N. 107 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 7 ottobre 2010
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 7 ottobre 2010 (della Regione Puglia). Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Economie negli Organi costituzionali, di governo e negli apparati politici - Importi corrispondenti alle riduzioni di spesa che verranno deliberate dalle Regioni, con riferimento ai trattamenti economici indicati nell'art. 121 della Costituzione - Riassegnazione al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato - Lamentata imposizione di un vincolo specifico di destinazione degli eventuali risparmi di spesa - Ricorso della Regione Puglia - Denunciata lesione della potesta' legislativa residuale della Regione in materia di organizzazione interna e del personale, della potesta' statutaria in ordine alla determinazione dei principi fondamentali di organizzazione e funzionamento della Regione, lesione dell'autonomia finanziaria di spesa regionale. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 5, comma 1. - Costituzione, artt. 117, comma quarto, 119, e 123, primo comma. Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Economie negli Organi costituzionali, di governo e negli apparati politici - Riduzione del rimborso a favore dei movimenti o partiti politici in relazione alle spese elettorali sostenute in occasione del rinnovo dei consigli regionali - Lamentata modifica della disciplina contenuta nella legge n. 157 del 1999, non piu' modificabile dallo Stato, nei confronti delle Regioni, dopo le riforme costituzionali in materia elettorale, ovvero in subordine introduzione di norme di dettaglio - Ricorso della Regione Puglia - Denunciata lesione dell'autonomia legislativa regionale in materia di disciplina elettorale. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 5, comma 4. - Costituzione, artt. 117, comma quarto, e 122, primo comma; legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1; legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Economie negli Organi costituzionali, di governo e negli apparati politici - Incarichi conferiti dalle pubbliche amministrazioni ai titolari di cariche elettive, inclusa la partecipazione ad organi collegiali - Previsione che diano luogo esclusivamente al rimborso delle spese sostenute e che eventuali gettoni di presenza non possano superare l'importo di 30 euro a seduta - Lamentata previsione di disciplina esaustiva ed autoapplicativa in materia di spettanza regionale, ovvero in subordine, imposizione di vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa, eccedenti i principi fondamentali - Ricorso della Regione Puglia - Denunciata violazione della competenza legislativa residuale della Regione nella materia dell'organizzazione amministrativa e dell'ordinamento del personale, violazione della competenza legislativa regionale nella materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica, lesione dell'autonomia finanziaria regionale. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 5, comma 5. - Costituzione, artt. 117, commi terzo e quarto, e 119. Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Economie negli Organi costituzionali, di governo e negli apparati politici - Divieto di attribuzione di retribuzioni, gettoni, indennita' o emolumenti in qualsiasi forma percepiti, a favore degli amministratori delle comunita' montane e delle unioni di comuni e comunque delle forme associative di enti locali aventi per oggetto la gestione di servizi e funzioni pubbliche - Lamentata ingerenza statale in relazione alle comunita' montane e alle unioni di comuni, nonche' imposizione di vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa, eccedenti i principi fondamentali - Ricorso della Regione Puglia - Denunciata violazione della competenza legislativa residuale della Regione in materia di comunita' montane e unioni di comuni, violazione della competenza legislativa regionale nella materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica, lesione dell'autonomia finanziaria regionale. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 5, comma 7, ultimo periodo. - Costituzione, artt. 117, commi terzo e quarto, e 119. Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Riduzione dei costi degli apparati amministrativi - Misure di vario contenuto volte al contenimento della spesa pubblica, quali la puntuale riduzione della spesa annua per studi ed incarichi di consulenza, riduzione di spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicita' e rappresentanza, divieto di sponsorizzazioni, riduzione di spese per missioni, formazione e auto - Definizione delle predette quali disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica - Accantonamento, a decorrere dal 2011, di una quota pari al 10 per cento dei trasferimenti erariali di cui all'art. 7 della legge 15 marzo 1997, n. 59, a favore delle regioni a statuto ordinario, per essere successivamente destinata alle regioni medesime che abbiano attuato quanto stabilito dall'art. 3 del d.l. n. 2 del 2010, convertito con la legge n. 42 del 2010, e che aderiscano volontariamente alle riduzioni di spesa - Lamentata imposizione di vincoli puntuali - Ricorso della Regione Puglia - Denunciata violazione della competenza legislativa regionale nella materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica, lesione dell'autonomia finanziaria regionale. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 6, comma 20, primo e secondo periodo, in relazione ai commi 7, 8, 9, 12, 13 e 14. - Costituzione, artt. 117, comma terzo, e 119. Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Riduzione dei costi degli apparati amministrativi - Accantonamento, a decorrere dal 2011, di una quota pari al 10 per cento dei trasferimenti erariali di cui all'art. 7 della legge 15 marzo 1997, n. 59, a favore delle regioni a statuto ordinario, per essere successivamente destinata alle regioni medesime che abbiano attuato quanto stabilito dall'art. 3 del d.l. n. 2 del 2010, convertito con la legge n. 42 del 2010, e che aderiscano volontariamente alle riduzioni di spesa - Prevista attuazione con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia, sentita la Conferenza Stato-Regioni - Lamentata natura sostanzialmente regolamentare dell'atto e previsione del parere in luogo dell'intesa - Ricorso della Regione Puglia - Denunciata violazione della potesta' regolamentare della Regione, lesione del principio di leale collaborazione. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 6, comma 20, terzo periodo. - Costituzione, artt. 117, comma sesto, e 118. Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Contenimento delle spese in materia di impiego pubblico - Divieto per Regioni, enti regionali, enti locali, per il triennio 2011-2013, di incrementare le risorse destinate al trattamento accessorio del personale anche di livello dirigenziale rispetto agli importi stanziati per l'anno 2010 - Lamentata natura di dettaglio della norma, laddove lo Stato potrebbe dettare solo vincoli di carattere generale e complessivo - Ricorso della Regione Puglia - Denunciata violazione della competenza legislativa regionale nella materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica, violazione dell'autonomia finanziaria della Regione. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 2-bis. - Costituzione, artt. 117, comma terzo, e 119. Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Contenimento delle spese in materia di impiego pubblico - Obbligo per le Regioni e gli enti del Servizio sanitario nazionale di ridurre del 50 per cento la spesa sostenuta nell'anno 2009 per il personale a tempo determinato o utilizzato con convenzioni o con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, per i contratti di formazione-lavoro, i rapporti formativi, la somministrazione di lavoro e il lavoro accessorio - Previsione che le disposizioni predette costituiscano principi generali ai fini del coordinamento della finanza pubblica - Lamentata introduzione di puntuali e dettagliate limitazioni a singole voci di spesa - Ricorso della Regione Puglia - Denunciata esorbitanza dello Stato dalla competenza legislativa nella materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica, violazione dell'autonomia finanziaria della Regione. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 28. - Costituzione, artt. 117, comma terzo, e 119. Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Contenimento delle spese in materia di impiego pubblico - Societa' non quotate, inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, controllate direttamente o indirettamente dalle amministrazioni pubbliche - Obbligo di adeguamento delle politiche assunzionali alle disposizioni introdotte per le amministrazioni pubbliche - Lamentata imposizione di vincoli puntuali di spesa ad enti differenti rispetto a quelli sui quali lo Stato dispone della competenza legislativa - Ricorso della Regione Puglia - Denunciata esorbitanza dello Stato dalla competenza esclusiva in materia di organizzazione degli enti pubblici nazionali, violazione della competenza legislativa regionale nella materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica e della competenza residuale in materia di societa' partecipate da Regioni ed enti locali, lesione dell'autonomia finanziaria della Regione. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 29. - Costituzione, artt. 117, commi secondo, lett. g), terzo e quarto, e 119. Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Contenimento delle spese in materia di impiego pubblico - Possibilita' di trattenimenti in servizio del personale solo entro i limiti delle facolta' assunzionali consentiti in base alle cessazioni del personale - Conseguente proporzionale riduzione delle risorse destinabili alle nuove assunzioni per un importo pari al trattamento retributivo destinato ai dipendenti trattenuti in servizio - Ricorso della Regione Puglia - Denunciata violazione della competenza residuale nella materia organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti locali, esorbitanza dello Stato dalla competenza legislativa nella materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica, violazione dell'autonomia finanziaria della Regione. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 31. - Costituzione, artt. 117, commi terzo e quarto, e 119. Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Contenimento delle spese in materia di impiego pubblico - Enti di nuova istituzione - Limitazioni alle assunzioni, per la durata di un quinquennio, secondo un piano sottoposto ad approvazione statale - Lamentata imposizione di vincoli puntuali di spesa e giuridici ad enti differenti rispetto a quelli sui quali lo Stato dispone della competenza legislativa - Ricorso della Regione Puglia - Denunciata violazione della competenza residuale nella materia dell'organizzazione amministrativa degli enti pubblici regionali e locali, esorbitanza dello Stato dalla competenza legislativa esclusiva in materia di organizzazione degli enti pubblici nazionali e dalla competenza nella materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica, violazione dell'autonomia finanziaria della Regione, violazione del principio di sussidiarieta'. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 36. - Costituzione, artt. 117, commi secondo, lett. g), terzo e quarto, 118, commi primo e secondo, e 119. Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Patto di stabilita' interno - Divieto assoluto agli enti nei quali l'incidenza delle spese di personale e' pari o superiore al 40% delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale, possibilita' per i restanti enti di procedere ad assunzioni nel limite del 20% della spesa corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente - Lamentata imposizione di vincoli di spesa puntuali e non transitori - Ricorso della Regione Puglia - Denunciata violazione della competenza regionale residuale in materia di organizzazione e personale, violazione dell'autonomia amministrativa, violazione della competenza regionale nella materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica, violazione dell'autonomia finanziaria della Regione. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 14, comma 9, sostitutivo dell'art. 76, comma 7, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito nella legge 6 agosto 2008, n. 133. - Costituzione, artt. 117, commi terzo e quarto, 118, primo comma, e 119. Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Patto di stabilita' interno - Regioni che abbiano certificato il mancato rispetto del patto di stabilita' interno relativamente all'esercizio finanziario 2009 - Obbligo imposto alla Giunta o al Consiglio di annullare gli atti adottati durante i dieci mesi antecedenti alla data di svolgimento delle elezioni regionali, con i quali e' stata assunta la decisione di violare il patto di stabilita' interno - Revoca di diritto di tutti gli incarichi e contratti di lavoro, con esclusione di indennizzo - Lamentata imposizione di misure sanzionatorie puntuali e specificamente riferite a singoli atti e voci di spesa non necessariamente collegati in concreto con il mancato rispetto del patto di stabilita' - Ricorso della Regione Puglia - Denunciata violazione della competenza regionale residuale in materia di organizzazione e personale, violazione dell'autonomia amministrativa, violazione della competenza regionale nella materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica, violazione dell'autonomia finanziaria della Regione, irragionevolezza e arbitrarieta', violazione dei principi di imparzialita' e buon andamento dell'amministrazione. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 14, commi 19, 20 e 21. - Costituzione, artt. 3, 97, 117, commi terzo e quarto, 118, primo comma, e 119. Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Patto di stabilita' interno - Riconoscimento della qualifica di «funzioni fondamentali dei comuni» alle funzioni amministrative indicate nell'art. 21, comma 3, della legge n. 42 del 2009 - Lamentato effetto di attribuire alla competenza esclusiva dello Stato anche funzioni "amministrativo-gestionali" o comunque di funzioni volte alla cura concreta di interessi - Ricorso della Regione Puglia - Denunciata esorbitanza dello Stato dalla competenza legislativa esclusiva in materia di organi di governo e funzioni fondamentali dei Comuni, violazione dei principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza, lesione della competenza legislativa regionale. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 14, comma 27. - Costituzione, artt. 117, commi secondo, lett. p), terzo e quarto, e 118, comma secondo. Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Istituzione nel Meridione d'Italia di zone a burocrazia zero - Vantaggi a favore delle «nuove iniziative produttive» - Lamentata applicazione generalizzata, con possibilita' di incidenza in ambiti materiali di competenza regionale - Ricorso della Regione Puglia - Denunciata violazione della competenza legislativa concorrente e residuale della Regione, violazione dei principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 43. - Costituzione, artt. 117, commi terzo e quarto, e 118, commi primo e secondo. Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Zone a burocrazia zero nel Meridione d'Italia - Istituzione mediante decreto del Presidente del Consiglio dei ministri - Omessa previsione dell'intesa con la Regione - Ricorso della Regione Puglia - Denunciata violazione della competenza legislativa concorrente e residuale della Regione, violazione dei principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 43, comma 2. - Costituzione, artt. 117, commi terzo e quarto, e 118, primo comma. Regioni (in genere) - Amministrazione pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Dissenso fra Stato e Regione in sede di conferenza dei servizi - Possibilita' di superare il mancato raggiungimento dell'intesa con deliberazione del Consiglio dei ministri - Lamentata allocazione di funzioni amministrative ad un livello superiore in modo generalizzato e astratto, introduzione di un potere sostitutivo statale al di fuori dei limiti costituzionali, possibilita' di incidenza in ambiti materiali di competenza regionale - Ricorso della Regione Puglia - Denunciata lesione delle competenze legislative e amministrative della Regione, lesione del principio di leale collaborazione. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 49, comma 3, lett. b), che modifica i commi 3, 3-bis, 3-ter, 3-quater dell'art. 14-quater della legge 7 agosto 1990, n. 241. - Costituzione, artt. 117, commi terzo e quarto, 118, commi primo e secondo, e 120, comma secondo. Iniziativa economica privata - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Introduzione della «Segnalazione certificata di inizio attivita'» (SCIA) sostitutiva della «Denuncia di inizio attivita'» (DIA) - Previsione che la disciplina della SCIA, nella sua integralita', attiene alla tutela della concorrenza e costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, ai sensi dell'art. 117, comma secondo, lett. e) ed m), Cost. - Lamentata erroneita' ed irrilevanza della autoqualificazione, ritenuta incidenza su ambiti di legislazione regionale di natura residuale o concorrente - Ricorso della Regione Puglia - Denunciata esorbitanza dello Stato dai limiti della legislazione esclusiva, violazione della competenza legislativa concorrente e residuale della Regione. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 49, comma 4-bis, sostitutivo dell'art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e comma 4-ter. - Costituzione, art. 117, commi secondo, lett. e) ed m), terzo e quarto.(GU n.50 del 15-12-2010 )
Ricorso della Regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, a cio' autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 2051 del 24 settembre 2010, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Nicola Colaianni e dall'avv. prof. Stefano Grassi ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest'ultimo in Roma, piazza Barberini 12, come da mandato a margine del presente atto; Contro lo Stato, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica), cosi' come convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della, legge 30 luglio 2010, n. 122, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 30 luglio 2010, n. 176, S.O., in riferimento alle seguenti disposizioni: art. 5, commi 1, 4, 5 e 7; art. 6, commi 7, 8, 9, 12, 13, 14 e 20; art. 9, commi 2-bis, 28, 29, 31 e 36; art. 14, commi 9, 19, 20, 21 e 27; art. 43; art. 49, commi 3, lett. b), 4-bis e 4-ter. 1. - La Regione Puglia, con la deliberazione della Giunta indicata in epigrafe, ha espresso la volonta' di impugnare davanti a questa Corte le individuate disposizioni del d.l. n. 78 del 2010, nel testo risultante dalla conversione in legge ad opera della legge n. 122 del 2010, in quanto costituzionalmente illegittime e lesive dell'autonomia che la Costituzione riconosce alla Regione ricorrente, per violazione degli articoli 3, 97, 117, commi secondo, lettere e), m) e p), terzo e quarto, 118, commi primo e secondo, 119, 120, comma secondo, 122, comma secondo, e 123, comma primo, della Costituzione. In particolare, la denunciata illegittimita' costituzionale si fonda sui seguenti M o t i v i 2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1, nella parte in cui, al secondo periodo, dispone la riassegnazione al fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato di cui al d.P.R. 30 dicembre 2003, n. 398, degli «importi corrispondenti alle riduzioni di spesa che verranno deliberate dalle Regioni, con riferimento ai trattamenti economici degli organi indicati nell'art. 121 della Costituzione», per violazione dell'art. 117, quarto comma, dell'art. 123, primo comma, e dell'art. 119 della Costituzione. 2.1. - L'art. 5, comma 1, nel suo primo periodo, stabilisce che «per gli anni 2011, 2012 e 2013, gli importi corrispondenti alle riduzioni di spesa che, anche con riferimento alle spese di natura amministrativa e per il personale, saranno autonomamente deliberate entro il 31 dicembre 2010, con le modalita' previste dai rispettivi ordinamenti dalla Presidenza della Repubblica, dal Senato della Repubblica, dalla Camera dei deputati e dalla Corte costituzionale sono versati al bilancio dello Stato per essere riassegnati al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato di cui al d.P.R. 30 dicembre 2003, n. 398». Il secondo periodo aggiunge che «al medesimo Fondo sono riassegnati gli importi corrispondenti alle riduzioni di spesa che verranno deliberate dalle Regioni, con riferimento ai trattamenti economici degli organi indicati nell'art. 121 della Costituzione». Tale ultima disposizione e' gravemente lesiva dell'autonomia regionale sotto molteplici profili. 2.2. - La norma in questione, ancorche' lasci alle Regioni la libera determinazione circa eventuali riduzioni della spesa concernente il trattamento economico degli organi di cui all'art. 121 Cost., ne dispone - nell'ipotesi affermativa - una destinazione vincolata a favore del bilancio dello Stato e, in particolare, la riassegnazione al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato di cui al d.P.R. n. 398 del 2003. In tal modo, il legislatore statale ha violato, innanzitutto, il riparto costituzionale delle competenze legislative, intervenendo direttamente sulla disciplina del trattamento economico dei componenti degli organi fondamentali della Regione individuati nell'art. 121 Cost. in assenza di un qualsivoglia titolo di potesta' legislativa dello Stato rinvenibile nei commi secondo e terzo dell'art. 117 Cost. e, pertanto, invadendo la potesta' legislativa residuale della Regione in materia di organizzazione interna e personale, nonche' la potesta' statutaria in ordine alla determinazione dei principi fondamentali di organizzazione e funzionamento della Regione. Di qui, il palese contrasto della norma censurata con gli artt. 117, quarto comma, e 123, primo comma, Cost. 2.3. - La norma in questione, inoltre, attraverso l'imposizione di un vincolo di destinazione agli eventuali risparmi di spesa disposti dal legislatore regionale in un ambito indiscutibilmente riservato alla competenza di quest'ultimo, si pone direttamente in contrasto con l'autonomia finanziaria di spesa garantita alla Regione dall'art. 119 Cost. Essa, infatti, vincola le somme che risultino attualmente destinate ai trattamenti economici degli organi fondamentali della Regione solo ed esclusivamente ad una duplice e alternativa finalita': o il mantenimento della destinazione originaria, senza alcuna riduzione di spesa, o la riassegnazione al fondo statale per l'ammortamento dei titoli di Stato, per la parte in cui la Regione intenda ridurre gli importi della spesa attuale. Cosi' facendo, pero', la norma impugnata (ovviamente in termini limitati al suo specifico ambito di applicazione) impedisce alla Regione di gestire le risorse di cui dispone in modo tale da poter stabilire in autonomia la destinazione di queste ultime, in palese violazione dell'art. 119 Cost. e, sia pure in modo indiretto, di quel principio - direttamente connesso con l'autonomia finanziaria e piu' volte ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte - che vieta l'istituzione di fondi vincolati nella destinazione in materie che risultino estranee agli ambiti di competenza legislativa esclusiva dello Stato. Da questo punto di vista, la norma censurata si pone, altresi', in aperto contrasto con la ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, la quale esclude che lo Stato possa esercitare la propria competenza in materia di «coordinamento della finanza pubblica» imponendo vincoli puntuali su specifiche voci di spesa (cfr., al riguardo, le decisioni richiamate infra, nel par. 4.4 e, in particolare le sentenze nn. 417 e 449 del 2005, 169 del 2007; 237 e 297 del 2009). E' infatti evidente che l'art. 5, comma 1, del d.l. n. 78 del 2010 impone un vincolo specifico sulla spesa che risulti attualmente destinata ai trattamenti economici degli organi di cui all'art. 121 Cost., poiche' destina eventuali risparmi che la Regione disponga sulla medesima ad uno specifico capitolo del bilancio dello Stato. 3. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 4, nella parte in cui dispone la riduzione del rimborso elettorale per i partiti politici anche in riferimento alle elezioni dei Consigli regionali, per violazione dell'art. 117, quarto comma, o, in via subordinata, dell'art. 122, primo comma, della Costituzione. 3.1 - L'art. 5, comma 4, dispone che «a decorrere dal primo rinnovo del Senato della Repubblica, della Camera dei deputati, del Parlamento europeo e dei consigli regionali successivo alla data di entrata in vigore del presente provvedimento, l'importo di un euro previsto dall'art. 1, comma 5 primo periodo, della legge 3 giugno 1999, n. 157, e' ridotto del 10 per cento ed e' abrogato il quarto periodo del comma 6 del citato articolo 1». 3.2. - La norma in questione determina la riduzione del rimborso previsto dalla legge n. 157 del 1999 a favore dei movimenti o partiti politici in relazione alle spese elettorali sostenute in occasione delle campagne per il rinnovo, tra gli altri, dei consigli regionali. Per questa parte, dunque, la norma deve considerarsi lesiva dell'autonomia legislativa spettante alle Regioni a seguito delle riforme costituzionali di cui alle leggi cost. nn. 1 del 1999 e 3 del 2001. Essa, infatti, interviene in un ambito, quello della disciplina elettorale regionale, sul quale il legislatore statale dispone attualmente soltanto del potere di dettare i principi fondamentali del «sistema di elezione» e dei «casi di ineleggibilita' e di incompatibilita'», nonche' di stabilire «la durata degli organi elettivi», cosi' come testualmente riconosciuto dall'art. 122, comma 1, Cost. Ne', d'altra parte, e' possibile rinvenire, tra le materie di cui ai commi secondo e terzo dell'art. 117 Cost., alcun titolo che legittimi il legislatore statale a disciplinare i rimborsi ai partiti politici per le spese concernenti le elezioni degli organi regionali. Nell'attuale riparto costituzionale delle competenze legislative e' senz'altro vero che la legge n. 157 del 1999 (entrata in vigore nel giugno del 1999) e' in grado di dispiegare i propri originari effetti normativi, in forza del principio di continuita', anche a seguito delle menzionate riforme costituzionali del 1999 e del 2001; ma e' altrettanto innegabile che, in relazione alle elezioni degli organi regionali, lo Stato ha perduto la competenza a modificare quella disciplina e che tale competenza spetti oggi alla Regione in forza dell'art. 117, quarto comma, Cost. 3.3. - In subordine, anche qualora si volesse ritenere, per assurdo, che la disciplina impugnata possa essere ricondotta al «sistema di elezione» cui fa riferimento l'art. 122, primo comma, Cost., la potesta' legislativa statale non potrebbe spingersi oltre la fissazione dei principi fondamentali; ed evidentemente il contenuto della norma in questione non e' riconducibile ad una simile ipotesi, con conseguente violazione della competenza legislativa che la citata norma costituzionale attribuisce alla Regione. 4. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 5, nella parte in cui si applica anche alle Regioni, per violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma, nonche' dell'art. 119 della Costituzione. 4.1. - L'art. 5, comma 5, prevede che «ferme le incompatibilita' previste dalla normativa vigente, nei confronti dei titolari di cariche elettive, lo svolgimento di qualsiasi incarico conferito dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, inclusa la partecipazione ad organi collegiali di qualsiasi tipo, puo' dar luogo esclusivamente al rimborso delle spese sostenute; eventuali gettoni di presenza non possono superare l'importo di 30 euro a seduta». 4.2. - La norma si rivolge senz'altro anche alle Regioni [cfr. il Comunicato dell'ISTAT del 24 luglio 2007, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 24 luglio 2010, n. 171, contenente l'Elenco delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato individuate ai sensi dell'articolo 1, comma 3 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilita' e di finanza pubblica)], disponendo un vincolo diretto in base al quale lo svolgimento di qualsiasi incarico da esse conferito, inclusa la partecipazione ad organi collegiali di qualsiasi tipo, puo' dar luogo esclusivamente al rimborso delle spese sostenute e che eventuali gettoni di presenza non possono superare l'importo di 30 euro a seduta. Tale previsione lede l'autonomia costituzionalmente riconosciuta alla Regione sotto due distinti profili. 4.3. - In primo luogo, perche' interviene illegittimamente - dettando una disciplina esaustiva ed autoapplicativa non riconducibile ad alcun titolo di potesta' legislativa esclusiva dello Stato - nella materia dell'«organizzazione amministrativa e ordinamento del personale della Regione», di competenza residuale regionale ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost., secondo quanto ripetutamente affermato da questa Corte a partire dalla sent. n. 274 del 2003. 4.4. - In secondo luogo, ove non si ritenesse di poter accogliere gli argomenti appena esposti, la norma in questione e' costituzionalmente illegittima perche', disponendo vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa del bilancio della Regione, fuoriesce dai limiti che la giurisprudenza costituzionale ha da tempo affermato, in riferimento alla competenza legislativa concorrente dello Stato in materia di «coordinamento della finanza pubblica», a presidio della corrispondente potesta' legislativa regionale fondata sull'art. 117, terzo comma, Cost., nonche' dell'autonomia finanziaria di cui all'art. 119 Cost. A tale ultimo proposito, si puo' ritenere ormai consolidato l'orientamento di questa Corte secondo il quale «le norme che fissano vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa dei bilanci delle regioni e degli enti locali non costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., e ledono pertanto l'autonomia finanziaria di spesa garantita dall'art. 119 Cost. [...] La previsione da parte della legge statale di limiti all'entita' di una singola voce di spesa non puo' essere considerata un principio fondamentale in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica, perche' pone un precetto specifico e puntuale sull'entita' della spesa e si risolve percio' «in una indebita invasione, da parte della legge statale, dell'area [...] riservata alle autonomie regionali e degli enti locali alle quali la legge statale puo' prescrivere criteri [...] ed obiettivi (ad esempio, contenimento della spesa pubblica) ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi» (sent. n. 390 del 2004)» (cosi' la sent. n. 417 del 2005, par. 6.3 del Considerato in diritto; in termini del tutto analoghi, cfr. anche la sent. n. 449 del 2005, par. 4 del Considerato in diritto). Piu' recentemente, nella sent. n. 169 del 2007, questa Corte ha ribadito che «il legislatore statale, con una "disciplina di principio", puo' legittimamente "imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti" (sentenze n. 417 del 2005 e n. 36 del 2004). Perche' detti vincoli possano considerarsi rispettosi dell'autonomia delle Regioni e degli enti locali, essi debbono riguardare l'entita' del disavanzo di parte corrente oppure - ma solo "in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale" - la crescita della spesa corrente degli enti autonomi. In altri termini, la legge statale puo' stabilire solo un "limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa» (sentenze n. 88 del 2006, n. 449 e n. 417 del 2005, n. 36 del 2004). Da tali pronunce puo' desumersi che, perche' norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali possano qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, e' necessario che esse soddisfino i seguenti requisiti: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, intesi anche nel senso di un transitorio contenimento complessivo, sebbene non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano strumenti o modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi» (cosi' il par. 8 del Considerato in diritto; cfr., inoltre, negli stessi termini, tra le altre, le sentt. nn. 237 del 2009, par. 23.6 del Considerato in diritto, e 297 del 2009, par. 2.3.3 del Considerato in diritto). L'applicazione letterale di questa giurisprudenza alla norma qui censurata non puo' che condurre a dichiararne l'illegittimita' costituzionale, per violazione dell'art. 117, terzo comma, e dell'art. 119 Cost. 5. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 7, ult. periodo, per violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma, nonche' dell'art. 119 della Costituzione. 5.1. - La norma che la Regione Puglia ha interesse ad impugnare in questa sede concerne il solo ultimo periodo del comma 7 dell'art. 5, il quale stabilisce che «agli amministratori di comunita' montane e di unioni di comuni e comunque di forme associative di enti locali aventi per oggetto la gestione di servizi e funzioni pubbliche non possono essere attribuite retribuzioni, gettoni, e indennita' o emolumenti in qualsiasi forma siano essi percepiti». Il legislatore statale ha dunque posto direttamente un divieto di attribuzione di retribuzioni, gettoni, indennita' o emolumenti in qualsiasi forma percepiti a favore degli amministratori delle comunita' montane e delle unioni di comuni e comunque delle forme associative di enti locali aventi per oggetto la gestione di servizi o funzioni pubbliche. 5.2. - Cosi' facendo, la norma censurata interviene in un ambito materiale sicuramente estraneo alla potesta' legislativa esclusiva riconosciuta allo Stato dall'art. 117, secondo comma, lett. p), Cost. nella materia «organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane». La giurisprudenza di questa Corte ha da tempo chiarito, con particolare riferimento alle comunita' montane e alle unioni di comuni, che la competenza legislativa per la disciplina di tali enti locali e dei loro organi spetta alla Regione in base alla potesta' residuale di cui all'art. 117, quarto comma, Cost., mentre la potesta' legislativa esclusiva statale fondata sulla lett. p) del secondo comma dell'art. 117 deve considerarsi rigorosamente limitata non solo in relazione al «tipo» di ente locale (Comuni, Province e Citta' metropolitane), ma anche in relazione agli aspetti degli ordinamenti di questi ultimi (legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali) (cosi' le sentenze nn. 244 e 465 del 2005, 397 del 2006 e 237 del 2009). Da cio' non puo' escludersi, come pure questa Corte ha avuto modo di rilevare proprio in riferimento al «coordinamento della finanza pubblica» (cfr. sent. n. 237 del 2009), che il legislatore statale possa vantare altri titoli di competenza legislativa in grado di incidere «trasversalmente» sull'ambito assegnato alla legislazione regionale: ma e' del tutto evidente che, in simili ipotesi, l'intervento statale deve risultare conforme ai limiti costituzionali di quella competenza. Tale conformita' e' proprio cio' che viene palesemente a mancare nel caso di specie. Infatti, anche a voler ascrivere la norma impugnata all'esercizio della potesta' legislativa statale in materia di «coordinamento della finanza pubblica» di cui all'art. 117, terzo comma, Cost., essa non e' certo in grado di superare lo scrutinio di costituzionalita' secondo i chiarissimi principi giurisprudenziali gia' richiamati piu' sopra (cfr. il par. 4.4), i quali impediscono allo Stato di introdurre «vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa dei bilanci delle regioni e degli enti locali». Oltretutto, la norma e' posta in termini che ne escludono palesemente l'eventuale carattere di misura «transitoria» richiesto dalla citata giurisprudenza di questa Corte. Di qui l'illegittimita' costituzionale della norma per violazione dei parametri indicati. 6. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 20, primo e secondo periodo, in relazione ai commi 7, 8, 9, 12, 13 e 14, per violazione dell'art. 117, terzo comma, e dell'art. 119 della Costituzione. 6.1. - I primi due periodi dell'art. 6, comma 20, cosi' stabiliscono: «Le disposizioni del presente articolo non si applicano in via diretta alle regioni, alle province autonome e agli enti del Servizio sanitario nazionale, per i quali costituiscono disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica. A decorrere dal 2011, una quota pari al 10 per cento dei trasferimenti erariali di cui all'art. 7 della legge 15 marzo 1997, n. 59, a favore delle regioni a statuto ordinario e' accantonata per essere successivamente svincolata e destinata alle regioni a statuto ordinario che hanno attuato quanto stabilito dall'art. 3 del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, convertito con legge 26 marzo 2010, n. 42 e che aderiscono volontariamente alle regole previste dal presente articolo». 6.2. - Preliminarmente, va osservato che le due norme si riferiscono genericamente a tutte le disposizioni contenute nel medesimo art. 6, con le quali il legislatore statale ha disposto limiti puntuali di spesa riferiti a specifiche voci. Tra queste, ad avviso della Regione Puglia, assumono rilievo almeno le seguenti: il comma 7, il quale prevede che «a decorrere dall'anno 2011 la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a studi ed incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti, (...) nonche' gli incarichi di studio e consulenza connessi ai processi di privatizzazione e alla regolamentazione del settore finanziario, non puo' essere superiore al 20 per cento di quella sostenuta nell'anno 2009»; il comma 8, il quale prevede che, a decorrere dall'anno 2011, non possono essere effettuate «spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicita' e di rappresentanza, per un ammontare superiore al 20 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 per le medesime finalita'»; il comma 9, il quale prevede che, a decorrere dall'anno 2011, non possono essere effettuate «spese per sponsorizzazioni»; il comma 12, il quale prevede che, a decorrere dall'anno 2011, non possono essere effettuate «spese per missioni, anche all'estero, (...) per un ammontare superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009». La previsione stabilisce espressamente che il limite di spesa possa essere «superato in casi eccezionali, previa adozione di un motivato provvedimento adottato dall'organo di vertice dell'amministrazione, da comunicare preventivamente agli organi di controllo ed agli organi di revisione dell'ente», e che «il presente comma non si applica alla spesa effettuata per lo svolgimento di compiti ispettivi»; il comma 13, il quale prevede che, a decorrere dall'anno 2011, «la spesa annua (...) per attivita' esclusivamente di formazione deve essere non superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009», aggiungendo che le amministrazioni «svolgono prioritariamente l'attivita' di formazione tramite la Scuola superiore della pubblica amministrazione ovvero tramite i propri organismi di formazione»; il comma 14, il quale prevede che, sempre a decorrere dall'anno 2011, non possono essere effettuate «spese di ammontare superiore all'80 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 per l'acquisto, la manutenzione, il noleggio e l'esercizio di autovetture, nonche' per l'acquisto di buoni taxi», aggiungendo che «il predetto limite puo' essere derogato, per il solo anno 2011, esclusivamente per effetto di contratti pluriennali gia' in essere». 6.3. - Il combinato disposto del comma 20 e dei commi appena citati dell'art. 6 lede gravemente l'autonomia legislativa e finanziaria della Regione, ponendosi in aperto contrasto con i limiti della potesta' legislativa statale di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. in materia di «coordinamento della finanza pubblica», nonche' con l'art. 119 Cost., secondo quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale richiamata nelle pagine che precedono (cfr. il par. 4.4). Questa giurisprudenza, come si e' visto, ha chiaramente affermato che «le norme che fissano vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa dei bilanci delle regioni e degli enti locali non costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., e ledono pertanto l'autonomia finanziaria di spesa garantita dall'art. 119 Cost. ». Di qui, il contrasto diretto e letterale del comma 20 con i citati parametri costituzionali, laddove il legislatore statale pretende espressamente di qualificare le norme contenute negli altri commi dell'art. 6 e impugnate in questa sede quali «disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica». L'intrinseca illegittimita' costituzionale della qualifica di tali norme come «principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica», ai quali le Regioni dovrebbero ritenersi assoggettate, emerge anche da un secondo rilievo. Tutte le norme in questione, infatti, fissano le riduzioni puntuali di spesa «a decorrere dall'anno 2011», introducendo, dunque, limiti di contenimento della spesa destinati ad operare stabilmente; in tal modo, esse risultano dichiaratamente prive di quel requisito della «transitorieta'» che la giurisprudenza di questa Corte ha individuato quale ulteriore condizione affinche' possa riconoscersi a questo tipo di norme dettate dal legislatore statale la qualifica di «principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica» (cfr. le gia' citate sentenze nn. 169 del 2007, 237 del 2009 e 297 del 2009). 6.4. - Ma vi e' di piu'. L'espressa qualificazione delle disposizioni dell'art. 6 quali «disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica», oltre che illegittima di per se', si rivela del tutto surrettizia e ingannevole. A dispetto del tenore letterale dei primi due periodi del comma 20, nella parte in cui si afferma che le disposizioni dell'art. 6 «non si applicano in via diretta alle regioni» e che queste ultime «aderiscono volontariamente alle regole previste dal presente articolo», l'effetto concreto della norma e', comunque, quello di vietare alle Regioni di effettuare le spese contemplate nell'art. 6, imponendo loro il rispetto dei limiti puntuali ivi previsti. Il meccanismo di adeguamento imposto alle Regioni, infatti, si basa sul taglio sicuro del 10 per cento sui trasferimenti delle risorse dovute dallo Stato in base all'art. 7 della legge n. 59 del 1997 per l'esercizio delle funzioni amministrative trasferite alle Regioni medesime e che queste ultime sono obbligate ad esercitare; taglio sicuro al quale dovrebbe corrispondere una incerta «restituzione», comunque condizionata al pieno e integrale rispetto delle «regole» contenute nell'art. 6. E' pertanto evidente che la qualifica di «principi fondamentali» delle norme dell'art. 6 - ancorche' intrinsecamente illegittima, per quanto si e' detto - ha i connotati di un'espressione di pura facciata. 7. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 20, terzo periodo, per violazione dell'art. 117, sesto comma, o, in via subordinata, dell'art. 118, primo comma, della Costituzione e del principio di leale collaborazione (nella parte in cui prevede il semplice parere anziche' l'intesa con la Conferenza Stato-Regioni). 7.1. - Il terzo periodo del comma 20 dell'art. 6 prevede che «con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-Regioni, sono stabiliti modalita', tempi e criteri per l'attuazione del presente comma». La norma, di per se', non puo' essere ricondotta altro che alla materia di competenza legislativa concorrente del «coordinamento della finanza pubblica» di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. In base a tale presupposto si possono dare solo due ipotesi alternative. 7.2. - Se si ritiene, come sembrerebbe piu' plausibile in forza del dato testuale, che la funzione affidata al Ministro dell'economia e delle finanze abbia natura propriamente normativa - in ragione della sua finalita' di produzione di norme generali e astratte (cfr., da ultimo, la sent. n. 278 del 2010, par. 16 del Considerato in diritto) e a dispetto dell'elusivo riferimento ad un «decreto di natura non regolamentare» - la norma in questione costituirebbe palesemente una ipotesi di illegittima previsione di potere regolamentare in materia di legislazione concorrente, con evidente contrasto con quanto stabilisce l'art. 117, sesto comma, Cost., ai sensi del quale il potere normativo regolamentare spetta allo Stato nelle sole materie di potesta' legislativa esclusiva. Come questa Corte ha gia' avuto modo di chiarire (da ultimo, nella citata sentenza n. 278 del 2010) in relazione alla potesta' regolamentare, «attesa la ripartizione operata dall'art. 117 Cost. di tale potesta' tra Stato e Regioni, secondo un criterio obiettivo di corrispondenza delle norme prodotte alle materie ivi indicate, non possono essere requisiti di carattere formale, quali il nomen iuris e la difformita' procedimentale rispetto ai modelli di regolamento disciplinati in via generale dall'ordinamento, a determinare di per se' l'esclusione dell'atto dalla tipologia regolamentare, giacche', in tal caso, sarebbe agevole eludere la suddivisione costituzionale delle competenze, introducendo nel tessuto ordinamentale norme secondarie, surrettiziamente rivestite di altra forma, laddove cio' non sarebbe consentito». Ne' in una simile ipotesi potrebbe essere legittimamente invocabile il titolo della «chiamata in sussidiarieta'» della funzione regolamentare da parte dello Stato. Come e' noto, infatti, questa Corte, fin dalla pronuncia «capostipite» in materia (sent. n. 303 del 2003), ha radicalmente escluso che in forza dell'art. 118 Cost. possano essere consentite deroghe al riparto costituzionale del potere regolamentare fissato dall'art. 117, sesto comma, Cost. Nella citata sentenza (par. 7 del Considerato in diritto) si legge infatti che «in un riparto cosi' rigidamente strutturato, alla fonte secondaria statale e' inibita in radice la possibilita' di vincolare l'esercizio della potesta' legislativa regionale o di incidere su disposizioni regionali preesistenti (sentenza n. 22 del 2003); e neppure i principi di sussidiarieta' e adeguatezza possono conferire ai regolamenti statali una capacita' che e' estranea al loro valore, quella cioe' di modificare gli ordinamenti regionali a livello primario. Quei principi, lo si e' gia' rilevato, non privano di contenuto precettivo l'art. 117 Cost., pur se, alle condizioni e nei casi sopra evidenziati, introducono in esso elementi di dinamicita' intesi ad attenuare la rigidita' nel riparto di funzioni legislative ivi delineato. Non puo' quindi essere loro riconosciuta l'attitudine a vanificare la collocazione sistematica delle fonti conferendo primarieta' ad atti che possiedono lo statuto giuridico di fonti secondarie e a degradare le fonti regionali a fonti subordinate ai regolamenti statali o comunque a questi condizionate. Se quindi, come gia' chiarito, alla legge statale e' consentita l'organizzazione e la disciplina delle funzioni amministrative assunte in sussidiarieta', va precisato che la legge stessa non puo' spogliarsi della funzione regolativa affidandola a fonti subordinate, neppure predeterminando i principi che orientino l'esercizio della potesta' regolamentare, circoscrivendone la discrezionalita'». 7.3. - Soltanto qualora si dovesse ritenere, contrariamente alla prima ipotesi qui prospettata, che la funzione contemplata dall'impugnato art. 6, comma 20, terzo periodo, non abbia natura normativa bensi' soltanto natura amministrativa, potrebbe essere invocato il fenomeno della «chiamata in sussidiarieta'» da parte dello Stato di funzioni amministrative in materia di legislazione concorrente, quale titolo di legittimazione del legislatore statale fondato direttamente sull'art. 118, primo comma, Cost. In questo caso, pero', in base ai ben noti orientamenti della giurisprudenza costituzionale (da ultimo confermati, ancora una volta, nella sent. n. 278 del 2010, par. 12 del Considerato in diritto), tra le altre condizioni fissate da questa Corte spicca quella secondo la quale «la legislazione statale di questo tipo puo' aspirare a superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealta'». Di qui la necessita', piu' volte ribadita, di prevedere un meccanismo di codecisione paritaria, nella forma dell'intesa (di volta in volta con la Conferenza Stato-Regioni, con la Conferenza Unificata oppure con le singole Regioni interessate), che risulti adeguato all'assetto degli interessi di cui i soggetti dotati di attribuzioni costituzionalmente garantite siano portatori. Da questo punto di vista, nel caso di specie, risulta del tutto inadeguata - e percio' costituzionalmente illegittima - la previsione della norma censurata, la quale contempla lo strumento del parere della Conferenza Stato-Regioni, anziche' dell'intesa con la medesima. 8. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 2-bis, nella parte in cui si applica anche alle Regioni, per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119, della Costituzione. 8.1. - L'art. 9, comma 2-bis, prevede quanto segue: «A decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 l'ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non puo' superare il corrispondente importo dell'anno 2010 ed e', comunque, automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio». Si tratta di una norma che persegue obiettivi di contenimento della spesa pubblica mediante l'imposizione di limiti puntuali di spesa. In quanto tale, dunque, nella parte in cui essa e' destinata ad applicarsi anche alle Regioni, e' costituzionalmente illegittima. 8.2. - La disposizione in questione, infatti, viola gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost. Come si e' gia' avuto modo di evidenziare in precedenza (cfr. in part. il par. 4.4.), la giurisprudenza costituzionale ha da tempo affermato, in riferimento alla competenza legislativa concorrente dello Stato in materia di «coordinamento della finanza pubblica», a presidio della corrispondente potesta' legislativa regionale fondata sull'art. 117, terzo comma, Cost., nonche' dell'autonomia finanziaria di cui all'art. 119 Cost., che «le norme che fissano vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa dei bilanci delle regioni e degli enti locali non costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., e ledono pertanto l'autonomia finanziaria di spesa garantita dall'art. 119 Cost. [...] La previsione da parte della legge statale di limiti all'entita' di una singola voce di spesa non puo' essere considerata un principio fondamentale in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica, perche' pone un precetto specifico e puntuale sull'entita' della spesa e si risolve percio' "in una indebita invasione, da parte della legge statale, dell'area [...] riservata alle autonomie regionali e degli enti locali, alle quali la legge statale puo' prescrivere criteri f...1 ed obiettivi (ad esempio, contenimento strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi" (sent. n. 390 del 2004)» (cosi' la sent. n. 417 del 2005, par. 6.3 del Considerato in diritto; cfr. anche le sentt. n. 449 del 2005, n. 169 del 2007; 237 del 2009; 297 del 2009). Che la norma impugnata in questa sede sia volta ad incidere su una singola voce di spesa non puo' realisticamente essere messo in dubbio: essa riguarda, infatti, il «trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale». Per questa ragione non puo' dunque che essere considerata costituzionalmente illegittima. 9. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 28, nella parte in cui si applica anche alle Regioni, per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119, della Costituzione. 9.1. - La disposizione che qui si censura cosi' dispone: «A decorrere dall'anno 2011, le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, incluse le Agenzie fiscali di cui agli articoli 62, 63 e 64 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni, gli enti pubblici non economici, le universita' e gli enti pubblici di cui all'articolo 70, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni e integrazioni, fermo quanto previsto dagli articoli 7, comma 6, e 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalita' nell'anno 2009. Per le medesime amministrazioni la spesa per personale relativa a contratti di formazione lavoro, ad altri rapporti formativi, alla somministrazione di lavoro, nonche' al lavoro accessorio di cui all'articolo 70, comma 1, lettera d) del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni ed integrazioni, non puo' essere superiore al 50 per cento di quella sostenuta per le rispettive finalita' nell'anno 2009. Le disposizioni di cui al presente comma costituiscono principi generali ai fini del coordinamento della finanza pubblica ai quali si adeguano le regioni, le province autonome, e gli enti del Servizio sanitario nazionale». 9.2. - Si tratta, ancora una volta, di una norma che persegue obiettivi di contenimento della spesa pubblica mediante la imposizione di limiti puntuali di spesa. La imposizione di questi limiti, inoltre, e' qualificata «principio fondamentale» della materia del «coordinamento della finanza pubblica», ai fini della sua applicazione anche agli ordinamenti regionali. Tale qualificazione e' costituzionalmente illegittima, e conseguentemente lo e' anche l'imposizione dei suddetti limiti alle Regioni. 9.3. - Anche in questo caso puo' essere sufficiente una motivazione assai sintetica a sostegno della doglianza appena esposta. E' infatti possibile limitarsi alla evocazione della giurisprudenza costituzionale piu' volte citata (da ultimo, nel par. precedente), la quale mostra con assoluta evidenza che non e' possibile considerare alla stregua di «principi fondamentali» l'imposizione di vincoli puntuali a specifiche voci di spesa, pena sia la «esorbitanza» del legislatore statale rispetto ai limiti che ad esso sono imposti dall'art. 117, terzo comma, Cost., in relazione alla materia «coordinamento della finanza pubblica», sia la indebita compressione dell'autonomia finanziaria garantita alle Regioni dall'art. 119 Cost. 10. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 29, nella parte in cui si applica anche alle Regioni, per violazione degli artt. 117, secondo comma, lett. g), terzo e quarto comma, e 119, della Costituzione. 10.1 - L'art. 9, comma 29 dispone che «le societa' non quotate, inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'ISTAT ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, controllate direttamente o indirettamente dalle amministrazioni pubbliche, adeguano le loro politiche assunzionali alle disposizioni previste nel presente articolo». In virtu' della norma appena riportata, dunque, tutti i limiti puntuali di spesa posti dall'art. 9 si applicano anche alle societa' non quotate inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione. Nella parte in cui questo precetto si applica anche a societa' controllate dalla Regione o dagli enti locali, esso e' incostituzionale. 10.2. - La disposizione impugnata, innanzitutto, viola gli artt. 117, secondo comma, lett. g), e quarto comma, Cost., poiche' disciplina enti diversi da quelli statali, sui quali lo Stato ha competenza esclusiva in base all'art. 117, secondo comma, lett. g), Cost. L'art. 9, comma 29, nella parte di cui si rivolge alle societa' controllate da enti territoriali diversi dallo Stato, dunque, eccede la competenza dello Stato, ed invade, invece, la competenza regionale residuale sancita dall'art. 117, quarto comma, Cost. Che in relazione alla materia delle «societa' partecipate da Regioni ed enti locali» le Regioni dispongano di potesta' legislativa proprio in base a tale disposizione costituzionale, del resto, e' gia' stato affermato esplicitamente da questa Corte nella sent. n. 326 del 2008 (par. 8.4 del Considerato in diritto). 10.3 - Ad ogni modo, anche ove non si condividessero gli argomenti fin qui proposti a sostegno della incostituzionalita' della normativa impugnata, essa sarebbe comunque da ritenere costituzionalmente illegittima per violazione degli articoli 117, terzo comma, e 119 Cost. L'art. 9, comma 29, del d.l. n. 78 del 2010, infatti, impone vincoli puntuali di spesa ad enti differenti rispetto a quelli sui quali lo Stato dispone della competenza legislativa. Cosi' facendo, la legge statale esorbita - per le ragioni in piu' di una occasione esposte nel presente ricorso (cfr., per tutti, il par. 4.4) - dai limiti che ad essa sono posti dall'art. 117, terzo comma, Cost., a tutela dell'autonomia finanziaria regionale garantita dall'art. 119 Cost. 11. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 31, nella parte in cui si applica anche alle Regioni, per violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119, della Costituzione. 11.1. - L'art. 9, comma 31 dispone quanto segue: «Al fine di agevolare il processo di riduzione degli assetti organizzativi delle pubbliche amministrazioni, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, fermo il rispetto delle condizioni e delle procedure previste dai commi da 7 a 10 dell'articolo 72 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, i trattenimenti in servizio previsti dalle predette disposizioni possono essere disposti esclusivamente nell'ambito delle facolta' assunzionali consentite dalla legislazione vigente in base alle cessazioni del personale e con il rispetto delle relative procedure autorizzatorie; le risorse destinabili a nuove assunzioni in base alle predette cessazioni sono ridotte in misura pari all'importo del trattamento retributivo derivante dai trattenimenti in servizio. Sono fatti salvi i trattenimenti in servizio aventi decorrenza anteriore al 1° gennaio 2011, disposti prima dell'entrata in vigore del presente decreto. I trattenimenti in servizio aventi decorrenza successiva al 1° gennaio 2011, disposti prima dell'entrata in vigore del presente decreto, sono privi di effetti». La disposizione in questione, dunque, prevede che i trattenimenti in servizio del personale delle pubbliche amministrazioni possono avvenire esclusivamente entro i limiti delle facolta' assunzionali consentiti in base alle cessazioni del personale, con conseguente proporzionale riduzione delle risorse destinabili alle nuove assunzioni per un importo pari al trattamento retributivo destinato ai dipendenti trattenuti in servizio. Tale previsione, nella parte in cui si applica anche alle Regioni, e' incostituzionale per violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost. 11.2. - La norma impugnata viola, innanzitutto, l'art. 117, quarto comma, Cost. Essa, infatti, regolando la possibilita' di effettuare il trattenimento in servizio del personale delle pubbliche amministrazioni, nella misura in cui include nel proprio ambito di applicazione anche le amministrazioni regionali e locali, invade la competenza legislativa residuale regionale nella materia della «organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti locali», la quale, in base alla giurisprudenza di questa Corte, deve essere annoverata tra le materie di competenze regionale residuale (cfr. la gia' citata sent. n. 328 del 2008, punto 8.4 del Considerato in diritto). Che si tratti di una normativa destinata ad intervenire in tale materia, peraltro, e' «confessato» anche dall'incipit della disposizione qui considerata, la quale risulta espressamente dettata «al fine di agevolare il processo di riduzione degli assetti organizzativi delle pubbliche amministrazioni». E' dunque la stessa norma impugnata che, manifestando in modo esplicito la sua ratio, si inscrive chiaramente nell'ambito della materia della «organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti locali», ovviamente nella parte in cui si rivolge anche a questi enti. 11.3. - Quand'anche si ritenesse di non aderire alle considerazioni appena esposte, si dovrebbe concludere comunque nel senso della illegittimita' costituzionale della norma qui censurata, in quanto essa contrasta con gli artt. 117, terzo comma, e 119, Cost. Ove infatti non si ritenesse di inquadrare l'art. 9, comma 31, nell'ambito della materia della «organizzazione amministrativa», non si potrebbe che considerarlo alla luce del fine della riduzione della spesa pubblica e valutarlo alla luce della competenza dello Stato a porre i «principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica» e delle norme della Costituzione che regolano l'autonomia finanziaria regionale. Sul punto ci si puo' riferire ancora una volta agli argomenti ed ai precedenti di questa Corte evocati piu' sopra (cfr. il par. 4.4): quello disposto dalla norma in esame e' un limite puntuale concernente una specifica voce di spesa, ossia quella dei trattenimenti in servizio. Per questa ragione non puo' essere qualificato «principio fondamentale della materia». A sostegno di quanto appena evidenziato deve essere considerata, inoltre, una decisione particolarmente rilevante in questa sede. Si tratta della sent. n. 390 del 2004, la quale ha escluso che potesse essere considerato «principio fondamentale» della materia del «coordinamento della finanza pubblica» quella norma che prevedeva che alla copertura delle vacanze nell'anno 2002 non si potesse procedere se non nei limiti del cinquanta per cento (punto 4 del Considerato in diritto). Dalla perfetta sovrapponibilita', sotto il profilo considerato, di questa previsione con quella qui in discussione - la quale prevede che «le risorse destinabili a nuove assunzioni in base alle predette cessazioni sono ridotte in misura pari all'importo del trattamento retributivo derivante dai trattenimenti in servizio» - non puo' che discendere la palese fondatezza della censura sollevata nel presente giudizio. 12. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 36, nella parte in cui si applica anche alle Regioni, per violazione degli artt. 117, secondo comma, lett. g), terzo e quarto comma, 118, primo e secondo comma, e 119, della Costituzione. 12.1. - La disposizione censurata prevede quanto segue: «Per gli enti di nuova istituzione non derivanti da processi di accorpamento o fusione di precedenti organismi, limitatamente al quinquennio decorrente dall'istituzione, le nuove assunzioni, previo esperimento delle procedure di mobilita', fatte salve le maggiori facolta' assunzionali eventualmente previste dalla legge istitutiva, possono essere effettuate nel limite del 50% delle entrate correnti ordinarie aventi carattere certo e continuativo e, comunque nel limite complessivo del 60% della dotazione organica. A tal fine gli enti predispongono piani annuali di assunzioni da sottoporre all'approvazione da parte dell'amministrazione vigilante d'intesa con il Dipartimento della funzione pubblica ed il Ministero dell'economia e delle finanze». La applicabilita' di tale disposizione anche agli enti non statali e' dubbia, e un elemento in senso negativo potrebbe essere rinvenuto nella previsione dell'intesa con il Dipartimento della funzione pubblica ed il Ministero dell'economia e delle finanze. Soprattutto l'intervento del primo, infatti, si spiega essenzialmente in riferimento alla amministrazione di livello statale. Ad ogni modo, ove invece si intendesse tale norma come intesa a disciplinare anche gli enti sub-statali, essa sarebbe senza dubbio - limitatamente a tale suo ambito di applicazione - costituzionalmente illegittima. 12.2 - L'art. 9, comma 36, ove inteso nel senso di includere nel suo ambito di applicazione anche gli enti pubblici non statali, e' incostituzionale, innanzitutto, per violazione degli artt. 117, secondo comma, lett. g), e quarto comma, Cost. La prima delle due disposizioni costituzionali citate attribuisce allo Stato la competenza esclusiva in relazione alla materia «ordinamento e organizzazione amministrativa (...) degli enti pubblici nazionali». A questi ultimi e' dunque limitata la competenza statale. Nella misura in cui la legge dello Stato disciplina anche l'organizzazione amministrativa di enti pubblici diversi da quelli statali, invade la competenza legislativa residuale che spetta alle Regioni, in virtu' dell'art. 117, quarto comma, Cost., nella materia dell'organizzazione amministrativa degli enti pubblici regionali e locali. 12.3. - L'art. 9, comma 36, nella misura in cui limita le nuove assunzioni al «50% delle entrate correnti ordinarie aventi carattere certo e continuativo» e, comunque al 60% della dotazione organica, viola anche gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost. Le ragioni del contrasto della normativa impugnata con le disposizioni costituzionali appena menzionate sono analoghe a quelle che si e' avuto modo di prospettare a questa Corte nei paragrafi che precedono. Anche in questo caso, infatti, si impone un vincolo di spesa puntuale, che non puo' essere legittimato dalla competenza statale a porre i «principi fondamentali» nella materia del «coordinamento della finanza pubblica». Ancora una volta, dunque, si configura il mancato rispetto dei limiti imposti alla potesta' legislativa dello Stato dall'art. 117, terzo comma, Cost., con conseguente lesione dell'autonomia finanziaria regionale sancita dall'art. 119 Cost. 12.4. - Deve essere inoltre evidenziato che la norma in questione, nella parte in cui prevede che gli enti predispongano «piani annuali di assunzioni da sottoporre all'approvazione da parte dell'amministrazione vigilante d'intesa con il Dipartimento della funzione pubblica ed il Ministero dell'economia e delle finanze» - e sempre che essa si interpreti come rivolta anche a porre un precetto applicabile agli enti sub-statali - si pone in contrasto, altresi', con l'art. 118, primo e secondo comma, Cost. Il secondo comma e' violato perche' l'art. 9, comma 36, alloca una funzione amministrativa - nella specie, quella che si estrinseca nella approvazione dei piani di assunzione, sia pure nella forma dell'intesa - in capo al Dipartimento della funzione pubblica ed al Ministro dell'economia e delle finanze, nell'ambito di una materia diversa da quelle contemplate dall'art. 117, secondo comma, Cost.: nella parte in cui tale normativa e' rivolta anche agli enti pubblici non statali, essa e' infatti ascrivibile al quarto comma dell'art. 117 Cost. Viceversa, l'art. 118, secondo comma, Cost., prevede che ad allocare le funzioni amministrative sia il legislatore competente in base al precedente art. 117. Il primo comma dell'art. 118, invece, risulta violato perche' - a prescindere dalla questione concernente la titolarita' della competenza legislativa ad allocare la funzione - la norma oggetto del presente giudizio ha attribuito quest'ultima ad organi dello Stato-apparato senza che cio' sia giustificato in alcun modo dal principio di sussidiarieta', ed in particolare dalla inadeguatezza del livello regionale di governo. Infatti, posto che il fine della normativa in questione e' quello di concorrere al contenimento della spesa pubblica, la Costituzione affida allo Stato l'importante strumento, da utilizzare in vista del raggiungimento di questo obiettivo, del coordinamento della finanza pubblica. Nell'esplicazione di tale attivita', lo Stato potra' individuare i criteri necessari a raggiungere il fine indicato. Il controllo del rispetto di tali criteri da parte degli enti pubblici non statali, pero', puo' efficacemente essere svolto dagli organi inseriti nel circuito regionale - o addirittura locale - dell'indirizzo politico. Non esiste, in altre parole, alcuna ragione costituzionalmente rilevante perche' tale compito di controllo sia affidato a strutture dello Stato-apparato. 13. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 9, nella parte in cui si applica anche alle Regioni, per violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma, dell'art. 118, primo comma, e dell'art. 119 della Costituzione. 13.1 - La disposizione censurata, sostituendo il comma 7 dell'art. 76 del d.l. n. 112 del 2008, cosi' come convertito in legge dalla legge n. 133 del 2008, dispone un primo divieto riferito agli «enti nei quali l'incidenza delle spese di personale e' pari o superiore al 40% delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale», aggiungendo poi un ulteriore divieto assoluto e generalizzato - applicabile a tutte le Regioni che pure si trovino nella condizione di aver rispettato il limite percentuale complessivo di cui sopra nel rapporto tra spesa per il personale e spesa corrente - mediante la seguente formula: «I restanti enti possono procedere ad assunzioni di personale nel limite del 20 per cento della spesa corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente». Entrambe le previsioni, nella parte in cui si applicano alle Regioni, sono costituzionalmente illegittime e lesive dell'autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria della ricorrente. 13.2. - Per comprendere il senso e la portata della prima disposizione e, dunque, dei vizi di legittimita' che la Regione Puglia sottopone al giudizio di questa Corte, occorre fare riferimento al testo originario dell'art. 76 del d.l. n. 112 del 2008, cosi' come convertito in legge dalla legge n. 133 del 2008. In quella versione, limitatamente a quanto riferibile alle Regioni, l'art. 76 contemplava: il comma 5, ai sensi del quale «ai fini del concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, gli enti sottoposti al patto di stabilita' interno assicurano la riduzione dell'incidenza percentuale delle spese di personale rispetto al complesso delle spese correnti, con particolare riferimento alle dinamiche di crescita della spesa per la contrattazione integrativa, tenuto anche conto delle corrispondenti disposizioni dettate per le amministrazioni statali»; il comma 6, ai sensi del quale «con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da emanarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, previo accordo tra Governo, regioni e autonomie locali da concludersi in sede di conferenza unificata, sono definiti parametri e criteri di virtuosita', con correlati obiettivi differenziati di risparmio, tenuto conto delle dimensioni demografiche degli enti, delle percentuali di incidenza delle spese di personale attualmente esistenti rispetto alla spesa corrente e dell'andamento di tale tipologia di spesa nel quinquennio precedente»; il comma 7, ai sensi del quale «fino all'emanazione del decreto di cui al comma 6 e' fatto divieto agli enti nei quali l'incidenza delle spese di personale e' pari o superiore al 50% delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale». Tali norme, come si vede, si rivelavano pienamente rispettose delle sfere di autonomia regionale e conformi ai principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale in questa sede piu' volte richiamati (cfr. il par. 4.4): in particolare, si osservi, l'unica previsione che conteneva l'imposizione diretta di un vincolo puntuale all'autonomia di spesa - per l'appunto il comma 7, oggi sostituito dalla norma qui censurata - si caratterizzava esplicitamente per il suo carattere transitorio «fino all'emanazione del decreto di cui al comma 6» che avrebbe dovuto recepire l'accordo con le Regioni in sede di Conferenza unificata. La disciplina assume tutt'altra portata nel testo attuale del menzionato art. 76, frutto delle modifiche introdotte con il d.l. n. 78 del 2010 oggetto del presente giudizio. Il comma 5, infatti, e' stato abrogato e dal comma 7 e' stato rimosso l'incipit che conferiva alla norma quella «transitorieta'» collegata all'emanazione del d.P.C.M. di recepimento dell'accordo tra Stato, Regioni ed enti locali; transitorieta', si badi bene, da considerare quale requisito indispensabile per la legittimita' costituzionale della misura ed affermata per la prima volta da questa Corte, nella sent. n. 169 del 2007, proprio in occasione dello scrutinio di una norma legislativa sostanzialmente analoga a quella oggi in discussione. In quella decisione, come si e' gia' ricordato, la Corte ha chiarito che «perche' norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali possano qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, e' necessario che esse soddisfino i seguenti requisiti: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, intesi anche nel senso di un transitorio contenimento complessivo, sebbene non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano strumenti o modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi». Con questa premessa - in relazione all'art. 1, comma 198, della legge n. 266 del 2005, il quale imponeva alle Regioni di contenere la spesa per il personale entro il corrispondente ammontare dell'anno 2004, diminuito dell'1% per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008 - e' stato ritenuto che la disposizione allora impugnata rispondeva a tutti i prescritti requisiti. In particolare, la Corte ha rilevato (cfr. par. 8 del Considerato in diritto) che «con il comma 198, il legislatore ha (...) perseguito l'obiettivo di contenere entro limiti prefissati una delle piu' frequenti e rilevanti cause del disavanzo pubblico, costituita dalla spesa complessiva per il personale (sentenza n. 4 del 2004). Tale obiettivo, pur non riguardando la generalita' della spesa corrente, ha tuttavia rilevanza strategica ai fini dell'attuazione del patto di stabilita' interno, e concerne non una minuta voce di spesa, bensi' un rilevante aggregato della spesa di parte corrente, nel quale confluisce il complesso degli oneri relativi al personale, ivi compresi, ai sensi dell'ultima parte del comma 198, quelli per il personale "a tempo determinato, con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, o che presta servizio con altre forme di rapporto di lavoro flessibile o con convenzione". Il carattere della transitorieta' del contenimento complessivo, richiesto dalla citata giurisprudenza di questa Corte, risulta poi dal fatto che detto contenimento e' destinato ad operare per un periodo determinato (triennio 20062008), periodo successivamente ridotto al solo anno 2006, in forza dell'art. 1, comma 557, della legge n. 296 del 2006. La norma censurata risponde anche al secondo requisito, in quanto non prescrive ai suoi destinatari alcuna modalita' per il conseguimento dell'obiettivo di contenimento della spesa per il personale, ma lascia libere le Regioni di individuare le misure a tal fine necessarie. Essa ha, pertanto, un contenuto diverso da quello delle disposizioni di precedenti leggi finanziarie dichiarate illegittime da questa Corte con le sentenze richiamate dalle ricorrenti a sostegno delle loro censure. A differenza del comma 198, dette disposizioni stabilivano, infatti, limiti puntuali a specifiche voci di spesa quali quelle per viaggi aerei (sentenza n. 449 del 2005), per assunzioni a tempo indeterminato (sentenze n. 88 del 2006 e n. 390 del 2004), per studi e incarichi di consulenza, missioni all'estero, rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni, acquisti di beni e servizi (sentenza n. 417 del 2005)». 13.3. - Se dunque, come si evince anche dal confronto con il testo previgente del comma 7 dell'art. 76 del d.l. n. 112 del 2008, il divieto imposto dalla prima proposizione dell'art. 14, comma 9, qui censurato si configura come misura destinata ad applicarsi direttamente alle Regioni e ad operare come limite «stabile» e non meramente «transitorio», l'applicazione della giurisprudenza appena richiamata non puo' che condurre a dichiararne l'illegittimita' costituzionale per il palese contrasto con gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost. Si consideri, peraltro, che la disposizione ha ad oggetto la spesa per il personale della Regione e il potere di quest'ultima di procedere alle relative assunzioni, dunque illegittimamente comprime sia la potesta' legislativa regionale in materia di «organizzazione amministrativa e ordinamento del personale» fondata sull'art. 117, quarto comma, Cost. - ripetutamente riconosciuta da questa Corte (a partire dalla sent. n. 274 del 2003) - sia l'autonomia amministrativa nell'esercizio delle funzioni che alla Regione spettano in virtu' dell'art. 118, primo comma, Cost. 13.4. - Gli argomenti fin qui esposti mostrano, in termini - se possibile - ancor piu' evidenti, l'illegittimita' costituzionale anche della seconda previsione contenuta nell'impugnato art. 14, comma 9, ovviamente sempre per la parte in cui esso si applica alle Regioni. In questo caso, come si e' detto, il limite quantitativo puntuale imposto «stabilmente» alla spesa per le assunzioni di personale («20 per cento della spesa corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente») si applica, in termini assoluti e generalizzati, a tutti gli enti, anche nelle ipotesi in cui questi ultimi risultassero gia' di fatto adeguati al limite piu' generale stabilito dalla prima previsione. La norma, dunque, si pone in aperto contrasto con i parametri costituzionali invocati, ossia con gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., con l'art. 117, quarto comma, Cost., il quale attribuisce alla Regione la potesta' legislativa in materia di «organizzazione amministrativa e ordinamento del personale», nonche' con l'autonomia amministrativa regionale che trova fondamento nell'art. 118, primo comma, Cost. 14. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 14, commi 19, 20 e 21, per violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma, dell'art. 118, primo comma, dell'art. 119, nonche' degli artt. 3 e 97 della Costituzione. 14.1. - L'art. 14, ai commi 19, 20 e 21, contiene alcune disposizioni volte a regolare il c.d. «Patto di stabilita' interno», prevedendo sanzioni per gli enti che non dovessero rispettarlo. Il comma 19 prevede quanto segue: «Ferme restando le previsioni di cui all'articolo 77-ter, commi 15 e 16, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, alle regioni che abbiano certificato il mancato rispetto del patto di stabilita' interno relativamente all'esercizio finanziario 2009, si applicano le disposizioni di cui ai commi dal 20 al 24 del presente articolo. Il comma 20, a sua volta, prevede che «gli atti adottati dalla Giunta regionale o dal Consiglio regionale durante i dieci mesi antecedenti alla data di svolgimento delle elezioni regionali, con i quali e' stata assunta le decisione di violare il patto di stabilita' interno, (siano) annullati senza indugio dallo stesso organo». Il comma 21, invece, cosi' dispone: «I conferimenti di incarichi dirigenziali a personale esterno all'amministrazione regionale ed i contratti di lavoro a tempo determinato, di consulenza, di collaborazione coordinata e continuativa ed assimilati, nonche' i contratti di cui all'articolo 76, comma 4, secondo periodo, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, deliberati, stipulati o prorogati dalla regione nonche' da enti, agenzie, aziende, societa' e consorzi, anche interregionali, comunque dipendenti o partecipati in forma maggioritaria dalla stessa, a seguito degli atti indicati al comma 20, sono revocati di diritto. Il titolare dell'incarico o del contratto non ha diritto ad alcun indennizzo in relazione alle prestazioni non ancora effettuate alla data di entrata in vigore del presente decreto». Come si vede, si tratta di sanzioni molto diverse da quelle a carattere finanziario che hanno caratterizzato, nell'evoluzione legislativa dell'ultimo decennio, il Patto di stabilita' nelle sue differenti «versioni». Queste previsioni sono costituzionalmente illegittime e violano l'autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria della ricorrente per molteplici ragioni. 14.2. - L'illustrazione delle specifiche violazioni di norme costituzionali che si concretizzano per effetto della entrata in vigore dell'art. 14, commi 19, 20 e 21, deve essere preceduta da alcune considerazioni piu' generali concernenti l'inserimento del Patto di stabilita' del contesto del riparto delle competenze legislative stabilito dalla Costituzione, ed in particolare dal suo art. 117. E' noto che il titolo di competenza che maggiormente rileva al riguardo e' quello - sul quale ci si e' gia' soffermati in svariate occasioni, nel corso del presente atto - del «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario». Nelle pagine che precedono si e' avuto modo di richiamare la giurisprudenza costituzionale concernente il tipo di vincoli che, in base a tale titolo di legittimazione, lo Stato e' abilitato ad imporre alle Regioni. Merita ora un cenno la questione dei limiti di carattere materiale che quest'ultimo incontra nello svolgere la propria attivita' di coordinamento della finanza pubblica. La Regione Puglia non intende certo negare che le prescrizioni poste dallo Stato nell'esercizio della propria competenza di coordinamento della finanza pubblica possano essere assistite da sanzioni che intervengano in caso di loro violazione. Il Patto di stabilita', quindi, puo' certamente essere corredato di norme che dispongano il prodursi di effetti negativi a carico di quegli enti territoriali che non lo rispettino. Cio' che pero' deve essere messo in luce, e' che anche tali norme a carattere sanzionatorio devono rispettare il limite delle materie contenuto nell'art. 117 Cost. In particolare, esse si devono mantenere nell'ambito delle competenze esclusive di cui al secondo comma della disposizione appena menzionata, ovvero di quello dei principi fondamentali delle materie elencate al successivo terzo comma. In sintesi, lo Stato puo' certamente prevedere norme sanzionatorie di carattere finanziario o tributario, come del resto e' accaduto in passato proprio in relazione al Patto di stabilita'. Oppure puo' porre norme sanzionatorie che investano settori materiali diversi da quelli del «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario». In tali circostanze, pero', dovra' dettare norme che si mantengano entro i limiti delle materie di cui al secondo comma dell'art. 117 Cost., ovvero entro quelli dei principi fondamentali delle materie di cui al successivo terzo comma. Pertanto, pur restando indiscussa la potesta' sanzionatoria dello Stato in caso di violazione delle prescrizioni dal medesimo dettate nell'esercizio della propria competenza di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, tale potesta' non puo' certo essere configurata alla stregua di un vero e proprio grimaldello capace di consentire alla legge statale, al di fuori dei limiti delle proprie competenze, di aprirsi le porte in ambiti materiali che la Costituzione assegna alla legislazione regionale. La competenza sanzionatoria, dunque, non puo' essere una clausola bonne a' toute faire, per il cui tramite svincolarsi del limite delle materie. 14.3. - Le disposizioni impugnate violano gli artt. 117, terzo e quarto comma, Cost. proprio perche' prevedono sanzioni configurate in modo tale da invadere la potesta' legislativa assegnata alle Regioni dalle disposizioni costituzionali appena menzionate. 14.3.1. - Il comma 20, come evidenziato piu' sopra, dispone un vero e proprio obbligo di annullamento - da parte dell'organo regionale competente - di tutti gli atti con cui si sia deliberata la violazione del patto di stabilita' e che risultino emanati nei dieci mesi anteriori alle elezioni regionali. Questa disposizione, nella parte in cui impone di intervenire anche in relazione ad atti ricadenti negli ambiti materiali diversi da quelli elencati nel secondo comma dell'art. 117, invade la competenza legislativa assegnata alle Regioni dall'art. 117, terzo e quarto comma, Cost. Puo' peraltro essere opportuno sgombrare il campo da un possibile equivoco. Deve infatti essere escluso che la norma qui contestata sia rispettosa dell'autonomia regionale perche' affida il compito di procedere all'annullamento agli stessi organi regionali. Il comma 20, infatti, pone un obbligo giuridico di annullamento sospensivamente condizionato alla certificazione del mancato rispetto del Patto di stabilita' di cui al comma 19. Verificatasi la condizione sospensiva, l'obbligo sorge automaticamente, fa parte dell'ordinamento giuridico, e puo' essere portato ad esecuzione con gli strumenti previsti da quest'ultimo. E' possibile immaginare, ad esempio, l'utilizzazione della sostituzione straordinaria da parte dello stesso Governo ex art. 120, secondo comma, Cost., ovvero l'uso degli ordinari strumenti del processo giurisdizionale ordinario o amministrativo. Non ha dunque pregio l'eventuale argomento che vorrebbe la norma impugnata mancante di lesivita' dell'autonomia regionale in quanto limitata alla imposizione di un obbligo di annullamento a carico degli stessi organi Regionali. 14.3.2. - Il comma 21 dell'art. 14 e' incostituzionale per contrasto con l'art. 117, quarto comma, Cost., per ragioni analoghe a quelle appena esposte. Anche in questo caso, infatti, la sanzione prevista dalla legge statale per il caso della violazione del Patto di stabilita' consta di una normativa che si spinge ben oltre i limiti imposti dall'art. 117, secondo e terzo comma, alla competenza normativa dello Stato. Essa, infatti - nel disporre la revoca «di diritto» dei «conferimenti di incarichi dirigenziali a personale esterno all'amministrazione regionale ed i contratti di lavoro a tempo determinato, di consulenza, di collaborazione coordinata e continuativa ed assimilati, nonche' i contratti di cui all'articolo 76, comma 4, secondo periodo, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, deliberati, stipulati o prorogati dalla regione nonche' da enti, agenzie, aziende, societa' e consorzi, anche interregionali, comunque dipendenti o partecipati in forma maggioritaria dalla stessa a seguito degli atti indicati al comma 20», invade evidentemente la competenza legislativa regionale in materia di «organizzazione amministrativa della Regione e degli enti pubblici regionali», rientrante, secondo la giurisprudenza costituzionale, nell'ambito di cui all'art, 117, quarto comma, Cost. (cfr. la sent. n. 326 del 2008). 14.4. - Ove si ritenesse di non condividere le argomentazioni fin qui proposte, i commi 19, 20 e 21 andrebbero comunque considerati incostituzionali per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119, Cost. In questa sede rilevano gli insegnamenti di questa Corte che gia' in piu' di una occasione sono stato evocati nell'ambito del presente atto. In particolare, ci si riferisce a quelle ormai numerose decisioni nelle quali e' stato inequivocabilmente stabilito che, nell'ambito della competenza a porre i principi fondamentali in materia di «coordinamento della finanza pubblica», lo Stato non puo' spingersi sino al punto di imporre norme minute e dettagliate inerenti le singole voci di spesa. Cosi', invece, accade evidentemente con le norme censurate, in particolare per il caso della revoca ex lege degli incarichi disposta dal comma 21. Ancora, proprio in quest'ultimo caso, l'autonomia finanziaria regionale e' violata da un ulteriore punto di vista. Cio' in quanto la disposizione, pur avendo carattere sanzionatorio nei confronti di quelle Regioni che abbiano deliberatamente scelto di violare il patto di stabilita', interviene ex post (vale a dire, con una misura sanzionatoria non esistente nell'ordinamento al momento dell'adozione degli atti di spesa in questione), incidendo direttamente sul potere delle Regioni di disporre delle proprie risorse e di dotarsi della organizzazione piu' idonea al perseguimento dei propri fini. 14.5. - In via ulteriormente subordinata, deve essere evidenziato che i commi 19, 20 e 21 qui in discussione sono costituzionalmente illegittimi anche per violazione degli artt. 3 e 97 Cost., in relazione alle competenze regionali garantite dagli artt. 117, 118 e 119 Cost. Cio' per le seguenti ragioni. Le norme che qui si impugnano, come si e' visto, individuano nei dieci mesi precedenti la data delle elezioni regionali l'arco temporale in relazione ai quali dispiegare la propria efficacia. Ebbene, la definizione dell'intervallo di tempo riferito ai 10 mesi precedenti la data delle elezioni costituisce un parametro del tutto arbitrario e irragionevole, in quanto il presupposto dell'applicazione delle misure previste dai commi 20 e 21 dell'art. 14 (per quel che qui rileva) e' la violazione del patto di stabilita' interno relativamente all'esercizio finanziario 2009. Tale irragionevolezza si riflette negli effetti di irragionevole disparita' di trattamento tra Regioni, poiche' eventuali atti adottati in violazione del patto di stabilita' prima dei 10 mesi precedenti la data delle elezioni non sono soggetti alla sanzione dell'annullamento. Sicche', due Regioni che adottano atti di spesa in violazione del patto di stabilita', l'una prima dei 10 mesi antecedenti la data delle elezioni e l'altra durante tale intervallo temporale, pur trovandosi nella medesima condizione, sono soggette ad un regime differente, poiche' solo la seconda subisce l'illegittima ingerenza dello Stato in materie riservate alla sua competenza, con conseguente lesione dei principi di autonomia finanziaria e organizzativa ex artt. 117, comma terzo e quarto, e 119 Cost. E cio' vale anche con riferimento all'ulteriore misura sanzionatoria della revoca dei contratti di lavoro stipulati sulla base dei predetti atti di spesa disposta dal comma 21. Dalla segnalata irragionevole disparita' di trattamento discende poi, come conseguenza diretta, la violazione dei principi di imparzialita' e buon andamento dell'amministrazione. La Regione Puglia e' ben consapevole della ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte che esclude che le Regioni possano impugnare una legge o un atto con forza di legge dello Stato invocando, quali parametri, norme differenti da quelle che regolano il riparto di competenze. La questione appena prospettata, tuttavia, rientra senza dubbio nell'ambito di quei casi che rappresentano - anch'essi per costante giurisprudenza - una eccezione a tale principio. La violazione delle norme costituzionali sostanziali appena argomentata, infatti, ridonda evidentemente nella compressione dell'autonomia regionale costituzionalmente garantita, poiche' determina l'illegittima ingerenza dello Stato nella gestione delle risorse delle Regioni, mediante l'imposizione di un obbligo di annullamento di atti adottati da giunta e/o consiglio regionale nell'esercizio dei poteri ad essi riconosciuti in ragione dell'autonomia finanziaria, organizzativa, legislativa (nelle materie di competenza) e regolamentare costituzionalmente attribuita. 14.6. - Le norme impugnate, infine, sono costituzionalmente illegittime anche per la loro irragionevolezza intrinseca e, dunque, per violazione dell'art. 3 Cost., sempre in relazione alle competenze regionali garantite dagli artt. 117, 118 e 119 Cost. Il Patto di stabilita' interno prevede un complesso assai variegato di obblighi a carico delle Regioni, di talche' l'eventuale mancato rispetto di esso - che costituisce il presupposto di fatto per l'applicabilita' delle norme qui censurate - puo' discendere, in concreto, da plurime ragioni riferite, di volta in volta, ad un'amplissima varieta' di voci di spesa distinte in spesa corrente e spesa in conto capitale, alle quali si debbono detrarre alcune tipologie di spese da calcolare in base a quanto previsto nel Patto medesimo. Ne consegue che la sanzione per il mancato rispetto del Patto che il legislatore statale pretenda di applicare, in via assoluta e generalizzata, alle Regioni che risultino inadempienti nei saldi complessivi non potra' mai consistere nell'imposizione di un limite puntuale e inderogabile ad una singola voce di spesa senza che sia accertato in concreto il collegamento diretto tra tale voce di spesa e la violazione del Patto; e cio', non soltanto per il gia' denunciato contrasto di una simile previsione con la potesta' legislativa statale in materia di coordinamento della finanza pubblica, ma anche perche' la misura risulterebbe intrinsecamente irragionevole, in quanto del tutto scollegata dalla sua finalita' di garantire il rispetto degli obblighi del Patto nell'esercizio finanziario successivo. Le norme impugnate dispongono misure sanzionatorie puntuali e specificamente riferite a singoli atti e voci di spesa, senza assumere a loro presupposto alcun collegamento in concreto tra le suddette sanzioni e l'accertato mancato rispetto del Patto di stabilita' da parte della Regione inadempiente. Pertanto, esse risultano incostituzionali anche sotto il profilo della loro intrinseca irragionevolezza, la quale si traduce in illegittima compressione dell'autonomia regionale. 15. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 27, per violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. p), dell'art. 117, terzo e quarto comma, nonche' dell'art. 118, secondo comma, della Costituzione. 15.1. - L'art. 14, comma 27, dispone quanto segue: «Ai fini dei commi da 25 a 31 e fino alla data di entrata in vigore della legge con cui sono individuate le funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, sono considerate funzioni fondamentali dei comuni le funzioni di cui all'articolo 21, comma 3, della legge 5 maggio 2009, n. 42». L'effetto normativo e' chiaro. Sia pure ai limitati fini dell'applicazione dei commi da 25 a 31 del medesimo art. 14 e fino all'entrata in vigore dell'apposita legge attuativa dell'art. 117, secondo comma, lett. p), Cost., il legislatore statale riconosce direttamente la qualifica di «funzioni fondamentali dei comuni» alle funzioni amministrative indicate nell'art. 21, comma 3, della legge n. 42 del 2009, il quale contempla il seguente elenco: a) funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della presente legge; b) funzioni di polizia locale; c) funzioni di istruzione pubblica, ivi compresi i servizi per gli asili nido e quelli di assistenza scolastica e refezione, nonche' l'edilizia scolastica; d) funzioni nel campo della viabilita' e dei trasporti; e) funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente, fatta eccezione per il servizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia nonche' per il servizio idrico integrato; f) funzioni del settore sociale. In tal modo, come si ricava agevolmente dalla semplice lettura dell'elenco appena citato, la norma censurata estende la qualifica di «funzioni fondamentali dei comuni» - con conseguente attribuzione allo Stato della relativa competenza legislativa esclusiva - anche a funzioni «amministrativo-gestionali», o comunque, piu' in generale, a funzioni volte alla cura concreta di interessi. Cosi' facendo, pero', la norma in questione fuoriesce palesemente dai limiti che caratterizzano la potesta' legislativa attribuita allo Stato dall'art. 117, secondo comma, lett. p), Cost., ledendo gravemente l'autonomia legislativa della Regione riconosciuta dai commi terzo e quarto dell'art. 117 Cost. e richiamata dal comma secondo dell'art. 118 Cost., in riferimento alla disciplina e alla allocazione delle funzioni amministrative dei Comuni. 15.2. - La competenza legislativa statale di cui alla lett. p) del secondo comma dell'art. 117 Cost. e' una competenza che, nell'attuale sistema costituzionale di ripartizione delle potesta' legislative, si presenta, per sua natura, limitata. Da essa non puo' certo ricavarsi un titolo che abiliti lo Stato a qualificare liberamente - come nel caso di specie - qualunque funzione amministrativa come «funzione fondamentale» dei Comuni o delle Province, potendo per cio' stesso disporne l'integrale disciplina. La giurisprudenza di questa Corte ha piu' volte riconosciuto espressamente il carattere «limitato» della potesta' legislativa statale di cui alla menzionata lett. p) del secondo comma dell'art. 117 (si pensi, ad es., alle sentenze sulle comunita' montane gia' citate in questa sede al par. 5.2.), ma non ha ancora avuto di individuare con chiarezza i limiti entro i quali dovrebbe essere intesa l'espressione «funzioni fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane». Ad avviso della Regione Puglia, le «funzioni fondamentali» cui fa riferimento la disposizione costituzionale devono ritenersi limitate a quelle in cui si esprimono la potesta' statutaria, la potesta' regolamentare e la potesta' amministrativa a carattere «ordinamentale» concernente le funzioni essenziali che attengono alla vita stessa e al governo degli enti locali in questione. In nessun caso vi potrebbero essere ricondotte funzioni «amministrativo-gestionali» in senso proprio, ne', tanto meno, quelle individuate per relationem dalla norma qui censurata. 15.3. - A sostegno di una simile conclusione militano diversi argomenti. Innanzitutto, l'argomento «topografico» riferito allo stesso testo dell'art. 117, secondo comma, lett. p), per il quale le «funzioni fondamentali» sono accomunate agli «organi di governo» e alla «legislazione elettorale». In secondo luogo, la considerazione dei principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza di cui all'art. 118, primo comma, Cost. Infatti, se si muove dalla premessa - ampiamente desumibile dalla giurisprudenza di questa Corte - secondo la quale la ratio della attribuzione allo Stato di una competenza legislativa e' da rintracciare in una esigenza unitaria di livello nazionale, risulterebbe del tutto incomprensibile individuare una tale esigenza unitaria nell'ipotesi in cui tra le funzioni fondamentali menzionate alla lett. p) dell'art. 117, secondo comma, Cost., fossero annoverabili anche funzioni amministrative consistenti nella concreta cura di interessi. Cio' perche' tali funzioni dovrebbero comunque essere allocate tra gli enti locali in base ai principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza ex art. 118, primo comma, Cost. E tale vincolo, ovviamente, graverebbe allo stesso modo sulla legge statale e su quella regionale (art. 118, secondo comma, Cost.), guidandole verso le medesime scelte. Come e' stato evidenziato in dottrina, «se le funzioni fondamentali sono amministrative, la legge statale non potrebbe allocarle senza tener conto del vincolo costituito dal principio di sussidiarieta': e quindi, non potrebbe assegnare alle Province funzioni amministrative che potrebbero essere adeguatamente svolte dai Comuni (o viceversa). Ma in questo caso non si capisce perche' - nelle materie di spettanza regionale - questa valutazione di sussidarieta'/adeguatezza debba essere operata dalla legge statale in luogo di quella regionale, tanto piu' che la sussidiarieta' vincolerebbe allo stesso modo tanto il legislatore statale che quello regionale, prescrivendo la medesima soluzione allocativa» (cosi' O. Chessa, Pluralismo paritario e autonomie locali nel regionalismo italiano, in www.astrid-online.it, p. 14). Nel senso indicato depone anche una lettura sistematica delle disposizioni costituzionali. Tra i principi che debbono guidare l'allocazione delle funzioni amministrative tra i diversi enti della Repubblica, a fianco della sussidiarieta' e della adeguatezza, l'art. 118 Cost. contempla anche il principio di differenziazione. Tale principio specifica gli altri due. Il suo contenuto precettivo consiste nello stabilire che la valutazione di adeguatezza/inadeguatezza rispetto allo svolgimento della funzione che sorregge il principio di sussidiarieta' deve tener conto delle differenze concrete che sussistono tra enti della medesima categoria. Il principio di differenziazione, dunque, spinge a valutare diversamente enti che, pur appartenendo alla medesima categoria (ad es., due Comuni, o due Province) hanno caratteristiche (ad es. dimensionali) molto differenti. In base a questo principio, dunque, nella allocazione delle funzioni amministrative la legge regionale o statale, competente per materia, dovrebbe compiere una valutazione di adeguatezza-inadeguatezza differente per enti con caratteristiche differenti pur se del medesimo tipo, ad esempio, ritenendo adeguati allo svolgimento della funzione i Comuni con piu' di x abitanti, ed inadeguati i Comuni con x o meno di x abitanti. In sintesi, si puo' ritenere che il principio di differenziazione sia una peculiare declinazione che assume il principio di eguaglianza nell'ambito della allocazione delle funzioni amministrative. Il principio di eguaglianza, infatti, impone di trattare in modo uguale situazioni uguali e in modo diverso situazioni diverse. Nel caso in questione, impone di trattare in modo diverso due enti che - pur appartenenti alla medesima categoria - siano caratterizzati da diversita' tali che uno sia da considerare adeguato, ed un altro inadeguato, allo svolgimento delle medesime funzioni. E' del tutto evidente che il portato precettivo del principio di differenziazione (e, per il suo tramite, del principio di eguaglianza) risulterebbe del tutto trascurato ove si ritenesse che le funzioni amministrativo-gestionali possano rientrare tra le «funzioni fondamentali» per consentire soluzioni allocative, da parte della legge statale, uniformi per tutto il territorio nazionale. Viceversa, e' il principio di sussidiarieta' a richiedere la differenziazione. D'altra parte, non si potrebbe certo ritenere che la soluzione proposta in questa sede sia in grado di pregiudicare quella uniformita' minima negli standard di prestazione relativi a quelle funzioni, particolarmente importanti per le collettivita' locali, che in virtu' di tale importanza si volessero far rientrare tra quelle «fondamentali». Lo Stato, infatti sarebbe comunque dotato della competenza ad individuare i «livelli essenziali delle prestazioni», e inoltre avrebbe a disposizione, in ogni caso, lo strumento del potere sostitutivo straordinario ex art. 120, secondo comma, Cost., per garantire l'effettivita' di questi ultimi. 15.4. - Per queste ragioni, la Regione Puglia ritiene che l'errata riconduzione delle funzioni amministrative di cui all'art. 21, comma 3, della legge n. 42 del 2009 alla categoria delle «funzioni fondamentali dei comuni», cosi' come previsto dalla norma qui censurata, ne determini la illegittimita' costituzionale per violazione dell'autonomia legislativa regionale garantita dai parametri costituzionali indicati. 16. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 43, per violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma, nonche' dell'art. 118, primo e secondo comma, della Costituzione. 16.1. - L'art. 43 prevede la istituzione, «nel Meridione d'Italia» (compresa espressamente la Regione Puglia), di «zone a burocrazia zero», mediante l'emanazione di un «decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'interno». Nelle predette zone, una volta istituite, la disposizione in questione stabilisce che le «nuove iniziative produttive» godano di alcuni vantaggi. In particolare, si prevede che «nei riguardi delle predette nuove iniziative i provvedimenti conclusivi dei procedimenti amministrativi di qualsiasi natura ed oggetto avviati su istanza di parte, fatta eccezione per quelli di natura tributaria, sono adottati in via esclusiva da un Commissario di Governo che vi provvede, ove occorrente, previe apposite conferenze di servizi ai sensi della legge n. 241 del 1990; i provvedimenti conclusivi di tali procedimenti si intendono senz'altro positivamente adottati entro 30 giorni dall'avvio del procedimento se un provvedimento espresso non e' adottato entro tale termine. Per i procedimenti amministrativi avviati d'ufficio, fatta eccezione per quelli di natura tributaria, le amministrazioni che li promuovono e li istruiscono trasmettono, al Commissario di Governo, i dati e i documenti occorrenti per l'adozione dei relativi provvedimenti conclusivi». 16.2. - La normativa in esame viola, innanzitutto, gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118, secondo comma, Cost. Al riguardo, e' necessario evidenziare, in primo luogo, come la disposizione in questione abbia un ambito di applicazione generalizzato, non essendo tale ambito delimitato in relazione a particolari settori materiali. Essa e' quindi destinata a trovare applicazione in tutti i procedimenti amministrativi ad istanza di parte concernenti le «nuove iniziative produttive», a prescindere dalla materia nel cui ambito incidono tali procedimenti. Nella misura in cui coinvolge anche procedimenti destinati ad esplicarsi in ambiti materiali di competenza regionale concorrente o residuale, essa viola dunque, rispettivamente, l'art. 117, terzo e quarto comma, Cost. La Regione Puglia non intende affermare che lo Stato non abbia alcuna competenza a dettare norme concernenti i procedimenti amministrativi e destinate ad applicarsi anche nell'ambito degli ordinamenti regionali. Ne' ignora che talune di queste norme sono gia' state riconosciute dalla giurisprudenza di questa Corte come dettate legittimamente dallo Stato in base alla competenza che ad esso la Costituzione assegna nell'art. 117, secondo comma, lett. m) (cfr., in part., la sent. n. 398 del 2006, par. 5.2 del Considerato in diritto). Viceversa, cio' che si intende mettere in evidenza in questa sede e' che certamente la disciplina posta dall'art. 43 non puo' fondarsi sul titolo di legittimazione piu' sopra accennato. A tacer d'altro, e' sufficiente al riguardo considerare quanto segue. Stabilendo che i provvedimenti sono adottati da un Commissario di Governo, la disciplina in esame pone una norma di allocazione di funzioni amministrative. Essa rientra dunque, senza possibilita' di errore, nell'ambito di applicazione del disposto dell'art. 118, secondo comma, Cost., il quale prevede che ad allocare le funzioni amministrative debba essere il legislatore statale nelle materie di propria competenza, ed il legislatore regionale nelle altre materie. Che nell'ambito delle materie diverse da quelle attribuite alla competenza legislativa esclusiva dello Stato quest'ultimo non possa procedere ad allocare direttamente le funzioni amministrative risulta chiaramente anche da un'altra linea argomentativa, che merita di essere posta in evidenza. La giurisprudenza costituzionale ha infatti inequivocabilmente affermato che la competenza dello Stato ad adottare principi fondamentali nell'ambito delle materie di competenza concorrente non si estende alla adozione di norme volte ad allocare funzioni amministrative (cosi', ad es., la sent. n. 384 del 2005, par. 5 del Considerato in diritto). Da cio' risulta, a maggior ragione, che non e' possibile, per lo Stato, procedere alla allocazione di funzioni amministrative nell'ambito delle materie affidate, ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost., alla competenza residuale delle Regioni. E' noto che - secondo l'insegnamento della giurisprudenza costituzionale - lo Stato puo' allocare funzioni amministrative nelle materie di cui ai commi terzo e quarto della Costituzione, avocandole a se stesso, in virtu' dell'art. 118, primo comma, Cost., ove ricorrano i presupposti della c.d. «chiamata in sussidiarieta'». Cio', pero', puo' accadere soltanto nel caso in cui il livello regionale sia inadeguato allo svolgimento della specifica funzione amministrativa considerata. Sul punto, e' sufficiente richiamare la sent. n. 6 del 2004, la quale evidenzia che «perche' nelle materie di cui all'art. 117, terzo e quarto comma, Cost., una legge statale possa legittimamente attribuire funzioni amministrative a livello centrale ed al tempo stesso regolarne l'esercizio, e' necessario che essa innanzi tutto rispetti i principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza nella allocazione delle funzioni amministrative, rispondendo ad esigenze di esercizio unitario di tali funzioni» (par. 7 del Considerato in diritto). Quindi - oltre alla necessita' di rispettare le forme collaborative che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il legislatore statale deve prevedere nel concreto esercizio della funzione ove faccia ricorso alla «chiamata in sussidiarieta'» (cfr., tra le molte, le sentenze nn. 303 del 2003, 6 del 2004, 383 del 2005, 278 del 2010), e che comunque risultano mancanti nel caso di specie - il primo passo per verificare se la allocazione di funzioni amministrative in capo ad uffici statali sia costituzionalmente legittima, alla luce dello schema della «chiamata in sussidiarieta'», e' quello della valutazione della inadeguatezza del livello regionale a svolgere le specifiche funzioni considerate e dunque della necessita' dell'intervento «sussidiario» dello Stato. E' agevole mostrare che tale condizione non ricorre nel caso in questa sede sottoposto alla attenzione della Corte. Per giudicare della adeguatezza-inadeguatezza di un livello territoriale di governo rispetto alla svolgimento di funzioni amministrative e' indispensabile prendere in considerazione singole funzioni. Cio' in quanto tale giudizio, sia che faccia leva sull'ambito valutativo coinvolto (sentt. n. 6 del 2004; 196 del 2004, part. par. 29 del Considerato in diritto; 242 del 2005), sia che faccia leva sui possibili effetti negativi che l'eccessiva vicinanza ad interessi radicati nel territorio possa determinare sulla imparzialita' della decisione amministrativa (sent. n. 285 del 2005), sia che faccia leva sulla inidoneita' delle burocrazie regionali a gestire ingenti quantita' di denaro (sent. n. 160 del 2005), non puo' che essere compiuto in relazione alle caratteristiche specifiche dei singoli e concreti compiti amministrativi dei quali si discute. E' del tutto evidente, in altre parole, che per capire se un determinato livello di governo e' adeguato allo svolgimento di funzioni amministrative, deve esse considerata la singola funzione, con le sue proprie caratteristiche, poiche' da esse dipendera' la valutazione di adeguatezza-inadeguatezza in concreto dell'ente preso in esame. Ora, non vi e' chi non veda che l'art. 43 qui contestato non possa essere considerato, per ragioni che non si esiterebbe a definire «strutturali», rispettoso del principio di sussidiarieta'. Esso, infatti, opera una attribuzione generalizzata ed astratta ad un organo statale di un insieme indifferenziato di funzioni, individuate in modo del tutto generico, e caratterizzate anche da una notevole eterogeneita' l'una rispetto all'altra. La Regione Puglia non intende negare che in relazione a talune delle funzioni coinvolte dalla norma impugnata possano sussistere le condizioni per la sua allocazione, in virtu' del principio di sussidiarieta', al livello statale, e dunque per la corrispondente avocazione al medesimo livello anche della funzione legislativa. Quel che e' evidente, tuttavia, e' la sicura illegittimita' costituzionale di una attribuzione allo Stato di funzioni amministrative operata in astratto e in modo del tutto generalizzato. La violazione del principio di sussidiarieta', in sintesi, e' resa del tutto palese dal generale ambito di applicazione della normativa: deve escludersi con certezza che sia conforme a Costituzione una disciplina che preveda la avocazione in sussidiarieta' di funzioni amministrative in modo del tutto generalizzato, prescindendo dalle situazioni che caratterizzano ciascuna di esse, e dunque dalla effettiva sussistenza in concreto delle esigenze di esercizio unitario. Neanche utilizzando lo schema della c.d. «chiamata in sussidiarieta'», dunque, e' possibile ritenere che lo Stato sia dotato della competenza legislativa a porre norme quali quelle contenute nell'art. 43 qui oggetto di contestazione. Non solo, infatti, difetta la previsione della necessaria collaborazione regionale in occasione del concreto esercizio della funzione, ma soprattutto - ed e' questa la notazione dirimente - manca del tutto la possibilita' di ritenere sussistenti le condizioni sostanziali in presenza delle quali la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto che si possa procedere a tale avocazione in capo al livello statale. Per le ragioni fin qui evidenziate - nella misura in cui essa e' destinata ad applicarsi anche ai procedimenti amministrativi che si svolgono entro l'ambito delle materie di competenza regionale concorrente e residuale - la disciplina censurata viola non solo l'art. 117, secondo e terzo comma, Cost., ma anche l'art. 118, secondo comma, Cost., il quale vincola la possibilita' di allocare funzioni amministrative alla titolarita' della competenza legislativa nella materia in cui esse sono destinate a svolgersi. 16.3. - La normativa oggetto di censura viola, infine, l'art. 118, primo comma, Cost. Nella denegata ipotesi in cui non si condividessero le argomentazioni sopra esposte e si volesse ritenere esistente un titolo di legittimazione della competenza legislativa statale reperendolo nel comma secondo, o nel comma terzo, dell'art. 117 Cost., l'art. 43 del d.l. n. 78 del 2010 sarebbe comunque costituzionalmente illegittimo perche' in contrasto con i principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza cui l'art. 118, primo comma, Cost., impone di adeguarsi nella allocazione di funzioni amministrative. Come si e' gia' mostrato in quanto precede, infatti, non e' possibile ritenere che siano stati rispettati i principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza da una generalizzata ed astratta attribuzione ad organi statali di funzioni amministrative non specificamente identificate. Il legislatore statale ha dichiaratamente compiuto una valutazione di inadeguatezza di tutti i livelli amministrativi regionali e locali del Meridione d'Italia del tutto presuntiva e aprioristica, palesemente sganciata dalla considerazione delle singole funzioni che concretamente vengono in gioco in relazione alle «nuove iniziative produttive» e, come tale, in radicale contrasto con quanto dispone l'art. 118, primo comma, Cost. 17. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 43, comma 2, per violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma, nonche' dell'art. 118, primo comma, della Costituzione. 17.1. - In via subordinata rispetto alle censure sollevate nel precedente motivo di ricorso, l'art. 43 e' comunque costituzionalmente illegittimo, sia pure solo in parte qua, sotto un ulteriore profilo. Come si e' visto, l'istituzione delle «zone a burocrazia zero» e' affidata, dal comma 2, ad un semplice «decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'interno». Anche ove si volessero trascurare i vizi di legittimita' costituzionale sopra denunciati, e' del tutto evidente che, almeno per la parte in cui il nuovo istituto pretende di rivolgere il proprio ambito di applicazione anche ai procedimenti amministrativi che si svolgono nelle materie di competenza regionale concorrente e residuale di cui ai commi terzo e quarto dell'art. 117 Cost., l'atto di istituzione in concreto di una «zona a burocrazia zero» potrebbe trovare legittimazione solo ed esclusivamente nella «chiamata in sussidiarieta'» di tale funzione al livello statale. In questa ipotesi, tuttavia, la previsione del semplice decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, senza alcuna forma di coinvolgimento di tipo codecisionale della Regione territorialmente interessata, viola palesemente una delle condizioni imprescindibili imposte dalla gia' richiamata e ben nota giurisprudenza costituzionale formatasi a partire dalla sentenza n. 303 del 2003. Per tale ragione, la ricorrente, impugna specificamente il comma 2 dell'art. 43 - per violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118, primo comma, Cost. - nella parte in cui, nel disciplinare il procedimento di istituzione delle «zone a burocrazia zero», non prevede l'intesa con la Regione interessata per l'ipotesi in cui risultino coinvolti procedimenti amministrativi che si svolgono nelle materie di competenza regionale concorrente e residuale di cui ai commi terzo e quarto dell'art. 117 Cost. 18. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 49, comma 3, lett. b) , per violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma, dell'art. 118, primo e secondo comma, nonche' dell'art. 120, secondo comma. della Costituzione. 18.1. - La disposizione censurata pone una nuova regolamentazione in materia di conferenza di servizi, sostituendo integralmente quanto fino alla sua entrata in vigore era disposto dai commi 3, 3-bis, 3-ter e 3-quater, dell'articolo 14-quater della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi). In particolare, il testo attualmente in vigore delle citate disposizioni della legge n. 241 del 1990 e' il seguente: «3. Al di fuori dei casi di cui all'articolo 117, ottavo comma, della Costituzione, e delle infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale, di cui alla parte seconda, titolo terzo, capo quarto del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, nonche' dei casi di localizzazione delle opere di interesse statale, ove venga espresso motivato dissenso da parte di un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumita', la questione, in attuazione e nel rispetto del principio di leale collaborazione e dell'articolo 120 della Costituzione, e' rimessa dall'amministrazione procedente alla deliberazione del Consiglio dei Ministri, che si pronuncia entro sessanta giorni, previa intesa con la Regione o le Regioni e le Province autonome interessate, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale e una regionale o tra piu' amministrazioni regionali, ovvero previa intesa con la Regione e gli enti locali interessati, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra piu' enti locali. Se l'intesa non e' raggiunta nei successivi trenta giorni, la deliberazione del Consiglio dei Ministri puo' essere comunque adottata. Se il motivato dissenso e' espresso da una Regione o da una Provincia autonoma in una delle materie di propria competenza, il Consiglio dei Ministri delibera in esercizio del proprio potere sostitutivo con la partecipazione dei Presidenti delle Regioni o delle Province autonome interessate». 18.2. - La normativa oggetto di censura viola, innanzi tutto, l'art. 118, primo comma, Cost. Al riguardo si consideri quanto segue. Nella parte in cui prevede che «la questione (...) e' rimessa dall'amministrazione procedente alla deliberazione del Consiglio dei Ministri», il quale procede di intesa con l'ente territoriale, o gli enti territoriali interessati, e nella parte in cui prevede che la deliberazione possa comunque essere adottata dal Consiglio dei ministri ove non intervenga tale intesa, l'art. 49, comma 3, lett. b), del d.l. n. 78 del 2010 e' indubbiamente una norma di allocazione di funzioni amministrative. In particolare, le funzioni che ricadono nel suo ambito di applicazione sono allocate al livello statale, sia pure con la partecipazione degli enti territoriali interessati. Come e' noto, l'art. 118, primo comma, Cost., impone che il legislatore - statale o regionale, secondo le rispettive competenze (comma secondo) - allochi le funzioni al livello piu' vicino ai cittadini e, solo in caso di inadeguatezza di quest'ultimo, ai livelli di governo meno vicini, in base ai principi di sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione. Da questa premessa, segue agevolmente una prima conclusione: che la norma che alloca funzioni amministrative ad un livello superiore a quello comunale deve riguardare singole funzioni, o quanto meno gruppi omogenei di funzioni, poiche' il giudizio di adeguatezza-inadeguatezza che e' sotteso alla scelta allocativa non puo' che concernere singole funzioni concretamente individuate, o quanto meno gruppi omogenei delle medesime. Di qui una prima ragione di incostituzionalita' della norma impugnata, per violazione dell'art. 118, primo comma, Cost.: l'art. 49, comma 3, lett. b), del d.l. n. 78 del 2010 avoca al livello statale un «fascio» di competenze amministrative senza che cio' sia in alcun modo giustificato dal principio di sussidiarieta' previsto dalla disposizione costituzionale da ultimo citata, non sussistendo alla base di tale avocazione quelle esigenze di esercizio unitario che sole, ai sensi di quest'ultima, la possono giustificare. La violazione di tale principio, peraltro, e' resa del tutto palese proprio dal generale ambito di applicazione della normativa: deve pero' escludersi con certezza che sia conforme a Costituzione una disciplina che preveda - in modo del tutto generalizzato e sulla base di una valutazione del tutto astratta e meramente presuntiva della inadeguatezza dei livelli di governo sub-statali - la avocazione allo Stato delle funzioni amministrative, prescindendo dalle situazioni che caratterizzano specificamente ciascuna di esse, e dunque dalla effettiva e concreta sussistenza delle esigenze di esercizio unitario. La disposizione in questa sede impugnata viola l'art. 118, primo coma, Cost., per una ulteriore ragione. La attribuzione della decisione circa il provvedimento da adottare al Consiglio dei ministri, a seguito dell'infruttuoso svolgimento della conferenza di servizi, rappresenta una allocazione della funzione amministrativa coinvolta «di secondo grado», nel senso che interviene in un momento logicamente successivo rispetto a quello della attribuzione alle amministrazioni che si trovano a partecipare alla conferenza dei compiti inerenti la decisione da adottare. Tale attribuzione e' compiuta dalla legge - statale o regionale - in base al principio di sussidiarieta', di talche' ove nell'ambito di un determinato procedimento amministrativo un determinato compito (sia esso la adozione finale di un atto o la prestazione di un assenso) venga affidato ad un livello di governo sub-statale, non si puo' che ritenere che la legge stessa ha considerato, in attuazione dell'art. 118 Cost., quel livello come pienamente adeguato allo svolgimento della funzione. In conseguenza, non potra' che ritenersi impedito dalla Costituzione - ed in particolare dal principio di sussidiarieta' - l'affidamento allo Stato della medesima funzione. Ne', del resto, e' possibile ritenere che la norma in questa sede impugnata sia costituzionalmente legittima, nonostante quanto appena osservato, proprio in virtu' del fatto che istituisce una competenza amministrativa destinata ad operare «in secondo grado», ossia a seguito del fallito esperimento della conferenza di servizi. L'ipotesi in cui un ente di livello superiore intervenga nel compimento di un atto in vece di un ente di livello inferiore, infatti, e' disciplinata dal nostro diritto costituzionale e ben nota alla giurisprudenza di questa Corte. Si tratta infatti dell'esercizio dei poteri sostitutivi. Ora, e' noto che, secondo l'insegnamento della giurisprudenza costituzionale, nel vigente sistema i poteri sostitutivi nei confronti degli enti territoriali sono di due tipi: il potere sostitutivo ordinario ed il potere sostitutivo straordinario, il primo riconducibile all'art. 118 Cost., ed il secondo disciplinato dall'art. 120, secondo comma, Cost. La disposizione in questa sede impugnata - «confessando» cosi', peraltro, di voler istituire proprio un potere sostitutivo - si riferisce esplicitamente alla seconda delle due disposizioni menzionate. Il contrasto dell'art. 49, comma 3, lett. b), con l'art. 120, secondo comma, Cost., sara' illustrato nel paragrafo che segue. In chiusura di questo paragrafo e' invece opportuno svolgere qualche considerazione per mostrare che - anche ove si volesse considerare la disposizione qui in discussione istitutiva di un potere sostitutivo ordinario - essa non potrebbe comunque essere ritenuta conforme a Costituzione. Secondo lo «statuto» del potere sostitutivo elaborato dalla ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, infatti, l'esercizio del medesimo nei confronti degli enti territoriali che compongono la Repubblica puo' essere previsto dalla legge soltanto (tra l'altro) ove sia volto a far fronte al mancato compimento, da parte di tali enti, «di atti o di attivita' "prive di discrezionalita' nell'an (anche se non necessariamente nel quid o nel quomodo)" (...), la cui obbligatorieta' sia il riflesso degli interessi unitari alla cui salvaguardia provvede l'intervento sostitutivo» (cosi' la ben nota sent. n. 43 del 2004, seguita da numerose altre pronunce). E' del tutto evidente che questa fondamentale condizione per la previsione e l'esercizio dei poteri sostitutivi ordinari non sia stata rispettata nel caso di specie. In base alla disposizione impugnata, infatti, la decisione del Consiglio dei ministri e' destinata ad intervenire non gia' per riparare ad una inerzia dell'ente (regionale o locale) titolare della funzione, ma per sostituire alla valutazione (negativa) di quest'ultimo, la quale ha trovato forma nell'atto di diniego espresso nella sede della conferenza di servizi, una diversa valutazione operata dallo Stato. In sintesi, questa normativa realizza proprio cio' che la giurisprudenza di questa Corte concernente il potere sostitutivo ha sempre scongiurato: ossia che la valutazione politico-amministrativa dell'ente territoriale di livello piu' comprensivo si sostituisca alla diversa valutazione politico-amministrativa di altro ente territoriale, titolare della relativa funzione in base al principio di sussidiarieta'. Per tutte le ragioni qui illustrate, dunque, la disciplina impugnata viola l'art. 118, primo comma, Cost. 18.3. - L'art. 49, comma 3, lett. b), inoltre, viola l'art. 120, secondo comma, Cost. Come si e' gia' avuto modo di evidenziare, il legislatore statale ha mostrato la consapevolezza di istituire un generale potere sostitutivo dello Stato nei confronti degli altri enti territoriali affermando di porre la disciplina qui contestata «in attuazione» dell'art. 120 Cost. Nel paragrafo precedente si e' mostrato come tale potere sostitutivo non puo' essere ritenuto conforme allo «statuto» del potere sostitutivo ordinario. E' agevole mostrare, del resto, come esso non possa che essere considerato difforme anche da quanto prescrive il secondo comma della disposizione costituzionale da ultimo citata, la quale istituisce e disciplina il c.d. «potere sostitutivo straordinario». La norma in esame, innanzi tutto, viola l'art. 120, secondo comma, Cost., in quanto prevede la possibilita', per il Governo, di sostituirsi alle Regioni ed agli enti locali anche nella totale assenza dei requisiti sostanziali ivi previsti per la legittima utilizzazione del potere sostitutivo. Come e' noto, infatti, il parametro in questa sede considerato consente la surrogazione dello Stato - ed in particolare del Governo - nei confronti degli altri enti territoriali che compongono la Repubblica soltanto ove cio' sia necessario al fine di far fronte al «mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria», o a situazioni di «pericolo grave per l'incolumita' o la sicurezza pubblica», ovvero «quando lo richiedano la tutela dell'unita' giuridica o dell'unita' economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali» (art. 120, secondo comma, Cost.). Ora, la Regione Puglia non intende negare che talvolta, dal mancato compimento dell'atto alla cui adozione e' volta la conferenza di servizi possa derivare una lesione ai fondamentali interessi per la salvaguardia dei quali e' istituito lo speciale potere di cui all'art. 120, secondo comma, Cost. Cio' che e' certamente incostituzionale, da questo punto di vista, e' invece la generale ed astratta previsione della sostituzione. In altre parole, nel consentire al Governo di sostituirsi agli altri enti territoriali sol che uno di essi non presti il proprio assenso nell'ambito di una conferenza di servizi, la legge impugnata viola evidentemente l'art. 120, secondo comma, Cost., il quale invece prevede che nel caso concreto debba sussistere il rischio della lesione di uno degli interessi dal medesimo tutelati per poter procedere alla surrogazione; rischio che, ovviamente, non puo' essere meramente «presunto» in astratto - tanto meno con una sorta di presunzione iuris et de iure come quella prefigurata dalla disciplina impugnata - ma deve risultare accertato e motivato in relazione al caso concreto. L'art. 120, secondo comma, Cost., e' inoltre violato dalla normativa in esame in quanto essa autorizza l'esercizio di un potere sostitutivo statale nei confronti di uno degli altri enti che costituiscono la Repubblica non gia' in presenza di una inerzia alla quale far fronte, ma in presenza di un comportamento amministrativo commissivo, estrinsecantesi nel diniego di consenso in sede di conferenza. Cio' - a tacer d'altro - contrasta con la costante e cospicua giurisprudenza costituzionale in materia di poteri sostitutivi piu' sopra evocata. Da questa giurisprudenza, infatti, e' agevolmente desumibile il principio secondo il quale, dinanzi alla cura di interessi realizzata dall'ente costituzionalmente competente, lo Stato non puo' sovrapporre il proprio indirizzo politico-amministrativo. Puo' solo fare ricorso agli strumenti giurisdizionali nel caso in cui ritenga illegittimo l'assetto conferito agli interessi dall'atto con cui la competenza e' stata esercitata. 18.4. - La disposizione censurata e' comunque costituzionalmente illegittima per violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma, Cost. Cio' per le seguenti ragioni. L'art. 49, comma 3, lett. b), ha un ambito di applicazione generalizzato. Esso e' destinato a trovare applicazione in tutti i procedimenti amministrativi in relazione ai quali sussistano le condizioni per la convocazione di una conferenza di servizi, a prescindere dalla materia nel cui ambito incidono tali procedimenti. Nella misura in cui coinvolge anche procedimenti destinati ad esplicarsi in ambiti materiali di competenza regionale concorrente o residuale, la disciplina impugnata viola dunque, rispettivamente, l'art. 117, terzo e quarto comma, Cost. E' certo plausibile ritenere che la competenza statale, in base all'art. 117, secondo comma, Cost., sussista, limitatamente ai casi in cui la normativa in questa sede contestata disciplina la sorte delle situazioni del dissenso che sia intervenuto tra amministrazioni statali ed amministrazioni regionali; in tali circostanze, la procedura della conferenza di servizi viene senz'altro seguita in presenza di funzioni amministrative allocate dalla legge statale ad uffici statali, di talche', al limite, si potra' porre il problema della legittimita' costituzionale di tale allocazione ma non del titolo legislativo dello Stato a disciplinare lo strumento della conferenza di servizi. Diversa e' la soluzione che e' necessario raggiungere in relazione a quella parte della norma in esame volta a disciplinare i casi in cui si verifica un dissenso tra amministrazione regionale ed amministrazioni locali. E' infatti evidente che, mediante una previsione cosi' generalizzata, si incide non solo su quei procedimenti legittimamente disciplinati dalla legge statale, la quale abbia allocato funzioni anche ai suddetti enti territoriali, ma anche - e probabilmente soprattutto - su quei procedimenti ricadenti nell'ambito delle materie di competenza concorrente o nell'ambito delle materie affidate alla potesta' legislative regionale residuale e che, per questo, sono disciplinati - o sono destinati ad essere disciplinati - dalla legge regionale. Ancora differente e' la situazione di quella parte della normativa contestata che disciplina il caso del dissenso interveniente tra amministrazioni regionali. Tale normativa, in base a quanto disposto dalla medesima, si applica solo «al di fuori dei casi di cui all'articolo 117, ottavo comma, della Costituzione», ossia al di fuori dei casi in cui sia intervenuta una intesa tra Regioni ai sensi della citata disposizione costituzionale, in attuazione della quale e' possibile istituire «organi comuni» tra le Regioni. Deve tuttavia essere evidenziato che la disciplina in esame presenta vizi di legittimita' costituzionale anche considerando la sua recessivita' rispetto alle intese interregionali di cui all'ottavo comma dell'art. 117, Cost. In relazione alle materie di cui all'art. 117, secondo comma, Cost., infatti, la legge statale ha senza dubbio titolo ad intervenire. In relazione alle materie diverse da quelle appena indicate, invece, l'unico titolo della legge statale ad intervenire puo' essere individuato nella c.d. «chiamata in sussidiarieta'». Limitatamente a queste materie, dunque, si deve ritenere che lo Stato abbia correttamente esercitato il proprio potere legislativo solo ove abbia rispettato quello «statuto» della c.d. «chiamata in sussidiarieta'» elaborato dalla ben nota giurisprudenza di questa Corte. Al riguardo - in riferimento alla normativa qui oggetto di contestazione - e' possibile osservare quanto segue. Dinanzi ad un dissenso tra due (o piu') Regioni, evidentemente, il livello regionale di governo non e' idoneo ad individuare strumenti di soluzione dello stallo, ne' piu' limitati strumenti di accelerazione procedimentale. La Regione ricorrente non intende dunque negare che in una situazione similare sussistano quelle condizioni sostanziali in presenza delle quali appare costituzionalmente legittima la avocazione in sussidiarieta' della funzione legislativa. In svariate occasioni, tuttavia, la giurisprudenza costituzionale ha avuto modo di evidenziare che tale avocazione puo' ritenersi costituzionalmente legittima solo se oltre al requisito sostanziale risulta soddisfatto anche un requisito di natura procedimentale: se, cioe', la disciplina posta in sussidiarieta' dallo Stato preveda che la funzione amministrativa in questione sia svolta d'intesa con la Regione interessata. Il caso che qui ci si trova a porre all'attenzione di questa Corte, da questo punto di vista, mostra tutte le sue peculiarita', poiche' e' chiaro che nella situazione ipotizzata non sarebbe possibile procedere «d'intesa» con la «Regione interessata», posto che le «Regioni interessate» nella situazione ipotizzata sono (almeno) due, e che esse si trovano senz'altro in disaccordo tra loro. In base ai principi stabiliti da questa Corte, tuttavia, non puo' che ritenersi che nel caso di specie la avocazione in sussidiarieta' della funzione legislativa sia costituzionalmente legittima solo ove gli strumenti collaborativi previsti siano - se non quelli dell'intesa - quelli maggiormente coinvolgenti che siano compatibili con le peculiarita' delle circostanze. E' agevole evidenziare come cio' non accada nel caso qui in discussione. L'art. 49, comma 3, lett. b), infatti, si limita a prevedere, al riguardo, che ove il motivato dissenso e' sia «espresso da una Regione o da una Provincia autonoma in una delle materie di propria competenza, il Consiglio dei Ministri delibera in esercizio del proprio potere sostitutivo con la partecipazione dei Presidenti delle Regioni o delle Province autonome interessate». L'ipotesi di collaborazione istituzionale prevista da questa disposizione non e' certo quella massima possibile compatibilmente con le circostanze del caso. Basti pensare alla possibilita' di affidare la decisione ad un collegio formato da un rappresentante di ciascuna Regione interessata ed un rappresentante dello Stato. Senza volersi in questa sede sostituire al legislatore, la mera evocazione di una tale ipotesi e' pero' sufficiente a mostrare come la modalita' collaborativa prevista dalla legge in questa sede impugnata non sia affatto quella maggiormente partecipativa compatibilmente con le particolarita' del caso, e dunque non sia in grado di rendere costituzionalmente legittima la «chiamata in sussidiarieta'» effettuata dal legislatore statale. La disciplina impugnata viola, inoltre, l'art. 118, secondo comma, Cost. Come gia' evidenziato, ove stabilisce che la deliberazione possa comunque essere adottata dal Consiglio dei ministri, l'art. 49, comma 3, lett. b), pone una norma di allocazione di funzioni amministrative. Per questa ragione - nella misura in cui essa e' destinata ad applicarsi anche ai procedimenti amministrativi che si svolgono entro l'ambito delle materie di competenza regionale concorrente e residuale - il disposto del citato art. 49, comma 3, lett. b), viola anche l'art. 118, secondo comma, Cost., il quale vincola la possibilita' di allocare funzioni amministrative alla titolarita' della competenza legislativa nella materia in cui esse sono destinate a svolgersi. La norma impugnata contrasta con tale previsione, poiche' dispone la sopra ricordata allocazione di funzioni amministrative in modo generalizzato ed indifferenziato, prescindendo dalla materia in cui tali funzioni sono destinate a svolgersi. L'art. 49, comma 3, lett. b), dunque, e' costituzionalmente illegittimo per contrasto con l'art. 118, secondo comma, Cost., nella parte in cui pretende di disciplinare anche quei procedimenti amministrativi che ricadono in ambiti materiali affidati alla competenza concorrente di Stato e Regioni, ovvero alla competenza residuale di queste ultime. Per i motivi e nei limiti sopra illustrati, e' dunque necessario ritenere che la normativa posta dall'art. 49, comma 3, lett. b), del d.l. n. 78 del 2010, violi gli articoli 117, terzo e quarto comma, e 118, Cost. 19. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 49, commi 4-bis e 4-ter, per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettere e) ed m), della Costituzione, i quali prevedono che lo Stato abbia competenza legislativa esclusiva nelle materie della «tutela della concorrenza» e della «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali», nonche' per violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione. 19.1. - L'art. 49, comma 4-bis, dispone la integrale sostituzione dell'art. 19 della legge n. 241 del 1990 con il seguente testo: «Art. 19 (Segnalazione certificata di inizio attivita' - Scia). - 1. Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio di attivita' imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, e' sostituito da una segnalazione dell'interessato, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza, all'amministrazione della giustizia, all'amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonche' di quelli imposti dalla normativa comunitaria. La segnalazione e' corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell'atto di notorieta' per quanto riguarda tutti gli stati, le qualita' personali e i fatti previsti negli articoli 46 e 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, nonche' dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati, ovvero dalle dichiarazioni di conformita' da parte dell'Agenzia delle imprese di cui all' articolo 38, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti di cui al primo periodo; tali attestazioni e asseverazioni sono corredate dagli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche di competenza dell'amministrazione. Nei casi in cui la legge prevede l'acquisizione di pareri di organi o enti appositi, ovvero l'esecuzione di verifiche preventive, essi sono comunque sostituiti dalle autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni di cui al presente comma, salve le verifiche successive degli organi e delle amministrazioni competenti. - 2. L'attivita' oggetto della segnalazione puo' essere iniziata dalla data della presentazione della segnalazione all'amministrazione competente. - 3. L'amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attivita' e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove cio' sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attivita' ed i suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni. E' fatto comunque salvo il potere dell'amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. In caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorieta' false o mendaci, l'amministrazione, ferma restando l'applicazione delle sanzioni penali di cui al comma 6, nonche' di quelle di cui al capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, puo' sempre e in ogni tempo adottare i provvedimenti di cui al primo periodo. - 4. Decorso il termine per l'adozione dei provvedimenti di cui al primo periodo del comma 3, all'amministrazione e' consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell'impossibilita' di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell'attivita' dei privati alla normativa vigente. - 5. Il presente articolo non si applica alle attivita' economiche a prevalente carattere finanziario, ivi comprese quelle regolate dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e dal testo unico in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Ogni controversia relativa all'applicazione del presente articolo e' devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il relativo ricorso giurisdizionale, esperibile da qualunque interessato nei termini di legge, puo' riguardare anche gli atti di assenso formati in virtu' delle norme sul silenzio assenso previste dall'articolo 20. - 6. Ove il fatto non costituisca piu' grave reato, chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che corredano la segnalazione di inizio attivita', dichiara o attesta falsamente l'esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al comma I e' punito con la reclusione da uno a tre anni». Il successivo comma 4-ter del medesimo art. 49 prevede l'applicazione della normativa appena indicata anche ai procedimenti amministrativi ricadenti nelle materie di competenza legislativa regionale, disponendo quanto segue: «Il comma 4-bis attiene alla tutela della concorrenza ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, e costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi della lettera m) del medesimo comma. Le espressioni «segnalazione certificata di inizio attivita'» e «Scia» sostituiscono, rispettivamente, quelle di «dichiarazione di inizio attivita'» e «Dia», ovunque ricorrano, anche come parte di una espressione piu' ampia, e la disciplina di cui al comma 4-bis sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, quella della dichiarazione di inizio attivita' recata da ogni normativa statale e regionale». 19.2. - Tale normativa contrasta, innanzitutto, con l'art. 117, secondo comma, lett. e), Cost. Questa disposizione costituzionale e' violata in quanto - nonostante la «auto qualificazione» ivi prevista - non e' in alcun modo possibile ritenere che le norme impugnate in questa sede siano riconducibili alla materia della «tutela della concorrenza». Cio' per piu' di una ragione. Un primo motivo che impedisce di poter ricondurre la disciplina qui contestata all'art. 117, secondo comma, lett. e), Cost., e' individuabile, innanzitutto, nel generalizzato ambito di applicazione della Scia. Questo istituto, infatti, e' destinato a disciplinare sia le attivita' che hanno un rilievo economico-imprenditoriale sia quelle che non lo hanno. E' del tutto evidente che, in relazione a questa seconda categoria, la disposizione costituzionale da ultimo citata non legittima in alcun modo lo Stato ad adottare la normativa impugnata. Per queste attivita', infatti, non si pone in alcun modo un problema di «concorrenza». Da questo primo punto di vista, dunque, l'art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010, anche ove si ritenesse adottato dallo Stato nell'ambito della propria competenza a porre norme volta a garantire la «tutela della concorrenza», sarebbe comunque da ritenere incostituzionale nella parte in cui include nel suo ambito di applicazione anche quei procedimenti che ineriscono ad attivita' non aventi rilievo economico-imprenditoriale. In secondo luogo - ed a prescindere da quanto appena evidenziato - la normativa in questione non puo' comunque ricondursi alla materia delle «tutela della concorrenza», poiche' disciplina le relazioni tra gli operatori economici e la pubblica amministrazione, senza che cio' possa in alcun modo incidere sulle relazioni tra gli operatori economici. La Regione ricorrente e' consapevole che questa Corte, nella propria giurisprudenza, a partire dalla cent. n. 14 del 2004, ha affermato in piu' di una occasione la riconducibilita' alla materia della «tutela della concorrenza» di norme aventi carattere «promozionale», nel senso di incrementare il livello di concorrenza esistente nel mercato, ad esempio mediante la concessione di contributi volti a sostenere alcuni operatori economici nella loro competizione con gli altri. In tali casi, senz'altro, si e' dinanzi a norme inerenti i rapporti tra operatori economici e pubblici poteri, le quali, tuttavia, sono in grado di incidere indirettamente sulle relazioni tra gli stessi operatori aumentando la concorrenzialita' di alcuni di essi. Non e' possibile dire altrettanto, invece, per la normativa qui impugnata, poiche' essa si limita a regolare le modalita' tramite le quali devono essere esplicate alcune funzioni amministrative. In altre parole, anche ammettendo che norme le quali regolino relazioni tra operatori e pubblici poteri possano essere ricomprese nell'ambito dell'art. 117, secondo comma, lett. e), Cost., cio' accade in quanto tali previsioni siano dirette ad incrementare la concorrenza esistente. Cio' non accade in alcun modo nel caso in questione, posto che la norma ha unicamente una funzione di semplificazione amministrativa. Da ultimo, si puo' notare che un indice della impossibilita' di riferire l'art. 49, comma 4-bis, del d.l. n. 78 del 2010 alla materia della «tutela della concorrenza» puo' essere reperito anche nella contraddittoria qualificazione operata dal successivo comma 4-ter. Tale disposizione, infatti, ascrive la disposizione sopra citata sia alla materia «tutela della concorrenza» che a quella della «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni». Il che, come e' di tutta evidenza, non e' possibile. 19.3. - La normativa censurata viola anche l'art. 117, comma secondo, lett. m), Cost. Questa disposizione e' violata in quanto non e' possibile ritenere che le norme di cui all'art. 49, comma 4-bis e comma 4-ter - nonostante la «auto qualificazione» ivi disposta - siano riconducibili alla materia della «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali». A sostegno di questa affermazione possono essere indicati i seguenti motivi. Innanzitutto, non e' certo pensabile che la citata disposizione costituzionale possa essere intesa nel senso di qualificare «prestazione» qualunque attivita' amministrativa con la quale entri in contatto il cittadino, poiche' altrimenti si giungerebbe a configurare un generalissimo titolo di intervento della legislazione statale su tutta la attivita' amministrativa regionale e locale. Viceversa, come la stessa giurisprudenza costituzionale ha avuto modo di evidenziare (cfr. la sent. n. 398 del 2006), l'attivita' amministrativa puo' assurgere alla qualifica di «prestazione» della quale lo Stato e' competente a fissare un «livello essenziale» a fronte di uno specifico «diritto» di individui, imprese, operatori economici ed, in generale, soggetti privati. Al riguardo, e' possibile peraltro evidenziare come lo Stato avrebbe avuto la possibilita' di perseguire finalita' di semplificazione amministrativa utilizzando correttamente lo strumento della propria competenza a fissare livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Avrebbe potuto, infatti, attribuire ai soggetti che entrano in contatto con una pubblica amministrazione nell'ambito dei procedimenti individuati dalla norme qui in discussione il diritto ad ottenere una «risposta certa» entro un termine prefissato. I legislatore regionali e gli amministratori locali, in tal modo, sarebbero stati tenuti ad adottare le determinazioni necessarie al fine di garantire questo risultato. Senza dubbio una simile ipotesi sarebbe stata consentita dal diritto costituzionale vigente. E sarebbe stata anche una strada in grado di far conseguire l'obiettivo voluto, posto che, come e' noto, il nostro ordinamento costituzionale consente di utilizzare i poteri sostitutivi straordinari per far fronte all'inadempimento di quei livelli di governo che non assicurino il livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali stabilito dallo Stato nell'esercizio della propria competenza esclusiva. La Regione Puglia e' consapevole della circostanza secondo la quale l'istituto, per certi versi simile, che la SCIA sostituisce in parte - ossia la DIA - e' stato qualificato «livello essenziale di prestazione» dalla lettera b) del comma 1 dell'art. 10, legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita' nonche' in materia di processo civile), il quale ha aggiunto il comma 2-ter all'art. 29 della legge n. 241 del 1990. In base alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, tuttavia, la qualificazione che il legislatore fornisca delle norme che esso stesso introduce non ha rilievo ai fini della loro qualificazione di diritto costituzionale. Ne' - anche in questo caso in base alla consolidata giurisprudenza costituzionale - e' possibile ritenere che la mancata impugnazione della disposizione appena richiamata possa valere in alcun modo quale acquiescenza prestata dalla odierna ricorrente. Del resto, che le norme in materia di dichiarazione di inizio di attivita' non possano essere dettate dallo Stato nell'ambito della propria competenza ad individuare i «livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» risulta chiaramente dalla ben nota sent. n. 303 del 2003 di questa Corte. In tale decisione, le norme concernenti la DIA nel settore edilizio in quella sede scrutinate sono state qualificate quali «principi fondamentali» della materia «governo del territorio» (punto 11.2 del Considerato in diritto). Le norme concernenti la DIA, come quelle inerenti la «segnalazione di inizio attivita'», dunque, non possono certo essere considerate «livelli essenziali delle prestazioni». Se ne sussistono i presupposti - come e' accaduto nella circostanza appena ricordata - possono, al piu', essere qualificati «principi fondamentali» in relazione a singole materie di potesta' legislativa concorrente tra Stato e Regioni. 19.4. - I commi 4-bis e 4-ter dell'art. 49 sono costituzionalmente illegittimi anche per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. Come si e' posto in evidenza nel paragrafo precedente, secondo la giurisprudenza costituzionale, norme di semplificazione amministrativa del tipo di quelle in questa sede in discussione possono essere poste dallo Stato - ove ne ricorrano i presupposti - nell'ambito della propria competenza a porre i principi fondamentali delle materie di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. E' agevole mostrare che tali presupposti non ricorrono nel caso in questione. Puo' essere utile, al riguardo, prendere in considerazione proprio la gia' citata sent. n. 303 del 2003. In essa, come si ricordava piu' sopra, e' stata ascritta ai «principi fondamentali» della materia «governo del territorio» la disciplina concernente la DIA nel settore edilizio in quella sede in discussione (punto 11.2 del Considerato in diritto). Gia' da questa prima considerazione emerge una evidente ragione di incostituzionalita' della disciplina che in questa sede si contesta. Essa, infatti, ha un ambito di applicazione generalizzato. Non individua alcuna materia col fine di limitare il proprio ambito di applicazione. Per questa ragione, non puo' certo costituire «principio fondamentale della materia»: il legislatore statale, infatti, avrebbe dovuto individuare i procedimenti - almeno per classi omogenee - ricadenti nelle materie di competenza concorrente, ai quali intendeva applicare la disciplina in esame. In secondo luogo, deve essere osservato quanto segue. Ove - per assurdo, nonostante il suo ambito generalizzato di applicazione - si volesse ritenere la disposizione statale in questione legittimata dall'art. 117, terzo comma, Cost., essa sarebbe comunque incostituzionale poiche' giunge a porre norme che vanno ben oltre la fissazione di principi fondamentali. Esse, infatti, non lasciano alcuno «spazio di manovra» al legislatore regionale, il quale non puo' che limitarsi a prendere atto del diverso assetto conferito dal nuovo istituto della Scia al rapporto tra cittadini ed amministrazione, senza poter in alcun modo modulare, anche in minima parte, tale assetto in modo da renderlo maggiormente adeguato alla realta' regionale. Anche in questo caso il riferimento alla cent. n. 303 del 2003 e' particolarmente utile. In quella circostanza, infatti, viene ritenuta «principio fondamentale» della materia «governo del territorio» la «necessaria compresenza nella legislazione di titoli abilitativi preventivi ed espressi (la concessione o l'autorizzazione, ed oggi, nel nuovo testo unico n. 380 del 2001, il permesso di costruire) e taciti, quale e' la DIA, considerata procedura di semplificazione che non puo' mancare, libero il legislatore regionale di ampliarne o ridurne l'ambito applicativo» (punto 11.2 del Considerato in diritto). E' del tutto evidente che tale «liberta'» del legislatore regionale non sussiste nel caso in questione. Cio' prova senza possibilita' di dubbio la incostituzionalita' della normativa in questa sede considerata. Per questi motivi, dunque, l'art. 49, commi 4-bis e 4-ter, viola l'art. 117, terzo comma, Cost. 19.5. - Infine, la normativa in questione viola anche l'art. 117, quarto comma, Cost. Nell'ipotesi in cui - nonostante le argomentazioni piu' sopra proposte - si ritenga che l'art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010 sia legittimamente posto dallo Stato nell'ambito della propria competenza a dettare i principi fondamentali delle materie di competenza concorrente tra Stato e Regioni, esso deve comunque ritenersi costituzionalmente illegittimo in quanto volto a disciplinare anche i procedimenti ricadenti nell'ambito della competenza residuale delle Regioni in base alla disposizione costituzionale da ultimo citata. Lo Stato, infatti, non ha alcun titolo per imporre la sua applicazione anche ai procedimenti amministrativi che devono essere esplicati in tali materie. Tale titolo, infatti non puo' essere individuato nelle materie di cui all'art. 117, secondo comma, Cost., per le ragioni piu' sopra indicate. Ne', d'altra parte, una eventuale qualificazione della disposizione de qua come principio fondamentale varrebbe allo scopo, poiche', come e' noto, la competenza regionale residuale non e' vincolata da questo tipo di norme statali. In definitiva, non puo' che concludersi che l'art. 49, commi 4-bis e 4-ter, viola l'art. 117, quarto comma, Cost., nella parte in cui si applica a procedimenti amministrativi ricadenti nell'ambito delle materie di competenza residuale regionale.
P.Q.M. Si chiede che questa ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento del presente ricorso, dichiari l'illegittimita' costituzionale delle denunciate disposizioni del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica), cosi' come convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, nei termini sopra esposti. Bari-Roma, addi' 24 settembre 2010 Avv. Prof. Nicola Colaianni - avv. Prof. Stefano Grassi