria autonomia organizzativa e delle proprie  competenze  di
settore. 
    E'  infine  violato  il  principio  di  buon   andamento   e   di
ragionevolezza di cui all'art. 97, comma primo, e all'art.  3  Cost.,
in  quanto  la  devoluzione  del  risparmio   al   bilancio   statale
evidentemente lo disincentiva, dato che la Regione  non  ne  potrebbe
trarre alcun vantaggio. 
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 6, commi 12 e 20. 
    L'art. 6 pone una serie di norme volte alla Riduzione  dei  costi
degli apparati amministrativi, norme dal contenuto  innegabilmente  e
chiaramente dettagliato, come si vedra' subito. 
    Forse proprio in considerazione di tale contenuto, che proprio in
ragione di tale carattere contrasterebbe - ove riferito alle  Regioni
- con i principi costituzionali in  materia  di  coordinamento  della
finanza pubblica elaborati dalla  giurisprudenza  costituzionale,  il
comma 20 dell'art.  6  dispone  che  «le  disposizioni  del  presente
articolo non si applicano in via diretta alle regioni, alle  province
autonome e agli enti del Servizio sanitario nazionale»,  ma  aggiunge
che per tali enti esse «costituiscono disposizioni  di  principio  ai
fini del coordinamento della finanza pubblica». In altre  parole,  la
disposizione del comma 20 cerca di «trasformare» in qualche  modo  le
disposizioni dettagliate in principi. 
    Tuttavia,   tale   tentativo   e'    necessariamente    destinato
all'insuccesso, e la qualificazione delle disposizioni  in  questione
come «principi» non fa - ad avviso della  ricorrente  Regione  -  che
aggiungere illegittimita' ad illegittimita'. 
    Il comma 20 e' dunque qui  impugnato  nella  parte  in  cui  esso
dispone che le disposizioni indicate «costituiscono  disposizioni  di
principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica», e  nella
parte in cui limita la loro  «non  applicazione»  alle  Regioni  alla
applicazione «in via diretta». 
    Il punto fondamentale e' che la qualificazione data dal comma 20,
come e' tipico delle norme di qualificazione, non e' idonea a  mutare
la realta' normativa dei commi cui si riferisce, che resta quella  di
regole dettagliate limitative di voci  minute  di  spesa  degli  enti
pubblici, e  che  vincolare  le  Regioni  a  tali  pseudoprincipi  e'
ugualmente  illegittimo.  Nessun  dubbio  poi  puo'  sussistere   sul
carattere specifico e dettagliato delle disposizioni  alle  quali  il
comma 20 si riferisce. 
    Cosi', il comma 3 dispone che «a decorrere dal 1°  gennaio  2011,
le indennita', i compensi, i gettoni,  le  retribuzioni  o  le  altre
utilita'   comunque   denominate,   corrisposti    dalle    pubbliche
amministrazioni di cui al comma 3  dell'articolo  1  della  legge  31
dicembre 2009, n. 196, .... sono automaticamente ridotte del  10  per
cento rispetto agli importi risultanti alla data del 30 aprile 2010».
Inoltre, la disposizione stabilisce che «sino al  31  dicembre  2013,
gli emolumenti di cui al presente  comma  non  possono  superare  gli
importi risultanti alla data del 30  aprile  2010,  come  ridotti  ai
sensi del presente comma». 
    Il comma 7 statuisce che «a decorrere  dall'anno  2011  la  spesa
annua per studi ed incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a
studi ed incarichi di consulenza  conferiti  a  pubblici  dipendenti,
sostenuta  dalle  pubbliche  amministrazioni  di  cui  al   comma   3
dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009,  n.  196,...  non  puo'
essere superiore al 20 per cento di quella sostenuta nell'anno 2009». 
    Il  comma  8  dispone  che  «a  decorrere   dall'anno   2011   le
amministrazioni pubbliche... individuate dall'Istituto  nazionale  di
statistica (ISTAT)... non  possono  effettuare  spese  per  relazioni
pubbliche, convegni, mostre, pubblicita' e di rappresentanza, per  un
ammontare superiore al 20 per cento della spesa  sostenuta  nell'anno
2009 per le medesime finalita'». 
    Il  comma  9  stabilisce  che  «a  decorrere  dall'anno  2011  le
amministrazioni pubbliche... individuate dall'Istituto  nazionale  di
statistica   (ISTAT)...   non   possono    effettuare    spese    per
sponsorizzazioni». 
    Il  comma  12  dispone  che  «a  decorrere  dall'anno   2011   le
amministrazioni pubbliche... individuate dall'Istituto  nazionale  di
statistica (ISTAT)... non  possono  effettuare  spese  per  missioni,
anche all'estero, con esclusione  delle  missioni  internazionali  di
pace e delle Forze armate, delle missioni delle forze  di  polizia  e
dei vigili del fuoco,  del  personale  di  magistratura,  nonche'  di
quelle  strettamente  connesse  ad  accordi   internazionali   ovvero
indispensabili per assicurare la  partecipazione  a  riunioni  presso
enti e organismi internazionali o comunitari, nonche' con investitori
istituzionali necessari alla gestione del  debito  pubblico,  per  un
ammontare superiore al 50 per cento della spesa  sostenuta  nell'anno
2009». 
    Il comma 13 statuisce che «a decorrere dall'anno  2011  la  spesa
annua  sostenuta  dalle  amministrazioni   pubbliche...   individuate
dall'Istituto  nazionale  di  statistica  (ISTAT)...  per   attivita'
esclusivamente di formazione deve essere  non  superiore  al  50  per
cento della spesa sostenuta nell'anno  2009»;  si  aggiunge  che  «le
predette amministrazioni  svolgono  prioritariamente  l'attivita'  di
formazione tramite la Scuola superiore della pubblica amministrazione
ovvero tramite i propri organismi di formazione». 
    Il comma 14  stabilisce  che  «a  decorrere  dall'anno  2011,  le
amministrazioni pubbliche... individuate dall'Istituto  nazionale  di
statistica (ISTAT)...  non  possono  effettuare  spese  di  ammontare
superiore all'80 per cento della spesa sostenuta nell'anno  2009  per
l'acquisto,  la  manutenzione,   il   noleggio   e   l'esercizio   di
autovetture, nonche' per l'acquisto di buoni taxi»; si  aggiunge  che
«il predetto limite puo' essere derogato,  per  il  solo  anno  2011,
esclusivamente per effetto di contratti pluriennali gia' in essere». 
    Il comma 19  dispone  che  «al  fine  del  perseguimento  di  una
maggiore efficienza delle societa' pubbliche,...  le  amministrazioni
di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196,
non possono, salvo quanto  previsto  dall'art.  2447  codice  civile,
effettuare aumenti di capitale, trasferimenti straordinari,  aperture
di  credito,  ne'  rilasciare  garanzie  a  favore   delle   societa'
partecipate non quotate che  abbiano  registrato,  per  tre  esercizi
consecutivi, perdite  di  esercizio  ovvero  che  abbiano  utilizzato
riserve  disponibili   per   il   ripianamento   di   perdite   anche
infrannuali»; e che sono «in ogni  caso  consentiti  i  trasferimenti
alle societa' di cui  al  primo  periodo  a  fronte  di  convenzioni,
contratti di servizio o di programma  relativi  allo  svolgimento  di
servizi  di  pubblico  interesse   ovvero   alla   realizzazione   di
investimenti». 
    Come  si  vede,  si  tratta  di  disposizioni   molto   puntuali,
analitiche, che disciplinano «frammenti» di  realta'  finanziaria  ed
organizzativa. Ed in relazione ad esse le Regioni, nonostante  quanto
disposto dal comma 20, primo periodo, non hanno ne' (in ragione della
struttura delle norme) potrebbero avere alcun margine di manovra. Non
si tratterebbe che di «recepire» le corrispondenti norme statali. 
    Cosi' illustrato il contenuto del comma  20,  in  relazione  alle
specifica disposizione di cui al comma 12, risulta chiaro  che  esso,
nell'inciso «per i quali costituiscono disposizioni di  principio  ai
fini del coordinamento della finanza pubblica», ed il comma 12 cui si
riferisce, sono lesivi dell'autonomia organizzativa e  dell'autonomia
finanziaria della Regione. 
    Infatti, essi pongono limiti puntuali a voci minute  di  spesa  e
fissano anche la modalita' di contenimento della  spesa,  esorbitando
dai limiti della competenza legislativa statale  di  principio  nella
materia del coordinamento della finanza pubblica. 
    L'illegittimita' dei limiti puntuali alle voci minute di spesa e'
stata piu' volte dichiarata  da  codesta  Corte:  v.  le  sentt.  nn.
297/2009, 237/2009, 159/2008, 157/2007,  95/2007,  89/2007,  88/2006,
449/2005, 417/2005 e 390/2004. 
    Va ricordata, in particolare, per l'analogia  della  fattispecie,
la  sentenza  n.  297/2009,  che  ha   annullato   una   disposizione
sostanzialmente corrispondente a quella qui impugnata «nella parte in
cui afferma che possono  essere  desunti  "principi  fondamentali  di
coordinamento della finanza pubblica"  da  norme  che,  per  il  loro
contenuto, sono inidonee a esprimere tali principi», cioe'  da  norme
«idonee solo a incidere sulle indicate  singole  voci  di  spesa,  in
quanto  introducono  vincoli  puntuali  e  specifiche  modalita'   di
contenimento della spesa medesima». 
    Nel medesimo consolidato  orientamento  rientra  la  sentenza  n.
159/2008 (punto 6 del Diritto). 
    Del resto, una norma analoga a quella del  comma  3  dell'art.  6
(pure non impugnato con il presente ricorso) e' stata annullata dalla
sentenza n. 157/2007 (la norma statale riduceva del 10% le indennita'
corrisposte ai titolari degli organi politici regionali); v.  poi  le
sentt.  nn.  95/2007,  449/2005  e  417/2005,  che  hanno  dichiarato
l'illegittimita' dei vincoli posti a consulenze, missioni e acquisti. 
    Non puo' dunque esservi dubbio alcuno sulla illegittimita'  delle
disposizioni  impugnate,  per  le   ragioni   sopra   esposte.   Esse
contraddicono il principio in relazione al quale  le  esigenze  della
finanza pubblica  possono  certo  comportare  vincoli  anche  per  le
autonomie  territoriali,  ma  vincoli   di   carattere   generale   e
complessivo, al cui interno i titolari  di  autonomia  costituzionale
possono decidere le diverse destinazioni, appunto, in modo autonomo. 
    La clausola di salvaguardia di cui al comma 20, primo periodo, e'
illegittima anche nella parte in cui non comprende nel proprio ambito
di «esonero» dall'applicazione diretta gli enti locali e gli enti  ed
organismi appartenenti al sistema  regionale.  Il  «mancato  esonero»
comporta dunque che per tali enti i commi sopra illustrati operino in
via diretta, dato  che  sono  rivolti  alle  amministrazioni  di  cui
all'art. 1, comma 3, legge n. 196/2009. 
    A causa del mancato esonero,  si  pongono  limiti  puntuali  alla
spesa degli enti locali, degli enti pubblici del sistema regionale  e
delle societa' pubbliche. Ma tali limiti sono illegittimi  in  quanto
dettano norme dettagliate, che fuoriescono dal potere del legislatore
statale nelle materie del coordinamento della  finanza  pubblica;  si
puo' ricordare, in particolare, per l'analogia della fattispecie,  la
sentenza n. 159/2008 (punto 7 del Diritto). Ed e' pure  pacifico  che
la Regione e'  legittimata  a  difendere  l'autonomia  finanziaria  e
organizzativa (ogni limitazione di spesa si  traduce  in  limitazione
delle possibili scelte organizzative) dei propri enti  strumentali  e
delle proprie societa' ma e' anche abilitata a  tutelare  l'autonomia
finanziaria degli enti locali  (v.  sentt.  nn.  298/2009,  169/2007,
punto 3; 95/2007, 417/2005, 196/2004 e 533/2002). 
    Infine, e' illegittimo  anche  il  terzo  periodo  del  comma  20
dell'art. 6. 
    Il secondo periodo dispone che, «a decorrere dal 2011, una  quota
pari al 10 per cento dei trasferimenti erariali  di  cui  all'art.  7
della legge 15 marzo 1997, n. 59, a favore delle  regioni  a  statuto
ordinario e' accantonata  per  essere  successivamente  svincolata  e
destinata alle regioni a statuto ordinario che hanno  attuato  quanto
stabilito dall'art. 3  del  decreto-legge  25  gennaio  2010,  n.  2,
convertito  con  legge  26  marzo  2010,  n.  42  e  che   aderiscono
volontariamente alle  regole  previste  dal  presente  articolo».  In
relazione a cio', il terzo  periodo  prevede  che,  «con  decreto  di
natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle  finanze,
sentita la Conferenza Stato-Regioni, sono stabiliti modalita',  tempi
e criteri per l'attuazione del presente comma». 
    Pare  evidente   che   quest'ultima   norma   prevede   un   atto
sostanzialmente   regolamentare   (nonostante    la    qualificazione
legislativa, con la quale si cerca di giustificare la sottrazione del
decreto alla procedura e ai requisiti di cui  all'art.  17  legge  n.
400/1988)  e  anche  di  notevole  impatto  in  materia   concorrente
(coordinamento della finanza pubblica). Il terzo  periodo  del  comma
20, dunque, e' lesivo dell'art.  117,  comma  3  e  6,  Cost.  e  del
principio di leale  collaborazione,  in  quanto,  per  compensare  la
«deroga» all'art. 117,  comma  6,  Cost.,  avrebbe  dovuto  prevedere
almeno  l'intesa  con  la  Conferenza  Stato-Regioni,  in  luogo  del
semplice parere. 
    Si tratta  infatti  di  una  parte  rilevante  dei  trasferimenti
destinati alle Regioni, e vi e' dunque l'esigenza  che  esse  debbano
concordare l'attuazione del meccanismo distributivo  attuativo  della
norma, e non semplicemente essere «sentite» su di esso. 
    Specificamente illegittimo e  lesivo  della  autonomia  regionale
appare l'ultimo periodo del  comma  12,  il  quale  -  attraverso  un
richiamo muto all'art. 15 legge n. 836/1973 a  all'art.  8  legge  n.
417/1978 - esclude  che  il  personale  dipendente  contrattualizzato
possa essere autorizzato ad usare il mezzo  proprio  per  recarsi  in
missione,  con  conseguente  divieto  di  corrispondere  una  qualche
indennita' chilometrica. 
    La norma - prima ancora che rappresentare un limite  puntuale  ad
una  singola  minuta  voce  di  spesa  -   incide   sulla   autonomia
organizzativa della Regione e sull'esercizio delle attivita' e  delle
funzioni  amministrative  da  essa  normate,  spettino  alla  Regione
medesima e siano dalla stessa attribuite ai Comuni o ad altri enti. 
    Da un lato,  si  nega  che  la  Regione  possa  discrezionalmente
valutare la  convenienza  tra  l'acquisto  di  un  proprio  mezzo  di
trasporto, l'avvalersi di un mezzo pubblico, oppure  l'avvalersi  del
mezzo del dipendente (salvo rimborsargli la spesa). D'altro lato,  e'
assicurata  la  possibilita'  materiale  di  svolgere   compiti   pur
legittimamente previsti dalla legge, in tutti i casi  di  carenza  di
mezzi propri da parte della amministrazione regionale e  delle  altre
amministrazioni competenti, e di insufficienza di mezzi di  trasporto
pubblici. 
    La norma e' quindi lesiva sia dell'art. 117, comma 4, Cost.,  per
la parte in cui incide sulla organizzazione della Regione, sia  -  in
generale - dei commi 3, 4, 5, 8 e 9 dell'art. 117 e dei commi 2  e  3
dell'art. 118, nella parte  in  cui  ostacola  lo  svolgimento  delle
attivita'  pubbliche  legittimamente  previste   dalla   legislazione
regionale. 
3) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 9, commi 1, 2-bis,  4,
21, 28. 
    L'art. 9 detta norme sul Contenimento delle spese in  materia  di
impiego pubblico. 
    Il comma 1 dispone che, «per  gli  anni  2011,  2012  e  2013  il
trattamento economico complessivo dei singoli  dipendenti,  anche  di
qualifica  dirigenziale,  ivi  compreso  il  trattamento  accessorio,
previsto dai rispettivi ordinamenti delle amministrazioni  pubbliche»
di cui al noto Elenco ISTAT «non puo'  superare,  in  ogni  caso,  il
trattamento ordinariamente spettante per l'anno 2010». 
    In base a detta individuazione  dei  destinatari  tale  norma  si
rivolge anche alle Regioni, agli enti locali e agli  altri  enti  del
sistema regionale. 
    Essa rappresenta una norma di dettaglio in materia di  competenza
concorrente, in quanto riguarda una voce specifica di spesa  e  fissa
con precisione la misura del «taglio». Di qui la violazione dell'art.
117, comma 3, Cost.  e  la  lesione  dell'autonomia  organizzativa  e
finanziaria della Regione e degli enti locali, per  le  ragioni  gia'
esposte nel punto 2. 
    Il comma 2-bis stabilisce che «a decorrere dal 1° gennaio 2011  e
sino al  31  dicembre  2013  l'ammontare  complessivo  delle  risorse
destinate annualmente al trattamento accessorio del personale,  anche
di livello dirigenziale, di ciascuna  delle  amministrazioni  di  cui
all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30  marzo  2001,  n.
165, non puo' superare il corrispondente importo  dell'anno  2010  ed
e', comunque, automaticamente ridotto in  misura  proporzionale  alla
riduzione del personale in servizio». 
    Tale norma, pur individuando i propri destinatari in modo diverso
dal  riferimento  all'Elenco  ISTAT,  potrebbe   essere   considerata
applicabile anche alle Regioni, agli enti locali e  agli  altri  enti
del sistema regionale, in quanto rientranti nella generale nozione di
pubblica amministrazione. 
    Essa pone  un  limite  rigido  ed  autoapplicativo  ad  una  voce
specifica e minuta di spesa e, dunque, comporta violazione  dell'art.
117, comma  3,  Cost.  e  lesione  dell'autonomia  finanziaria  della
Regione e degli enti locali, per le ragioni gia' esposte nel punto 3. 
    Il comma 4,  poi,  statuisce  che  «i  rinnovi  contrattuali  del
personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni per  il  biennio
2008-2009 ed i miglioramenti economici  del  rimanente  personale  in
regime di diritto pubblico per il medesimo biennio  non  possono,  in
ogni caso, determinare  aumenti  retributivi  superiori  al  3,2  per
cento»; che tale disposizione  «si  applica  anche  ai  contratti  ed
accordi stipulati prima della data di entrata in vigore del  presente
decreto»; che le clausole difformi «contenute nei predetti  contratti
ed accordi sono inefficaci»  e  che  «a  decorrere  dalla  mensilita'
successiva alla data di entrata in  vigore  del  presente  decreto  i
trattamenti retributivi saranno conseguentemente adeguati». 
    Tale  disposizione  individua   i   suoi   destinatari   mediante
l'espressione  generica  «pubbliche   amministrazioni»   e,   dunque,
potrebbe essere intesa come applicabile alle Regioni. 
    In questo caso, essa sarebbe illegittima in quanto pone un limite
rigido ed autoapplicativo ad una voce specifica e  minuta  di  spesa:
valendo dunque per essa  le  censure  ora  esposte  in  relazione  ai
precedenti commi (oltre che al punto 2, con riferimento all'art. 6). 
    Lo stesso comma 4, poi, si pone in contrasto con l'art. 39 Cost.,
perche' incide sull'entita' dei trattamenti economici determinata dai
contratti collettivi stipulati dall'ARAN per conto delle Regioni. 
    Come  la  giurisprudenza  costituzionale  ha  in  piu'  occasioni
affermato, vi e' una riserva di contrattazione collettiva in  materia
di retribuzioni, che la legge non  puo'  violare  (art.  39  Cost.  e
attuativamente legge n. 421/1992), come  fanno  invece  i  commi  ora
indicati.  Tale  violazione  si  traduce  in  lesione  dell'autonomia
organizzativa e finanziaria regionale (art. 117, comma 4, e art.  119
Cost.) perche'  lo  Stato  altera  unilateralmente  le  scelte  fatte
dall'ARAN per conto delle Regioni e pone limiti puntuali a specifiche
voci di spesa regionale. Si puo' ricordare qui  l'art.  2,  comma  2,
lett. ii) della  legge  n.  42/2009,  che  auspica  -  come  criterio
direttivo per i decreti legislativi attuativi dell'art. 119  Cost.  -
la «previsione di  strumenti  che  consentano  autonomia  ai  diversi
livelli di governo nella gestione della  contrattazione  collettiva»:
criterio che e' contraddetto dalla norma impugnata. 
    Inoltre,  la  norma  in   questione   viola   il   principio   di
ragionevolezza e  l'art.  36  Cost.,  perche'  riduce  i  trattamenti
fissati nei contratti collettivi,  che  si  presumono  essere  quelli
proporzionati alla qualita'  e  quantita'  del  lavoro  prestato.  La
disposizione impugnata  produce  un'ingiustificata  ed  irragionevole
alterazione del sinallagma contrattuale,  danneggiando  gravemente  i
singoli lavoratori a fronte di una  «limitata  incidenza  sul  totale
della manovra» (cosi' l'audizione della Corte dei conti del 10 giugno
2010, presso la Commissione Bilancio del Senato). 
    Tale violazione si riflette in lesione dell'autonomia finanziaria
ed  organizzativa  regionale,  perche'  la  gestione  del   personale
regionale e  del  bilancio  rientra  indubbiamente  nelle  competenze
regionali. 
    Il  comma  21  dell'art.  9  stabilisce  che  «per  il  personale
contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate  ed
i passaggi tra le aree eventualmente disposti negli anni 2011, 2012 e
2013 hanno effetto, per  i  predetti  anni,  ai  fini  esclusivamente
giuridici». 
    Tale norma e' illegittima per le ragioni illustrate  a  proposito
del comma 4: a) violazione dell'art. 117, comma 3, Cost. in quanto si
tratta di norma dettagliata che pone un limite  rigido  ad  una  voce
minuta di spesa; b) violazione degli  artt.  3,  36  e  39  Cost.  in
quanto, a fronte dello svolgimento di una funzione  di  livello  piu'
elevato, con contenuti professionali piu' complessi  e  con  maggiori
responsabilita', il dipendente «promosso» dopo il 1º gennaio 2011  si
troverebbe a percepire una retribuzione diversa  da  quella  prevista
dal   contratto   collettivo   e   corrispondente   ad   un    lavoro
qualitativamente diverso (con discriminazione rispetto ai  dipendenti
«promossi» prima del 2011, che - a parita' di lavoro -  riceverebbero
uno stipendio diverso). 
    Cio'  si  traduce  in  lesione  dell'autonomia  organizzativa   e
finanziaria regionale, perche' la gestione del personale regionale  e
del bilancio rientra indubbiamente nelle competenze regionali. 
    Il comma 28, primo periodo, dispone che, «a  decorrere  dall'anno
2011, le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento  autonomo,
le agenzie, incluse le  Agenzie  fiscali...  gli  enti  pubblici  non
economici, le universita' e gli enti pubblici di cui all'articolo 70,
comma 4, del decreto legislativo 30  marzo  2001,  n.  165...,  fermo
quanto  previsto  dagli  articoli  7,  comma  6,  e  36  del  decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono avvalersi di  personale  a
tempo  determinato  o  con  convenzioni  ovvero  con   contratti   di
collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 50 per cento
della spesa sostenuta per le stesse finalita' nell'anno 2009». 
    Il secondo periodo stabilisce che uguale limite e' fissato per la
spesa relativa a contratti di formazione-lavoro,  ad  altri  rapporti
formativi,  alla  somministrazione  di  lavoro,  nonche'  al   lavoro
accessorio di cui all'articolo 70, comma 1, lettera  d)  del  decreto
legislativo 10 settembre 2003, n. 276. 
    Il terzo periodo del comma 28 stabilisce  che  tali  disposizioni
«costituiscono principi generali  ai  fini  del  coordinamento  della
finanza pubblica  ai  quali  si  adeguano  le  regioni,  le  province
autonome, e gli enti del Servizio sanitario nazionale». Esso  dunque,
pur implicando pero' che esse non  si  applichino  direttamente  alle
Regioni, impone l'adeguamento di queste a tali principi generali, con
disposizione corrispondente a quella dell'art. 6, comma 20. 
    I tre periodi indicati del comma 28 sono dunque qui impugnati per
le stesse ragioni gia' esposte in  relazione  all'art.  6.  Il  terzo
periodo, in particolare, e' impugnato nella parte in cui esso  -  pur
implicando la non diretta applicazione dei precedenti  periodi  -  ne
afferma l'applicabilita' in quanto recante presunte  disposizioni  di
principio. 
    Infatti, come nel caso dell'art. 6, le norme contenute nel  comma
28 risultano illegittime per violazione delle regole sui rapporti tra
legislazione statale e regionale nell'ambito del coordinamento  della
finanza pubblica. Esse non sono affatto  disposizioni  di  principio,
ne' lo diventano per la definizione di cui al terzo periodo, ma  sono
tali da non consentire un  autonomo  svolgimento.  Si  tratta  di  un
limite rigido ad una voce specifica e minuta di spesa, di  una  norma
dettagliata che prevede la modalita' di contenimento  della  voce  di
spesa, senza lasciare alcun margine di manovra alla Regione. Inoltre,
il limite non e' transitorio. 
    Dunque, il comma 28 e' illegittimo per le ragioni  gia'  viste  a
proposito  dell'art.  6,  cioe'  per  la  violazione   dell'autonomia
organizzativa e finanziaria della Regione e degli enti  locali  (che,
fra l'altro, non sono compresi nella clausola di salvaguardia di  cui
al terzo periodo, con conseguente applicabilita' diretta dei  limiti:
sulla legittimazione della Regione a tutelare l'autonomia finanziaria
degli enti locali v. le  sentt.  nn.  298/2009,  169/2007,  punto  3;
95/2007, 417/2005, 196/2004 e 533/2002), per eccesso dai limiti della
potesta'  legislativa  statale  in  materia  di  coordinamento  della
finanza pubblica, in quanto la disposizione pone un limite rigido  ad
una voce specifica di spesa. 
    D'altronde, sia consentito di ricordare che l'illegittimita'  dei
vincoli puntuali alle  assunzioni  e'  gia'  stata  dichiarata  dalle
sentt. nn. 95/2008, 88/2006 e 390/2004. 
4) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 14, comma 9. 
    L'art. 14, comma 9, sostituisce  l'art.  76,  comma  7,  d.l.  n.
112/2008 nel modo seguente: «E' fatto divieto  agli  enti  nei  quali
l'incidenza delle spese di personale e' pari o superiore al 40% delle
spese correnti di procedere ad assunzioni di  personale  a  qualsiasi
titolo e con qualsivoglia tipologia  contrattuale;  i  restanti  enti
possono procedere ad assunzioni di personale nel limite  del  20  per
cento  della   spesa   corrispondente   alle   cessazioni   dell'anno
precedente». Tale disposizione si applica a decorrere dal 1°  gennaio
2011, con riferimento alle cessazioni verificatesi nell'anno 2010. 
    Tale norma pone limiti  rigidi  alle  assunzioni,  in  violazione
degli artt. 117, comma 3 e comma  4  (in  relazione  alla  competenza
regionale sul personale e sulla propria organizzazione), e 119 Cost.,
e dunque esorbitando cosi' dal potere statale  di  dettare  norme  di
principio in materia di coordinamento della  finanza  pubblica:  come
codesta ecc.ma Corte costituzionale  ha  gia'  in  diverse  occasioni
accertato e stabilito in relazione a norme di questo tipo (v.  sentt.
nn 95/2008, 88/2006, 390/2004). 
5) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 15, comma 6-quater. 
    Il comma 6-quater dell'art. 15 statuisce che «le disposizioni dei
commi 6, 6-bis e  6-ter  del  presente  articolo  si  applicano  fino
all'adozione di  diverse  disposizioni  legislative  da  parte  delle
regioni, per quanto di loro competenza». 
    Esso si pone dunque in contrasto con l'art. 117, comma 3,  Cost.,
perche' nelle materie concorrenti lo Stato non puo' adottare norme di
dettaglio neppure con carattere cedevole.  Gia'  prima  del  2001  le
norme di dettaglio cedevoli erano ammesse solo in casi limitati  (per
rendere applicabili nuove leggi cornice o per evitare l'inadempimento
di obblighi internazionali). Dopo la l.  cost.  n.  3/2001,  da  piu'
parti  si  e'  affermata  l'inammissibilita'  di  norme  statali   di
dettaglio  nelle  materie  concorrenti,  e  anche  codesta  Corte  ha
osservato che «la nuova formulazione dell'art. 117, comma 3, rispetto
a quella previgente dell'art. 117, comma 1, esprime l'intento di  una
piu' netta distinzione fra la competenza regionale  a  legiferare  in
queste materie e la competenza statale, limitata alla  determinazione
dei principi fondamentali della disciplina»  (sent.  282-2002,  punto
4). 
    Comunque, anche qualora si ritenessero ammissibili norme  statali
di dettaglio cedevoli in casi determinati (per rendere operanti nuove
leggi  cornice  o  per  rendere  operative  funzioni   amministrative
attratte in sussidiarieta'), il comma  6-quater  sarebbe  illegittimo
perche' non puo' fondarsi su tali giustificazioni. 
6) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 49, comma 4-bis, comma
4-ter e comma 4-quater. 
    L'art. 49, comma 4-bis, legge  n.  133/2010  prevede  l'integrale
sostituzione  dell'art.  19  legge  n.  241/1990  -   relativo   alla
dichiarazione di inizio attivita'  -  con  il  nuovo  istituto  della
«segnalazione certificata di inizio attivita'» (c.d. «Scia»). 
    Rispetto  alla  versione  precedente,  il  nuovo   art.   19   si
caratterizza per il fatto di prevedere sempre la  facolta'  di  avvio
immediato dell'attivita', contestualmente  alla  presentazione  della
segnalazione: generalizzando cosi' la previsione gia'  contenuta  nel
d.lgs. 26 marzo 2010  n.  59,  di  recepimento  della  direttiva  del
Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 n. 123  (c.d.
«Direttiva servizi»), che aveva reintrodotto - per  le  attivita'  di
cui alla medesima direttiva - la Dia «ad effetto immediato». 
    Si ripropone in tal modo, in chiave generale,  la  configurazione
originariamente prevista per la Dia dal legislatore del  1990,  quale
dichiarazione contestuale all'avvio dell'attivita'. 
    Sotto tale profilo, tuttavia, la nuova  regola  va  anche  oltre.
Infatti, la scomparsa della  precisazione  contenuta  nel  precedente
vecchio comma 4 dell'art. 19 legge n. 241/1990  (il  quale  stabiliva
che «restano ferme le disposizioni di  legge  vigenti  che  prevedono
termini diversi da quelli  di  cui  ai  commi  2  e  3  per  l'inizio
dell'attivita'  e  per  l'adozione  da   parte   dell'amministrazione
competente di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attivita'
e di rimozione  dei  suoi  effetti»)  -  unitamente  alla  previsione
contenuta nell'art. 49, comma 4-ter, legge n. 122/2010  (secondo  cui
«la disciplina di cui al comma 4-bis sostituisce direttamente,  dalla
data di entrata in vigore della legge  di  conversione  del  presente
decreto, quella della dichiarazione di  inizio  attivita'  recata  da
ogni normativa statale e regionale») depone nel senso di ritenere che
alla nuova  Scia  debba  essere  integralmente  ricondotta  anche  la
preesistente disciplina in materia di «Dia edilizia»: la quale,  fino
ad ora, aveva mantenuto profili di autonomia rispetto al  modello  di
Dia generale. 
    Nel senso dell'integrale sostituzione della Dia edilizia  con  la
nuova Scia si e'  espressa  anche  la  nota  16  settembre  2010  del
Ministero per la semplificazione normativa:  la  quale  -  oltre  che
sulla base dei profili dinanzi indicati - perviene a tale conclusione
anche alla  luce  delle  indicazioni  emerse  nel  corso  dei  lavori
parlamentari (ove  si  legge  che  «la  norma  ha  anche  un  profilo
abrogativo  della  normativa  statale  difforme,  per  cui  si   deve
intendere che ad essa va ricondotta anche la denuncia  di  inizio  di
attivita' edilizia, disciplinata dagli articoli 22 e 23 del d.P.R. n.
380/2001»), nonche' in considerazione dell'innovativo  riferimento  -
contenuto nel comma 1 del nuovo art. 19  legge  n.  241/1990  -  alle
«asseverazioni di tecnici abilitati»: espressione  che  richiama  per
l'appunto il contenuto dell'art. 23 d.P.R.  n.  380/2001  (il  quale,
come noto, stabilisce che la Dia edilizia sia  «accompagnata  da  una
dettagliata relazione a firma di un  progettista  abilitato  e  dagli
opportuni elaborati progettuali, che asseveri  la  conformita'  delle
opere da realizzare agli strumenti urbanistici  approvati  e  non  in
contrasto con quelli adottati  ed  ai  regolamenti  edilizi  vigenti,
nonche'  il  rispetto  delle  norme  di   sicurezza   e   di   quelle
igienico-sanitarie»). 
    Su  tali  basi,  ritiene  la  ricorrente  Regione  che  la  nuova
disciplina della Scia risulti incostituzionale e lesiva delle proprie
prerogative sotto molteplici profili. Innanzitutto - con  riferimento
agli ambiti non  edilizi  -  la  dettagliata  previsione  dei  moduli
procedimentali della Scia (che, ai sensi del comma 4-ter del medesimo
art.  49   legge   n.   122/2010,   sono   destinati   a   sostituire
automaticamente tutte le discipline  regionali  in  materia  di  Dia)
finisce per invadere la  competenza  regionale  in  molti  ambiti  di
legislazione residuale regionale ex  art  117,  comma  4,  Cost.:  in
particolare con  riferimento  a  commercio,  artigianato,  turismo  e
attivita' produttive in genere. La lesione  cosi'  determinata  delle
prerogative regionali non  e'  certo  esclusa  in  conseguenza  della
arbitraria autoqualificazione recata dal comma 4-ter  (specificamente
impugnato oltre). 
    Al contempo, la puntuale disciplina delle modalita' di intervento
attraverso l'esercizio del potere di inibizione  e  di  conformazione
dell'attivita' - quale prevista al comma 3 del nuovo art. 19 legge n.
241/1990 - interferisce con i poteri di controllo il cui esercizio e'
attribuito alle amministrazioni locali:  con  conseguente  violazione
dell'art. 114, comma 2, Cost, che riconosce  l'autonomia  dei  poteri
degli enti locali, e dell' art. 118, comma 1, Cost. che riconosce  le
funzioni amministrative dei comuni. 
    Con  riferimento  specifico  alla  Dia  edilizia,  si   ribadisce
innanzitutto come la previsione per cui la Scia consente in ogni caso
l'immediato avvio dell'attivita' rappresenta una regola di dettaglio,
in quanto tale preclusa allo  Stato  in  una  materia  -  quella  del
governo del territorio (cui, come noto, e' riconducibile  l'edilizia)
- demandata alla potesta' legislativa  concorrente:  con  conseguente
limitazione della potesta' statale alla sola fissazione dei principi. 
    Al riguardo, si rammenta come nella sentenza n. 303/2003  codesta
Corte abbia riconosciuto  che  rappresenta  principio  necessario  la
«compresenza nella legislazione di titoli abilitativi  preventivi  ed
espressi [permesso di costruire] e taciti, quale e' la Dia». 
    Ma naturalmente altro e' la  previsione  di  siffatto  principio,
altro e' la pretesa statuale di disciplinare nei minimi dettagli  gli
aspetti procedimentali di tali  titoli,  incluso  -  con  riferimento
specifico alla Dia - la regola  che  stabilisce  dopo  quanti  giorni
dalla presentazione della segnalazione (nessuno, in questo  caso)  e'
possibile iniziare l'attivita'. 
    E' chiaro infatti, che in questo modo, il legislatore statale non
si limita a fissare regole di principio, ma interviene a disciplinare
i dettagli della materia. 
    Nell'imporre non solo la Dia - ora Scia - in luogo  del  permesso
edilizio, ma nel disciplinare le modalita'  stesse  di  funzionamento
della Scia, il momento nel quale il «segnalante» puo'  realizzare  il
progetto (piu' che iniziare  una  attivita',  come  la  denominazione
dovrebbe far pensare), nel disciplinare  i  tempi  ed  i  limiti  del
potere  o  dovere  di  controllo  dell'amministrazione  lo  Stato  ha
chiaramente superato i  limiti  della  propria  potesta'  legislativa
concorrente di principio in materia di governo del  territorio,  come
posta dalla Costituzione e precisata dalla giurisprudenza di  codesta
ecc.ma Corte costituzionale (v. da ultimo sentenza n. 278  del  2010,
ove si accerta  che  spetta  alle  Regioni,  e  non  allo  Stato,  di
disciplinare i casi  nei  quali  strutture  residenziali  mobili  nei
campeggi possono essere realizzate senza alcun adempimento). 
    Di qui, una prima ragione di  illegittimita'  per  contrasto  con
l'art. 117, comma 3, Cost. 
    Sotto altro profilo, si deve poi osservare come l'estensione alla
Dia  edilizia  della  facolta'  di  immediato  inizio  dell'attivita'
(prevista al comma  2  del  novellato  art.  19  legge  n.  241/1990)
determini ulteriori criticita',  in  considerazione  della  peculiare
materia cui si riferisce. 
    La  questione  attiene  in  particolare  all'ipotesi  in  cui  un
soggetto inizi l'attivita' pur in assenza dei presupposti  di  legge:
sulla base di  una  Scia  che  contiene  false  dichiarazioni  o  che
comunque e' altrimenti errata. 
    Ferma restando la rivendicazione  della  competenza  regionale  a
dispone in materia, nei settori  commerciali  l'immediato  inizio  di
attivita' - pur in assenza dei presupposti  richiesti  -  non  appare
particolarmente  grave.   Nella   normalita'   dei   casi,   infatti,
l'attivazione del potere inibitorio e di  rimozione  degli  eventuali
effetti dannosi medio  tempore  prodotti  (art.  19,  comma  3)  puo'
risultare idoneo (perlomeno astrattamente) a tutelare  gli  interessi
protetti dalle normative che prevedono il previo  titolo  abilitativo
(sostituito dalla Scia): dal momento che si  tratta  di  settori  nei
quali le attivita' svolte, in linea di principio, non  appaiono  tali
da determinare effetti irreversibili. 
    Discorso completamente diverso vale, invece, con riferimento alla
Dia edilizia. L'attivita' edilizia infatti, per sua natura, determina
immediatamente una materiale - e  potenzialmente  assai  rilevante  -
alterazione del territorio. 
    E' pur vero che, a seguito dell'intervento  dell'amministrazione,
gli interventi potrebbero essere fisicamente rimossi e la  situazione
pregressa ripristinata. 
    Tale ripristino, tuttavia, non sempre e' possibile: sia sotto  il
profilo materiale (si veda al riguardo quanto disposto dall'art.  33,
comma 2, d.P.R. n. 380/2001, il quale  espressamente  si  occupa  dei
profili sanzionatori di opere abusive in relazione alle quali non sia
possibile il ripristino dello stato dei luoghi) sia per gli eccessivi
costi che il ripristino potrebbe comportare. 
    Ne' si dica - con riferimento a tale ultima ipotesi  -  che  tali
oneri ricadrebbero comunque necessariamente sui privati  trasgressori
che hanno dato inizio alla attivita' di trasformazione in assenza dei
presupposti. 
    E'  infatti  possibile  (soprattutto  nel  caso   di   interventi
complessi e costosi) che questi non abbiano le risorse per provvedere
al ripristino. Si pensi al caso di una societa' che - in  conseguenza
dell'elevato  costo  del  ripristino  -  fallisca  (o  venga   «fatta
fallire», per evitare l'esborso). In tali ipotesi, la possibilita' di
dare reale seguito alla «rimozione degli effetti dannosi» si verrebbe
oltremodo complicando. 
    Ma anche al di fuori  di  siffatta  eventualita',  il  meccanismo
dell'esecuzione in danno rappresenta comunque una soluzione che -  in
sede pratica - si presenta di disagevole attivazione. 
    Del resto, sono ben note e rientrano  nell'esperienza  comune  le
enormi difficolta' - ed i costi - che le  Amministrazioni  incontrano
nell'ottenere la demolizione degli intereventi abusivi. 
    In tale contesto e' importante  sottolineare  come,  ai  fini  di
quanto si viene dicendo, sia del tutto irrilevante la circostanza che
gli interventi abusivamente eseguiti  in  assenza  o  in  difformita'
dalla Dia siano sottoposti - in linea generale (e salvo eccezioni)  -
alla sola  sanzione  pecuniaria  ai  sensi  dell'art.  37  d.P.R.  n.
380/2001. 
    In primo luogo, infatti, si osserva come  il  tempestivo  impiego
del potere inibitorio da parte  delle  amministrazioni  comunali  era
comunque in grado di prevenire in radice  la  commissione  dell'abuso
(cosa naturalmente preferibile  rispetto  alla  misura  sanzionatoria
successiva) anche con riferimento a tipologie  di  interventi  che  -
ancorche'  non  consentite  nel  caso  concreto  -  fossero  comunque
astrattamente riconducibili all'ambito di applicabilita' della Dia. 
    Ma, soprattutto, l'uso preventivo del potere  inibitorio  era  in
grado di impedire il verificarsi dell'eventualita' - ben piu' grave -
in cui il privato presentasse una Dia per realizzare  interventi  che
avrebbero invece richiesto il rilascio del permesso di  costruire  (e
che tuttavia non lo avrebbero concretamente potuto conseguire per  il
contrasto con la disciplina - normativa o di piano - di riferimento).
In  tali  casi,  le  amministrazioni  comunali  erano  in  grado   di
intervenire bloccando l'esecuzione del lavori prima dell'inizio della
loro esecuzione, mentre cio' non  sarebbe  ora  piu'  possibile:  con
tutti  i  conseguenti  problemi  di  cui  s'e'  detto  (ivi  compresa
l'impossibilita' - in determinati casi - di disporre la rimessione in
pristino: cfr. il citato art. 33, comma 2, d.P.R. n. 380/2001). 
    Su queste premesse, e' chiaro che la  totale  eliminazione  della
possibilita' delle amministrazioni (virtuose) di  operare  un  seppur
rapido esame preventivo dei  progetti,  allo  scopo  di  impedire  in
radice la realizzazione degli abusi, appare non solo  una  violazione
della competenza regionale, ma anche una violazione del principio  di
ragionevolezza  e  di  buon  andamento  dell'amministrazione  di  cui
all'art. 97, comma primo, Cost.: una violazione  che  la  Regione  e'
legittimata ad impugnare in quanto essa si traduce in una limitazione
della propria potesta' legislativa. 
    D'altronde, le evidenti specificita' del settore erano la ragione
per la quale il legislatore del 2005 - nel sostituire  alla  denuncia
la dichiarazione di inizio attivita' con  la  previsione  di  diverse
regole di carattere generale, ritenute  applicabili  anche  alla  Dia
edilizia  (si  pensi  ad  esempio,  alla  previsione  del  potere  di
autotutela) - aveva pero' opportunamente ritenuto di mantenere alcune
peculiarita'  della  Dia  edilizia,  stabilendo  in  particolare  che
«restano ferme le disposizioni di legge vigenti che prevedono termini
diversi da quelli di cui ai commi 2 e 3 per l'inizio dell'attivita' e
per  l'adozione   da   parte   dell'amministrazione   competente   di
provvedimenti  di  divieto  di  prosecuzione  dell'attivita'   e   di
rimozione dei suoi effetti» (vecchio art. 19, comma 4). 
    Del  tutto  irragionevolmente,  la  disposizione  qui   censurata
elimina  tale  clausola  di  salvezza:  spogliando  la   tutela   del
territorio di questa - pur tenue - forma di tutela. In tal modo, essa
determina un inammissibile sbilanciamento  a  favore,  apparentemente
(ma si veda quanto si dira' subito di seguito), dell'interesse ad una
rapida (rectius immediata) definizione  delle  procedure  abilitative
edilizie: ma  sacrificando  in  misura  del  tutto  irragionevole  ed
ingiustificata - ed evidentissima -  le  esigenze  della  tutela  del
territorio nonche' quelle organizzative delle stesse  amministrazioni
cui e' affidato il potere di verifica: le quali - in un  contesto  in
cui le notorie  e  crescenti  difficolta'  di  bilancio  dello  Stato
impongono  sempre  maggiori  tagli  alle  risorse  e  restrizioni  di
personale - si vedranno  costrette,  con  i  sempre  minori  mezzi  a
disposizione, ad «inseguire i cantieri» che potrebbero spuntare da un
giorno all'altro sull'intero territorio comunale. 
    Per non dire, poi, dell'interesse dei terzi che  si  vedano  lesi
dall'attivita' costruttiva: la cui posizione - gia'  tradizionalmente
sofferta, come  ben  noto,  in  materia  di  Dia  edilizia  -  verra'
ulteriormente pregiudicata. 
    D'altra parte, come accennato, non e' nemmeno del tutto certo che
la novella qui  contestata  vada  realmente  nel  senso  di  tutelare
l'effettivo interesse del costruttore. 
    Chi realizza  un  intervento  edilizio,  infatti,  ha  certamente
interesse a conoscere in tempi rapidi e certi se puo' o non puo' dare
corso a tale intervento. Ma altrettanto certamente  ha  interesse  ad
operare in quadro di regole sicure: conoscendo in anticipo se  quanto
sta realizzando e' o non e' conforme a diritto. 
    Sotto tale profilo, l'immediato inizio  dei  lavori  accentua  il
rischio che quanto e' in corso di realizzazione venga in  seguito  ad
incorrere nell'esercizio (ora solo successivo) del potere inibitorio.
Con esiti potenzialmente in  grado  di  danneggiare  tutte  le  parti
interessate: sia l'amministrazione ed il terzo (che  si  troverebbero
fisicamente  di  fronte  ad  opere  gia'  realizzate  e  delle  quali
dovrebbero preoccuparsi di ottenere la  demolizione)  che  lo  stesso
costruttore, che si vede l'intervento bloccato in corso d'opera,  con
enorme aumento dei costi. 
    Per tale via,  il  pesante  sacrificio  che  viene  imposto  agli
interessi  contrapposti  di  cui  s'e'  detto,  non   viene   nemmeno
bilanciato da un risolutivo vantaggio  a  favore  dell'interesse  del
costruttore. 
    Per le ragioni fin  qui  esposte,  il  nuovo  art.  19  legge  n.
241/1990,  come  modificato  dall'art.  49,  comma  4-bis,  legge  n.
122/2010, appare costituzionalmente illegittimo nel  suo  comma  2  -
nella parte in cui prevede la possibilita'  di  iniziare  l'attivita'
costruttiva alla data della presentazione della  segnalazione  (senza
prevedere una  clausola  di  salvezza  per  le  diverse  disposizioni
previste per la Dia edilizia) - per contrasto con l'art. 3 Cost.  per
violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalita',  e  con
l'art.  97  Cost.,  per  violazione  del  principio  buon   andamento
dell'attivita' amministrativa. 
    Nella misura in cui interferisce con i  poteri  di  controllo  di
comuni e regioni sull'attivita' edilizia, la disposizione e' altresi'
illegittima per violazione degli artt. 114 e 118 Cost. 
    Per opportuna completezza, si noti come la previsione che  si  e'
appena effettuata -  circa  gli  effetti  che  la  Scia,  cosi'  come
disciplinata dalle contestate  disposizioni,  avrebbe  sul  «sistema»
edilizio - non sia il frutto di una visione  pessimistica  o  di  uno
strumentale allarmismo. 
    Essa rappresenta invece la logica conseguenza della presa  d'atto
che (sotto il profilo che qui  rileva)  la  Scia  non  fa  altro  che
estremizzare gli effetti di un sistema - quello della Dia -  che  nel
corso di un ventennio ha gia' dato cattiva prova  di  se',  palesando
rilevanti  limiti  e  determinando  oggettivi  problemi   di   tenuta
complessiva,  che  gli  addetti  ai  lavori  (giuristi  e  non)   ben
conoscono. 
    Tal difficolta' «sistemiche» emergono con chiarezza dalla lettura
degli innumerevoli contributi dottrinali in tema di Dia. 
    Ma esse sono state messe bene in luce anche dalla giurisprudenza. 
    A tale riguardo, sia consentito riportare alcuni brevi  passi  di
una pronuncia del Giudice amministrativo (Tar  Lombardia,  Milano,  7
luglio 2004, n. 3086), il quale - abbandonando per un istante la mera
valutazione del caso sottoposto alla sua attenzione -  svolge  alcune
significative considerazioni piu' generali sulla tenuta  del  sistema
Dia. 
    Osserva dunque il Tar come «la formula D.I.A., se, da una  parte,
semplifica il procedimento amministrativo  a  tutto  vantaggio  degli
amministratori e tecnici dell'amministrazione comunale (non certo  di
chi viene leso), dall'altra, finisce per paralizzare la stessa tutela
giurisdizionale. Questa viene .... 
        a)  attivata  necessariamente  ad  opere  iniziate   (ed   e'
difficile supporre il contrario), 
        b) a volte, "frenata" dal mancato accesso agli atti (cosi' e'
avvenuto anche nel caso in esame), 
        c)  forzatamente  gestita  da  una  struttura,   notoriamente
penalizzata da una cronica carenza di organico (dei magistrati e  del
relativo personale amministrativo), senza considerare che ...... 
        d) proprio quei magistrati (che non  ritengono  di  cavarsela
con la "non impugnabilita' della DIA") sono spesso costretti  a  fare
quello che, nei 20 gg. dalla presentazione della DIA, non hanno fatto
varie migliaia  di  soggetti  dei  vari  Comuni,  che  rientrano  nel
territorio di competenza giudiziaria, responsabili del  procedimento,
professionisti, impiegati  di  vario  livello  e  funzioni)»  (enfasi
originarie). 
    Tutto  cio',  in  un  contesto  in  cui   «la   normativa   sulle
asseverazioni di rito (comma 12 dell'art. 4 della legge n. 493/93) ha
dato piena fiducia al professionista qualificato, affinche', a  spese
del privato interessato, svolga la pubblica funzione di attestare  la
conformita' dell'opera, ma l'andazzo comportamentale di sottovalutare
il dovere (comma 15 dello stesso articolo) di  denunciare  le  "false
dichiarazioni" asseverate e di  mandare  esenti  dal  rischio  di  un
giudizio penale chi avesse abusato della fiducia attribuitagli  dalla
legge, incrina esso stesso il sistema DIA» (Tar Lombardia, Milano,  7
luglio 2004, n. 3086, cit.). 
    In  tale  sconfortante  quadro,   il   legislatore   -   anziche'
intervenire per cercare di porre gli opportuni correttivi - ha deciso
all'opposto di rendere ancora piu'  squilibrata  la  Dia  (ora  Scia)
edilizia:  rimuovendo  anche  quella  tenue  garanzia   rappresentate
dall'inizio differenziato dei lavori. 
    Le considerazioni dinanzi  esposte  sono  destinate  ad  assumere
ancora maggiore  valenza  ove  si  condivida  quell'orientamento  che
ritiene la Scia applicabile in materia edilizia  al  posto  non  solo
della Dia «normale», ma anche della c.d. «super-dia», di cui all'art.
22, comma 3, d.P.R. n. 380/2001. 
    Il che aumenterebbe l'impatto gia' problematico dell'istituto. 
    Risultano  dunque  ancor  di  piu'  accentuati   i   profili   di
incostituzionalita' dinanzi indicati. 
    Il comma  4-ter  qui  impugnato  stabilisce,  come  si  e'  sopra
ricordato, che: a) la disciplina della Scia, nella sua  integralita',
attiene  alla  tutela  della  concorrenza   e   costituisce   livello
essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e  sociali,
ai sensi dell'art. 117, comma  2,  lett.  e)  ed  m),  Cost.;  b)  la
medesima disciplina  «sostituisce  direttamente  [...]  quella  della
dichiarazione di inizio attivita' recata da ogni normativa statale  e
regionale». 
    L'indicazione dei pretesi  «titoli»  della  disciplina,  e  degli
effetti sulla normativa precedente, anche di fonte  regionale,  rende
palese  l'intendimento  del  legislatore  statale  di   dettare   una
normativa completa, autosufficiente, non derogabile  dai  legislatori
locali. Ma cio' ne determina l'illegittimita' costituzionale. 
    Premesso che la autoqualificazione operata dal legislatore non e'
vincolante  (sentt.  nn  .387/2007,  207/2010),  e'   da   contestare
anzitutto che la disciplina  sulla  Scia  attenga  effettivamente  ai
«livelli  essenziali  delle  prestazioni»  di  cui  alla  lettera  m)
dell'art. 117, comma 2, Cost. 
    La giurisprudenza costituzionale  ha  in  effetti  precisato,  in
positivo, che la lettera m)  consente  allo  Stato  solo  di  fissare
«standard strutturali e qualitativi delle  prestazioni  da  garantire
agli  aventi  diritto»  (sentt.  nn.  10/2010,  207/2010).   Con   le
disposizioni  sulla  conferenza  di  servizi  e  sulla  Scia  non  si
stabilisce invece  alcuno  standard  quantitativo  o  qualitativo  di
prestazioni determinate, attinenti a questo o a quel «diritto» civile
o sociale garantito dalla stessa Costituzione (sentenze nn.  387/2007
e 10/2010). 
    Al contrario, viene regolato in  un  certo  modo  lo  svolgimento
della   attivita'   amministrativa,   in   settori   vastissimi    ed
indeterminati, alcuni di indiscutibile competenza regionale, quali il
governo del territorio, la tutela della salute,  l'ordinamento  degli
uffici  regionali,  l'artigianato,  il  turismo,  il  commercio  ...,
materie spettanti alla Regione in forza dell'art. 117, commi  3  e  4
Cost. 
    Con cio' pero' si violano le norme costituzionali citate, per cui
la disciplina delle funzioni amministrative di regola  non  puo'  che
spettare  allo  Stato  o  alla  Regione  secondo  il  riparto   delle
competenze per materia.  Ed  e'  evidente  che  lo  Stato  non  puo',
semplicemente appellandosi alla fissazione  dei  livelli  essenziali,
riservarsi la regolamentazione  di  interi  settori  materiali:  come
codesta ecc.ma Corte costituzionale ha espressamente escluso  con  la
sentenza n. 371/2008). 
    Giova poi ricordare un altro  punto  fermo  della  giurisprudenza
della Corte sui  «livelli  essenziali  delle  prestazioni».  Essa  ha
costantemente  censurato  la  confusione   -   spesso   operata   dal
legislatore  (per  ragioni  che  e'  facile  comprendere)  -  tra  la
determinazione dei livelli delle prestazioni, e la  disciplina  delle
posizioni soggettive degli amministrati. La distinzione e' in effetti
assolutamente necessaria:  se  non  fosse  operata,  posto  che  ogni
diritto o interesse implica un qualche  comportamento  altrui  (anche
solo  omissivo),  la  competenza  sulla  materia  della  lettera   m)
dell'art. 117 Cost. consentirebbe  allo  Stato  qualunque  intervento
conformativo di qualunque posizione soggettiva in  qualunque  materia
regionale. Il che non puo' essere, e  non  e'.  Con  la  sentenza  n.
387/2007 la  Corte  ha  escluso  che  il  diritto  della  persona  di
scegliere  la  struttura  di  cura  possa  costituzionalmente  essere
qualificato dal legislatore «livello essenziale  delle  prestazioni»:
in modo molto efficace, la sentenza sottolinea come  «l'inquadramento
della liberta' di scelta nell'ambito normativo dell'art. 117, secondo
comma, lettera m), Cost., non solo e' concettualmente  inappropriato,
ma comporta conseguenze lesive dell'autonomia  regionale,  in  quanto
consente il superamento dei confini tra principi  fondamentali  della
materia, riservati alla legislazione dello  Stato,  e  disciplina  di
dettaglio, riservata alle Regioni, tipici della competenza  ripartita
di  cui  al  terzo  comma  dell'art.  117  Cost.,  nel   cui   ambito
indubbiamente ricade la normativa de qua,  volta  alla  tutela  della
salute». 
    Assai significativa sul punto e' anche la sentenza  n.  271/2005,
la quale, con riguardo alla legislazione sulla  protezione  dei  dati
personali,  ha  ritenuto  «improprio  [...]   il   riferimento   alla
competenza esclusiva  dello  Stato  in  tema  di  determinazione  dei
livelli  essenziali  delle  prestazioni»,  dal   momento   che   tale
legislazione «non concerne prestazioni, bensi' la  stessa  disciplina
di  una  serie  di  diritti  personali  attribuiti  ad  ogni  singolo
interessato, consistenti nel potere di  controllare  le  informazioni
che lo riguardano e le modalita' con cui  viene  effettuato  il  loro
trattamento».  Ebbene:  proprio   la   «confusione»   tra   posizione
soggettiva  degli  amministrati  e   prestazione   si   trova   nelle
disposizioni legislative qui censurate sulla Scia. 
    In effetti, le disposizioni  censurate  non  definiscono  affatto
«livelli essenziali» ai sensi della  lettera  m)  dell'art.  117;  al
contrario,  proprio  la  rigida  disciplina   della   Scia   potrebbe
determinare, in alcuni casi, una diminuzione dei  livelli  essenziali
delle   prestazioni   cui   hanno   diritto   persone    destinatarie
dell'attivita'  assentita  mediante  la   Segnalazione   certificata:
quando, ad esempio, in  conseguenza  delle  limitazioni  temporali  e
sostanziali alla attivita' di accertamento e controllo della pubblica
amministrazione che - senza  alcuna  considerazione  per  le  singole
realta' territoriali e organizzative - sono state poste dall'art. 19,
commi  3-4,  legge  n.  241/1990  (come  novellato  dal  comma  4-bis
dell'art. 49 d.l. n. 78), sia praticamente impedita la  verifica  del
rispetto di standard qualitativi di determinate prestazioni attinenti
ai diritti sociali. 
    La  ricorrente  non  contesta  che  alcuni  istituti  della  c.d.
«semplificazione amministrativa» (cui e' riconducibile la Scia,  come
vi era riconducibile la Dia) possano concretizzare o esprimere limiti
vincolanti per le potesta' legislative regionali; ma cio'  implica  e
richiede sempre una valutazione complessiva - alla luce del  tipo  di
potesta' legislativa coinvolta - di tutti gli interessi  che  vengono
in rilievo nella singola  materia/funzione  interessata,  valutazione
«concreta» soggetta al controllo della Corte; e il controllo,  a  sua
volta, per essere effettivo, non puo' che riguardare norme riferite a
ben individuati settori (v. ad es. la  sentenza  n.  336/2005,  punto
11.1 del Diritto, sulla conferenza di servizi prevista  dall'art.  87
del Codice  delle  comunicazioni  elettroniche:  «Tale  funzione  [di
semplificazione   procedimentale   e   di   snellimento   dell'azione
amministrativa,  propria  della  conferenza],  nel   contesto   dello
specifico  procedimento  in  esame  e  degli  interessi  allo  stesso
sottesi, consente di  ritenere  che  la  previsione  contenuta  nella
disposizione censurata sia espressione di un  principio  fondamentale
della legislazione»; v. anche la sentenza n. 182/2006,  punto  3  del
Diritto, e la sentenza n. 350/2008). 
    Per esemplificare, e'  del  tutto  normale  -  e  potrebbe  dirsi
persino costituzionalmente necessario - che il  punto  di  equilibrio
tra l'interesse del  singolo  ad  iniziare  quanto  prima  una  certa
attivita', e l'esercizio del  potere-dovere  dell'amministrazione  di
tutelare  secondo  legge  gli  altri  interessi  toccati  da   quella
attivita', possa (o addirittura debba) essere diverso, a seconda  che
questi ultimi attengano al governo del territorio oppure alla  tutela
della salute o alla tutela del lavoro (il riferimento al governo  del
territorio e alla tutela della salute e del lavoro  non  e'  casuale,
evocando interessi che il comma 4-bis non prende in considerazione ai
fini della esclusione dall'ambito di operativita' della Scia). 
    Ancora: esigenze di semplificazione possono certo derivare  dalla
normativa comunitaria, vincolante per la Regione, ed  in  particolare
dalla direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno:
ma anche la normativa comunitaria e'  attenta:  a)  a  far  salva  la
peculiarita' dei singoli settori, ammettendo ad esempio che in taluni
casi la  autorizzazione  allo  svolgimento  di  certe  attivita'  sia
subordinata ad un «adeguato esame» sulla presenza  della  «condizioni
stabilite» per ottenerla (ad es. art. 10, par. 5); b) a far salvo  il
riparto delle competenze tra Stato, Regioni e minori enti locali  (ad
es., art. 10, par. 7). 
    Del resto, il d.lgs.  n.  59/2010,  di  attuazione  della  citata
direttiva (non abrogato dal d.l. n. 78)  dispone  che  «relativamente
alle materie oggetto di  competenza  concorrente,  le  regioni  e  le
province autonome di Trento  e  di  Bolzano  esercitano  la  potesta'
normativa nel rispetto  dei  principi  fondamentali  contenuti  nelle
norme del presente decreto» (art. 1, comma  4).  Lo  stesso  decreto,
poi, all'art. 84, e in dichiarata attuazione dell'art. 117, comma  5,
Cost., aggiunge che «nella misura  in  cui  incidono  su  materie  di
competenza  esclusiva  regionale   e   su   materie   di   competenza
concorrente, le disposizioni del presente decreto si  applicano  fino
alla data di entrata in vigore della normativa  di  attuazione  della
direttiva 2006/123/CE,  adottata  da  ciascuna  regione  e  provincia
autonoma  nel  rispetto  dei   vincoli   derivanti   dall'ordinamento
comunitario e  dei  principi  fondamentali  desumibili  dal  presente
decreto.». 
    Il comma 4-ter dichiara come  proprio  fondamento  costituzionale
anche la «tutela della  concorrenza»,  oltre  ai  livelli  essenziali
delle prestazioni. Ma esso, in realta', non  puo'  essere  ricondotto
nemmeno alla lettera e) dell'art. 117 Cost. 
    A parte la palese estraneita' a tale materia delle norme penali e
di quelle relative ai rimedi  giurisdizionali,  la  cui  adozione  la
Regione certo non rivendica, e' evidente la estraneita' alla  «tutela
della concorrenza» del comma in esame anche nelle parti  in  cui  non
riguarda attivita' imprenditoriali e professionali, e nelle parti  in
cui concerne (limitandoli) i poteri di controllo e  repressivi  delle
amministrazioni  preposte  alla  tutela  dei   molteplici   interessi
pubblici e privati, che sono  stati  presi  in  considerazione  dalle
singole leggi di settore quando  hanno  previsto  le  autorizzazioni,
licenze, pareri, nulla osta e simili. Con riferimento a queste ultime
norme limitatrici, anzi, la disposizione puo' avere l'effetto di  far
rimanere «sul mercato» imprese o  professionisti  con  requisiti  (in
senso  lato)  non  del  tutto  conformi  agli  schemi   legali,   con
conseguente alterazione  della  concorrenza  «leale»  tra  i  diversi
operatori. 
    Ma  anche  con  riferimento  alle  attivita'  imprenditoriali   e
professionali il comma 4-ter non e' espressione della  «tutela  della
concorrenza» nel senso della Costituzione,  come  interpretata  dalla
giurisprudenza  della  Corte.  Esso  non  riguarda  i  requisiti  per
l'accesso al mercato, o le condizioni  di  offerta  dei  beni  e  dei
servizi, o la parita' di trattamento tra gli operatori, o  misure  di
liberalizzazione  dei  mercati  (sentt.   nn.   401/2007,   431/2007,
452/2007, 326/2008): esso incide direttamente e principalmente  sullo
svolgimento   dell'attivita'   amministrativa    e    sui    relativi
procedimenti. 
    Si potrebbe al piu' affermare che la concorrenza e' agevolata dal
fatto che - riducendo i «tempi» per l'avvio di una  attivita'  (altro
discorso sarebbe comunque da fare per i «costi», se si considerassero
le necessarie «attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati»...)
-  un  soggetto  potrebbe  essere  indotto  ad  intraprendere  quella
attivita'. 
    Ma e' evidente che la decisione di  intraprendere  una  attivita'
dipende (anche) dall'insieme  della  normativa  (statale,  regionale,
europea, internazionale) che la riguarda, cosi' che l'effetto che  la
semplificazione  della  disciplina  ha  sulla  concorrenza  e'   solo
accessorio ed  indiretto;  e  la  Corte  insegna  che,  nei  casi  di
interferenza, ai fini della  riconduzione  di  una  legge  all'una  o
all'altra materia, occorre operare un giudizio di prevalenza  (v.  ad
es. sentenza n. 370/2003). Particolarmente significativa in proposito
e' la sentenza n. 430/2007, la quale, pur riconoscendo  che  la  c.d.
liberalizzazione della vendita  dei  farmaci  «da  banco»  incide  su
attivita' professionali  e  commerciali,  nel  quadro  di  una  legge
diretta ad  eliminare  vincoli  e  restrizioni  nell'esercizio  delle
attivita'  di  distribuzione  dei  medicinali,   ha   ricondotto   la
liberalizzazione, in applicazione del criterio della prevalenza, alla
materia concorrente della «tutela della salute»,  e  ha  saggiato  la
costituzionalita'  della   norma   impugnata   secondo   lo   statuto
costituzionale di questa materia, tenendo conto di tutta la normativa
di  settore  (nella  stessa  prospettiva  v.  anche  la  sentenza  n.
350/2008, per cui, in applicazione del criterio della  prevalenza,  i
centri di telefonia rientrano nella materia delle comunicazioni,  pur
toccando anche  aspetti  relativi  al  commercio,  ai  diritti  delle
persone, alla sicurezza dello Stato). 
    Infine, risulta illegittimo l'art. 49, comma 4-quater. 
    Esso prevede l'adozione da  parte  del  Governo  di  uno  o  piu'
regolamenti di delegificazione, aventi ad oggetto la  semplificazione
e la  riduzione  degli  «adempimenti  amministrativi  gravanti  sulle
piccole e medie imprese», con il «fine di promuovere lo sviluppo  del
sistema produttivo e la competitivita' delle  imprese».  La  assoluta
genericita' dell'oggetto dei  regolamenti  di  delegificazione  viene
«precisata» dai principi e  criteri  direttivi  che  sono  posti,  in
particolare da quelli  delle  lettere  a)  e  b):  si  osservera'  la
«proporzionalita' degli adempimenti amministrativi in relazione  alla
dimensione dell'impresa e  al  settore  di  attivita',  nonche'  alle
esigenze  di  tutela  degli   interessi   pubblici   coinvolti»;   si
elimineranno provvedimenti amministrativi, attestazioni,  adempimenti
e procedure - comunque essi siano denominati - quando «non  necessari
rispetto alla tutela  degli  interessi  pubblici  in  relazione  alla
dimensione dell'impresa ovvero alle attivita' esercitate». 
    Da queste «precisazioni»  risulta  che  il  potere  regolamentare
istituito ha ad oggetto ogni forma di disciplina  amministrativa  che
si riferisca alle «piccole e medie imprese».  E'  di  tutta  evidenza
pero' che le «piccole e medie imprese» possono essere  riguardate  da
una molteplicita' di punti di vista, in funzione degli interessi  che
di volta in volta vengono in rilievo, interessi che  gravitano  anche
in materie regionali: dal governo del territorio  alla  tutela  della
salute, dalla tutela e sicurezza del lavoro alla ricerca  scientifica
e  tecnologica  fini  al  sostegno  all'innovazione  per  i   settori
produttivi (art. 117, comma  3,  Cost.),  dal  turismo  al  commercio
all'industria (art. 117, comma 4). 
    Ebbene: la  norma  impugnata  dimentica  tutto  cio',  e  suppone
l'esistenza di una materia esclusiva  statale  dal  nome  «piccole  e
medie imprese», nella disciplina della  quale  lo  Stato  avrebbe  il
potere  di  valutare  ogni  interesse  pubblico  coinvolto,  potrebbe
intervenire con atti di natura regolamentare,  senza  nemmeno  alcuna
partecipazione regionale. 
    Vero e' che il comma 4-quater vincola il Governo al  rispetto  di
quanto previsto (tra gli altri) dall'art. 20 della legge  n.  59  del
1997, e che l'art. 20 al comma 2 limita la possibilita' di adottare i
regolamenti  solo  alle  norme  di  competenza  dello  Stato;  ma   -
testualmente - il comma 2 dell'art. 20 vale solo  per  i  regolamenti
previsti dalla legge annuale per la semplificazione  e  il  riassetto
normativo, mentre l'impugnato  comma  4-quater  e'  norma  del  tutto
slegata da quel tipo di legge. 
    Inoltre, anche in considerazione dei criteri  direttivi,  non  si
vede in quale materia di competenza statale potrebbero intervenire  i
regolamenti, senza coincidere con le materie di competenza regionale. 
    Ne', a giustificare la norma, varrebbe  appellarsi  alla  «tutela
della concorrenza»: come si e' argomentato sopra al in  relazione  al
comma 4-ter, l'effetto che la semplificazione ha sulla  tutela  della
concorrenza e' solo indiretto e marginale,  senza  trascurare  che  -
mancando nel comma impugnato altre piu' specifiche indicazioni - esso
non supera il test della necessita' e  della  proporzionalita'  della
misura rispetto al fine perseguito, come  invece  sarebbe  necessario
secondo la giurisprudenza della Corte, affinche' non  siano  svuotare
del tutto le competenze regionali. 
    Il comma 4-quater e' quindi illegittimo per violazione  dell'art.
117, commi 3, 4, 6, nonche' del principio  di  leale  collaborazione,
nella  parte  in   cui   prevede   l'adozione   di   regolamenti   di
delegificazione in materie di competenza regionale. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale accogliere il ricorso,
dichiarando  l'illegittimita'  costituzionale  del  decreto-legge  31
maggio  2010,  n.  78,  recante  Misure   urgenti   in   materia   di
stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'    economica,
convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio  2010,  n.  122,
nelle parti, nei termini .e sotto  i  profili  esposti  nel  presente
ricorso. 
        Padova-Roma, addi' 27 settembre 2010 
      
 
          Prof. Avv. Giandomenico Falcon - Avv. Luigi Manzi