N. 107 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 7 ottobre 2010

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 7 ottobre 2010 (della Regione Puglia). 
 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Economie negli Organi costituzionali, di
  governo e negli apparati politici  -  Importi  corrispondenti  alle
  riduzioni di spesa  che  verranno  deliberate  dalle  Regioni,  con
  riferimento ai trattamenti economici indicati nell'art.  121  della
  Costituzione -  Riassegnazione  al  Fondo  per  l'ammortamento  dei
  titoli di Stato - Lamentata imposizione di un vincolo specifico  di
  destinazione degli eventuali risparmi  di  spesa  -  Ricorso  della
  Regione Puglia -  Denunciata  lesione  della  potesta'  legislativa
  residuale della Regione in materia di organizzazione interna e  del
  personale, della potesta' statutaria in ordine alla  determinazione
  dei principi fondamentali di organizzazione e  funzionamento  della
  Regione, lesione dell'autonomia finanziaria di spesa regionale. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 5, comma 1. 
- Costituzione, artt. 117, comma quarto, 119, e 123, primo comma. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Economie negli Organi costituzionali, di
  governo e negli apparati politici - Riduzione del rimborso a favore
  dei movimenti o partiti politici in relazione alle spese elettorali
  sostenute  in  occasione  del  rinnovo  dei  consigli  regionali  -
  Lamentata modifica della disciplina contenuta nella  legge  n.  157
  del 1999, non piu' modificabile dallo Stato,  nei  confronti  delle
  Regioni, dopo le  riforme  costituzionali  in  materia  elettorale,
  ovvero in subordine introduzione di norme di  dettaglio  -  Ricorso
  della  Regione   Puglia   -   Denunciata   lesione   dell'autonomia
  legislativa regionale in materia di disciplina elettorale. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 5, comma 4. 
- Costituzione, artt. 117, comma quarto, e 122,  primo  comma;  legge
  costituzionale 22 novembre 1999,  n.  1;  legge  costituzionale  18
  ottobre 2001, n. 3. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Economie negli Organi costituzionali, di
  governo e negli  apparati  politici  -  Incarichi  conferiti  dalle
  pubbliche amministrazioni ai titolari di cariche elettive,  inclusa
  la partecipazione ad organi collegiali - Previsione che diano luogo
  esclusivamente al rimborso delle spese sostenute  e  che  eventuali
  gettoni di presenza non possano superare l'importo  di  30  euro  a
  seduta  -  Lamentata  previsione   di   disciplina   esaustiva   ed
  autoapplicativa  in  materia  di  spettanza  regionale,  ovvero  in
  subordine, imposizione di vincoli puntuali relativi a singole  voci
  di spesa, eccedenti i principi fondamentali - Ricorso della Regione
  Puglia  -  Denunciata  violazione  della   competenza   legislativa
  residuale   della   Regione   nella   materia   dell'organizzazione
  amministrativa e dell'ordinamento del personale,  violazione  della
  competenza legislativa  regionale  nella  materia  concorrente  del
  coordinamento  della  finanza  pubblica,   lesione   dell'autonomia
  finanziaria regionale. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 5, comma 5. 
- Costituzione, artt. 117, commi terzo e quarto, e 119. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Economie negli Organi costituzionali, di
  governo e negli apparati politici  -  Divieto  di  attribuzione  di
  retribuzioni, gettoni, indennita' o emolumenti in  qualsiasi  forma
  percepiti, a favore degli amministratori delle comunita' montane  e
  delle unioni di comuni e comunque delle forme associative  di  enti
  locali aventi  per  oggetto  la  gestione  di  servizi  e  funzioni
  pubbliche - Lamentata ingerenza statale in relazione alle comunita'
  montane e alle unioni di comuni,  nonche'  imposizione  di  vincoli
  puntuali relativi a singole voci di  spesa,  eccedenti  i  principi
  fondamentali - Ricorso della Regione Puglia - Denunciata violazione
  della competenza legislativa residuale della Regione in materia  di
  comunita' montane e unioni di comuni, violazione  della  competenza
  legislativa regionale nella materia concorrente  del  coordinamento
  della  finanza   pubblica,   lesione   dell'autonomia   finanziaria
  regionale. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio  2010,  n.  122,  art.  5,  comma  7,  ultimo
  periodo. 
- Costituzione, artt. 117, commi terzo e quarto, e 119. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica  -  Riduzione  dei  costi  degli  apparati
  amministrativi - Misure di vario contenuto  volte  al  contenimento
  della spesa pubblica, quali la puntuale riduzione della spesa annua
  per studi ed  incarichi  di  consulenza,  riduzione  di  spese  per
  relazioni    pubbliche,    convegni,    mostre,    pubblicita'    e
  rappresentanza, divieto di sponsorizzazioni, riduzione di spese per
  missioni, formazione e auto  -  Definizione  delle  predette  quali
  disposizioni di principio ai fini del coordinamento  della  finanza
  pubblica - Accantonamento, a decorrere dal 2011, di una quota  pari
  al 10 per cento dei trasferimenti erariali di cui all'art. 7  della
  legge 15 marzo 1997, n.  59,  a  favore  delle  regioni  a  statuto
  ordinario,  per  essere  successivamente  destinata  alle   regioni
  medesime che abbiano attuato quanto stabilito dall'art. 3 del  d.l.
  n. 2 del 2010, convertito con la  legge  n.  42  del  2010,  e  che
  aderiscano volontariamente alle  riduzioni  di  spesa  -  Lamentata
  imposizione di vincoli puntuali - Ricorso della  Regione  Puglia  -
  Denunciata violazione della competenza legislativa regionale  nella
  materia  concorrente  del  coordinamento  della  finanza  pubblica,
  lesione dell'autonomia finanziaria regionale. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122,  art.  6,  comma  20,  primo  e
  secondo periodo, in relazione ai commi 7, 8, 9, 12, 13 e 14. 
- Costituzione, artt. 117, comma terzo, e 119. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica  -  Riduzione  dei  costi  degli  apparati
  amministrativi - Accantonamento, a decorrere dal 2011, di una quota
  pari al 10 per cento dei trasferimenti erariali di cui  all'art.  7
  della legge 15 marzo 1997, n. 59, a favore delle regioni a  statuto
  ordinario,  per  essere  successivamente  destinata  alle   regioni
  medesime che abbiano attuato quanto stabilito dall'art. 3 del  d.l.
  n. 2 del 2010, convertito con la  legge  n.  42  del  2010,  e  che
  aderiscano volontariamente  alle  riduzioni  di  spesa  -  Prevista
  attuazione con decreto di natura  non  regolamentare  del  Ministro
  dell'economia, sentita  la  Conferenza  Stato-Regioni  -  Lamentata
  natura sostanzialmente regolamentare  dell'atto  e  previsione  del
  parere in luogo  dell'intesa  -  Ricorso  della  Regione  Puglia  -
  Denunciata violazione della potesta' regolamentare  della  Regione,
  lesione del principio di leale collaborazione. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio  2010,  n.  122,  art.  6,  comma  20,  terzo
  periodo. 
- Costituzione, artt. 117, comma sesto, e 118. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Contenimento delle spese in  materia  di
  impiego pubblico  -  Divieto  per  Regioni,  enti  regionali,  enti
  locali, per il  triennio  2011-2013,  di  incrementare  le  risorse
  destinate al trattamento accessorio del personale anche di  livello
  dirigenziale rispetto agli importi  stanziati  per  l'anno  2010  -
  Lamentata  natura  di  dettaglio  della  norma,  laddove  lo  Stato
  potrebbe dettare solo vincoli di carattere generale e complessivo -
  Ricorso  della  Regione  Puglia  -  Denunciata   violazione   della
  competenza legislativa  regionale  nella  materia  concorrente  del
  coordinamento della  finanza  pubblica,  violazione  dell'autonomia
  finanziaria della Regione. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 2-bis. 
- Costituzione, artt. 117, comma terzo, e 119. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Contenimento delle spese in  materia  di
  impiego pubblico - Obbligo per le Regioni e gli enti  del  Servizio
  sanitario nazionale di ridurre del 50 per cento la spesa  sostenuta
  nell'anno 2009 per il personale a tempo  determinato  o  utilizzato
  con convenzioni o con  contratti  di  collaborazione  coordinata  e
  continuativa, per i  contratti  di  formazione-lavoro,  i  rapporti
  formativi, la somministrazione di lavoro e il lavoro  accessorio  -
  Previsione che  le  disposizioni  predette  costituiscano  principi
  generali  ai  fini  del  coordinamento  della  finanza  pubblica  -
  Lamentata introduzione di  puntuali  e  dettagliate  limitazioni  a
  singole voci di spesa - Ricorso della Regione Puglia  -  Denunciata
  esorbitanza dello Stato dalla competenza legislativa nella  materia
  concorrente del coordinamento della  finanza  pubblica,  violazione
  dell'autonomia finanziaria della Regione. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 28. 
- Costituzione, artt. 117, comma terzo, e 119. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Contenimento delle spese in  materia  di
  impiego  pubblico  -  Societa'  non  quotate,  inserite  nel  conto
  economico consolidato della pubblica  amministrazione,  controllate
  direttamente o indirettamente  dalle  amministrazioni  pubbliche  -
  Obbligo  di   adeguamento   delle   politiche   assunzionali   alle
  disposizioni  introdotte  per  le   amministrazioni   pubbliche   -
  Lamentata  imposizione  di  vincoli  puntuali  di  spesa  ad   enti
  differenti rispetto a quelli  sui  quali  lo  Stato  dispone  della
  competenza legislativa - Ricorso della Regione Puglia -  Denunciata
  esorbitanza dello Stato dalla competenza esclusiva  in  materia  di
  organizzazione degli  enti  pubblici  nazionali,  violazione  della
  competenza legislativa  regionale  nella  materia  concorrente  del
  coordinamento della finanza pubblica e della  competenza  residuale
  in materia di societa'  partecipate  da  Regioni  ed  enti  locali,
  lesione dell'autonomia finanziaria della Regione. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 29. 
- Costituzione, artt. 117, commi secondo, lett. g), terzo e quarto, e
  119. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Contenimento delle spese in  materia  di
  impiego pubblico - Possibilita' di trattenimenti  in  servizio  del
  personale  solo  entro  i  limiti   delle   facolta'   assunzionali
  consentiti in base alle  cessazioni  del  personale  -  Conseguente
  proporzionale  riduzione  delle  risorse  destinabili  alle   nuove
  assunzioni per un importo pari al trattamento retributivo destinato
  ai dipendenti trattenuti in servizio - Ricorso della Regione Puglia
  - Denunciata violazione della competenza  residuale  nella  materia
  organizzazione amministrativa delle Regioni e  degli  enti  locali,
  esorbitanza dello Stato dalla competenza legislativa nella  materia
  concorrente del coordinamento della  finanza  pubblica,  violazione
  dell'autonomia finanziaria della Regione. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 31. 
- Costituzione, artt. 117, commi terzo e quarto, e 119. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Contenimento delle spese in  materia  di
  impiego pubblico - Enti di nuova  istituzione  -  Limitazioni  alle
  assunzioni, per la durata  di  un  quinquennio,  secondo  un  piano
  sottoposto ad  approvazione  statale  -  Lamentata  imposizione  di
  vincoli puntuali di spesa e giuridici ad enti differenti rispetto a
  quelli sui quali lo Stato dispone della  competenza  legislativa  -
  Ricorso  della  Regione  Puglia  -  Denunciata   violazione   della
  competenza    residuale    nella    materia     dell'organizzazione
  amministrativa degli enti pubblici regionali e locali,  esorbitanza
  dello Stato dalla competenza legislativa esclusiva  in  materia  di
  organizzazione degli enti pubblici  nazionali  e  dalla  competenza
  nella materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica,
  violazione dell'autonomia finanziaria della Regione, violazione del
  principio di sussidiarieta'. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 36. 
- Costituzione, artt. 117, commi secondo, lett. g), terzo  e  quarto,
  118, commi primo e secondo, e 119. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Patto di stabilita'  interno  -  Divieto
  assoluto agli enti nei quali l'incidenza delle spese  di  personale
  e' pari o superiore al 40% delle spese  correnti  di  procedere  ad
  assunzioni di  personale,  possibilita'  per  i  restanti  enti  di
  procedere  ad  assunzioni  nel   limite   del   20%   della   spesa
  corrispondente alle cessazioni  dell'anno  precedente  -  Lamentata
  imposizione di vincoli di spesa puntuali e non transitori - Ricorso
  della Regione  Puglia  -  Denunciata  violazione  della  competenza
  regionale residuale  in  materia  di  organizzazione  e  personale,
  violazione   dell'autonomia   amministrativa,   violazione    della
  competenza regionale nella materia  concorrente  del  coordinamento
  della finanza pubblica, violazione dell'autonomia finanziaria della
  Regione. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 14, comma  9,  sostitutivo
  dell'art. 76, comma 7, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112,  convertito
  nella legge 6 agosto 2008, n. 133. 
- Costituzione, artt. 117, commi terzo e quarto, 118, primo comma,  e
  119. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Patto di stabilita'  interno  -  Regioni
  che abbiano certificato il mancato rispetto del patto di stabilita'
  interno relativamente  all'esercizio  finanziario  2009  -  Obbligo
  imposto alla Giunta o al Consiglio di annullare gli  atti  adottati
  durante i dieci mesi antecedenti alla  data  di  svolgimento  delle
  elezioni regionali, con i quali e' stata assunta  la  decisione  di
  violare il patto di stabilita' interno - Revoca di diritto di tutti
  gli incarichi e contratti di lavoro, con esclusione di indennizzo -
  Lamentata  imposizione   di   misure   sanzionatorie   puntuali   e
  specificamente  riferite  a  singoli  atti  e  voci  di  spesa  non
  necessariamente collegati in concreto con il mancato  rispetto  del
  patto di stabilita' - Ricorso della  Regione  Puglia  -  Denunciata
  violazione della  competenza  regionale  residuale  in  materia  di
  organizzazione    e    personale,     violazione     dell'autonomia
  amministrativa, violazione della competenza regionale nella materia
  concorrente del coordinamento della  finanza  pubblica,  violazione
  dell'autonomia  finanziaria  della  Regione,   irragionevolezza   e
  arbitrarieta', violazione dei  principi  di  imparzialita'  e  buon
  andamento dell'amministrazione. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 14, commi 19, 20 e 21. 
- Costituzione, artt. 3, 97, 117, commi terzo e  quarto,  118,  primo
  comma, e 119. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita'  economica  -  Patto   di   stabilita'   interno   -
  Riconoscimento  della  qualifica  di  «funzioni  fondamentali   dei
  comuni» alle funzioni amministrative indicate nell'art.  21,  comma
  3, della legge n. 42 del 2009 -  Lamentato  effetto  di  attribuire
  alla   competenza   esclusiva   dello    Stato    anche    funzioni
  "amministrativo-gestionali" o comunque di funzioni volte alla  cura
  concreta di interessi - Ricorso della Regione Puglia  -  Denunciata
  esorbitanza dello Stato dalla competenza legislativa  esclusiva  in
  materia di organi di governo e funzioni  fondamentali  dei  Comuni,
  violazione  dei  principi  di  sussidiarieta',  differenziazione  e
  adeguatezza, lesione della competenza legislativa regionale. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 14, comma 27. 
- Costituzione, artt. 117, commi secondo, lett. p), terzo e quarto, e
  118, comma secondo. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Istituzione nel  Meridione  d'Italia  di
  zone a burocrazia zero - Vantaggi a favore delle «nuove  iniziative
  produttive»   -   Lamentata   applicazione    generalizzata,    con
  possibilita'  di  incidenza  in  ambiti  materiali  di   competenza
  regionale - Ricorso della Regione Puglia  -  Denunciata  violazione
  della competenza legislativa concorrente e residuale della Regione,
  violazione  dei  principi  di  sussidiarieta',  differenziazione  e
  adeguatezza. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 43. 
- Costituzione, artt. 117, commi terzo e quarto, e 118, commi primo e
  secondo. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica -  Misure
  urgenti  in   materia   di   stabilizzazione   finanziaria   e   di
  competitivita' economica - Zone a  burocrazia  zero  nel  Meridione
  d'Italia  -  Istituzione  mediante  decreto  del   Presidente   del
  Consiglio dei ministri  -  Omessa  previsione  dell'intesa  con  la
  Regione - Ricorso della  Regione  Puglia  -  Denunciata  violazione
  della competenza legislativa concorrente e residuale della Regione,
  violazione  dei  principi  di  sussidiarieta',  differenziazione  e
  adeguatezza. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 43, comma 2. 
- Costituzione, artt. 117, commi terzo e quarto, e 118, primo comma. 
Regioni (in genere) - Amministrazione pubblica -  Misure  urgenti  in
  materia  di  stabilizzazione  finanziaria   e   di   competitivita'
  economica - Dissenso fra Stato e Regione in sede di conferenza  dei
  servizi  -  Possibilita'  di  superare  il  mancato  raggiungimento
  dell'intesa  con  deliberazione  del  Consiglio  dei   ministri   -
  Lamentata allocazione di  funzioni  amministrative  ad  un  livello
  superiore in modo generalizzato  e  astratto,  introduzione  di  un
  potere sostitutivo statale al di fuori dei  limiti  costituzionali,
  possibilita'  di  incidenza  in  ambiti  materiali  di   competenza
  regionale - Ricorso della Regione Puglia - Denunciata lesione delle
  competenze legislative e amministrative della Regione, lesione  del
  principio di leale collaborazione. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 49, comma 3, lett. b), che
  modifica i commi 3,  3-bis,  3-ter,  3-quater  dell'art.  14-quater
  della legge 7 agosto 1990, n. 241. 
- Costituzione, artt. 117, commi terzo e quarto, 118, commi  primo  e
  secondo, e 120, comma secondo. 
Iniziativa  economica  privata  -  Misure  urgenti  in   materia   di
  stabilizzazione  finanziaria  e  di  competitivita'   economica   -
  Introduzione della «Segnalazione certificata di  inizio  attivita'»
  (SCIA) sostitutiva della «Denuncia di  inizio  attivita'»  (DIA)  -
  Previsione che la disciplina della SCIA,  nella  sua  integralita',
  attiene  alla  tutela  della  concorrenza  e  costituisce   livello
  essenziale  delle  prestazioni  concernenti  i  diritti  civili   e
  sociali, ai sensi dell'art. 117, comma secondo,  lett.  e)  ed  m),
  Cost.    -    Lamentata    erroneita'    ed    irrilevanza    della
  autoqualificazione, ritenuta incidenza su  ambiti  di  legislazione
  regionale di natura residuale o concorrente - Ricorso della Regione
  Puglia -  Denunciata  esorbitanza  dello  Stato  dai  limiti  della
  legislazione esclusiva,  violazione  della  competenza  legislativa
  concorrente e residuale della Regione. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni,
  nella  legge  30  luglio  2010,  n.  122,  art.  49,  comma  4-bis,
  sostitutivo dell'art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e comma
  4-ter. 
- Costituzione, art. 117, commi secondo, lett.  e)  ed  m),  terzo  e
  quarto. 
(GU n.50 del 15-12-2010 )
     Ricorso della Regione Puglia,  in  persona  del  Presidente  pro
tempore della Giunta regionale, a cio' autorizzato con  deliberazione
della Giunta regionale n. 2051 del 24 settembre 2010, rappresentato e
difeso dall'avv. prof. Nicola Colaianni  e  dall'avv.  prof.  Stefano
Grassi ed elettivamente domiciliato presso lo studio di  quest'ultimo
in Roma, piazza Barberini 12, come da mandato a margine del  presente
atto; 
    Contro lo Stato, in persona  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri  pro  tempore,  per  la  dichiarazione   di   illegittimita'
costituzionale del decreto  legge  31  maggio  2010,  n.  78  (Misure
urgenti  di   stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'
economica),  cosi'  come  convertito  in  legge,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della, legge 30 luglio 2010, n. 122, pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale 30 luglio 2010, n. 176, S.O., in riferimento
alle seguenti disposizioni: art. 5, commi 1, 4, 5 e 7; art. 6,  commi
7, 8, 9, 12, 13, 14 e 20; art. 9, commi 2-bis, 28, 29, 31 e 36;  art.
14, commi 9, 19, 20, 21 e 27; art. 43; art. 49, commi  3,  lett.  b),
4-bis e 4-ter. 
    1. -  La  Regione  Puglia,  con  la  deliberazione  della  Giunta
indicata in epigrafe, ha espresso la volonta' di impugnare davanti  a
questa Corte le individuate disposizioni del d.l. n. 78 del 2010, nel
testo risultante dalla conversione in legge ad opera della  legge  n.
122 del 2010,  in  quanto  costituzionalmente  illegittime  e  lesive
dell'autonomia che la Costituzione riconosce alla Regione ricorrente,
per violazione degli articoli 3, 97, 117, commi secondo, lettere  e),
m) e p), terzo e quarto, 118, commi primo e secondo, 119, 120,  comma
secondo, 122, comma secondo, e 123, comma primo, della Costituzione. 
    In particolare, la denunciata  illegittimita'  costituzionale  si
fonda sui seguenti 
 
                             M o t i v i 
 
    2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 5,  comma  1,  nella
parte in cui, al secondo periodo, dispone la riassegnazione al  fondo
per l'ammortamento dei titoli di Stato di cui al d.P.R.  30  dicembre
2003, n. 398, degli «importi corrispondenti alle riduzioni  di  spesa
che verranno deliberate dalle Regioni, con riferimento ai trattamenti
economici degli organi indicati nell'art.  121  della  Costituzione»,
per violazione dell'art. 117,  quarto  comma,  dell'art.  123,  primo
comma, e dell'art. 119 della Costituzione. 
    2.1. - L'art. 5, comma 1, nel suo primo periodo,  stabilisce  che
«per gli anni 2011, 2012 e  2013,  gli  importi  corrispondenti  alle
riduzioni di spesa che, anche con riferimento alle  spese  di  natura
amministrativa e per il personale, saranno  autonomamente  deliberate
entro il 31 dicembre 2010, con le modalita' previste  dai  rispettivi
ordinamenti dalla  Presidenza  della  Repubblica,  dal  Senato  della
Repubblica, dalla Camera dei deputati e  dalla  Corte  costituzionale
sono versati al bilancio dello Stato per essere riassegnati al  Fondo
per l'ammortamento dei titoli di Stato di cui al d.P.R.  30  dicembre
2003, n. 398». 
    Il  secondo  periodo  aggiunge  che  «al  medesimo   Fondo   sono
riassegnati gli importi corrispondenti alle riduzioni  di  spesa  che
verranno deliberate dalle Regioni,  con  riferimento  ai  trattamenti
economici degli organi indicati nell'art. 121 della Costituzione». 
    Tale ultima  disposizione  e'  gravemente  lesiva  dell'autonomia
regionale sotto molteplici profili. 
    2.2. - La norma in questione, ancorche'  lasci  alle  Regioni  la
libera  determinazione  circa   eventuali   riduzioni   della   spesa
concernente il trattamento economico degli organi di cui all'art. 121
Cost., ne dispone  -  nell'ipotesi  affermativa  -  una  destinazione
vincolata a favore del bilancio dello Stato  e,  in  particolare,  la
riassegnazione al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato di cui
al d.P.R. n. 398 del 2003. 
    In tal modo, il legislatore statale ha violato, innanzitutto,  il
riparto costituzionale  delle  competenze  legislative,  intervenendo
direttamente  sulla  disciplina   del   trattamento   economico   dei
componenti  degli  organi  fondamentali  della  Regione   individuati
nell'art. 121 Cost. in assenza di un qualsivoglia titolo di  potesta'
legislativa  dello  Stato  rinvenibile  nei  commi  secondo  e  terzo
dell'art. 117 Cost. e, pertanto, invadendo  la  potesta'  legislativa
residuale della  Regione  in  materia  di  organizzazione  interna  e
personale,  nonche'   la   potesta'   statutaria   in   ordine   alla
determinazione  dei  principi  fondamentali   di   organizzazione   e
funzionamento della Regione. Di qui, il palese contrasto della  norma
censurata con gli artt. 117, quarto comma, e 123, primo comma, Cost. 
    2.3. - La norma in questione, inoltre,  attraverso  l'imposizione
di un vincolo  di  destinazione  agli  eventuali  risparmi  di  spesa
disposti dal legislatore regionale  in  un  ambito  indiscutibilmente
riservato alla competenza di quest'ultimo, si  pone  direttamente  in
contrasto con l'autonomia finanziaria di spesa garantita alla Regione
dall'art. 119 Cost. 
    Essa,  infatti,  vincola  le  somme  che  risultino   attualmente
destinate ai trattamenti economici degli  organi  fondamentali  della
Regione  solo  ed  esclusivamente  ad  una  duplice   e   alternativa
finalita': o il mantenimento  della  destinazione  originaria,  senza
alcuna riduzione di spesa, o la riassegnazione al fondo  statale  per
l'ammortamento dei titoli di Stato, per la parte in  cui  la  Regione
intenda ridurre gli  importi  della  spesa  attuale.  Cosi'  facendo,
pero', la norma impugnata (ovviamente  in  termini  limitati  al  suo
specifico ambito di applicazione) impedisce alla Regione  di  gestire
le risorse di  cui  dispone  in  modo  tale  da  poter  stabilire  in
autonomia la destinazione di  queste  ultime,  in  palese  violazione
dell'art. 119 Cost. e, sia pure in modo indiretto, di quel  principio
- direttamente connesso con  l'autonomia  finanziaria  e  piu'  volte
ribadito  dalla  giurisprudenza  di  questa   Corte   -   che   vieta
l'istituzione di fondi vincolati nella destinazione  in  materie  che
risultino estranee agli ambiti di  competenza  legislativa  esclusiva
dello Stato. 
    Da questo punto di vista, la norma censurata si  pone,  altresi',
in aperto contrasto con la ormai consolidata giurisprudenza di questa
Corte, la quale esclude che lo  Stato  possa  esercitare  la  propria
competenza in  materia  di  «coordinamento  della  finanza  pubblica»
imponendo vincoli puntuali su specifiche  voci  di  spesa  (cfr.,  al
riguardo,  le  decisioni  richiamate  infra,  nel  par.  4.4  e,   in
particolare le sentenze nn. 417 e 449 del 2005, 169 del 2007;  237  e
297 del 2009). E' infatti evidente che l'art. 5, comma 1, del d.l. n.
78 del 2010 impone un  vincolo  specifico  sulla  spesa  che  risulti
attualmente destinata ai trattamenti economici degli  organi  di  cui
all'art. 121 Cost., poiche' destina eventuali risparmi che la Regione
disponga sulla medesima ad uno specifico capitolo del bilancio  dello
Stato. 
    3. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 5,  comma  4,  nella
parte in cui dispone la  riduzione  del  rimborso  elettorale  per  i
partiti politici anche in  riferimento  alle  elezioni  dei  Consigli
regionali, per violazione dell'art. 117,  quarto  comma,  o,  in  via
subordinata, dell'art. 122, primo comma, della Costituzione. 
    3.1 - L'art. 5, comma 4,  dispone  che  «a  decorrere  dal  primo
rinnovo del Senato della Repubblica, della Camera dei  deputati,  del
Parlamento europeo e dei consigli regionali successivo alla  data  di
entrata in vigore del presente provvedimento, l'importo  di  un  euro
previsto dall'art. 1, comma 5 primo periodo,  della  legge  3  giugno
1999, n. 157, e' ridotto del 10 per cento ed e'  abrogato  il  quarto
periodo del comma 6 del citato articolo 1». 
    3.2. - La norma in questione determina la riduzione del  rimborso
previsto dalla legge n. 157 del 1999 a favore dei movimenti o partiti
politici in relazione alle spese elettorali  sostenute  in  occasione
delle campagne per il rinnovo, tra gli altri, dei consigli regionali. 
    Per questa parte,  dunque,  la  norma  deve  considerarsi  lesiva
dell'autonomia legislativa spettante alle  Regioni  a  seguito  delle
riforme costituzionali di cui alle leggi cost. nn. 1 del 1999 e 3 del
2001. 
    Essa, infatti, interviene in un ambito, quello  della  disciplina
elettorale  regionale,  sul  quale  il  legislatore  statale  dispone
attualmente soltanto del potere di dettare  i  principi  fondamentali
del «sistema di  elezione»  e  dei  «casi  di  ineleggibilita'  e  di
incompatibilita'», nonche'  di  stabilire  «la  durata  degli  organi
elettivi», cosi' come testualmente riconosciuto dall'art. 122,  comma
1, Cost. Ne', d'altra parte, e' possibile rinvenire, tra  le  materie
di cui ai commi secondo e terzo dell'art. 117 Cost., alcun titolo che
legittimi il legislatore statale a disciplinare i rimborsi ai partiti
politici per le spese concernenti le elezioni degli organi regionali. 
    Nell'attuale riparto costituzionale delle competenze  legislative
e' senz'altro vero che la legge n. 157 del 1999  (entrata  in  vigore
nel giugno del 1999) e' in grado di  dispiegare  i  propri  originari
effetti normativi, in forza del principio  di  continuita',  anche  a
seguito delle menzionate riforme costituzionali del 1999 e del  2001;
ma e' altrettanto innegabile che, in relazione  alle  elezioni  degli
organi regionali, lo Stato ha  perduto  la  competenza  a  modificare
quella disciplina e che tale competenza spetti oggi alla  Regione  in
forza dell'art. 117, quarto comma, Cost. 
    3.3. - In subordine,  anche  qualora  si  volesse  ritenere,  per
assurdo, che la  disciplina  impugnata  possa  essere  ricondotta  al
«sistema di elezione» cui fa riferimento  l'art.  122,  primo  comma,
Cost., la potesta' legislativa statale non potrebbe  spingersi  oltre
la  fissazione  dei  principi  fondamentali;  ed   evidentemente   il
contenuto della norma in questione non e' riconducibile ad una simile
ipotesi, con conseguente violazione della competenza legislativa  che
la citata norma costituzionale attribuisce alla Regione. 
    4. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 5,  comma  5,  nella
parte in cui si applica anche alle Regioni, per violazione  dell'art.
117, terzo e quarto comma, nonche' dell'art. 119 della Costituzione. 
    4.1. - L'art. 5, comma 5, prevede che «ferme le  incompatibilita'
previste dalla normativa  vigente,  nei  confronti  dei  titolari  di
cariche elettive, lo  svolgimento  di  qualsiasi  incarico  conferito
dalle pubbliche amministrazioni di cui al  comma  3  dell'articolo  1
della legge 31 dicembre 2009, n. 196, inclusa  la  partecipazione  ad
organi collegiali di qualsiasi tipo, puo' dar luogo esclusivamente al
rimborso delle spese sostenute; eventuali  gettoni  di  presenza  non
possono superare l'importo di 30 euro a seduta». 
    4.2. - La norma si rivolge senz'altro anche alle Regioni [cfr. il
Comunicato dell'ISTAT del 24 luglio 2007, pubblicato  sulla  Gazzetta
Ufficiale  24  luglio  2010,  n.  171,  contenente   l'Elenco   delle
amministrazioni pubbliche inserite nel  conto  economico  consolidato
individuate ai sensi dell'articolo 1, comma 3 della legge 31 dicembre
2009,  n.  196  (Legge  di  contabilita'  e  di  finanza  pubblica)],
disponendo un vincolo diretto in base  al  quale  lo  svolgimento  di
qualsiasi incarico da esse conferito, inclusa  la  partecipazione  ad
organi collegiali di qualsiasi tipo, puo' dar luogo esclusivamente al
rimborso delle spese sostenute e che eventuali  gettoni  di  presenza
non possono superare l'importo di 30 euro a seduta. 
    Tale previsione lede l'autonomia costituzionalmente  riconosciuta
alla Regione sotto due distinti profili. 
    4.3. - In primo  luogo,  perche'  interviene  illegittimamente  -
dettando   una   disciplina   esaustiva   ed   autoapplicativa    non
riconducibile ad alcun titolo di potesta' legislativa esclusiva dello
Stato  -  nella   materia   dell'«organizzazione   amministrativa   e
ordinamento del personale della  Regione»,  di  competenza  residuale
regionale ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost., secondo quanto
ripetutamente affermato da questa Corte a partire dalla sent. n.  274
del 2003. 
    4.4. - In secondo luogo, ove non si ritenesse di poter accogliere
gli  argomenti   appena   esposti,   la   norma   in   questione   e'
costituzionalmente illegittima perche', disponendo  vincoli  puntuali
relativi  a  singole  voci  di  spesa  del  bilancio  della  Regione,
fuoriesce dai limiti che la giurisprudenza costituzionale ha da tempo
affermato, in riferimento  alla  competenza  legislativa  concorrente
dello Stato in materia di «coordinamento della finanza  pubblica»,  a
presidio della corrispondente potesta' legislativa regionale  fondata
sull'art. 117, terzo comma, Cost., nonche' dell'autonomia finanziaria
di cui all'art. 119 Cost. 
    A tale ultimo  proposito,  si  puo'  ritenere  ormai  consolidato
l'orientamento di questa Corte secondo il quale «le norme che fissano
vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa dei  bilanci  delle
regioni e degli enti locali non costituiscono  principi  fondamentali
di coordinamento della finanza  pubblica,  ai  sensi  dell'art.  117,
terzo comma, Cost., e  ledono  pertanto  l'autonomia  finanziaria  di
spesa garantita dall'art. 119 Cost.  [...]  La  previsione  da  parte
della legge statale di limiti all'entita'  di  una  singola  voce  di
spesa non  puo'  essere  considerata  un  principio  fondamentale  in
materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento  della
finanza pubblica, perche'  pone  un  precetto  specifico  e  puntuale
sull'entita' della spesa  e  si  risolve  percio'  «in  una  indebita
invasione, da parte della legge statale,  dell'area  [...]  riservata
alle autonomie regionali e degli enti  locali  alle  quali  la  legge
statale puo' prescrivere criteri  [...]  ed  obiettivi  (ad  esempio,
contenimento della spesa pubblica) ma non imporre nel  dettaglio  gli
strumenti concreti da utilizzare per  raggiungere  quegli  obiettivi»
(sent. n. 390 del 2004)» (cosi' la sent. n. 417 del  2005,  par.  6.3
del Considerato in diritto; in termini del tutto analoghi, cfr. anche
la sent. n. 449 del 2005, par. 4 del Considerato in diritto). 
    Piu' recentemente, nella sent. n. 169 del 2007, questa  Corte  ha
ribadito  che  «il  legislatore  statale,  con  una  "disciplina   di
principio", puo' legittimamente  "imporre  agli  enti  autonomi,  per
ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali,
condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle  politiche
di bilancio,  anche  se  questi  si  traducono,  inevitabilmente,  in
limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti" (sentenze n.
417 del 2005 e  n.  36  del  2004).  Perche'  detti  vincoli  possano
considerarsi rispettosi dell'autonomia delle  Regioni  e  degli  enti
locali, essi debbono riguardare  l'entita'  del  disavanzo  di  parte
corrente oppure - ma solo "in  via  transitoria  ed  in  vista  degli
specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti
dal legislatore statale" - la crescita  della  spesa  corrente  degli
enti autonomi. In altri termini, la legge statale puo' stabilire solo
un "limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia liberta' di
allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di  spesa»
(sentenze n. 88 del 2006, n. 449 e n. 417 del 2005, n. 36 del 2004). 
    Da tali pronunce puo' desumersi che, perche'  norme  statali  che
fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti  locali  possano
qualificarsi principi fondamentali  di  coordinamento  della  finanza
pubblica, e' necessario che esse soddisfino i seguenti requisiti:  in
primo luogo, che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio  della
finanza  pubblica,  intesi  anche  nel  senso   di   un   transitorio
contenimento complessivo, sebbene non generale, della spesa corrente;
in secondo luogo, che non prevedano  strumenti  o  modalita'  per  il
perseguimento  dei  suddetti  obiettivi»  (cosi'  il   par.   8   del
Considerato in diritto; cfr., inoltre, negli stessi termini,  tra  le
altre, le sentt. nn. 237 del  2009,  par.  23.6  del  Considerato  in
diritto, e 297 del 2009, par. 2.3.3 del Considerato in diritto). 
    L'applicazione letterale di questa giurisprudenza alla norma  qui
censurata  non  puo'  che  condurre  a  dichiararne  l'illegittimita'
costituzionale,  per  violazione  dell'art.  117,  terzo   comma,   e
dell'art. 119 Cost. 
    5. - Illegittimita' costituzionale dell'art.  5,  comma  7,  ult.
periodo, per violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma,  nonche'
dell'art. 119 della Costituzione. 
    5.1. - La norma che la Regione Puglia ha interesse  ad  impugnare
in questa sede concerne il solo ultimo periodo del comma 7  dell'art.
5, il quale stabilisce che «agli amministratori di comunita'  montane
e di unioni di comuni e comunque di forme associative di enti  locali
aventi per oggetto la gestione di servizi e  funzioni  pubbliche  non
possono essere  attribuite  retribuzioni,  gettoni,  e  indennita'  o
emolumenti in qualsiasi forma siano essi percepiti». 
    Il legislatore statale ha dunque posto direttamente un divieto di
attribuzione di retribuzioni, gettoni,  indennita'  o  emolumenti  in
qualsiasi  forma  percepiti  a  favore  degli  amministratori   delle
comunita' montane e delle unioni di comuni  e  comunque  delle  forme
associative di enti locali aventi per oggetto la gestione di  servizi
o funzioni pubbliche. 
    5.2. - Cosi' facendo, la norma censurata interviene in un  ambito
materiale sicuramente estraneo alla  potesta'  legislativa  esclusiva
riconosciuta allo Stato dall'art. 117, secondo comma, lett. p), Cost.
nella materia «organi di governo e funzioni fondamentali  di  Comuni,
Province e Citta' metropolitane». La giurisprudenza di  questa  Corte
ha da tempo chiarito,  con  particolare  riferimento  alle  comunita'
montane e alle unioni di comuni, che la competenza legislativa per la
disciplina di tali enti locali e dei loro organi spetta alla  Regione
in base alla potesta' residuale di cui all'art.  117,  quarto  comma,
Cost., mentre la potesta' legislativa esclusiva statale fondata sulla
lett.  p)  del  secondo  comma  dell'art.   117   deve   considerarsi
rigorosamente limitata non solo in relazione al «tipo» di ente locale
(Comuni, Province e Citta' metropolitane), ma anche in relazione agli
aspetti degli ordinamenti di questi ultimi (legislazione  elettorale,
organi di governo e funzioni fondamentali) (cosi' le sentenze nn. 244
e 465 del 2005, 397 del 2006 e 237 del 2009). 
    Da cio' non puo' escludersi, come pure questa Corte ha avuto modo
di rilevare proprio in riferimento al  «coordinamento  della  finanza
pubblica» (cfr. sent. n. 237 del 2009), che  il  legislatore  statale
possa vantare altri titoli di  competenza  legislativa  in  grado  di
incidere «trasversalmente» sull'ambito  assegnato  alla  legislazione
regionale:  ma  e'  del  tutto  evidente  che,  in  simili   ipotesi,
l'intervento statale deve risultare conforme ai limiti costituzionali
di quella competenza. 
    Tale conformita' e' proprio cio' che viene palesemente a  mancare
nel caso di specie. 
    Infatti, anche a voler ascrivere la norma impugnata all'esercizio
della potesta' legislativa statale in materia di «coordinamento della
finanza pubblica» di cui all'art. 117, terzo comma, Cost.,  essa  non
e' certo in grado  di  superare  lo  scrutinio  di  costituzionalita'
secondo i chiarissimi principi giurisprudenziali gia' richiamati piu'
sopra  (cfr.  il  par.  4.4),  i  quali  impediscono  allo  Stato  di
introdurre «vincoli puntuali relativi a singole  voci  di  spesa  dei
bilanci delle regioni e degli enti locali». Oltretutto, la  norma  e'
posta in termini che ne escludono palesemente  l'eventuale  carattere
di misura «transitoria»  richiesto  dalla  citata  giurisprudenza  di
questa Corte. 
    Di qui l'illegittimita' costituzionale della norma per violazione
dei parametri indicati. 
    6. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 20, primo e
secondo periodo, in relazione ai commi 7, 8, 9,  12,  13  e  14,  per
violazione  dell'art.  117,  terzo  comma,  e  dell'art.  119   della
Costituzione. 
    6.1.  -  I  primi  due  periodi  dell'art.  6,  comma  20,  cosi'
stabiliscono: «Le disposizioni del presente articolo non si applicano
in via diretta alle regioni, alle province autonome e agli  enti  del
Servizio sanitario nazionale, per i quali costituiscono  disposizioni
di principio ai fini del  coordinamento  della  finanza  pubblica.  A
decorrere dal 2011, una quota pari al 10 per cento dei  trasferimenti
erariali di cui all'art. 7 della legge 15 marzo 1997, n. 59, a favore
delle  regioni  a  statuto  ordinario  e'  accantonata   per   essere
successivamente  svincolata  e  destinata  alle  regioni  a   statuto
ordinario  che  hanno  attuato  quanto  stabilito  dall'art.  3   del
decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, convertito con  legge  26  marzo
2010, n. 42 e che aderiscono volontariamente alle regole previste dal
presente articolo». 
    6.2.  -  Preliminarmente,  va  osservato  che  le  due  norme  si
riferiscono genericamente  a  tutte  le  disposizioni  contenute  nel
medesimo art. 6, con le quali  il  legislatore  statale  ha  disposto
limiti puntuali di spesa riferiti a specifiche voci. Tra  queste,  ad
avviso della Regione Puglia, assumono rilievo almeno le seguenti: 
    il comma 7, il quale prevede che «a decorrere dall'anno  2011  la
spesa annua per studi ed  incarichi  di  consulenza,  inclusa  quella
relativa a studi ed incarichi  di  consulenza  conferiti  a  pubblici
dipendenti, (...)  nonche'  gli  incarichi  di  studio  e  consulenza
connessi ai processi di privatizzazione e alla  regolamentazione  del
settore finanziario, non puo' essere superiore al  20  per  cento  di
quella sostenuta nell'anno 2009»; 
    il comma 8, il quale prevede che, a decorrere dall'anno 2011, non
possono essere effettuate «spese per relazioni  pubbliche,  convegni,
mostre, pubblicita' e di rappresentanza, per un  ammontare  superiore
al 20 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 per le  medesime
finalita'»; 
    il comma 9, il quale prevede che, a decorrere dall'anno 2011, non
possono essere effettuate «spese per sponsorizzazioni»; 
    il comma 12, il quale prevede che, a  decorrere  dall'anno  2011,
non possono essere effettuate «spese per missioni, anche  all'estero,
(...) per  un  ammontare  superiore  al  50  per  cento  della  spesa
sostenuta nell'anno 2009». La previsione stabilisce espressamente che
il limite di spesa possa essere «superato in casi eccezionali, previa
adozione di un motivato provvedimento adottato dall'organo di vertice
dell'amministrazione, da comunicare preventivamente  agli  organi  di
controllo ed agli organi di revisione dell'ente», e che «il  presente
comma non si applica alla spesa  effettuata  per  lo  svolgimento  di
compiti ispettivi»; 
    il comma 13, il quale prevede che, a  decorrere  dall'anno  2011,
«la spesa annua (...) per attivita' esclusivamente di formazione deve
essere non superiore al 50 per cento della spesa sostenuta  nell'anno
2009», aggiungendo che le amministrazioni «svolgono  prioritariamente
l'attivita' di formazione tramite la Scuola superiore della  pubblica
amministrazione ovvero tramite i propri organismi di formazione»; 
    il comma 14, il quale prevede che, sempre a  decorrere  dall'anno
2011, non possono essere effettuate  «spese  di  ammontare  superiore
all'80 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 per l'acquisto,
la manutenzione, il noleggio e l'esercizio  di  autovetture,  nonche'
per l'acquisto di buoni taxi», aggiungendo che  «il  predetto  limite
puo' essere derogato, per  il  solo  anno  2011,  esclusivamente  per
effetto di contratti pluriennali gia' in essere». 
    6.3. - Il combinato disposto del comma  20  e  dei  commi  appena
citati  dell'art.  6  lede  gravemente  l'autonomia   legislativa   e
finanziaria della Regione, ponendosi in aperto contrasto con i limiti
della potesta' legislativa statale di cui all'art. 117, terzo  comma,
Cost. in materia di «coordinamento della finanza  pubblica»,  nonche'
con l'art. 119 Cost., secondo quanto affermato  dalla  giurisprudenza
costituzionale richiamata nelle pagine che precedono  (cfr.  il  par.
4.4). 
    Questa giurisprudenza, come si e' visto, ha chiaramente affermato
che «le norme che fissano vincoli puntuali relativi a singole voci di
spesa dei bilanci delle regioni e degli enti locali non costituiscono
principi fondamentali di coordinamento  della  finanza  pubblica,  ai
sensi  dell'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,   e   ledono   pertanto
l'autonomia finanziaria di spesa garantita dall'art. 119 Cost. ».  Di
qui, il contrasto diretto e letterale  del  comma  20  con  i  citati
parametri costituzionali, laddove  il  legislatore  statale  pretende
espressamente di qualificare le norme  contenute  negli  altri  commi
dell'art. 6  e  impugnate  in  questa  sede  quali  «disposizioni  di
principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica». 
    L'intrinseca illegittimita'  costituzionale  della  qualifica  di
tali norme come «principi fondamentali di coordinamento della finanza
pubblica», ai quali le  Regioni  dovrebbero  ritenersi  assoggettate,
emerge anche da un secondo rilievo.  Tutte  le  norme  in  questione,
infatti,  fissano  le  riduzioni  puntuali  di  spesa  «a   decorrere
dall'anno 2011», introducendo, dunque, limiti di  contenimento  della
spesa destinati ad operare stabilmente; in tal modo,  esse  risultano
dichiaratamente prive di quel requisito della «transitorieta'» che la
giurisprudenza  di  questa  Corte  ha  individuato  quale   ulteriore
condizione affinche'  possa  riconoscersi  a  questo  tipo  di  norme
dettate  dal  legislatore   statale   la   qualifica   di   «principi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica» (cfr.  le  gia'
citate sentenze nn. 169 del 2007, 237 del 2009 e 297 del 2009). 
    6.4.  -  Ma  vi  e'  di  piu'.  L'espressa  qualificazione  delle
disposizioni dell'art. 6 quali «disposizioni di principio ai fini del
coordinamento della finanza pubblica», oltre che illegittima  di  per
se', si rivela del tutto surrettizia e ingannevole. 
    A dispetto del tenore letterale dei primi due periodi  del  comma
20, nella parte in cui si afferma che  le  disposizioni  dell'art.  6
«non si applicano in via diretta alle regioni» e  che  queste  ultime
«aderiscono  volontariamente  alle  regole  previste   dal   presente
articolo», l'effetto concreto della norma  e',  comunque,  quello  di
vietare alle Regioni di effettuare le spese contemplate nell'art.  6,
imponendo loro il rispetto  dei  limiti  puntuali  ivi  previsti.  Il
meccanismo di adeguamento imposto alle Regioni, infatti, si basa  sul
taglio sicuro del 10 per cento sui trasferimenti delle risorse dovute
dallo Stato in base all'art.  7  della  legge  n.  59  del  1997  per
l'esercizio delle funzioni  amministrative  trasferite  alle  Regioni
medesime e che queste ultime sono  obbligate  ad  esercitare;  taglio
sicuro al quale dovrebbe corrispondere  una  incerta  «restituzione»,
comunque condizionata al pieno e integrale  rispetto  delle  «regole»
contenute nell'art. 6. 
    E' pertanto evidente che la qualifica di «principi  fondamentali»
delle norme dell'art. 6 - ancorche' intrinsecamente illegittima,  per
quanto si e' detto  -  ha  i  connotati  di  un'espressione  di  pura
facciata. 
    7. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 6, comma  20,  terzo
periodo, per  violazione  dell'art.  117,  sesto  comma,  o,  in  via
subordinata, dell'art. 118, primo comma,  della  Costituzione  e  del
principio di leale collaborazione (nella  parte  in  cui  prevede  il
semplice parere anziche' l'intesa con la Conferenza Stato-Regioni). 
    7.1. - Il terzo periodo del comma 20 dell'art. 6 prevede che «con
decreto di natura non  regolamentare  del  Ministro  dell'economia  e
delle finanze, sentita la Conferenza  Stato-Regioni,  sono  stabiliti
modalita', tempi e criteri per l'attuazione del presente comma». 
    La norma, di per se', non puo' essere ricondotta altro  che  alla
materia di  competenza  legislativa  concorrente  del  «coordinamento
della finanza pubblica» di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. 
    In base a tale presupposto  si  possono  dare  solo  due  ipotesi
alternative. 
    7.2. - Se si ritiene, come sembrerebbe piu' plausibile  in  forza
del dato testuale, che la funzione affidata al Ministro dell'economia
e delle finanze abbia natura  propriamente  normativa  -  in  ragione
della sua finalita' di produzione di norme generali e astratte (cfr.,
da ultimo, la sent. n. 278 del  2010,  par.  16  del  Considerato  in
diritto) e a dispetto dell'elusivo  riferimento  ad  un  «decreto  di
natura non regolamentare»  -  la  norma  in  questione  costituirebbe
palesemente  una  ipotesi  di  illegittima   previsione   di   potere
regolamentare in materia di legislazione  concorrente,  con  evidente
contrasto con quanto stabilisce l'art. 117, sesto  comma,  Cost.,  ai
sensi del quale il potere normativo regolamentare spetta  allo  Stato
nelle sole materie di potesta' legislativa esclusiva. 
    Come questa Corte ha gia' avuto  modo  di  chiarire  (da  ultimo,
nella citata sentenza n. 278 del 2010)  in  relazione  alla  potesta'
regolamentare, «attesa la ripartizione operata dall'art. 117 Cost. di
tale potesta' tra Stato e Regioni, secondo un criterio  obiettivo  di
corrispondenza delle norme prodotte alle materie  ivi  indicate,  non
possono essere requisiti di carattere formale, quali il nomen iuris e
la difformita' procedimentale  rispetto  ai  modelli  di  regolamento
disciplinati in via generale dall'ordinamento, a determinare  di  per
se' l'esclusione dell'atto dalla tipologia  regolamentare,  giacche',
in tal caso, sarebbe agevole eludere la  suddivisione  costituzionale
delle  competenze,  introducendo  nel  tessuto  ordinamentale   norme
secondarie, surrettiziamente rivestite di altra forma,  laddove  cio'
non sarebbe consentito». 
    Ne'  in  una  simile  ipotesi  potrebbe   essere   legittimamente
invocabile  il  titolo  della  «chiamata  in  sussidiarieta'»   della
funzione regolamentare da parte dello Stato. 
    Come  e'  noto,  infatti,  questa  Corte,  fin  dalla   pronuncia
«capostipite» in materia (sent. n. 303  del  2003),  ha  radicalmente
escluso che in forza dell'art. 118 Cost.  possano  essere  consentite
deroghe al riparto costituzionale del  potere  regolamentare  fissato
dall'art. 117, sesto comma, Cost. Nella citata sentenza (par.  7  del
Considerato in diritto) si legge infatti che  «in  un  riparto  cosi'
rigidamente strutturato, alla fonte secondaria statale e' inibita  in
radice  la  possibilita'  di  vincolare  l'esercizio  della  potesta'
legislativa  regionale  o  di  incidere  su  disposizioni   regionali
preesistenti (sentenza n. 22 del  2003);  e  neppure  i  principi  di
sussidiarieta' e adeguatezza possono conferire ai regolamenti statali
una capacita' che  e'  estranea  al  loro  valore,  quella  cioe'  di
modificare  gli  ordinamenti  regionali  a  livello  primario.   Quei
principi, lo si e' gia' rilevato, non privano di contenuto precettivo
l'art.  117  Cost.,  pur  se,  alle  condizioni  e  nei  casi   sopra
evidenziati, introducono in esso elementi di  dinamicita'  intesi  ad
attenuare la  rigidita'  nel  riparto  di  funzioni  legislative  ivi
delineato. Non puo' quindi essere loro  riconosciuta  l'attitudine  a
vanificare  la  collocazione  sistematica  delle   fonti   conferendo
primarieta' ad atti che possiedono  lo  statuto  giuridico  di  fonti
secondarie e a degradare le fonti regionali a  fonti  subordinate  ai
regolamenti statali o comunque a questi condizionate. Se quindi, come
gia' chiarito, alla legge statale e' consentita l'organizzazione e la
disciplina delle funzioni amministrative assunte  in  sussidiarieta',
va precisato che la legge stessa non puo' spogliarsi  della  funzione
regolativa affidandola a fonti subordinate, neppure predeterminando i
principi che  orientino  l'esercizio  della  potesta'  regolamentare,
circoscrivendone la discrezionalita'». 
    7.3. - Soltanto qualora si dovesse ritenere, contrariamente  alla
prima  ipotesi  qui  prospettata,   che   la   funzione   contemplata
dall'impugnato art. 6, comma 20,  terzo  periodo,  non  abbia  natura
normativa bensi'  soltanto  natura  amministrativa,  potrebbe  essere
invocato il fenomeno della  «chiamata  in  sussidiarieta'»  da  parte
dello Stato di funzioni amministrative  in  materia  di  legislazione
concorrente, quale titolo di legittimazione del  legislatore  statale
fondato direttamente sull'art. 118, primo comma, Cost. 
    In questo caso, pero', in base ai  ben  noti  orientamenti  della
giurisprudenza  costituzionale  (da  ultimo  confermati,  ancora  una
volta, nella sent. n. 278  del  2010,  par.  12  del  Considerato  in
diritto), tra le altre condizioni  fissate  da  questa  Corte  spicca
quella secondo la quale «la legislazione statale di questo tipo  puo'
aspirare a superare il vaglio di legittimita' costituzionale solo  in
presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui  assumano  il
dovuto  risalto  le  attivita'  concertative   e   di   coordinamento
orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in  base
al principio di lealta'». Di qui la necessita', piu' volte  ribadita,
di prevedere un meccanismo  di  codecisione  paritaria,  nella  forma
dell'intesa (di volta in volta con la Conferenza  Stato-Regioni,  con
la Conferenza Unificata oppure con le singole  Regioni  interessate),
che risulti adeguato all'assetto degli interessi di  cui  i  soggetti
dotati di attribuzioni costituzionalmente garantite siano portatori. 
    Da questo punto di vista, nel caso di specie, risulta  del  tutto
inadeguata - e percio' costituzionalmente illegittima - la previsione
della norma censurata, la quale contempla  lo  strumento  del  parere
della Conferenza Stato-Regioni, anziche' dell'intesa con la medesima. 
    8. - Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  9,  comma  2-bis,
nella parte in cui si applica  anche  alle  Regioni,  per  violazione
degli artt. 117, terzo comma, e 119, della Costituzione. 
    8.1. - L'art. 9, comma 2-bis, prevede quanto segue: «A  decorrere
dal  1°  gennaio  2011  e  sino  al  31  dicembre  2013   l'ammontare
complessivo  delle  risorse  destinate  annualmente  al   trattamento
accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di  ciascuna
delle amministrazioni di cui all'articolo 1,  comma  2,  del  decreto
legislativo  30  marzo  2001,  n.   165,   non   puo'   superare   il
corrispondente   importo   dell'anno   2010    ed    e',    comunque,
automaticamente ridotto in misura proporzionale  alla  riduzione  del
personale in servizio». 
    Si tratta di una norma che  persegue  obiettivi  di  contenimento
della spesa pubblica mediante l'imposizione  di  limiti  puntuali  di
spesa. In quanto tale, dunque, nella parte in cui essa  e'  destinata
ad applicarsi anche alle Regioni, e' costituzionalmente illegittima. 
    8.2. - La disposizione in questione,  infatti,  viola  gli  artt.
117, terzo comma, e 119 Cost. 
    Come si e' gia' avuto modo di evidenziare in precedenza (cfr.  in
part. il par. 4.4.), la giurisprudenza  costituzionale  ha  da  tempo
affermato, in riferimento  alla  competenza  legislativa  concorrente
dello Stato in materia di «coordinamento della finanza  pubblica»,  a
presidio della corrispondente potesta' legislativa regionale  fondata
sull'art. 117, terzo comma, Cost., nonche' dell'autonomia finanziaria
di cui all'art. 119 Cost., che «le norme che fissano vincoli puntuali
relativi a singole voci di spesa dei bilanci delle  regioni  e  degli
enti locali non costituiscono principi fondamentali di  coordinamento
della finanza pubblica, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., e
ledono pertanto l'autonomia finanziaria di spesa garantita  dall'art.
119 Cost. [...] La previsione da parte della legge statale di  limiti
all'entita' di una singola voce di spesa non puo' essere  considerata
un principio fondamentale in materia di  armonizzazione  dei  bilanci
pubblici e coordinamento della  finanza  pubblica,  perche'  pone  un
precetto specifico e puntuale sull'entita' della spesa e  si  risolve
percio' "in una indebita invasione, da  parte  della  legge  statale,
dell'area [...] riservata  alle  autonomie  regionali  e  degli  enti
locali, alle quali la legge statale puo' prescrivere criteri f...1 ed
obiettivi (ad esempio, contenimento strumenti concreti da  utilizzare
per raggiungere quegli obiettivi" (sent. n. 390 del 2004)» (cosi'  la
sent. n. 417 del 2005, par. 6.3  del  Considerato  in  diritto;  cfr.
anche le sentt. n. 449 del 2005, n. 169 del 2007; 237 del  2009;  297
del 2009). 
    Che la norma impugnata in questa sede sia volta  ad  incidere  su
una singola voce di spesa non puo' realisticamente  essere  messo  in
dubbio:  essa  riguarda,  infatti,  il  «trattamento  accessorio  del
personale, anche di livello dirigenziale».  Per  questa  ragione  non
puo' dunque che essere considerata costituzionalmente illegittima. 
    9. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 9, comma  28,  nella
parte in cui si applica anche  alle  Regioni,  per  violazione  degli
artt. 117, terzo comma, e 119, della Costituzione. 
    9.1. - La disposizione che  qui  si  censura  cosi'  dispone:  «A
decorrere dall'anno 2011, le amministrazioni dello  Stato,  anche  ad
ordinamento autonomo, le agenzie, incluse le Agenzie fiscali  di  cui
agli articoli 62, 63 e 64 del decreto legislativo 30 luglio 1999,  n.
300, e successive modificazioni, gli enti pubblici non economici,  le
universita' e gli enti pubblici di cui all'articolo 70, comma 4,  del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni
e integrazioni, fermo quanto previsto dagli articoli 7, comma 6, e 36
del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono  avvalersi  di
personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con  contratti
di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite  del  50  per
cento della spesa sostenuta per le stesse finalita'  nell'anno  2009.
Per le medesime amministrazioni la spesa  per  personale  relativa  a
contratti di formazione lavoro, ad  altri  rapporti  formativi,  alla
somministrazione di lavoro,  nonche'  al  lavoro  accessorio  di  cui
all'articolo 70, comma 1,  lettera  d)  del  decreto  legislativo  10
settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni  ed  integrazioni,
non puo' essere superiore al 50 per cento di quella sostenuta per  le
rispettive finalita'  nell'anno  2009.  Le  disposizioni  di  cui  al
presente  comma  costituiscono  principi   generali   ai   fini   del
coordinamento della finanza pubblica ai quali si adeguano le regioni,
le province autonome, e gli enti del Servizio sanitario nazionale». 
    9.2. - Si tratta, ancora una volta, di  una  norma  che  persegue
obiettivi  di  contenimento  della   spesa   pubblica   mediante   la
imposizione di limiti puntuali di spesa.  La  imposizione  di  questi
limiti,  inoltre,  e'  qualificata  «principio  fondamentale»   della
materia del «coordinamento della finanza pubblica», ai fini della sua
applicazione anche agli ordinamenti regionali. 
    Tale  qualificazione   e'   costituzionalmente   illegittima,   e
conseguentemente lo e' anche l'imposizione dei suddetti  limiti  alle
Regioni. 
    9.3.  -  Anche  in  questo  caso  puo'  essere  sufficiente   una
motivazione  assai  sintetica  a  sostegno  della  doglianza   appena
esposta.  E'  infatti  possibile  limitarsi  alla  evocazione   della
giurisprudenza costituzionale piu' volte citata (da ultimo, nel  par.
precedente), la  quale  mostra  con  assoluta  evidenza  che  non  e'
possibile  considerare  alla  stregua  di   «principi   fondamentali»
l'imposizione di vincoli puntuali a specifiche voci  di  spesa,  pena
sia la «esorbitanza» del legislatore statale rispetto ai  limiti  che
ad esso sono imposti dall'art. 117, terzo comma, Cost., in  relazione
alla materia «coordinamento della finanza pubblica», sia la  indebita
compressione  dell'autonomia  finanziaria  garantita   alle   Regioni
dall'art. 119 Cost. 
    10. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 29,  nella
parte in cui si applica anche  alle  Regioni,  per  violazione  degli
artt. 117, secondo comma, lett. g), terzo  e  quarto  comma,  e  119,
della Costituzione. 
    10.1 - L'art. 9, comma 29 dispone che «le societa'  non  quotate,
inserite   nel   conto   economico   consolidato    della    pubblica
amministrazione, come individuate dall'ISTAT ai  sensi  del  comma  3
dell'articolo 1 della legge 31 dicembre  2009,  n.  196,  controllate
direttamente  o  indirettamente  dalle   amministrazioni   pubbliche,
adeguano le loro politiche assunzionali  alle  disposizioni  previste
nel presente articolo». 
    In virtu' della norma appena riportata, dunque,  tutti  i  limiti
puntuali di spesa posti dall'art. 9 si applicano anche alle  societa'
non quotate inserite nel conto economico consolidato  della  pubblica
amministrazione. Nella parte in cui questo precetto si applica  anche
a societa' controllate dalla Regione o dagli  enti  locali,  esso  e'
incostituzionale. 
    10.2. - La disposizione impugnata, innanzitutto, viola gli  artt.
117,  secondo  comma,  lett.  g),  e  quarto  comma,  Cost.,  poiche'
disciplina enti diversi da quelli statali,  sui  quali  lo  Stato  ha
competenza esclusiva in base all'art. 117, secondo comma,  lett.  g),
Cost. 
    L'art. 9, comma 29, nella parte di cui si rivolge  alle  societa'
controllate da enti territoriali diversi dallo Stato, dunque,  eccede
la competenza dello Stato, ed invade, invece, la competenza regionale
residuale sancita dall'art. 117, quarto comma, Cost. Che in relazione
alla materia delle «societa' partecipate da Regioni ed  enti  locali»
le Regioni dispongano di potesta' legislativa proprio in base a  tale
disposizione costituzionale,  del  resto,  e'  gia'  stato  affermato
esplicitamente da questa Corte nella sent. n. 326 del 2008 (par.  8.4
del Considerato in diritto). 
    10.3 -  Ad  ogni  modo,  anche  ove  non  si  condividessero  gli
argomenti fin qui proposti a sostegno della incostituzionalita' della
normativa   impugnata,   essa   sarebbe    comunque    da    ritenere
costituzionalmente illegittima per  violazione  degli  articoli  117,
terzo comma, e 119 Cost. L'art. 9, comma 29, del d.l. n. 78 del 2010,
infatti, impone vincoli puntuali di spesa ad enti differenti rispetto
a quelli sui quali lo Stato  dispone  della  competenza  legislativa.
Cosi' facendo, la legge statale esorbita - per le ragioni in piu'  di
una occasione esposte nel presente ricorso (cfr., per tutti, il  par.
4.4) - dai limiti che ad essa sono posti dall'art. 117, terzo  comma,
Cost.,  a  tutela  dell'autonomia  finanziaria  regionale   garantita
dall'art. 119 Cost. 
    11. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 31,  nella
parte in cui si applica anche  alle  Regioni,  per  violazione  degli
artt. 117, terzo e quarto comma, e 119, della Costituzione. 
    11.1. - L'art. 9, comma 31 dispone  quanto  segue:  «Al  fine  di
agevolare il processo di riduzione degli assetti organizzativi  delle
pubbliche amministrazioni, a  decorrere  dalla  data  di  entrata  in
vigore del presente decreto, fermo il  rispetto  delle  condizioni  e
delle procedure previste dai commi da 7 a  10  dell'articolo  72  del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con  modificazioni,
dalla legge 6 agosto  2008,  n.  133,  i  trattenimenti  in  servizio
previsti  dalle  predette  disposizioni   possono   essere   disposti
esclusivamente nell'ambito  delle  facolta'  assunzionali  consentite
dalla legislazione vigente in base alle cessazioni  del  personale  e
con il rispetto delle relative procedure autorizzatorie;  le  risorse
destinabili a nuove assunzioni in base alle predette cessazioni  sono
ridotte  in  misura  pari  all'importo  del  trattamento  retributivo
derivante  dai  trattenimenti  in  servizio.  Sono  fatti   salvi   i
trattenimenti in servizio aventi decorrenza anteriore al  1°  gennaio
2011, disposti prima dell'entrata in vigore del presente  decreto.  I
trattenimenti in servizio aventi decorrenza successiva al 1°  gennaio
2011, disposti prima dell'entrata in  vigore  del  presente  decreto,
sono privi di effetti». 
    La disposizione in questione, dunque, prevede che i trattenimenti
in servizio del personale  delle  pubbliche  amministrazioni  possono
avvenire esclusivamente entro i limiti  delle  facolta'  assunzionali
consentiti in base alle cessazioni  del  personale,  con  conseguente
proporzionale  riduzione  delle  risorse   destinabili   alle   nuove
assunzioni per un importo pari al trattamento  retributivo  destinato
ai dipendenti trattenuti in servizio. Tale previsione, nella parte in
cui si applica anche alle Regioni, e' incostituzionale per violazione
degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost. 
    11.2. - La  norma  impugnata  viola,  innanzitutto,  l'art.  117,
quarto comma, Cost.  Essa,  infatti,  regolando  la  possibilita'  di
effettuare il trattenimento in servizio del personale delle pubbliche
amministrazioni, nella misura in cui include nel  proprio  ambito  di
applicazione anche le amministrazioni regionali e locali,  invade  la
competenza  legislativa  residuale  regionale  nella  materia   della
«organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti locali», la
quale, in base alla  giurisprudenza  di  questa  Corte,  deve  essere
annoverata tra le materie di competenze regionale residuale (cfr.  la
gia' citata sent. n. 328 del  2008,  punto  8.4  del  Considerato  in
diritto). 
    Che si tratti di una normativa destinata ad intervenire  in  tale
materia,  peraltro,  e'   «confessato»   anche   dall'incipit   della
disposizione qui considerata, la quale risulta espressamente  dettata
«al  fine  di  agevolare  il  processo  di  riduzione  degli  assetti
organizzativi delle pubbliche amministrazioni». E' dunque  la  stessa
norma impugnata che, manifestando in modo esplicito la sua ratio,  si
inscrive chiaramente nell'ambito della materia della  «organizzazione
amministrativa delle Regioni e degli enti locali»,  ovviamente  nella
parte in cui si rivolge anche a questi enti. 
    11.3.  -  Quand'anche  si   ritenesse   di   non   aderire   alle
considerazioni appena esposte, si dovrebbe  concludere  comunque  nel
senso della illegittimita' costituzionale della norma qui  censurata,
in quanto essa contrasta con gli artt. 117, terzo comma, e 119, Cost. 
    Ove infatti non si ritenesse di inquadrare l'art.  9,  comma  31,
nell'ambito della materia della «organizzazione amministrativa»,  non
si potrebbe che considerarlo alla luce del fine della riduzione della
spesa pubblica e valutarlo alla luce della competenza dello  Stato  a
porre  i  «principi  fondamentali  del  coordinamento  della  finanza
pubblica» e delle norme della Costituzione che  regolano  l'autonomia
finanziaria regionale. 
    Sul punto ci si puo' riferire ancora una volta agli argomenti  ed
ai precedenti di questa Corte evocati piu' sopra (cfr. il par.  4.4):
quello  disposto  dalla  norma  in  esame  e'  un   limite   puntuale
concernente  una  specifica  voce  di   spesa,   ossia   quella   dei
trattenimenti  in  servizio.  Per  questa  ragione  non  puo'  essere
qualificato «principio fondamentale della materia». 
    A sostegno di quanto appena evidenziato deve essere  considerata,
inoltre, una decisione particolarmente rilevante in questa  sede.  Si
tratta della sent. n. 390 del 2004, la quale ha escluso  che  potesse
essere  considerato  «principio  fondamentale»  della   materia   del
«coordinamento della finanza pubblica» quella norma che prevedeva che
alla copertura delle vacanze nell'anno 2002 non si potesse  procedere
se non nei limiti del cinquanta per cento (punto 4 del Considerato in
diritto).  Dalla  perfetta  sovrapponibilita',   sotto   il   profilo
considerato, di questa previsione con quella qui in discussione -  la
quale prevede che «le risorse destinabili a nuove assunzioni in  base
alle predette cessazioni sono ridotte in misura pari all'importo  del
trattamento retributivo derivante dai trattenimenti  in  servizio»  -
non puo' che discendere la palese fondatezza della censura  sollevata
nel presente giudizio. 
    12. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 36,  nella
parte in cui si applica anche  alle  Regioni,  per  violazione  degli
artt. 117, secondo comma, lett. g), terzo e quarto comma, 118,  primo
e secondo comma, e 119, della Costituzione. 
    12.1. - La disposizione censurata prevede quanto segue: «Per  gli
enti di nuova istituzione non derivanti da processi di accorpamento o
fusione  di  precedenti  organismi,  limitatamente   al   quinquennio
decorrente dall'istituzione, le nuove assunzioni, previo  esperimento
delle procedure  di  mobilita',  fatte  salve  le  maggiori  facolta'
assunzionali eventualmente previste dalla legge  istitutiva,  possono
essere effettuate nel limite del 50% delle entrate correnti ordinarie
aventi  carattere  certo  e  continuativo  e,  comunque  nel   limite
complessivo del 60% della dotazione organica. A  tal  fine  gli  enti
predispongono   piani   annuali   di   assunzioni    da    sottoporre
all'approvazione da parte dell'amministrazione vigilante d'intesa con
il Dipartimento della funzione pubblica ed il Ministero dell'economia
e delle finanze». 
    La applicabilita'  di  tale  disposizione  anche  agli  enti  non
statali e' dubbia, e un elemento in senso  negativo  potrebbe  essere
rinvenuto nella previsione  dell'intesa  con  il  Dipartimento  della
funzione pubblica ed il  Ministero  dell'economia  e  delle  finanze.
Soprattutto l'intervento del primo, infatti, si spiega essenzialmente
in riferimento alla amministrazione di livello statale. Ad ogni modo,
ove invece si intendesse tale norma come intesa a disciplinare  anche
gli enti sub-statali, essa sarebbe senza  dubbio  -  limitatamente  a
tale suo ambito di applicazione - costituzionalmente illegittima. 
    12.2 - L'art. 9, comma 36, ove inteso nel senso di includere  nel
suo ambito di applicazione anche gli enti pubblici  non  statali,  e'
incostituzionale,  innanzitutto,  per  violazione  degli  artt.  117,
secondo comma, lett. g), e quarto comma, Cost. 
    La prima delle due disposizioni costituzionali citate attribuisce
allo  Stato  la  competenza  esclusiva  in  relazione  alla   materia
«ordinamento  e  organizzazione  amministrativa  (...)   degli   enti
pubblici nazionali». A questi ultimi e' dunque limitata la competenza
statale. Nella misura in cui la legge dello  Stato  disciplina  anche
l'organizzazione amministrativa di enti pubblici  diversi  da  quelli
statali, invade la competenza legislativa residuale che  spetta  alle
Regioni, in virtu' dell'art. 117, quarto comma, Cost., nella  materia
dell'organizzazione amministrativa degli enti  pubblici  regionali  e
locali. 
    12.3. - L'art. 9, comma 36, nella misura in cui limita  le  nuove
assunzioni al «50% delle entrate correnti ordinarie aventi  carattere
certo e continuativo» e, comunque al 60%  della  dotazione  organica,
viola anche gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost. 
    Le  ragioni  del  contrasto  della  normativa  impugnata  con  le
disposizioni costituzionali appena menzionate sono analoghe a  quelle
che si e' avuto modo di prospettare a questa Corte nei paragrafi  che
precedono. Anche in questo caso, infatti, si  impone  un  vincolo  di
spesa puntuale, che non  puo'  essere  legittimato  dalla  competenza
statale  a  porre  i  «principi  fondamentali»  nella   materia   del
«coordinamento della finanza pubblica». Ancora una volta, dunque,  si
configura il  mancato  rispetto  dei  limiti  imposti  alla  potesta'
legislativa dello  Stato  dall'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  con
conseguente  lesione  dell'autonomia  finanziaria  regionale  sancita
dall'art. 119 Cost. 
    12.4.  -  Deve  essere  inoltre  evidenziato  che  la  norma   in
questione, nella parte in cui  prevede  che  gli  enti  predispongano
«piani annuali di assunzioni da sottoporre all'approvazione da  parte
dell'amministrazione vigilante d'intesa  con  il  Dipartimento  della
funzione pubblica ed il Ministero dell'economia e delle finanze» -  e
sempre che essa si interpreti come rivolta anche a porre un  precetto
applicabile agli enti sub-statali - si pone in  contrasto,  altresi',
con l'art. 118, primo e secondo comma, Cost. 
    Il secondo comma e' violato perche' l'art. 9,  comma  36,  alloca
una funzione amministrativa -  nella specie, quella che si estrinseca
nella approvazione dei piani di  assunzione,  sia  pure  nella  forma
dell'intesa -  in capo al Dipartimento della funzione pubblica ed  al
Ministro dell'economia e delle finanze, nell'ambito  di  una  materia
diversa da quelle contemplate dall'art. 117,  secondo  comma,  Cost.:
nella parte in cui tale normativa e' rivolta anche agli enti pubblici
non statali, essa e' infatti ascrivibile al  quarto  comma  dell'art.
117 Cost. Viceversa, l'art. 118, secondo comma, Cost., prevede che ad
allocare le funzioni amministrative sia il legislatore competente  in
base al precedente art. 117. 
    Il primo comma dell'art. 118, invece, risulta violato perche' - a
prescindere  dalla  questione  concernente   la   titolarita'   della
competenza legislativa ad allocare la funzione - la norma oggetto del
presente  giudizio  ha  attribuito  quest'ultima  ad   organi   dello
Stato-apparato senza che cio' sia  giustificato  in  alcun  modo  dal
principio di sussidiarieta', ed in  particolare  dalla  inadeguatezza
del livello regionale di governo. Infatti, posto che  il  fine  della
normativa in questione e' quello di concorrere al contenimento  della
spesa  pubblica,  la  Costituzione  affida  allo  Stato  l'importante
strumento, da  utilizzare  in  vista  del  raggiungimento  di  questo
obiettivo,    del    coordinamento    della     finanza     pubblica.
Nell'esplicazione di tale attivita', lo Stato  potra'  individuare  i
criteri necessari a raggiungere il fine indicato.  Il  controllo  del
rispetto di tali criteri da parte degli enti  pubblici  non  statali,
pero', puo' efficacemente essere svolto  dagli  organi  inseriti  nel
circuito regionale - o addirittura locale - dell'indirizzo  politico.
Non  esiste,  in  altre  parole,  alcuna  ragione  costituzionalmente
rilevante perche' tale compito di controllo sia affidato a  strutture
dello Stato-apparato. 
    13. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 9,  nella
parte in cui si applica anche alle Regioni, per violazione  dell'art.
117, terzo e quarto comma, dell'art. 118, primo  comma,  e  dell'art.
119 della Costituzione. 
    13.1  -  La  disposizione  censurata,  sostituendo  il  comma   7
dell'art. 76 del d.l. n. 112 del 2008, cosi' come convertito in legge
dalla legge n. 133 del 2008, dispone un primo divieto  riferito  agli
«enti nei quali l'incidenza  delle  spese  di  personale  e'  pari  o
superiore al 40% delle spese correnti di procedere ad  assunzioni  di
personale  a  qualsiasi   titolo   e   con   qualsivoglia   tipologia
contrattuale»,  aggiungendo  poi  un  ulteriore  divieto  assoluto  e
generalizzato - applicabile a tutte le Regioni che  pure  si  trovino
nella condizione di aver rispettato il limite percentuale complessivo
di cui sopra nel rapporto tra spesa per il personale e spesa corrente
- mediante la seguente formula: «I restanti enti possono procedere ad
assunzioni di personale nel limite  del  20  per  cento  della  spesa
corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente». 
    Entrambe le previsioni, nella parte  in  cui  si  applicano  alle
Regioni, sono costituzionalmente illegittime e lesive  dell'autonomia
legislativa, amministrativa e finanziaria della ricorrente. 
    13.2. - Per  comprendere  il  senso  e  la  portata  della  prima
disposizione e, dunque, dei  vizi  di  legittimita'  che  la  Regione
Puglia  sottopone  al  giudizio  di  questa   Corte,   occorre   fare
riferimento al testo originario dell'art. 76  del  d.l.  n.  112  del
2008, cosi' come convertito in legge dalla legge n. 133 del 2008. 
    In  quella  versione,  limitatamente  a  quanto  riferibile  alle
Regioni, l'art. 76 contemplava: 
    il comma 5, ai sensi  del  quale  «ai  fini  del  concorso  delle
autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi  di  finanza
pubblica,  gli  enti  sottoposti  al  patto  di  stabilita'   interno
assicurano la riduzione dell'incidenza  percentuale  delle  spese  di
personale rispetto al complesso delle spese correnti, con particolare
riferimento  alle  dinamiche  di  crescita   della   spesa   per   la
contrattazione integrativa, tenuto anche conto  delle  corrispondenti
disposizioni dettate per le amministrazioni statali»; 
    il comma 6, ai sensi del quale «con decreto  del  Presidente  del
Consiglio dei Ministri, da emanarsi entro novanta giorni  dalla  data
di entrata  in  vigore  del  presente  decreto,  previo  accordo  tra
Governo, regioni  e  autonomie  locali  da  concludersi  in  sede  di
conferenza  unificata,  sono  definiti   parametri   e   criteri   di
virtuosita', con  correlati  obiettivi  differenziati  di  risparmio,
tenuto  conto  delle  dimensioni  demografiche  degli   enti,   delle
percentuali  di  incidenza  delle  spese  di  personale   attualmente
esistenti rispetto alla  spesa  corrente  e  dell'andamento  di  tale
tipologia di spesa nel quinquennio precedente»; 
    il comma 7, ai sensi del quale «fino all'emanazione  del  decreto
di cui al comma 6 e' fatto divieto agli enti  nei  quali  l'incidenza
delle spese di personale e' pari  o  superiore  al  50%  delle  spese
correnti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e
con qualsivoglia tipologia contrattuale». 
    Tali norme, come si vede,  si  rivelavano  pienamente  rispettose
delle sfere di autonomia regionale e conformi ai  principi  affermati
dalla  giurisprudenza  costituzionale  in  questa  sede  piu'   volte
richiamati (cfr. il par. 4.4): in particolare,  si  osservi,  l'unica
previsione che conteneva l'imposizione diretta di un vincolo puntuale
all'autonomia di spesa - per l'appunto il comma  7,  oggi  sostituito
dalla norma qui censurata - si caratterizzava esplicitamente  per  il
suo carattere transitorio «fino all'emanazione del decreto di cui  al
comma 6» che avrebbe dovuto recepire l'accordo con le Regioni in sede
di Conferenza unificata. 
    La disciplina assume tutt'altra portata  nel  testo  attuale  del
menzionato art. 76, frutto delle modifiche introdotte con il d.l.  n.
78 del 2010 oggetto del presente giudizio. 
    Il comma 5, infatti, e' stato abrogato e dal  comma  7  e'  stato
rimosso l'incipit che conferiva alla  norma  quella  «transitorieta'»
collegata all'emanazione del d.P.C.M. di recepimento dell'accordo tra
Stato, Regioni ed enti  locali;  transitorieta',  si  badi  bene,  da
considerare  quale  requisito  indispensabile  per  la   legittimita'
costituzionale della misura ed affermata per la prima volta da questa
Corte, nella sent. n.  169  del  2007,  proprio  in  occasione  dello
scrutinio di una norma legislativa sostanzialmente analoga  a  quella
oggi in discussione. 
    In quella decisione, come si  e'  gia'  ricordato,  la  Corte  ha
chiarito che «perche' norme statali che  fissano  limiti  alla  spesa
delle Regioni e  degli  enti  locali  possano  qualificarsi  principi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica,  e'  necessario
che esse soddisfino i seguenti requisiti:  in  primo  luogo,  che  si
limitino a porre obiettivi di riequilibrio  della  finanza  pubblica,
intesi anche nel senso di un  transitorio  contenimento  complessivo,
sebbene non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che non
prevedano strumenti o modalita' per  il  perseguimento  dei  suddetti
obiettivi». 
    Con questa premessa - in relazione all'art. 1, comma  198,  della
legge n. 266 del 2005, il quale imponeva alle Regioni di contenere la
spesa per il personale entro il  corrispondente  ammontare  dell'anno
2004, diminuito dell'1% per ciascuno degli anni 2006, 2007 e  2008  -
e' stato ritenuto che la disposizione allora impugnata  rispondeva  a
tutti i prescritti requisiti. In particolare, la  Corte  ha  rilevato
(cfr. par. 8 del Considerato in diritto) che «con il  comma  198,  il
legislatore ha (...) perseguito l'obiettivo di contenere entro limiti
prefissati una delle piu' frequenti e rilevanti cause  del  disavanzo
pubblico,  costituita  dalla  spesa  complessiva  per  il   personale
(sentenza n. 4 del 2004). Tale  obiettivo,  pur  non  riguardando  la
generalita' della spesa corrente, ha tuttavia rilevanza strategica ai
fini dell'attuazione del patto di stabilita' interno, e concerne  non
una minuta voce di spesa, bensi' un rilevante aggregato  della  spesa
di parte corrente, nel quale  confluisce  il  complesso  degli  oneri
relativi al personale, ivi compresi, ai sensi dell'ultima  parte  del
comma  198,  quelli  per  il  personale  "a  tempo  determinato,  con
contratto di collaborazione coordinata e continuativa, o  che  presta
servizio con altre forme di  rapporto  di  lavoro  flessibile  o  con
convenzione". Il  carattere  della  transitorieta'  del  contenimento
complessivo, richiesto dalla citata giurisprudenza di  questa  Corte,
risulta poi dal fatto che detto contenimento e' destinato ad  operare
per   un   periodo   determinato   (triennio    20062008),    periodo
successivamente ridotto al solo anno  2006,  in  forza  dell'art.  1,
comma 557, della legge n. 296 del 2006. La norma  censurata  risponde
anche  al  secondo  requisito,  in  quanto  non  prescrive  ai   suoi
destinatari alcuna modalita' per il conseguimento  dell'obiettivo  di
contenimento della spesa  per  il  personale,  ma  lascia  libere  le
Regioni di individuare le misure a  tal  fine  necessarie.  Essa  ha,
pertanto, un  contenuto  diverso  da  quello  delle  disposizioni  di
precedenti leggi finanziarie dichiarate illegittime da  questa  Corte
con le sentenze richiamate dalle ricorrenti  a  sostegno  delle  loro
censure. A differenza del comma 198, dette disposizioni  stabilivano,
infatti, limiti puntuali a specifiche voci di spesa quali quelle  per
viaggi aerei (sentenza n. 449  del  2005),  per  assunzioni  a  tempo
indeterminato (sentenze n. 88 del 2006 e n. 390 del 2004), per  studi
e  incarichi  di  consulenza,  missioni  all'estero,  rappresentanza,
relazioni pubbliche e convegni, acquisti di beni e servizi  (sentenza
n. 417 del 2005)». 
    13.3. - Se dunque, come si evince  anche  dal  confronto  con  il
testo previgente del comma 7 dell'art. 76 del d.l. n. 112  del  2008,
il divieto imposto dalla prima proposizione dell'art.  14,  comma  9,
qui censurato  si  configura  come  misura  destinata  ad  applicarsi
direttamente alle Regioni e ad operare come limite  «stabile»  e  non
meramente «transitorio», l'applicazione della  giurisprudenza  appena
richiamata non  puo'  che  condurre  a  dichiararne  l'illegittimita'
costituzionale per il palese  contrasto  con  gli  artt.  117,  terzo
comma, e 119 Cost. 
    Si consideri, peraltro, che la  disposizione  ha  ad  oggetto  la
spesa per il personale della Regione e il potere di  quest'ultima  di
procedere alle relative assunzioni, dunque illegittimamente  comprime
sia la potesta' legislativa regionale in materia  di  «organizzazione
amministrativa e ordinamento del personale»  fondata  sull'art.  117,
quarto comma, Cost. - ripetutamente riconosciuta da questa  Corte  (a
partire dalla sent. n. 274 del 2003) - sia l'autonomia amministrativa
nell'esercizio delle funzioni che alla  Regione  spettano  in  virtu'
dell'art. 118, primo comma, Cost. 
    13.4. - Gli argomenti fin qui esposti mostrano, in termini  -  se
possibile -  ancor  piu'  evidenti,  l'illegittimita'  costituzionale
anche della seconda  previsione  contenuta  nell'impugnato  art.  14,
comma 9, ovviamente sempre per la parte in cui esso si  applica  alle
Regioni. 
    In questo caso, come si e' detto, il limite quantitativo puntuale
imposto «stabilmente» alla spesa per le assunzioni di personale  («20
per  cento  della  spesa  corrispondente  alle  cessazioni  dell'anno
precedente») si applica, in termini assoluti e generalizzati, a tutti
gli enti, anche nelle ipotesi in cui questi ultimi risultassero  gia'
di fatto adeguati al  limite  piu'  generale  stabilito  dalla  prima
previsione. 
    La norma, dunque, si pone in aperto  contrasto  con  i  parametri
costituzionali invocati, ossia con gli artt. 117, terzo comma, e  119
Cost., con l'art. 117, quarto comma, Cost., il quale attribuisce alla
Regione  la  potesta'  legislativa  in  materia  di   «organizzazione
amministrativa e ordinamento del personale», nonche' con  l'autonomia
amministrativa regionale che trova fondamento  nell'art.  118,  primo
comma, Cost. 
    14. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 14, commi 19, 20  e
21, per violazione dell'art. 117, terzo  e  quarto  comma,  dell'art.
118, primo comma, dell'art. 119, nonche' degli artt.  3  e  97  della
Costituzione. 
    14.1. - L'art.  14,  ai  commi  19,  20  e  21,  contiene  alcune
disposizioni volte a regolare il c.d. «Patto di stabilita'  interno»,
prevedendo sanzioni per gli enti che non dovessero rispettarlo. 
    Il comma 19 prevede quanto segue: «Ferme restando  le  previsioni
di cui all'articolo 77-ter, commi  15  e  16,  del  decreto-legge  25
giugno 2008, n. 112, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  6
agosto 2008, n. 133, alle regioni che abbiano certificato il  mancato
rispetto del patto di stabilita' interno relativamente  all'esercizio
finanziario 2009, si applicano le disposizioni di cui ai commi dal 20
al 24 del presente articolo. 
    Il comma 20, a sua volta, prevede che «gli  atti  adottati  dalla
Giunta regionale o dal  Consiglio  regionale  durante  i  dieci  mesi
antecedenti alla data di svolgimento delle elezioni regionali, con  i
quali e' stata assunta le decisione di violare il patto di stabilita'
interno, (siano) annullati senza indugio dallo stesso organo». 
    Il comma 21, invece, cosi' dispone: «I conferimenti di  incarichi
dirigenziali a personale esterno all'amministrazione regionale  ed  i
contratti  di  lavoro  a  tempo  determinato,   di   consulenza,   di
collaborazione coordinata e continuativa  ed  assimilati,  nonche'  i
contratti di cui all'articolo  76,  comma  4,  secondo  periodo,  del
decreto-legge n. 112 del 2008, convertito  con  modificazioni,  dalla
legge n. 133  del  2008,  deliberati,  stipulati  o  prorogati  dalla
regione nonche' da enti, agenzie, aziende, societa' e consorzi, anche
interregionali,  comunque   dipendenti   o   partecipati   in   forma
maggioritaria dalla stessa, a seguito degli atti  indicati  al  comma
20, sono  revocati  di  diritto.  Il  titolare  dell'incarico  o  del
contratto non ha  diritto  ad  alcun  indennizzo  in  relazione  alle
prestazioni non ancora effettuate alla data di entrata in vigore  del
presente decreto». 
    Come si vede, si tratta di sanzioni molto  diverse  da  quelle  a
carattere  finanziario  che  hanno  caratterizzato,   nell'evoluzione
legislativa dell'ultimo decennio, il Patto di  stabilita'  nelle  sue
differenti «versioni». 
    Queste previsioni sono costituzionalmente illegittime  e  violano
l'autonomia   legislativa,   amministrativa   e   finanziaria   della
ricorrente per molteplici ragioni. 
    14.2. - L'illustrazione  delle  specifiche  violazioni  di  norme
costituzionali che si concretizzano  per  effetto  della  entrata  in
vigore dell'art. 14, commi 19, 20 e  21,  deve  essere  preceduta  da
alcune considerazioni piu'  generali  concernenti  l'inserimento  del
Patto  di  stabilita'  del  contesto  del  riparto  delle  competenze
legislative stabilito dalla Costituzione, ed in particolare  dal  suo
art. 117. 
    E' noto che il titolo di competenza che  maggiormente  rileva  al
riguardo e' quello - sul quale ci si e' gia' soffermati  in  svariate
occasioni, nel corso del presente atto  -  del  «coordinamento  della
finanza pubblica e del sistema tributario». 
    Nelle pagine che precedono si e'  avuto  modo  di  richiamare  la
giurisprudenza costituzionale concernente il tipo di vincoli che,  in
base a tale titolo  di  legittimazione,  lo  Stato  e'  abilitato  ad
imporre alle Regioni. Merita ora un cenno la questione dei limiti  di
carattere materiale  che  quest'ultimo  incontra  nello  svolgere  la
propria attivita' di coordinamento della finanza pubblica. 
    La Regione Puglia non intende certo negare  che  le  prescrizioni
poste  dallo  Stato  nell'esercizio  della  propria   competenza   di
coordinamento della finanza  pubblica  possano  essere  assistite  da
sanzioni che intervengano in caso di loro  violazione.  Il  Patto  di
stabilita', quindi, puo' certamente essere  corredato  di  norme  che
dispongano il prodursi di effetti negativi a carico  di  quegli  enti
territoriali che non lo rispettino. 
    Cio' che pero' deve essere messo in luce, e' che anche tali norme
a carattere sanzionatorio devono rispettare il limite  delle  materie
contenuto  nell'art.  117  Cost.  In  particolare,  esse  si   devono
mantenere nell'ambito delle competenze esclusive di  cui  al  secondo
comma della disposizione appena  menzionata,  ovvero  di  quello  dei
principi fondamentali delle  materie  elencate  al  successivo  terzo
comma. 
    In  sintesi,   lo   Stato   puo'   certamente   prevedere   norme
sanzionatorie di carattere finanziario o tributario, come  del  resto
e' accaduto in passato proprio in relazione al Patto  di  stabilita'.
Oppure puo' porre norme sanzionatorie che investano settori materiali
diversi da quelli del «coordinamento della  finanza  pubblica  e  del
sistema tributario». In tali circostanze, pero', dovra' dettare norme
che si mantengano entro i limiti delle  materie  di  cui  al  secondo
comma  dell'art.  117  Cost.,  ovvero  entro  quelli   dei   principi
fondamentali delle materie di cui al successivo terzo comma. 
    Pertanto, pur restando indiscussa la potesta' sanzionatoria dello
Stato in caso di violazione delle prescrizioni dal  medesimo  dettate
nell'esercizio  della  propria  competenza  di  coordinamento   della
finanza pubblica e del sistema tributario,  tale  potesta'  non  puo'
certo  essere  configurata  alla  stregua  di  un  vero   e   proprio
grimaldello capace di consentire alla legge statale, al di fuori  dei
limiti delle proprie  competenze,  di  aprirsi  le  porte  in  ambiti
materiali che la Costituzione assegna alla legislazione regionale. La
competenza sanzionatoria, dunque, non puo' essere una clausola  bonne
a' toute faire, per il  cui  tramite  svincolarsi  del  limite  delle
materie. 
    14.3. - Le disposizioni impugnate violano gli artt. 117, terzo  e
quarto comma, Cost. proprio perche' prevedono sanzioni configurate in
modo tale da invadere la potesta' legislativa assegnata alle  Regioni
dalle disposizioni costituzionali appena menzionate. 
    14.3.1. - Il comma 20, come evidenziato piu'  sopra,  dispone  un
vero e  proprio  obbligo  di  annullamento  -  da  parte  dell'organo
regionale competente - di tutti gli atti con cui si sia deliberata la
violazione del patto di stabilita' e che risultino emanati nei  dieci
mesi anteriori alle elezioni regionali.  Questa  disposizione,  nella
parte in cui  impone  di  intervenire  anche  in  relazione  ad  atti
ricadenti negli ambiti  materiali  diversi  da  quelli  elencati  nel
secondo  comma  dell'art.  117,  invade  la  competenza   legislativa
assegnata alle Regioni dall'art. 117, terzo e quarto comma, Cost. 
    Puo' peraltro essere opportuno sgombrare il campo da un possibile
equivoco. Deve infatti essere escluso che la norma qui contestata sia
rispettosa dell'autonomia regionale  perche'  affida  il  compito  di
procedere all'annullamento agli stessi organi regionali. Il comma 20,
infatti, pone un obbligo giuridico  di  annullamento  sospensivamente
condizionato alla certificazione del mancato rispetto  del  Patto  di
stabilita' di cui al comma 19. Verificatasi la condizione sospensiva,
l'obbligo sorge automaticamente, fa parte dell'ordinamento giuridico,
e puo' essere portato ad esecuzione con  gli  strumenti  previsti  da
quest'ultimo. E' possibile immaginare,  ad  esempio,  l'utilizzazione
della sostituzione straordinaria da parte  dello  stesso  Governo  ex
art. 120, secondo comma, Cost., ovvero l'uso degli ordinari strumenti
del processo giurisdizionale ordinario o amministrativo. 
    Non ha dunque pregio l'eventuale argomento che vorrebbe la  norma
impugnata mancante di lesivita' dell'autonomia  regionale  in  quanto
limitata alla imposizione di un  obbligo  di  annullamento  a  carico
degli stessi organi Regionali. 
    14.3.2. - Il  comma  21  dell'art.  14  e'  incostituzionale  per
contrasto con l'art. 117, quarto comma, Cost., per ragioni analoghe a
quelle appena esposte. 
    Anche in questo caso, infatti, la sanzione prevista  dalla  legge
statale per il caso della violazione del Patto di  stabilita'  consta
di una normativa che si spinge ben oltre i limiti  imposti  dall'art.
117, secondo e terzo comma, alla competenza  normativa  dello  Stato.
Essa, infatti - nel disporre la revoca «di diritto» dei «conferimenti
di incarichi dirigenziali  a  personale  esterno  all'amministrazione
regionale  ed  i  contratti  di  lavoro  a  tempo   determinato,   di
consulenza,  di   collaborazione   coordinata   e   continuativa   ed
assimilati, nonche' i contratti di  cui  all'articolo  76,  comma  4,
secondo periodo, del decreto-legge n. 112 del  2008,  convertito  con
modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, deliberati,  stipulati  o
prorogati dalla regione nonche' da enti, agenzie, aziende, societa' e
consorzi, anche interregionali, comunque dipendenti o partecipati  in
forma maggioritaria dalla stessa a seguito  degli  atti  indicati  al
comma 20», invade evidentemente la competenza  legislativa  regionale
in materia di «organizzazione amministrativa della  Regione  e  degli
enti  pubblici  regionali»,  rientrante,  secondo  la  giurisprudenza
costituzionale, nell'ambito di cui all'art, 117, quarto comma,  Cost.
(cfr. la sent. n. 326 del 2008). 
    14.4. - Ove si ritenesse di non condividere le argomentazioni fin
qui proposte, i commi 19, 20 e  21  andrebbero  comunque  considerati
incostituzionali per violazione degli artt. 117, terzo comma, e  119,
Cost. 
    In questa sede rilevano gli insegnamenti di questa Corte che gia'
in piu' di una occasione sono stato evocati nell'ambito del  presente
atto. In  particolare,  ci  si  riferisce  a  quelle  ormai  numerose
decisioni nelle quali  e'  stato  inequivocabilmente  stabilito  che,
nell'ambito della competenza  a  porre  i  principi  fondamentali  in
materia di «coordinamento della finanza pubblica», lo Stato non  puo'
spingersi sino  al  punto  di  imporre  norme  minute  e  dettagliate
inerenti  le  singole  voci   di   spesa.   Cosi',   invece,   accade
evidentemente con le norme censurate,  in  particolare  per  il  caso
della revoca ex lege degli incarichi disposta dal comma 21. 
    Ancora, proprio in  quest'ultimo  caso,  l'autonomia  finanziaria
regionale e' violata da un ulteriore punto di vista. Cio'  in  quanto
la disposizione, pur avendo carattere sanzionatorio nei confronti  di
quelle Regioni che abbiano deliberatamente scelto di violare il patto
di stabilita', interviene ex  post  (vale  a  dire,  con  una  misura
sanzionatoria non esistente nell'ordinamento al momento dell'adozione
degli atti di spesa in questione), incidendo direttamente sul  potere
delle Regioni di disporre delle proprie risorse e  di  dotarsi  della
organizzazione piu' idonea al perseguimento dei propri fini. 
    14.5. - In via ulteriormente subordinata, deve essere evidenziato
che i commi 19, 20 e 21 qui in  discussione  sono  costituzionalmente
illegittimi anche per  violazione  degli  artt.  3  e  97  Cost.,  in
relazione alle competenze regionali garantite dagli artt. 117, 118  e
119 Cost. Cio' per le seguenti ragioni. 
    Le norme che qui si impugnano, come si e' visto, individuano  nei
dieci  mesi  precedenti  la  data  delle  elezioni  regionali  l'arco
temporale in relazione ai quali dispiegare la propria efficacia. 
    Ebbene, la definizione dell'intervallo di tempo  riferito  ai  10
mesi precedenti la data delle elezioni costituisce un  parametro  del
tutto  arbitrario  e  irragionevole,   in   quanto   il   presupposto
dell'applicazione delle misure previste dai commi 20 e  21  dell'art.
14 (per quel che qui rileva) e' la violazione del patto di stabilita'
interno   relativamente   all'esercizio   finanziario   2009.    Tale
irragionevolezza  si  riflette   negli   effetti   di   irragionevole
disparita'  di  trattamento  tra  Regioni,  poiche'  eventuali   atti
adottati in violazione del patto di  stabilita'  prima  dei  10  mesi
precedenti la data delle elezioni non  sono  soggetti  alla  sanzione
dell'annullamento. Sicche', due Regioni che adottano atti di spesa in
violazione  del  patto  di  stabilita',  l'una  prima  dei  10   mesi
antecedenti la data delle elezioni e l'altra durante tale  intervallo
temporale, pur trovandosi nella medesima condizione, sono soggette ad
un regime differente, poiche' solo la seconda  subisce  l'illegittima
ingerenza dello Stato in materie riservate alla sua  competenza,  con
conseguente  lesione  dei  principi  di   autonomia   finanziaria   e
organizzativa ex artt. 117, comma terzo e quarto, e 119 Cost. E  cio'
vale anche con riferimento all'ulteriore misura  sanzionatoria  della
revoca dei contratti di lavoro stipulati sulla base dei predetti atti
di spesa disposta dal comma 21. 
    Dalla segnalata irragionevole disparita' di trattamento  discende
poi,  come  conseguenza  diretta,  la  violazione  dei  principi   di
imparzialita' e buon andamento dell'amministrazione. 
    La Regione Puglia e'  ben  consapevole  della  ormai  consolidata
giurisprudenza di questa Corte che esclude  che  le  Regioni  possano
impugnare una legge  o  un  atto  con  forza  di  legge  dello  Stato
invocando, quali parametri, norme differenti da quelle  che  regolano
il riparto di competenze. La questione appena prospettata,  tuttavia,
rientra senza dubbio nell'ambito di quei  casi  che  rappresentano  -
anch'essi  per  costante  giurisprudenza  -  una  eccezione  a   tale
principio.  La  violazione  delle  norme  costituzionali  sostanziali
appena argomentata, infatti, ridonda evidentemente nella compressione
dell'autonomia  regionale   costituzionalmente   garantita,   poiche'
determina l'illegittima ingerenza dello Stato  nella  gestione  delle
risorse delle  Regioni,  mediante  l'imposizione  di  un  obbligo  di
annullamento di atti  adottati  da  giunta  e/o  consiglio  regionale
nell'esercizio  dei  poteri   ad   essi   riconosciuti   in   ragione
dell'autonomia finanziaria, organizzativa, legislativa (nelle materie
di competenza) e regolamentare costituzionalmente attribuita. 
    14.6. -  Le  norme  impugnate,  infine,  sono  costituzionalmente
illegittime anche per la loro irragionevolezza intrinseca e,  dunque,
per violazione dell'art. 3 Cost., sempre in relazione alle competenze
regionali garantite dagli artt. 117, 118 e 119 Cost. 
    Il  Patto  di  stabilita'  interno  prevede  un  complesso  assai
variegato di obblighi a carico delle Regioni, di talche'  l'eventuale
mancato rispetto di esso - che costituisce il  presupposto  di  fatto
per l'applicabilita' delle norme qui censurate - puo' discendere,  in
concreto,  da  plurime  ragioni  riferite,  di  volta  in  volta,  ad
un'amplissima varieta' di voci di spesa distinte in spesa corrente  e
spesa in conto  capitale,  alle  quali  si  debbono  detrarre  alcune
tipologie di spese da calcolare in base a quanto previsto  nel  Patto
medesimo. 
    Ne consegue che la sanzione per il mancato rispetto del Patto che
il legislatore statale pretenda  di  applicare,  in  via  assoluta  e
generalizzata, alle Regioni  che  risultino  inadempienti  nei  saldi
complessivi non potra' mai consistere nell'imposizione di  un  limite
puntuale e inderogabile ad una singola voce di spesa  senza  che  sia
accertato in concreto il collegamento diretto tra tale voce di  spesa
e la  violazione  del  Patto;  e  cio',  non  soltanto  per  il  gia'
denunciato  contrasto  di  una  simile  previsione  con  la  potesta'
legislativa  statale  in  materia  di  coordinamento  della   finanza
pubblica, ma anche perche'  la  misura  risulterebbe  intrinsecamente
irragionevole, in quanto del tutto scollegata dalla sua finalita'  di
garantire  il  rispetto  degli  obblighi  del  Patto   nell'esercizio
finanziario successivo. 
    Le norme impugnate dispongono  misure  sanzionatorie  puntuali  e
specificamente riferite  a  singoli  atti  e  voci  di  spesa,  senza
assumere a loro presupposto alcun collegamento  in  concreto  tra  le
suddette  sanzioni  e  l'accertato  mancato  rispetto  del  Patto  di
stabilita'  da  parte  della  Regione  inadempiente.  Pertanto,  esse
risultano  incostituzionali  anche  sotto  il  profilo   della   loro
intrinseca irragionevolezza,  la  quale  si  traduce  in  illegittima
compressione dell'autonomia regionale. 
    15. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 14, comma  27,  per
violazione dell'art. 117, secondo comma,  lett.  p),  dell'art.  117,
terzo e quarto comma, nonche' dell'art.  118,  secondo  comma,  della
Costituzione. 
    15.1. - L'art. 14, comma 27, dispone quanto segue: «Ai  fini  dei
commi da 25 a 31 e fino alla data di entrata in  vigore  della  legge
con cui sono individuate le funzioni fondamentali di cui all'articolo
117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, sono  considerate
funzioni fondamentali dei comuni le funzioni di cui all'articolo  21,
comma 3, della legge 5 maggio 2009, n. 42». 
    L'effetto  normativo  e'  chiaro.  Sia  pure  ai  limitati   fini
dell'applicazione dei commi da 25 a 31 del medesimo art.  14  e  fino
all'entrata in vigore dell'apposita legge  attuativa  dell'art.  117,
secondo comma, lett. p),  Cost.,  il  legislatore  statale  riconosce
direttamente la qualifica di «funzioni fondamentali dei comuni»  alle
funzioni amministrative indicate nell'art. 21, comma 3,  della  legge
n. 42 del 2009, il quale contempla il seguente  elenco:  a)  funzioni
generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura
complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo
conto del bilancio disponibile alla data di entrata in  vigore  della
presente legge;  b)  funzioni  di  polizia  locale;  c)  funzioni  di
istruzione pubblica, ivi compresi i servizi  per  gli  asili  nido  e
quelli di  assistenza  scolastica  e  refezione,  nonche'  l'edilizia
scolastica; d) funzioni nel campo della viabilita' e  dei  trasporti;
e) funzioni riguardanti la gestione del territorio  e  dell'ambiente,
fatta eccezione per il servizio di edilizia residenziale  pubblica  e
locale e piani di edilizia nonche' per il servizio idrico  integrato;
f) funzioni del settore sociale. 
    In tal modo, come si ricava agevolmente  dalla  semplice  lettura
dell'elenco appena citato, la norma censurata estende la qualifica di
«funzioni fondamentali dei comuni»  -  con  conseguente  attribuzione
allo Stato della relativa competenza legislativa esclusiva - anche  a
funzioni «amministrativo-gestionali», o comunque, piu' in generale, a
funzioni volte alla cura concreta di interessi. 
    Cosi' facendo, pero', la norma in questione fuoriesce palesemente
dai limiti che caratterizzano la potesta' legislativa attribuita allo
Stato  dall'art.  117,  secondo  comma,  lett.  p),  Cost.,   ledendo
gravemente l'autonomia legislativa  della  Regione  riconosciuta  dai
commi terzo e quarto dell'art.  117  Cost.  e  richiamata  dal  comma
secondo dell'art. 118 Cost., in riferimento alla  disciplina  e  alla
allocazione delle funzioni amministrative dei Comuni. 
    15.2. - La competenza legislativa statale di cui  alla  lett.  p)
del  secondo  comma  dell'art.  117  Cost.  e'  una  competenza  che,
nell'attuale sistema costituzionale di  ripartizione  delle  potesta'
legislative, si presenta, per sua natura, limitata. Da essa non  puo'
certo  ricavarsi  un  titolo  che  abiliti  lo  Stato  a  qualificare
liberamente  -  come  nel  caso  di  specie  -   qualunque   funzione
amministrativa  come  «funzione  fondamentale»  dei  Comuni  o  delle
Province, potendo per cio' stesso disporne l'integrale disciplina. 
    La giurisprudenza di questa  Corte  ha  piu'  volte  riconosciuto
espressamente il  carattere  «limitato»  della  potesta'  legislativa
statale di cui alla menzionata lett. p) del secondo  comma  dell'art.
117 (si pensi, ad es., alle sentenze  sulle  comunita'  montane  gia'
citate in questa sede al par.  5.2.),  ma  non  ha  ancora  avuto  di
individuare con chiarezza i limiti  entro  i  quali  dovrebbe  essere
intesa l'espressione «funzioni fondamentali  di  Comuni,  Province  e
Citta' metropolitane». 
    Ad avviso della Regione Puglia, le «funzioni fondamentali» cui fa
riferimento la disposizione costituzionale devono ritenersi  limitate
a quelle in cui si esprimono  la  potesta'  statutaria,  la  potesta'
regolamentare   e   la   potesta'    amministrativa    a    carattere
«ordinamentale» concernente le funzioni essenziali che attengono alla
vita stessa e al governo degli enti locali in  questione.  In  nessun
caso     vi      potrebbero      essere      ricondotte      funzioni
«amministrativo-gestionali» in senso proprio, ne', tanto meno, quelle
individuate per relationem dalla norma qui censurata. 
    15.3. - A sostegno di una  simile  conclusione  militano  diversi
argomenti. 
    Innanzitutto,  l'argomento  «topografico»  riferito  allo  stesso
testo dell'art. 117,  secondo  comma,  lett.  p),  per  il  quale  le
«funzioni fondamentali» sono accomunate agli «organi  di  governo»  e
alla «legislazione elettorale». 
    In   secondo   luogo,   la   considerazione   dei   principi   di
sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza di cui  all'art.  118,
primo comma, Cost. 
    Infatti, se si muove dalla premessa - ampiamente desumibile dalla
giurisprudenza di questa Corte - secondo  la  quale  la  ratio  della
attribuzione  allo  Stato  di  una  competenza  legislativa   e'   da
rintracciare  in  una  esigenza  unitaria   di   livello   nazionale,
risulterebbe del tutto incomprensibile individuare una tale  esigenza
unitaria nell'ipotesi in cui tra le funzioni fondamentali  menzionate
alla  lett.  p)  dell'art.  117,  secondo   comma,   Cost.,   fossero
annoverabili anche funzioni amministrative consistenti nella concreta
cura di interessi. Cio' perche'  tali  funzioni  dovrebbero  comunque
essere  allocate  tra  gli  enti  locali  in  base  ai  principi   di
sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza ex  art.  118,  primo
comma, Cost. E tale vincolo, ovviamente, graverebbe allo stesso  modo
sulla legge statale e su quella regionale (art. 118,  secondo  comma,
Cost.),  guidandole  verso  le  medesime  scelte.   Come   e'   stato
evidenziato  in  dottrina,  «se   le   funzioni   fondamentali   sono
amministrative, la legge statale non potrebbe allocarle  senza  tener
conto del vincolo  costituito  dal  principio  di  sussidiarieta':  e
quindi, non potrebbe assegnare alle Province funzioni  amministrative
che potrebbero essere adeguatamente svolte dai Comuni (o  viceversa).
Ma in questo caso non si capisce perche' - nelle materie di spettanza
regionale - questa  valutazione  di  sussidarieta'/adeguatezza  debba
essere operata dalla legge statale  in  luogo  di  quella  regionale,
tanto piu' che la sussidiarieta' vincolerebbe allo stesso modo  tanto
il legislatore statale che quello regionale, prescrivendo la medesima
soluzione  allocativa»  (cosi'  O.  Chessa,  Pluralismo  paritario  e
autonomie locali nel regionalismo italiano, in  www.astrid-online.it,
p. 14). 
    Nel senso indicato depone anche  una  lettura  sistematica  delle
disposizioni costituzionali. 
    Tra i principi che debbono guidare l'allocazione  delle  funzioni
amministrative tra i diversi enti della Repubblica,  a  fianco  della
sussidiarieta' e della adeguatezza, l'art. 118 Cost. contempla  anche
il principio di differenziazione. Tale principio specifica gli  altri
due. Il suo contenuto precettivo  consiste  nello  stabilire  che  la
valutazione di adeguatezza/inadeguatezza  rispetto  allo  svolgimento
della funzione che sorregge il principio di sussidiarieta' deve tener
conto  delle  differenze  concrete  che  sussistono  tra  enti  della
medesima categoria. Il principio di differenziazione, dunque,  spinge
a valutare diversamente enti  che,  pur  appartenendo  alla  medesima
categoria (ad es., due Comuni, o due Province) hanno  caratteristiche
(ad es. dimensionali) molto differenti. In base a  questo  principio,
dunque, nella allocazione  delle  funzioni  amministrative  la  legge
regionale o statale, competente per materia,  dovrebbe  compiere  una
valutazione di  adeguatezza-inadeguatezza  differente  per  enti  con
caratteristiche differenti pur se  del  medesimo  tipo,  ad  esempio,
ritenendo adeguati allo svolgimento della funzione i Comuni con  piu'
di x abitanti, ed inadeguati i Comuni con x o meno di x abitanti. 
    In sintesi, si puo' ritenere che il principio di differenziazione
sia una peculiare declinazione che assume il principio di eguaglianza
nell'ambito  della  allocazione  delle  funzioni  amministrative.  Il
principio di eguaglianza, infatti, impone di trattare in modo  uguale
situazioni uguali e in modo diverso situazioni diverse. Nel  caso  in
questione, impone di trattare in modo diverso  due  enti  che  -  pur
appartenenti  alla  medesima  categoria  -  siano  caratterizzati  da
diversita' tali che uno sia da  considerare  adeguato,  ed  un  altro
inadeguato, allo svolgimento delle medesime funzioni. 
    E' del tutto evidente che il portato precettivo del principio  di
differenziazione  (e,  per  il  suo   tramite,   del   principio   di
eguaglianza) risulterebbe del tutto trascurato ove si  ritenesse  che
le  funzioni  amministrativo-gestionali  possano  rientrare  tra   le
«funzioni fondamentali» per consentire soluzioni allocative, da parte
della legge statale, uniformi  per  tutto  il  territorio  nazionale.
Viceversa,  e'  il  principio  di  sussidiarieta'  a  richiedere   la
differenziazione. 
    D'altra parte, non si potrebbe certo ritenere  che  la  soluzione
proposta  in  questa  sede  sia  in  grado  di  pregiudicare   quella
uniformita' minima negli standard di prestazione  relativi  a  quelle
funzioni, particolarmente importanti per le collettivita' locali, che
in virtu' di tale importanza si volessero far  rientrare  tra  quelle
«fondamentali». Lo  Stato,  infatti  sarebbe  comunque  dotato  della
competenza ad individuare i «livelli essenziali delle prestazioni», e
inoltre avrebbe a disposizione, in ogni caso, lo strumento del potere
sostitutivo straordinario ex art.  120,  secondo  comma,  Cost.,  per
garantire l'effettivita' di questi ultimi. 
    15.4. -  Per  queste  ragioni,  la  Regione  Puglia  ritiene  che
l'errata riconduzione delle funzioni amministrative di  cui  all'art.
21, comma 3,  della  legge  n.  42  del  2009  alla  categoria  delle
«funzioni fondamentali dei comuni», cosi' come previsto  dalla  norma
qui censurata, ne  determini  la  illegittimita'  costituzionale  per
violazione  dell'autonomia  legislativa   regionale   garantita   dai
parametri costituzionali indicati. 
    16. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 43, per  violazione
dell'art. 117, terzo e quarto comma, nonche' dell'art. 118,  primo  e
secondo comma, della Costituzione. 
    16.1.  -  L'art.  43  prevede  la  istituzione,  «nel   Meridione
d'Italia» (compresa espressamente la  Regione  Puglia),  di  «zone  a
burocrazia zero», mediante l'emanazione di un «decreto del Presidente
del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia  e
delle finanze, di concerto con il Ministro dell'interno». 
    Nelle predette zone, una  volta  istituite,  la  disposizione  in
questione stabilisce che le «nuove iniziative produttive»  godano  di
alcuni vantaggi. In particolare, si prevede che «nei  riguardi  delle
predette nuove iniziative i provvedimenti conclusivi dei procedimenti
amministrativi di qualsiasi natura ed oggetto avviati su  istanza  di
parte, fatta eccezione per quelli di natura tributaria, sono adottati
in via esclusiva da un Commissario di Governo che  vi  provvede,  ove
occorrente, previe apposite conferenze  di  servizi  ai  sensi  della
legge  n.  241  del  1990;  i  provvedimenti   conclusivi   di   tali
procedimenti si intendono senz'altro positivamente adottati entro  30
giorni dall'avvio del procedimento se un provvedimento  espresso  non
e' adottato entro tale termine.  Per  i  procedimenti  amministrativi
avviati d'ufficio, fatta eccezione per quelli di  natura  tributaria,
le amministrazioni che li promuovono e li istruiscono trasmettono, al
Commissario  di  Governo,  i  dati  e  i  documenti  occorrenti   per
l'adozione dei relativi provvedimenti conclusivi». 
    16.2. - La normativa in esame viola, innanzitutto, gli artt. 117,
terzo e quarto comma, e 118, secondo comma, Cost. 
    Al riguardo, e' necessario evidenziare, in primo luogo,  come  la
disposizione  in  questione   abbia   un   ambito   di   applicazione
generalizzato, non essendo tale  ambito  delimitato  in  relazione  a
particolari settori materiali. Essa e'  quindi  destinata  a  trovare
applicazione in tutti i procedimenti  amministrativi  ad  istanza  di
parte concernenti le «nuove  iniziative  produttive»,  a  prescindere
dalla materia nel cui ambito incidono tali procedimenti. Nella misura
in cui coinvolge anche procedimenti destinati ad esplicarsi in ambiti
materiali di competenza regionale concorrente o residuale, essa viola
dunque, rispettivamente, l'art. 117, terzo e quarto comma, Cost. 
    La Regione Puglia non intende affermare che lo  Stato  non  abbia
alcuna  competenza  a  dettare  norme  concernenti   i   procedimenti
amministrativi e destinate  ad  applicarsi  anche  nell'ambito  degli
ordinamenti regionali. Ne' ignora che talune  di  queste  norme  sono
gia' state riconosciute dalla giurisprudenza  di  questa  Corte  come
dettate legittimamente dallo Stato in base  alla  competenza  che  ad
esso la Costituzione assegna nell'art. 117, secondo comma,  lett.  m)
(cfr., in part., la sent. n. 398 del 2006, par. 5.2  del  Considerato
in diritto). Viceversa, cio' che si intende mettere  in  evidenza  in
questa sede e' che certamente la disciplina posta  dall'art.  43  non
puo' fondarsi sul titolo di legittimazione piu' sopra accennato. 
    A tacer d'altro, e' sufficiente al  riguardo  considerare  quanto
segue. 
    Stabilendo che i provvedimenti sono adottati da un Commissario di
Governo, la disciplina in esame pone  una  norma  di  allocazione  di
funzioni amministrative. Essa rientra dunque, senza  possibilita'  di
errore, nell'ambito  di  applicazione  del  disposto  dell'art.  118,
secondo comma, Cost., il quale prevede che ad  allocare  le  funzioni
amministrative debba essere il legislatore statale nelle  materie  di
propria competenza, ed il legislatore regionale nelle altre  materie.
Che nell'ambito delle  materie  diverse  da  quelle  attribuite  alla
competenza legislativa esclusiva dello Stato quest'ultimo  non  possa
procedere ad allocare direttamente le funzioni amministrative risulta
chiaramente anche da un'altra  linea  argomentativa,  che  merita  di
essere posta in evidenza. 
    La giurisprudenza costituzionale  ha  infatti  inequivocabilmente
affermato  che  la  competenza  dello  Stato  ad  adottare   principi
fondamentali nell'ambito delle materie di competenza concorrente  non
si  estende  alla  adozione  di  norme  volte  ad  allocare  funzioni
amministrative (cosi', ad es., la sent. n. 384 del 2005, par.  5  del
Considerato in diritto). Da cio' risulta, a maggior ragione, che  non
e' possibile, per lo Stato, procedere alla  allocazione  di  funzioni
amministrative nell'ambito delle materie affidate, ai sensi dell'art.
117, quarto comma, Cost., alla competenza residuale delle Regioni. 
    E'  noto  che  -  secondo  l'insegnamento  della   giurisprudenza
costituzionale - lo Stato puo' allocare funzioni amministrative nelle
materie di cui ai commi terzo e quarto della Costituzione, avocandole
a se stesso,  in  virtu'  dell'art.  118,  primo  comma,  Cost.,  ove
ricorrano i presupposti  della  c.d.  «chiamata  in  sussidiarieta'».
Cio', pero', puo' accadere  soltanto  nel  caso  in  cui  il  livello
regionale sia inadeguato allo svolgimento  della  specifica  funzione
amministrativa considerata. Sul punto, e' sufficiente  richiamare  la
sent. n. 6 del 2004, la quale evidenzia che «perche' nelle materie di
cui all'art. 117, terzo e quarto  comma,  Cost.,  una  legge  statale
possa legittimamente attribuire  funzioni  amministrative  a  livello
centrale ed al tempo stesso regolarne l'esercizio, e' necessario  che
essa  innanzi  tutto   rispetti   i   principi   di   sussidiarieta',
differenziazione ed  adeguatezza  nella  allocazione  delle  funzioni
amministrative, rispondendo ad esigenze di esercizio unitario di tali
funzioni» (par. 7 del Considerato in diritto). Quindi  -  oltre  alla
necessita' di rispettare  le  forme  collaborative  che,  secondo  la
costante giurisprudenza di questa Corte, il legislatore statale  deve
prevedere nel concreto esercizio della funzione  ove  faccia  ricorso
alla «chiamata in sussidiarieta'» (cfr., tra le  molte,  le  sentenze
nn. 303 del 2003, 6 del 2004, 383 del 2005,  278  del  2010),  e  che
comunque risultano mancanti nel caso di specie - il primo  passo  per
verificare se la allocazione di funzioni amministrative  in  capo  ad
uffici statali sia  costituzionalmente  legittima,  alla  luce  dello
schema  della  «chiamata  in   sussidiarieta'»,   e'   quello   della
valutazione della inadeguatezza del livello regionale a  svolgere  le
specifiche   funzioni   considerate   e   dunque   della   necessita'
dell'intervento «sussidiario» dello Stato. 
    E' agevole mostrare che tale condizione non ricorre nel  caso  in
questa sede sottoposto alla attenzione della Corte. 
    Per  giudicare  della  adeguatezza-inadeguatezza  di  un  livello
territoriale  di  governo  rispetto  alla  svolgimento  di   funzioni
amministrative e' indispensabile prendere in  considerazione  singole
funzioni.  Cio'  in  quanto  tale  giudizio,  sia  che  faccia   leva
sull'ambito valutativo coinvolto (sentt. n. 6 del 2004; 196 del 2004,
part. par. 29 del Considerato in diritto;  242  del  2005),  sia  che
faccia leva sui possibili effetti negativi che l'eccessiva  vicinanza
ad  interessi  radicati  nel  territorio  possa   determinare   sulla
imparzialita' della decisione amministrativa (sent. n. 285 del 2005),
sia che faccia leva sulla inidoneita' delle  burocrazie  regionali  a
gestire ingenti quantita' di denaro (sent. n. 160 del 2005), non puo'
che essere compiuto in relazione alle caratteristiche specifiche  dei
singoli e concreti compiti amministrativi dei quali  si  discute.  E'
del tutto evidente, in altre parole, che per capire se un determinato
livello  di  governo  e'  adeguato  allo  svolgimento   di   funzioni
amministrative, deve esse considerata la singola funzione, con le sue
proprie caratteristiche, poiche' da esse dipendera' la valutazione di
adeguatezza-inadeguatezza in concreto dell'ente preso in esame. 
    Ora, non vi e' chi non veda che  l'art.  43  qui  contestato  non
possa essere  considerato,  per  ragioni  che  non  si  esiterebbe  a
definire «strutturali», rispettoso del principio di sussidiarieta'. 
    Esso, infatti, opera una attribuzione generalizzata  ed  astratta
ad un organo statale  di  un  insieme  indifferenziato  di  funzioni,
individuate in modo del tutto generico, e caratterizzate anche da una
notevole eterogeneita' l'una rispetto all'altra.  La  Regione  Puglia
non intende negare che in relazione a talune delle funzioni coinvolte
dalla norma impugnata possano sussistere le  condizioni  per  la  sua
allocazione, in virtu' del principio di  sussidiarieta',  al  livello
statale, e  dunque  per  la  corrispondente  avocazione  al  medesimo
livello anche della  funzione  legislativa.  Quel  che  e'  evidente,
tuttavia,  e'  la  sicura  illegittimita'   costituzionale   di   una
attribuzione  allo  Stato  di  funzioni  amministrative  operata   in
astratto e in modo del tutto generalizzato. 
    La violazione del principio di  sussidiarieta',  in  sintesi,  e'
resa del tutto palese  dal  generale  ambito  di  applicazione  della
normativa:  deve  escludersi  con  certezza  che   sia   conforme   a
Costituzione  una   disciplina   che   preveda   la   avocazione   in
sussidiarieta'  di  funzioni  amministrative  in   modo   del   tutto
generalizzato,  prescindendo  dalle  situazioni  che   caratterizzano
ciascuna di esse, e dunque dalla effettiva  sussistenza  in  concreto
delle esigenze di esercizio unitario. 
    Neanche  utilizzando  lo   schema   della   c.d.   «chiamata   in
sussidiarieta'», dunque, e'  possibile  ritenere  che  lo  Stato  sia
dotato della  competenza  legislativa  a  porre  norme  quali  quelle
contenute nell'art.  43  qui  oggetto  di  contestazione.  Non  solo,
infatti,  difetta  la  previsione  della  necessaria   collaborazione
regionale in occasione del  concreto  esercizio  della  funzione,  ma
soprattutto - ed e' questa la notazione dirimente - manca  del  tutto
la possibilita' di ritenere sussistenti le condizioni sostanziali  in
presenza delle quali la giurisprudenza di questa  Corte  ha  ritenuto
che si possa procedere a tale avocazione in capo al livello statale. 
    Per le ragioni fin qui evidenziate - nella misura in cui essa  e'
destinata ad applicarsi anche ai procedimenti amministrativi  che  si
svolgono  entro  l'ambito  delle  materie  di  competenza   regionale
concorrente e residuale - la  disciplina  censurata  viola  non  solo
l'art. 117, secondo e  terzo  comma,  Cost.,  ma  anche  l'art.  118,
secondo comma, Cost., il quale vincola la  possibilita'  di  allocare
funzioni amministrative alla titolarita' della competenza legislativa
nella materia in cui esse sono destinate a svolgersi. 
    16.3. - La normativa oggetto di  censura  viola,  infine,  l'art.
118, primo comma, Cost. 
    Nella  denegata  ipotesi  in  cui  non   si   condividessero   le
argomentazioni sopra esposte  e  si  volesse  ritenere  esistente  un
titolo  di  legittimazione  della  competenza   legislativa   statale
reperendolo nel comma secondo,  o  nel  comma  terzo,  dell'art.  117
Cost.,  l'art.  43  del  d.l.  n.  78  del  2010   sarebbe   comunque
costituzionalmente illegittimo perche' in contrasto con i principi di
sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza cui l'art. 118, primo
comma, Cost., impone  di  adeguarsi  nella  allocazione  di  funzioni
amministrative. 
    Come si e' gia' mostrato  in  quanto  precede,  infatti,  non  e'
possibile  ritenere  che  siano  stati  rispettati  i   principi   di
sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza da una  generalizzata
ed astratta attribuzione ad organi statali di funzioni amministrative
non specificamente identificate. 
    Il  legislatore   statale   ha   dichiaratamente   compiuto   una
valutazione  di  inadeguatezza  di  tutti  i  livelli  amministrativi
regionali e locali del Meridione  d'Italia  del  tutto  presuntiva  e
aprioristica,  palesemente  sganciata  dalla   considerazione   delle
singole funzioni che concretamente vengono in gioco in relazione alle
«nuove iniziative produttive» e, come tale, in radicale contrasto con
quanto dispone l'art. 118, primo comma, Cost. 
    17. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 43,  comma  2,  per
violazione dell'art. 117, terzo e  quarto  comma,  nonche'  dell'art.
118, primo comma, della Costituzione. 
    17.1. - In via subordinata rispetto alle  censure  sollevate  nel
precedente   motivo   di   ricorso,    l'art.    43    e'    comunque
costituzionalmente illegittimo, sia pure solo in parte qua, sotto  un
ulteriore profilo. Come si e'  visto,  l'istituzione  delle  «zone  a
burocrazia zero» e' affidata, dal comma 2, ad  un  semplice  «decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta  del  Ministro
dell'economia  e  delle  finanze,  di  concerto   con   il   Ministro
dell'interno». 
    Anche  ove  si  volessero  trascurare  i  vizi  di   legittimita'
costituzionale sopra denunciati, e' del tutto  evidente  che,  almeno
per la parte in cui  il  nuovo  istituto  pretende  di  rivolgere  il
proprio ambito di applicazione anche ai  procedimenti  amministrativi
che si svolgono nelle materie di competenza regionale  concorrente  e
residuale di cui ai commi terzo e quarto dell'art. 117 Cost.,  l'atto
di istituzione in concreto di una «zona a burocrazia  zero»  potrebbe
trovare legittimazione solo  ed  esclusivamente  nella  «chiamata  in
sussidiarieta'» di tale funzione al livello statale. 
    In questa ipotesi, tuttavia, la previsione del  semplice  decreto
del Presidente del Consiglio dei  ministri,  senza  alcuna  forma  di
coinvolgimento di tipo codecisionale della  Regione  territorialmente
interessata, viola palesemente una delle  condizioni  imprescindibili
imposte   dalla   gia'   richiamata   e   ben   nota   giurisprudenza
costituzionale formatasi a partire dalla sentenza n. 303 del 2003. 
    Per tale ragione, la ricorrente, impugna specificamente il  comma
2 dell'art. 43 - per violazione  degli  artt.  117,  terzo  e  quarto
comma,  e  118,  primo  comma,  Cost.  -  nella  parte  in  cui,  nel
disciplinare il procedimento di istituzione delle «zone a  burocrazia
zero», non prevede l'intesa con la Regione interessata per  l'ipotesi
in  cui  risultino  coinvolti  procedimenti  amministrativi  che   si
svolgono  nelle  materie  di  competenza  regionale   concorrente   e
residuale di cui ai commi terzo e quarto dell'art. 117 Cost. 
    18. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 49, comma 3,  lett.
b) , per violazione dell'art. 117, terzo e  quarto  comma,  dell'art.
118, primo e secondo comma, nonche'  dell'art.  120,  secondo  comma.
della Costituzione. 
    18.1. - La disposizione censurata pone una nuova regolamentazione
in materia di conferenza di servizi, sostituendo integralmente quanto
fino alla sua entrata in vigore era  disposto  dai  commi  3,  3-bis,
3-ter e 3-quater, dell'articolo 14-quater della legge 7 agosto  1990,
n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento  amministrativo  e  di
diritto di accesso ai documenti amministrativi). 
    In particolare, il  testo  attualmente  in  vigore  delle  citate
disposizioni della legge n. 241 del 1990 e' il seguente:  «3.  Al  di
fuori  dei  casi  di  cui  all'articolo  117,  ottavo  comma,   della
Costituzione,  e  delle  infrastrutture  ed  insediamenti  produttivi
strategici e di preminente interesse nazionale,  di  cui  alla  parte
seconda, titolo terzo, capo quarto del decreto legislativo 12  aprile
2006, n.  163,  e  successive  modificazioni,  nonche'  dei  casi  di
localizzazione delle opere di interesse statale, ove  venga  espresso
motivato dissenso da parte di un'amministrazione preposta alla tutela
ambientale,      paesaggistico-territoriale,      del      patrimonio
storico-artistico  o  alla  tutela  della  salute  e  della  pubblica
incolumita', la questione, in attuazione e nel rispetto del principio
di leale collaborazione e dell'articolo 120  della  Costituzione,  e'
rimessa  dall'amministrazione  procedente  alla   deliberazione   del
Consiglio dei Ministri,  che  si  pronuncia  entro  sessanta  giorni,
previa intesa con la Regione o le  Regioni  e  le  Province  autonome
interessate, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale e una
regionale o tra piu' amministrazioni regionali, ovvero previa  intesa
con la Regione e gli enti locali interessati, in caso di dissenso tra
un'amministrazione statale o regionale e un ente locale  o  tra  piu'
enti locali. Se l'intesa  non  e'  raggiunta  nei  successivi  trenta
giorni, la deliberazione  del  Consiglio  dei  Ministri  puo'  essere
comunque adottata. Se il motivato dissenso e' espresso da una Regione
o  da  una  Provincia  autonoma  in  una  delle  materie  di  propria
competenza, il Consiglio  dei  Ministri  delibera  in  esercizio  del
proprio potere sostitutivo con la partecipazione dei Presidenti delle
Regioni o delle Province autonome interessate». 
    18.2. - La normativa oggetto di  censura  viola,  innanzi  tutto,
l'art. 118, primo comma, Cost. 
    Al riguardo si consideri quanto segue. 
    Nella parte in cui prevede che «la  questione  (...)  e'  rimessa
dall'amministrazione procedente alla deliberazione del Consiglio  dei
Ministri», il quale procede di intesa con l'ente territoriale, o  gli
enti territoriali interessati, e nella parte in cui  prevede  che  la
deliberazione  possa  comunque  essere  adottata  dal  Consiglio  dei
ministri ove non intervenga tale intesa, l'art. 49,  comma  3,  lett.
b), del d.l. n. 78 del 2010 e' indubbiamente una norma di allocazione
di funzioni amministrative. In particolare, le funzioni che  ricadono
nel suo ambito di applicazione sono allocate al livello statale,  sia
pure con la partecipazione degli enti territoriali interessati. 
    Come e' noto, l'art. 118,  primo  comma,  Cost.,  impone  che  il
legislatore - statale o regionale, secondo le  rispettive  competenze
(comma secondo) - allochi le  funzioni  al  livello  piu'  vicino  ai
cittadini e, solo  in  caso  di  inadeguatezza  di  quest'ultimo,  ai
livelli  di  governo  meno   vicini,   in   base   ai   principi   di
sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione. 
    Da questa premessa, segue agevolmente una prima conclusione:  che
la norma che alloca funzioni amministrative ad un livello superiore a
quello comunale deve  riguardare  singole  funzioni,  o  quanto  meno
gruppi   omogenei   di   funzioni,    poiche'    il    giudizio    di
adeguatezza-inadeguatezza che e' sotteso alla scelta  allocativa  non
puo' che concernere singole  funzioni  concretamente  individuate,  o
quanto meno gruppi omogenei delle medesime. 
    Di qui una  prima  ragione  di  incostituzionalita'  della  norma
impugnata, per violazione dell'art. 118, primo comma,  Cost.:  l'art.
49, comma 3, lett. b), del d.l. n.  78  del  2010  avoca  al  livello
statale un «fascio» di competenze amministrative senza che  cio'  sia
in alcun modo giustificato dal principio di  sussidiarieta'  previsto
dalla disposizione costituzionale da ultimo citata,  non  sussistendo
alla base di tale avocazione quelle esigenze  di  esercizio  unitario
che sole, ai sensi di quest'ultima, la possono giustificare. 
    La violazione di tale principio,  peraltro,  e'  resa  del  tutto
palese proprio dal generale ambito di applicazione  della  normativa:
deve pero' escludersi con certezza che sia  conforme  a  Costituzione
una disciplina che preveda - in modo del tutto generalizzato e  sulla
base di una valutazione del tutto  astratta  e  meramente  presuntiva
della  inadeguatezza  dei  livelli  di  governo  sub-statali   -   la
avocazione allo Stato  delle  funzioni  amministrative,  prescindendo
dalle situazioni che caratterizzano specificamente ciascuna di  esse,
e dunque dalla effettiva e concreta  sussistenza  delle  esigenze  di
esercizio unitario. 
    La disposizione in questa sede impugnata viola l'art. 118,  primo
coma, Cost., per una ulteriore ragione. 
    La  attribuzione  della  decisione  circa  il  provvedimento   da
adottare  al  Consiglio  dei  ministri,  a  seguito  dell'infruttuoso
svolgimento della conferenza di servizi, rappresenta una  allocazione
della funzione amministrativa coinvolta «di secondo grado», nel senso
che interviene in un momento logicamente successivo rispetto a quello
della attribuzione alle amministrazioni che si trovano a  partecipare
alla conferenza dei compiti inerenti la decisione da adottare. 
    Tale attribuzione e' compiuta dalla legge - statale o regionale -
in base al principio di sussidiarieta', di talche' ove nell'ambito di
un determinato procedimento  amministrativo  un  determinato  compito
(sia esso la adozione finale di  un  atto  o  la  prestazione  di  un
assenso) venga affidato ad un livello di governo sub-statale, non  si
puo' che ritenere che la legge stessa ha considerato,  in  attuazione
dell'art. 118 Cost.,  quel  livello  come  pienamente  adeguato  allo
svolgimento della funzione. In conseguenza, non potra' che  ritenersi
impedito dalla Costituzione - ed  in  particolare  dal  principio  di
sussidiarieta' - l'affidamento allo Stato della medesima funzione. 
    Ne', del resto, e' possibile ritenere che la norma in questa sede
impugnata sia costituzionalmente legittima, nonostante quanto  appena
osservato, proprio in virtu' del fatto che istituisce una  competenza
amministrativa destinata ad  operare  «in  secondo  grado»,  ossia  a
seguito del fallito esperimento della conferenza di servizi. 
    L'ipotesi in cui un ente  di  livello  superiore  intervenga  nel
compimento di un atto in  vece  di  un  ente  di  livello  inferiore,
infatti, e' disciplinata dal nostro diritto costituzionale e ben nota
alla giurisprudenza di questa Corte. Si tratta infatti dell'esercizio
dei poteri sostitutivi. 
    Ora, e' noto che,  secondo  l'insegnamento  della  giurisprudenza
costituzionale,  nel  vigente  sistema  i  poteri   sostitutivi   nei
confronti degli  enti  territoriali  sono  di  due  tipi:  il  potere
sostitutivo ordinario ed  il  potere  sostitutivo  straordinario,  il
primo riconducibile all'art. 118 Cost., ed  il  secondo  disciplinato
dall'art. 120, secondo comma, Cost. 
    La disposizione in questa sede impugnata -  «confessando»  cosi',
peraltro, di voler istituire  proprio  un  potere  sostitutivo  -  si
riferisce  esplicitamente  alla  seconda   delle   due   disposizioni
menzionate. Il contrasto dell'art. 49, comma 3, lett. b), con  l'art.
120, secondo comma, Cost., sara' illustrato nel paragrafo che  segue.
In chiusura di questo paragrafo e' invece opportuno svolgere  qualche
considerazione per mostrare che - anche ove si volesse considerare la
disposizione qui in discussione istitutiva di un  potere  sostitutivo
ordinario - essa non potrebbe comunque  essere  ritenuta  conforme  a
Costituzione. 
    Secondo lo «statuto» del potere sostitutivo elaborato dalla ormai
consolidata giurisprudenza di questa Corte, infatti, l'esercizio  del
medesimo nei confronti degli  enti  territoriali  che  compongono  la
Repubblica puo' essere previsto dalla legge  soltanto  (tra  l'altro)
ove sia volto a far fronte al mancato compimento, da  parte  di  tali
enti, «di atti o di  attivita'  "prive  di  discrezionalita'  nell'an
(anche se non necessariamente nel quid o nel quomodo)" (...), la  cui
obbligatorieta' sia il riflesso  degli  interessi  unitari  alla  cui
salvaguardia provvede l'intervento sostitutivo» (cosi'  la  ben  nota
sent. n. 43 del 2004, seguita da numerose altre pronunce). 
    E' del tutto evidente che questa fondamentale condizione  per  la
previsione e l'esercizio dei  poteri  sostitutivi  ordinari  non  sia
stata rispettata nel caso di specie. 
    In base alla disposizione impugnata, infatti,  la  decisione  del
Consiglio dei ministri e'  destinata  ad  intervenire  non  gia'  per
riparare ad una inerzia dell'ente (regionale o locale) titolare della
funzione,  ma  per  sostituire   alla   valutazione   (negativa)   di
quest'ultimo, la quale ha trovato forma nell'atto di diniego espresso
nella sede della  conferenza  di  servizi,  una  diversa  valutazione
operata dallo Stato. In sintesi, questa  normativa  realizza  proprio
cio' che la giurisprudenza di  questa  Corte  concernente  il  potere
sostitutivo  ha  sempre  scongiurato:  ossia   che   la   valutazione
politico-amministrativa  dell'ente  territoriale  di   livello   piu'
comprensivo    si    sostituisca     alla     diversa     valutazione
politico-amministrativa di altro ente  territoriale,  titolare  della
relativa funzione in base al principio di sussidiarieta'. 
    Per tutte  le  ragioni  qui  illustrate,  dunque,  la  disciplina
impugnata viola l'art. 118, primo comma, Cost. 
    18.3. - L'art. 49, comma 3, lett. b), inoltre, viola l'art.  120,
secondo comma, Cost. 
    Come si e' gia' avuto modo di evidenziare, il legislatore statale
ha  mostrato  la  consapevolezza  di  istituire  un  generale  potere
sostitutivo dello Stato nei confronti degli altri  enti  territoriali
affermando di porre la  disciplina  qui  contestata  «in  attuazione»
dell'art. 120 Cost. Nel paragrafo precedente si e' mostrato come tale
potere sostitutivo non puo' essere ritenuto conforme  allo  «statuto»
del potere sostitutivo ordinario. E'  agevole  mostrare,  del  resto,
come esso non possa che essere considerato difforme anche  da  quanto
prescrive il  secondo  comma  della  disposizione  costituzionale  da
ultimo citata, la quale  istituisce  e  disciplina  il  c.d.  «potere
sostitutivo straordinario». 
    La norma in esame,  innanzi  tutto,  viola  l'art.  120,  secondo
comma, Cost., in quanto prevede la possibilita', per il  Governo,  di
sostituirsi alle Regioni ed  agli  enti  locali  anche  nella  totale
assenza dei requisiti  sostanziali  ivi  previsti  per  la  legittima
utilizzazione del potere sostitutivo. 
    Come e' noto, infatti, il parametro in  questa  sede  considerato
consente la surrogazione dello Stato - ed in particolare del  Governo
- nei confronti degli  altri  enti  territoriali  che  compongono  la
Repubblica soltanto ove cio' sia necessario al fine di far fronte  al
«mancato  rispetto  di  norme  e  trattati  internazionali  o   della
normativa  comunitaria»,  o  a  situazioni  di  «pericolo  grave  per
l'incolumita' o la sicurezza pubblica», ovvero «quando lo  richiedano
la  tutela  dell'unita'  giuridica  o  dell'unita'  economica  e   in
particolare  la  tutela  dei  livelli  essenziali  delle  prestazioni
concernenti i diritti civili  e  sociali,  prescindendo  dai  confini
territoriali dei governi locali» (art. 120, secondo comma, Cost.). 
    Ora, la Regione Puglia  non  intende  negare  che  talvolta,  dal
mancato compimento dell'atto alla cui adozione e' volta la conferenza
di servizi possa derivare una lesione ai fondamentali  interessi  per
la salvaguardia dei quali e' istituito  lo  speciale  potere  di  cui
all'art.  120,  secondo  comma,  Cost.   Cio'   che   e'   certamente
incostituzionale, da questo punto di vista, e' invece la generale  ed
astratta  previsione  della  sostituzione.  In  altre   parole,   nel
consentire al Governo di sostituirsi agli altri enti territoriali sol
che uno di essi non presti il  proprio  assenso  nell'ambito  di  una
conferenza di servizi, la legge impugnata viola evidentemente  l'art.
120, secondo comma, Cost., il  quale  invece  prevede  che  nel  caso
concreto debba sussistere il  rischio  della  lesione  di  uno  degli
interessi  dal   medesimo   tutelati   per   poter   procedere   alla
surrogazione; rischio che,  ovviamente,  non  puo'  essere  meramente
«presunto» in astratto - tanto meno  con  una  sorta  di  presunzione
iuris et de iure come quella prefigurata dalla disciplina impugnata -
ma deve risultare accertato e motivato in relazione al caso concreto. 
    L'art. 120,  secondo  comma,  Cost.,  e'  inoltre  violato  dalla
normativa in esame in quanto essa autorizza l'esercizio di un  potere
sostitutivo statale  nei  confronti  di  uno  degli  altri  enti  che
costituiscono la Repubblica non gia' in presenza di una inerzia  alla
quale far fronte, ma in presenza di un  comportamento  amministrativo
commissivo, estrinsecantesi  nel  diniego  di  consenso  in  sede  di
conferenza. Cio' - a tacer d'altro -  contrasta  con  la  costante  e
cospicua  giurisprudenza  costituzionale   in   materia   di   poteri
sostitutivi piu' sopra evocata. 
    Da questa giurisprudenza, infatti, e' agevolmente  desumibile  il
principio secondo il quale, dinanzi alla cura di interessi realizzata
dall'ente  costituzionalmente   competente,   lo   Stato   non   puo'
sovrapporre il proprio indirizzo politico-amministrativo.  Puo'  solo
fare ricorso agli strumenti giurisdizionali nel caso in  cui  ritenga
illegittimo l'assetto conferito agli interessi dall'atto con  cui  la
competenza e' stata esercitata. 
    18.4. - La disposizione censurata e' comunque  costituzionalmente
illegittima per violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma, Cost.
Cio' per le seguenti ragioni. 
    L'art. 49, comma 3,  lett.  b),  ha  un  ambito  di  applicazione
generalizzato. Esso e' destinato a trovare applicazione  in  tutti  i
procedimenti amministrativi  in  relazione  ai  quali  sussistano  le
condizioni per la  convocazione  di  una  conferenza  di  servizi,  a
prescindere dalla materia nel cui ambito incidono tali procedimenti. 
    Nella misura in cui coinvolge  anche  procedimenti  destinati  ad
esplicarsi in ambiti materiali di competenza regionale concorrente  o
residuale, la disciplina  impugnata  viola  dunque,  rispettivamente,
l'art. 117, terzo e quarto comma, Cost. 
    E' certo plausibile ritenere che la competenza statale,  in  base
all'art. 117, secondo comma, Cost., sussista, limitatamente  ai  casi
in cui la normativa in questa sede  contestata  disciplina  la  sorte
delle situazioni del dissenso che sia intervenuto tra amministrazioni
statali  ed  amministrazioni  regionali;  in  tali  circostanze,   la
procedura della conferenza di servizi  viene  senz'altro  seguita  in
presenza di funzioni amministrative allocate dalla legge  statale  ad
uffici statali, di talche', al limite, si potra'  porre  il  problema
della legittimita' costituzionale di  tale  allocazione  ma  non  del
titolo legislativo dello Stato  a  disciplinare  lo  strumento  della
conferenza di servizi. 
    Diversa  e'  la  soluzione  che  e'  necessario  raggiungere   in
relazione a quella parte della norma in esame volta a disciplinare  i
casi in cui si verifica un dissenso tra amministrazione regionale  ed
amministrazioni  locali.  E'  infatti  evidente  che,  mediante   una
previsione  cosi'  generalizzata,  si  incide  non   solo   su   quei
procedimenti legittimamente  disciplinati  dalla  legge  statale,  la
quale abbia allocato funzioni anche ai suddetti enti territoriali, ma
anche - e probabilmente soprattutto - su quei procedimenti  ricadenti
nell'ambito delle materie di  competenza  concorrente  o  nell'ambito
delle materie affidate alla potesta' legislative regionale  residuale
e che, per questo, sono disciplinati - o  sono  destinati  ad  essere
disciplinati - dalla legge regionale. 
    Ancora  differente  e'  la  situazione  di  quella  parte   della
normativa  contestata   che   disciplina   il   caso   del   dissenso
interveniente tra amministrazioni regionali. Tale normativa, in  base
a quanto disposto dalla medesima, si applica solo «al  di  fuori  dei
casi di cui all'articolo  117,  ottavo  comma,  della  Costituzione»,
ossia al di fuori dei casi in cui  sia  intervenuta  una  intesa  tra
Regioni  ai  sensi  della  citata  disposizione  costituzionale,   in
attuazione della quale e' possibile istituire «organi comuni» tra  le
Regioni. Deve tuttavia essere evidenziato che la disciplina in  esame
presenta vizi di legittimita' costituzionale  anche  considerando  la
sua  recessivita'  rispetto  alle  intese   interregionali   di   cui
all'ottavo comma dell'art. 117, Cost. 
    In relazione alle materie di cui  all'art.  117,  secondo  comma,
Cost.,  infatti,  la  legge  statale  ha  senza  dubbio   titolo   ad
intervenire. In relazione  alle  materie  diverse  da  quelle  appena
indicate, invece, l'unico titolo della legge statale  ad  intervenire
puo' essere individuato  nella  c.d.  «chiamata  in  sussidiarieta'».
Limitatamente a queste materie, dunque, si deve ritenere che lo Stato
abbia correttamente esercitato il proprio potere legislativo solo ove
abbia  rispettato  quello   «statuto»   della   c.d.   «chiamata   in
sussidiarieta'» elaborato dalla ben  nota  giurisprudenza  di  questa
Corte. 
    Al riguardo -  in  riferimento  alla  normativa  qui  oggetto  di
contestazione - e' possibile osservare quanto segue. 
    Dinanzi ad un dissenso tra due (o piu')  Regioni,  evidentemente,
il  livello  regionale  di  governo  non  e'  idoneo  ad  individuare
strumenti di soluzione dello stallo, ne' piu' limitati  strumenti  di
accelerazione  procedimentale.  La  Regione  ricorrente  non  intende
dunque negare  che  in  una  situazione  similare  sussistano  quelle
condizioni   sostanziali   in    presenza    delle    quali    appare
costituzionalmente legittima la avocazione  in  sussidiarieta'  della
funzione   legislativa.   In   svariate   occasioni,   tuttavia,   la
giurisprudenza costituzionale ha avuto modo di evidenziare  che  tale
avocazione puo' ritenersi costituzionalmente legittima solo se  oltre
al requisito sostanziale risulta soddisfatto anche  un  requisito  di
natura  procedimentale:   se,   cioe',   la   disciplina   posta   in
sussidiarieta' dallo Stato preveda che la funzione amministrativa  in
questione sia svolta d'intesa con la Regione interessata. 
    Il caso che qui ci si trova  a  porre  all'attenzione  di  questa
Corte, da questo punto di vista, mostra tutte  le  sue  peculiarita',
poiche'  e'  chiaro  che  nella  situazione  ipotizzata  non  sarebbe
possibile procedere «d'intesa» con la  «Regione  interessata»,  posto
che  le  «Regioni  interessate»  nella  situazione  ipotizzata   sono
(almeno) due, e che esse si  trovano  senz'altro  in  disaccordo  tra
loro. 
    In base ai principi stabiliti da questa Corte, tuttavia, non puo'
che ritenersi che nel caso di specie la avocazione in  sussidiarieta'
della funzione legislativa sia costituzionalmente legittima solo  ove
gli  strumenti  collaborativi  previsti  siano  -   se   non   quelli
dell'intesa - quelli maggiormente coinvolgenti che siano  compatibili
con le peculiarita' delle circostanze. 
    E' agevole evidenziare come cio'  non  accada  nel  caso  qui  in
discussione. L'art. 49, comma 3,  lett.  b),  infatti,  si  limita  a
prevedere, al riguardo, che ove il motivato dissenso e' sia «espresso
da una Regione o da una Provincia autonoma in una  delle  materie  di
propria competenza, il Consiglio dei Ministri delibera  in  esercizio
del proprio potere sostitutivo con la partecipazione  dei  Presidenti
delle Regioni o delle Province autonome  interessate».  L'ipotesi  di
collaborazione istituzionale prevista da questa disposizione  non  e'
certo quella massima possibile compatibilmente con le circostanze del
caso. Basti pensare alla possibilita' di affidare la decisione ad  un
collegio formato da un rappresentante di ciascuna Regione interessata
ed un rappresentante  dello  Stato.  Senza  volersi  in  questa  sede
sostituire al legislatore, la mera evocazione di una tale ipotesi  e'
pero' sufficiente a mostrare come la modalita' collaborativa prevista
dalla  legge  in  questa  sede  impugnata  non  sia  affatto   quella
maggiormente partecipativa compatibilmente con le particolarita'  del
caso, e  dunque  non  sia  in  grado  di  rendere  costituzionalmente
legittima la «chiamata in sussidiarieta'» effettuata dal  legislatore
statale. 
    La disciplina  impugnata  viola,  inoltre,  l'art.  118,  secondo
comma, Cost. 
    Come gia' evidenziato, ove stabilisce che la deliberazione  possa
comunque essere adottata dal Consiglio dei ministri, l'art. 49, comma
3,  lett.  b),  pone   una   norma   di   allocazione   di   funzioni
amministrative. Per questa ragione - nella  misura  in  cui  essa  e'
destinata ad applicarsi anche ai procedimenti amministrativi  che  si
svolgono  entro  l'ambito  delle  materie  di  competenza   regionale
concorrente e residuale - il disposto del citato art.  49,  comma  3,
lett. b), viola anche l'art. 118,  secondo  comma,  Cost.,  il  quale
vincola la possibilita'  di  allocare  funzioni  amministrative  alla
titolarita' della competenza legislativa nella materia  in  cui  esse
sono destinate a svolgersi. 
    La norma impugnata contrasta con tale previsione, poiche' dispone
la sopra ricordata allocazione di  funzioni  amministrative  in  modo
generalizzato ed indifferenziato, prescindendo dalla materia  in  cui
tali funzioni sono destinate a svolgersi. L'art. 49, comma  3,  lett.
b), dunque,  e'  costituzionalmente  illegittimo  per  contrasto  con
l'art. 118, secondo comma, Cost., nella  parte  in  cui  pretende  di
disciplinare anche quei procedimenti amministrativi che  ricadono  in
ambiti materiali affidati alla  competenza  concorrente  di  Stato  e
Regioni, ovvero alla competenza residuale di queste ultime. 
    Per i motivi e nei limiti sopra illustrati, e' dunque  necessario
ritenere che la normativa posta dall'art. 49, comma 3, lett. b),  del
d.l. n. 78 del 2010, violi gli articoli 117, terzo e quarto comma,  e
118, Cost. 
    19. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 49, commi  4-bis  e
4-ter, per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettere e) ed m),
della Costituzione, i quali prevedono che lo Stato  abbia  competenza
legislativa esclusiva nelle materie della «tutela della  concorrenza»
e della «determinazione  dei  livelli  essenziali  delle  prestazioni
concernenti i diritti  civili  e  sociali»,  nonche'  per  violazione
dell'art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione. 
    19.1. - L'art. 49, comma 4-bis, dispone la integrale sostituzione
dell'art. 19 della legge n. 241 del 1990 con il seguente testo: «Art.
19 (Segnalazione certificata di inizio attivita' - Scia). -  1.  Ogni
atto  di  autorizzazione,  licenza,  concessione   non   costitutiva,
permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le
iscrizioni in albi o ruoli richieste  per  l'esercizio  di  attivita'
imprenditoriale, commerciale o artigianale il  cui  rilascio  dipenda
esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti
dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non  sia
previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti
di programmazione settoriale per il rilascio degli  atti  stessi,  e'
sostituito  da  una  segnalazione  dell'interessato,  con   la   sola
esclusione  dei  casi   in   cui   sussistano   vincoli   ambientali,
paesaggistici   o   culturali   e   degli   atti   rilasciati   dalle
amministrazioni  preposte  alla  difesa  nazionale,   alla   pubblica
sicurezza,   all'immigrazione,    all'asilo,    alla    cittadinanza,
all'amministrazione  della   giustizia,   all'amministrazione   delle
finanze, ivi compresi gli atti concernenti le  reti  di  acquisizione
del gettito, anche derivante dal gioco,  nonche'  di  quelli  imposti
dalla normativa  comunitaria.  La  segnalazione  e'  corredata  dalle
dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell'atto di notorieta'
per quanto riguarda tutti gli stati, le qualita' personali e i  fatti
previsti negli articoli 46 e 47 del testo unico di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445,  nonche'  dalle
attestazioni e  asseverazioni  di  tecnici  abilitati,  ovvero  dalle
dichiarazioni di conformita' da parte dell'Agenzia delle  imprese  di
cui all' articolo 38, comma 4, del decreto-legge 25 giugno  2008,  n.
112, convertito, con modificazioni, dalla legge  6  agosto  2008,  n.
133, relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti di cui
al primo periodo; tali attestazioni e  asseverazioni  sono  corredate
dagli elaborati tecnici necessari  per  consentire  le  verifiche  di
competenza dell'amministrazione. Nei casi in  cui  la  legge  prevede
l'acquisizione  di  pareri  di  organi  o   enti   appositi,   ovvero
l'esecuzione di verifiche preventive, essi sono  comunque  sostituiti
dalle   autocertificazioni,   attestazioni    e    asseverazioni    o
certificazioni  di  cui  al  presente  comma,  salve   le   verifiche
successive degli organi e  delle  amministrazioni  competenti.  -  2.
L'attivita' oggetto della segnalazione  puo'  essere  iniziata  dalla
data  della  presentazione  della  segnalazione   all'amministrazione
competente. - 3. L'amministrazione competente, in caso  di  accertata
carenza dei requisiti e dei  presupposti  di  cui  al  comma  1,  nel
termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di  cui
al medesimo  comma,  adotta  motivati  provvedimenti  di  divieto  di
prosecuzione dell'attivita' e di rimozione  degli  eventuali  effetti
dannosi di essa, salvo che, ove  cio'  sia  possibile,  l'interessato
provveda a conformare alla normativa vigente  detta  attivita'  ed  i
suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione,  in  ogni
caso non inferiore a trenta giorni. E' fatto comunque salvo il potere
dell'amministrazione competente di assumere determinazioni in via  di
autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. In caso
di  dichiarazioni  sostitutive  di  certificazione  e  dell'atto   di
notorieta'  false  o  mendaci,  l'amministrazione,   ferma   restando
l'applicazione delle sanzioni penali di cui al comma  6,  nonche'  di
quelle di cui al capo VI del  testo  unico  di  cui  al  decreto  del
Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, puo'  sempre  e
in ogni tempo adottare i provvedimenti di cui al primo periodo. -  4.
Decorso il termine per l'adozione dei provvedimenti di cui  al  primo
periodo del comma 3, all'amministrazione  e'  consentito  intervenire
solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico
e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica
o   la   difesa   nazionale   e    previo    motivato    accertamento
dell'impossibilita' di  tutelare  comunque  tali  interessi  mediante
conformazione dell'attivita' dei privati alla normativa vigente. - 5.
Il presente articolo non  si  applica  alle  attivita'  economiche  a
prevalente carattere finanziario, ivi comprese  quelle  regolate  dal
testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia  di  cui  al
decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e dal testo  unico  in
materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto  legislativo
24 febbraio 1998, n. 58. Ogni controversia relativa  all'applicazione
del presente articolo e' devoluta alla  giurisdizione  esclusiva  del
giudice  amministrativo.   Il   relativo   ricorso   giurisdizionale,
esperibile da  qualunque  interessato  nei  termini  di  legge,  puo'
riguardare anche gli atti di assenso formati in  virtu'  delle  norme
sul silenzio assenso previste dall'articolo 20. - 6. Ove il fatto non
costituisca  piu'  grave  reato,  chiunque,  nelle  dichiarazioni   o
attestazioni o asseverazioni che corredano la segnalazione di  inizio
attivita', dichiara o attesta falsamente l'esistenza dei requisiti  o
dei presupposti di cui al comma I e' punito con la reclusione da  uno
a tre anni». 
    Il  successivo  comma  4-ter  del  medesimo   art.   49   prevede
l'applicazione della normativa appena indicata anche ai  procedimenti
amministrativi ricadenti  nelle  materie  di  competenza  legislativa
regionale, disponendo quanto segue:  «Il  comma  4-bis  attiene  alla
tutela della concorrenza ai sensi dell'articolo 117,  secondo  comma,
lettera e), della  Costituzione,  e  costituisce  livello  essenziale
delle prestazioni concernenti i diritti civili  e  sociali  ai  sensi
della lettera m) del medesimo  comma.  Le  espressioni  «segnalazione
certificata   di   inizio   attivita'»   e   «Scia»    sostituiscono,
rispettivamente, quelle di  «dichiarazione  di  inizio  attivita'»  e
«Dia», ovunque ricorrano, anche come parte di  una  espressione  piu'
ampia,  e  la  disciplina  di  cui   al   comma   4-bis   sostituisce
direttamente,  dalla  data  di  entrata  in  vigore  della  legge  di
conversione del  presente  decreto,  quella  della  dichiarazione  di
inizio attivita' recata da ogni normativa statale e regionale». 
    19.2. - Tale normativa contrasta, innanzitutto, con  l'art.  117,
secondo comma, lett. e), Cost. 
    Questa  disposizione  costituzionale  e'  violata  in  quanto   -
nonostante la «auto qualificazione» ivi prevista - non  e'  in  alcun
modo possibile ritenere che le norme impugnate in questa  sede  siano
riconducibili alla materia della «tutela della concorrenza». Cio' per
piu' di una ragione. 
    Un primo motivo che impedisce di poter ricondurre  la  disciplina
qui contestata all'art. 117,  secondo  comma,  lett.  e),  Cost.,  e'
individuabile, innanzitutto, nel generalizzato ambito di applicazione
della Scia. Questo istituto, infatti, e' destinato a disciplinare sia
le attivita'  che  hanno  un  rilievo  economico-imprenditoriale  sia
quelle che non lo hanno. E' del tutto evidente che,  in  relazione  a
questa seconda categoria, la disposizione  costituzionale  da  ultimo
citata non legittima in alcun modo lo Stato ad adottare la  normativa
impugnata. Per queste attivita', infatti, non si pone in  alcun  modo
un problema di «concorrenza». 
    Da questo primo punto di vista, dunque, l'art. 49, commi 4-bis  e
4-ter, del d.l. n. 78 del 2010, anche ove si ritenesse adottato dallo
Stato nell'ambito della propria competenza  a  porre  norme  volta  a
garantire la «tutela della concorrenza», sarebbe comunque da ritenere
incostituzionale nella  parte  in  cui  include  nel  suo  ambito  di
applicazione anche quei procedimenti che ineriscono ad attivita'  non
aventi rilievo economico-imprenditoriale. 
    In secondo luogo - ed a prescindere da quanto appena  evidenziato
- la normativa in questione non puo' comunque ricondursi alla materia
delle «tutela della concorrenza», poiche' disciplina le relazioni tra
gli operatori economici e la pubblica amministrazione, senza che cio'
possa in alcun  modo  incidere  sulle  relazioni  tra  gli  operatori
economici. 
    La Regione ricorrente e'  consapevole  che  questa  Corte,  nella
propria giurisprudenza, a partire dalla cent.  n.  14  del  2004,  ha
affermato in piu' di una occasione la riconducibilita'  alla  materia
della  «tutela  della  concorrenza»   di   norme   aventi   carattere
«promozionale», nel senso di incrementare il livello  di  concorrenza
esistente  nel  mercato,  ad  esempio  mediante  la  concessione   di
contributi volti a sostenere alcuni operatori  economici  nella  loro
competizione con gli altri. In tali casi, senz'altro, si e' dinanzi a
norme inerenti i rapporti tra operatori economici e pubblici  poteri,
le quali, tuttavia, sono in grado di  incidere  indirettamente  sulle
relazioni tra gli stessi operatori aumentando la concorrenzialita' di
alcuni di essi. Non e' possibile dire  altrettanto,  invece,  per  la
normativa qui  impugnata,  poiche'  essa  si  limita  a  regolare  le
modalita' tramite le quali devono essere  esplicate  alcune  funzioni
amministrative. 
    In altre parole, anche ammettendo che  norme  le  quali  regolino
relazioni tra operatori e pubblici poteri possano  essere  ricomprese
nell'ambito dell'art. 117,  secondo  comma,  lett.  e),  Cost.,  cio'
accade in quanto tali previsioni siano  dirette  ad  incrementare  la
concorrenza esistente. Cio' non accade in  alcun  modo  nel  caso  in
questione,  posto  che  la  norma  ha  unicamente  una  funzione   di
semplificazione amministrativa. 
    Da ultimo, si puo' notare che un indice della  impossibilita'  di
riferire l'art. 49, comma 4-bis, del d.l. n. 78 del 2010 alla materia
della «tutela della concorrenza» puo'  essere  reperito  anche  nella
contraddittoria qualificazione operata dal  successivo  comma  4-ter.
Tale disposizione, infatti, ascrive la disposizione sopra citata  sia
alla  materia  «tutela  della  concorrenza»  che   a   quella   della
«determinazione dei livelli essenziali delle  prestazioni».  Il  che,
come e' di tutta evidenza, non e' possibile. 
    19.3. - La normativa censurata  viola  anche  l'art.  117,  comma
secondo, lett. m), Cost. 
    Questa  disposizione  e'  violata  in  quanto  non  e'  possibile
ritenere che le norme di cui all'art. 49, comma 4-bis e comma 4-ter -
nonostante  la   «auto   qualificazione»   ivi   disposta   -   siano
riconducibili  alla  materia  della   «determinazione   dei   livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali». 
    A sostegno di  questa  affermazione  possono  essere  indicati  i
seguenti motivi. 
    Innanzitutto, non e' certo pensabile che la  citata  disposizione
costituzionale  possa  essere  intesa  nel   senso   di   qualificare
«prestazione» qualunque attivita' amministrativa con la  quale  entri
in  contatto  il  cittadino,  poiche'  altrimenti  si  giungerebbe  a
configurare un generalissimo titolo di intervento della  legislazione
statale su tutta la  attivita'  amministrativa  regionale  e  locale.
Viceversa, come la stessa giurisprudenza costituzionale ha avuto modo
di  evidenziare  (cfr.  la  sent.  n.  398  del  2006),   l'attivita'
amministrativa puo' assurgere alla qualifica di  «prestazione»  della
quale lo Stato e' competente a  fissare  un  «livello  essenziale»  a
fronte di uno specifico «diritto» di  individui,  imprese,  operatori
economici ed, in generale, soggetti privati. 
    Al riguardo, e' possibile  peraltro  evidenziare  come  lo  Stato
avrebbe  avuto   la   possibilita'   di   perseguire   finalita'   di
semplificazione amministrativa utilizzando correttamente lo strumento
della  propria  competenza  a  fissare   livelli   essenziali   delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono  essere
garantiti su tutto il territorio nazionale. Avrebbe potuto,  infatti,
attribuire ai soggetti che  entrano  in  contatto  con  una  pubblica
amministrazione nell'ambito dei procedimenti individuati dalla  norme
qui in discussione il diritto ad ottenere una «risposta certa»  entro
un termine prefissato. I legislatore regionali e  gli  amministratori
locali,  in  tal  modo,  sarebbero  stati  tenuti  ad   adottare   le
determinazioni necessarie al fine di garantire questo risultato. 
    Senza dubbio una simile  ipotesi  sarebbe  stata  consentita  dal
diritto costituzionale vigente. E sarebbe stata anche una  strada  in
grado di far conseguire l'obiettivo voluto, posto che, come e'  noto,
il nostro ordinamento costituzionale consente di utilizzare i  poteri
sostitutivi straordinari per far  fronte  all'inadempimento  di  quei
livelli di governo che non assicurino  il  livello  essenziale  delle
prestazioni concernenti i diritti civili e  sociali  stabilito  dallo
Stato nell'esercizio della propria competenza esclusiva. 
    La Regione Puglia e' consapevole  della  circostanza  secondo  la
quale l'istituto, per certi versi simile, che la SCIA sostituisce  in
parte - ossia la DIA - e' stato qualificato  «livello  essenziale  di
prestazione» dalla lettera b) del comma  1  dell'art.  10,  legge  18
giugno 2009, n.  69  (Disposizioni  per  lo  sviluppo  economico,  la
semplificazione, la competitivita' nonche'  in  materia  di  processo
civile), il quale ha aggiunto il comma 2-ter all'art. 29 della  legge
n. 241 del 1990. 
    In  base  alla  consolidata  giurisprudenza  di   questa   Corte,
tuttavia, la qualificazione che il legislatore fornisca  delle  norme
che  esso  stesso  introduce  non  ha  rilievo  ai  fini  della  loro
qualificazione di diritto costituzionale. Ne' - anche in questo  caso
in base alla consolidata giurisprudenza costituzionale - e' possibile
ritenere  che  la  mancata  impugnazione  della  disposizione  appena
richiamata possa valere in alcun  modo  quale  acquiescenza  prestata
dalla odierna ricorrente. 
    Del resto, che le norme in materia di dichiarazione di inizio  di
attivita' non possano essere dettate dallo  Stato  nell'ambito  della
propria  competenza  ad  individuare  i  «livelli  essenziali   delle
prestazioni che  devono  essere  garantiti  su  tutto  il  territorio
nazionale» risulta chiaramente dalla ben nota sent. n. 303  del  2003
di questa Corte. In tale decisione, le norme concernenti la  DIA  nel
settore edilizio in quella sede  scrutinate  sono  state  qualificate
quali «principi fondamentali» della materia «governo del  territorio»
(punto 11.2 del Considerato in diritto). Le norme concernenti la DIA,
come quelle inerenti la «segnalazione di inizio  attivita'»,  dunque,
non  possono  certo  essere  considerate  «livelli  essenziali  delle
prestazioni». Se ne sussistono i presupposti - come e' accaduto nella
circostanza appena ricordata - possono, al piu',  essere  qualificati
«principi fondamentali» in relazione a singole  materie  di  potesta'
legislativa concorrente tra Stato e Regioni. 
    19.4.   -   I   commi   4-bis   e   4-ter   dell'art.   49   sono
costituzionalmente illegittimi anche per  violazione  dell'art.  117,
terzo comma, Cost. 
    Come si e' posto in evidenza nel paragrafo precedente, secondo la
giurisprudenza    costituzionale,    norme     di     semplificazione
amministrativa del tipo di  quelle  in  questa  sede  in  discussione
possono essere poste dallo Stato - ove ne ricorrano i  presupposti  -
nell'ambito della propria competenza a porre i principi  fondamentali
delle materie di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. 
    E' agevole mostrare che tali presupposti non ricorrono  nel  caso
in questione. 
    Puo'  essere  utile,  al  riguardo,  prendere  in  considerazione
proprio la gia' citata sent. n.  303  del  2003.  In  essa,  come  si
ricordava piu' sopra, e' stata ascritta  ai  «principi  fondamentali»
della materia «governo del territorio» la disciplina  concernente  la
DIA nel settore edilizio in quella sede in  discussione  (punto  11.2
del Considerato in diritto). 
    Gia' da questa prima considerazione emerge una  evidente  ragione
di  incostituzionalita'  della  disciplina  che  in  questa  sede  si
contesta. 
    Essa, infatti, ha un ambito di  applicazione  generalizzato.  Non
individua alcuna materia col fine di limitare il  proprio  ambito  di
applicazione.  Per  questa  ragione,  non   puo'   certo   costituire
«principio  fondamentale  della  materia»:  il  legislatore  statale,
infatti, avrebbe dovuto  individuare  i  procedimenti  -  almeno  per
classi omogenee - ricadenti nelle materie di competenza  concorrente,
ai quali intendeva applicare la disciplina in esame. 
    In secondo luogo, deve essere osservato quanto segue. 
    Ove - per assurdo, nonostante  il  suo  ambito  generalizzato  di
applicazione  -  si  volesse  ritenere  la  disposizione  statale  in
questione legittimata dall'art. 117, terzo comma, Cost., essa sarebbe
comunque incostituzionale poiche' giunge a porre norme che vanno  ben
oltre la fissazione di  principi  fondamentali.  Esse,  infatti,  non
lasciano alcuno «spazio di  manovra»  al  legislatore  regionale,  il
quale non puo' che limitarsi a  prendere  atto  del  diverso  assetto
conferito dal nuovo istituto della Scia al rapporto tra cittadini  ed
amministrazione, senza poter in alcun modo modulare, anche in  minima
parte, tale assetto in modo da renderlo  maggiormente  adeguato  alla
realta' regionale. 
    Anche in questo caso il riferimento alla cent. n. 303 del 2003 e'
particolarmente utile. In quella circostanza, infatti, viene ritenuta
«principio fondamentale» della materia «governo  del  territorio»  la
«necessaria compresenza  nella  legislazione  di  titoli  abilitativi
preventivi ed espressi (la concessione o l'autorizzazione,  ed  oggi,
nel nuovo testo unico n. 380 del 2001, il permesso  di  costruire)  e
taciti, quale e' la DIA, considerata procedura di semplificazione che
non puo' mancare, libero il  legislatore  regionale  di  ampliarne  o
ridurne  l'ambito  applicativo»  (punto  11.2  del   Considerato   in
diritto). 
    E'  del  tutto  evidente  che  tale  «liberta'»  del  legislatore
regionale non sussiste  nel  caso  in  questione.  Cio'  prova  senza
possibilita' di dubbio  la  incostituzionalita'  della  normativa  in
questa sede considerata. 
    Per questi motivi, dunque, l'art. 49, commi 4-bis e 4-ter,  viola
l'art. 117, terzo comma, Cost. 
    19.5. - Infine, la normativa in questione viola anche l'art. 117,
quarto comma, Cost. 
    Nell'ipotesi in cui - nonostante  le  argomentazioni  piu'  sopra
proposte - si ritenga che l'art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del d.l. n.
78 del 2010 sia legittimamente posto dallo  Stato  nell'ambito  della
propria competenza a dettare i principi fondamentali delle materie di
competenza concorrente  tra  Stato  e  Regioni,  esso  deve  comunque
ritenersi  costituzionalmente   illegittimo   in   quanto   volto   a
disciplinare  anche  i  procedimenti  ricadenti   nell'ambito   della
competenza  residuale  delle  Regioni  in  base   alla   disposizione
costituzionale da ultimo citata. Lo  Stato,  infatti,  non  ha  alcun
titolo  per  imporre  la  sua  applicazione  anche  ai   procedimenti
amministrativi che devono essere  esplicati  in  tali  materie.  Tale
titolo, infatti non puo' essere  individuato  nelle  materie  di  cui
all'art. 117,  secondo  comma,  Cost.,  per  le  ragioni  piu'  sopra
indicate. Ne', d'altra  parte,  una  eventuale  qualificazione  della
disposizione de qua come principio fondamentale varrebbe allo  scopo,
poiche', come e' noto,  la  competenza  regionale  residuale  non  e'
vincolata da questo tipo di norme statali. 
    In definitiva, non puo' che  concludersi  che  l'art.  49,  commi
4-bis e 4-ter, viola l'art. 117, quarto comma, Cost., nella parte  in
cui si applica a procedimenti  amministrativi  ricadenti  nell'ambito
delle materie di competenza residuale regionale. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Si chiede che questa ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento
del presente ricorso, dichiari l'illegittimita' costituzionale  delle
denunciate disposizioni del  decreto-legge  31  maggio  2010,  n.  78
(Misure urgenti di stabilizzazione finanziaria  e  di  competitivita'
economica),  cosi'  come  convertito  in  legge,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, nei termini
sopra esposti. 
        Bari-Roma, addi' 24 settembre 2010 
 
       Avv. Prof. Nicola Colaianni - avv. Prof. Stefano Grassi