N. 403 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 aprile 2010

Ordinanza del 19 aprile 2010 emessa dalla  Corte  dei  conti  -  Sez.
giurisdizionale per la Regione Piemonte  - sull'istanza  proposta  da
D.G.V. contro Procura Regionale. 
 
Responsabilita' amministrativa e contabile  -  Esercizio  dell'azione
  per danno all'immagine da parte della Procura della Corte dei conti
  limitato ai casi e modi previsti dall'art. 7 della legge n. 97/2001
  (rilevanza  penale   dell'illecito   amministrativo)   -   Prevista
  sospensione del termine di prescrizione fino alla  conclusione  del
  procedimento  penale  -  Prevista  nullita'   di   qualunque   atto
  istruttorio o processuale posto  in  essere,  in  violazione  delle
  predette disposizioni, subordinata all'azione di chiunque vi  abbia
  interesse - Violazione di  diritto  fondamentale  della  persona  -
  Lesione del principio di uguaglianza. 
- Decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78, art. 17, comma 30-ter, inserito
  dalla legge 3 agosto 2009, n. 102 e modificato dall'art.  1,  comma
  1, lett. c), n.  1,  del  decreto-legge  3  agosto  2009,  n.  103,
  convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre 2009, n. 141. 
- Costituzione, artt. 2 e 3. 
(GU n.2 del 12-1-2011 )
 
                         LA CORTE DEI CONTI 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza  sull'istanza  ex  art.  17,
comma 30-ter, del decreto-legge 1º luglio 2009, n.  78,  iscritta  in
data 18 marzo 2010 al n. 18545 del registro di  segreteria,  proposta
dal signor V.D.G. con il patrocinio degli avv.ti Carlo Cotto  e  Anna
Ronfani, nei confronti della Procura Regionale per la declaratoria di
nullita' dell'invito a dedurre V2005/678/BGT del 29 dicembre 2009; 
    Premesso che: 
    all'istante  e'  stato  notificato,  ai  sensi  dell'art.  5  del
decreto-legge   15   novembre   1993,   n.   453   (convertito,   con
modificazioni, dalla legge  14  gennaio  1994,  n.  19),  l'invito  a
dedurle in epigrafe, con cui il pubblico ministero  gli  contesta  di
aver arrecato, nella sua  qualita'  di  dirigente  della  Polizia  di
Stato,  un  rilevante  «danno  all'immagine»  all'amministrazione  di
appartenenza in consegue  di  ingiustificate  violenze  asseritamente
commesse nel corso di un'operazione di ordine pubblico; 
    nell'atto  in  parola,  la  Procura  precisa   che   i   relativi
procedimenti penali sono i stati archiviati  dal  g.i.p.  per  essere
rimasti ignoti, in  generale,  gli  autori  dei  fatti  e,  quanto  a
un'indagine avviata  nei  confronti  dell'istante  personalmente  con
riferimento ad uno specifico episodio di  lesioni,  per  mancanza  di
prove; 
    ritiene,  peraltro,  il  pubblico  ministero  contabile  che  gli
assetti episodi di violenza  gratuita,  ripresi  dai  mass-media  con
grave discredito per la Polizia e per le Istituzioni, possano  essere
comunque addebitati sul piano amministrativo alla responsabilita' del
competente dirigente della Polizia di Stato,  presente  personalmente
ed attivamente sullo scenario dell'operazione, anche alla luce  della
documentazione  fotografica  e  testimoniale  raccolta,  prescindendo
dall'autonomo profilo della responsabilita' penale; 
    cio' posto, l'interessato insta (ex art. 17,  comma  30-ter,  del
decreto-legge 1° luglio 2009, n.  78,  convertito  con  modificazioni
dalla legge 3 agosto  2009,  n.  102,  e  contestualmente  modificato
dall'art. 1, comma 1,  del  decreto-legge  3  agosto  2009,  n.  103,
convertito a sua volta con modificazioni dalla legge 3 ottobre  2009,
n. 141)  per  la  declaratoria  di  nullita'  dell'invito  a  dedurre
notificatogli dalla Procura regionale; si tratta, a  suo  avviso,  di
atto  istruttorio  nullo,   in   quanto   preordinato   all'esercizio
dell'azione di responsabilita' per danno all'immagine pur in  assenza
di sentenza  penale  irrevocabile  di  condanna  per  uno  dei  reati
espressamente previsti dalla normativa in parola; 
    per l'esame dell'istanza di nullita' e' stata fissata  la  camera
di consiglio del 7 aprile 2010, con decreto presidenziale  comunicato
all'istante e al pubblico ministero; 
    con memoria depositata il 29 marzo 2010 la Procura  regionale  ha
svolto alcune eccezioni pregiudiziali e  preliminari  sollevando,  in
via  gradata,  un'articolata  serie  di  questioni  di   legittimita'
costituzionale; in particolare, per quanto qui interessa, il pubblico
ministero ha eccepito: a) l'improcedibilita' o  l'incostituzionalita'
del procedimento di nullita', per totale  assenza  di  norme  che  lo
disciplinano; b)  l'inammissibilita'  dell'istanza  di  nullita',  in
quanto riferita ad un atto  istruttorio  che,  per  sua  natura,  non
configura  ancora  esercizio  dell'azione  risarcitoria   per   danno
all'immagine; e) la nullita' del procedimento in camera di consiglio,
essendo espressamente prevista la trattazione in udienza pubblica; d)
l'incostituzionalita' del citato comma 30-tere per  contrasto,  sotto
molteplici profili, con gli artt. 2, 3, 24,  25,  77,  97,  103,  111
della Costituzione; 
    nella camera di consiglio del 7 aprile  2010,  udito  il  giudice
relatore, sono stati sentiti gli avv.ti Carlo Cotto  e  Anna  Ronfani
per l'istante e il Procuratore regionale Ermete Bogetti  in  qualita'
di pubblico ministero; tutte le questioni hanno  formato  oggetto  di
discussione;  i  difensori  dell'istante,  in  particolare,  con   il
consenso del collegio e del pubblico ministero, hanno depositato  una
nota d'udienza, il cui  contenuto  ha  comunque  formato  oggetto  di
esposizione orale, motivando per la legittimita' costituzionale della
normativa in applicazione; 
    la causa e' stata, quindi, trattenuta in Camera di consiglio  per
le conseguenti decisioni; 
    Ritenuto che: 
    l'art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n.  78
(convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2009,  n.  102,  e
contestualmente modificato dall'art. 1, comma 1, del decreto-legge  3
agosto 2009, n. 103, a sua volta convertito con  modificazioni  dalla
legge 3 ottobre 2009, n. 141) prevede che: «Le  procure  della  Corte
dei  conti   possono   iniziare   l'attivita'   istruttoria   ai,fini
dell'esercizio dell'azione di danno erariale a fronte di specifica  e
concreta notizia di danno, fatte salve  le  fattispecie  direttamente
sanzionate dalla legge. Le procure della Corte dei  conti  esercitano
l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli  casi  e
nei modi previsti dall'art. 7 della legge 27 marzo  2001,  n.  97.  A
tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione  di  cui  al
comma 2 dell'art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n.  20,  e'  sospeso
fino  alla  conclusione  del  procedimento  penale.   Qualunque  atto
istruttorio  o  processuale  posto  in  essere  in  violazione  delle
disposizioni di cui al presente  comma,  salvo  che  sia  stata  gia'
pronunciata sentenza anche non definitiva alla  data  di  entrata  in
vigore della legge di conversione del presente decreto, e' nullo e la
relativa nullita' puo'  essere  fatta  valere  in  ogni  momento,  da
chiunque  vi  abbia  interesse,  innanzi  alla   competente   sezione
giurisdizionale  della  Corte  dei  conti,  che  decide  nel  termine
perentorio di trenta giorni dal deposito della richieste»; 
    in  punto  di  procedura,  viene  subito  in  rilievo   l'estrema
laconicita' della disposizione di legge, che si limita ad indicare la
forma dell'atto introduttivo (una  «richiesta»  da  «depositare),  il
relativo contenuto («far valere» la nullita'  di  atti  istruttori  o
processuali  posti  in  essere  in  violazione  delle  neo-introdotte
disposizioni), il legittimato attivo («chiunque vi abbia interesse»),
il tempo della richiesta («in ogni momento»), l'organo  competente  a
decidere (la «competente  sezione  giurisdizionale  della  Corte  dei
conti»), il termine per la decisione («perentorio di trenta giorni»); 
    tuttavia,  non  sembra  a  questa  sezione  che  la  mancanza  di
ulteriori specificazioni nel testo  di  legge  sia  tale  da  rendere
improcedibile  o  incostituzionale  il  giudizio;  al  contrario,  va
esercitato  il  potere-dovere  del  Giudice   di   colmare   in   via
interpretativa o analogica le  pur  gravi  lacune  della  norma,  nel
rispetto della Costituzione e dei  principi  generali  della  materia
processuale ed amministrativo-contabile, senza che cio'  implichi  in
se' un arbitrio o una lesione  del  diritto  di  difesa  delle  parti
coinvolte; 
    quanto  all'eccepita  nullita'  del  presente  procedimento   per
inosservanza della forma della pubblica udienza, va  senz'altro  dato
atto che: l'art. 72 del testo  unico  delle  leggi  sulla  Corte  dei
conti,  approvato  con  regio  decreto  12  luglio  1934,  n.   1214,
stabilisce che «i giudizi avanti la Corte dei conti  sono  pubblici»;
l'art. 18 del regolamento di procedura per  i  giudizi  innanzi  alla
Corte dei conti, approvato con regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038,
stabilisce che «i giudizi sono pubblici»  nell'ambito  del'titolo  I,
capo VI  (rubricato  «delle  udienze»);  l'art.  128  del  codice  di
procedura civile stabilisce, a sua volta, che «l'udienza  in  cui  si
discute la causa e' pubblica a pena di nullita'»; 
    tuttavia, in disparte l'osservazione che  le  speciali  norme  di
rito contabile, a differenza del  codice  di  procedura  civile,  non
sanciscono espressamente la pubblicita'  delle  udienze  «a  pena  di
nullita'», ad avviso  della  sezione  assume  decisiva  rilevanza  la
formulazione  del  citato  comma  30-ter  laddove,   omettendo   ogni
riferimento all'istanza di fissazione d'udienza,  alla  fissazione  e
alla celebrazione di essa, all'istruttoria e alla  discussione  della
causa, fissa piuttosto una snella articolazione del procedimento, che
si  compendia  nel  deposito  della  «richiesta»  di  parte  e  nella
conseguente «decisione»  della  sezione  entro  i  successivi  trenta
giorni (termine invero breve, ma non necessariamente irragionevole in
se', considerata la portata estremamente circoscritta e,  di  regole,
elementare delle questioni  da  affrontare  ai  sensi  del  comma  in
parola, questioni comunque afferenti l'asserita nullita' di  un  atto
della Procura su  cui  sembra  ragionevole  presumere  che  essa  sia
preparata a contraddire, almeno oralmente); 
    ne discende l'applicabilita'  diretta  dell'art.  20  del  citato
regolamento di procedura (articolo collocato al titolo I,  capo  VII,
per l'appunto rubricato «delle decisioni», dopo il capo VI, rubricato
invece «delle udienze») a norma  del  quale  la  Corte  pronuncia  le
proprie decisioni «in camera di consiglio»; 
    del resto, il rito camerale meglio  si  attaglia  non  solo  alla
natura delle questioni trattate, ma  anche  all'esigenza  di  sentire
(oralmente o con brevi note) tutte le  parti  interessate,  svolgendo
rapidamente gli opportuni  incombenti  istruttori  o  procedimentali,
beninteso nel rispetto del principio del contraddittorio, ma senza il
vincolo di  particolari  formalita',  coerentemente  con  il  termine
«perentorio» (sic!) imposto per l'esito del giudizio; 
    proseguendo   nell'esame   delle   questioni   pregiudiziali    o
preliminari, va poi osservato che, sotto  il  profilo  oggettivo,  la
peculiare fattispecie di nullita' riguarda sia gli atti «istruttori»,
sia gli atti «processuali», purche' essi siano stati «posti in essere
in violazione delle disposizioni» dinanzi riportate; 
    appare   dunque   condivisibile,   in   linea    di    principio,
l'impostazione del pubblico ministero secondo cui  la  violazione  in
parola puo' configurarsi, in aderenza al dettato normativo,  soltanto
nelle due ipotesi seguenti: I) allorche' sia svolta un'istruttoria in
assenza di specifica e concreta notizia di danno; II)  allorche'  sia
esercitata l'azione per il risarcimento del danno all'immagine al  di
fuori dei casi e dei modi previsti dalla legge; nel caso  di  specie,
osserva la Procura, l'invito a  dedurre  impugnato  non  rientrerebbe
nell'ipotesi sub I), in quanto non vengono in  rilievo  questioni  di
specificita'  e  concretezza  della  notizia  di  danno,  ma  neppure
nell'ipotesi sub II), in quanto al  momento  non  e'  stata  (ancora)
esercitata un'azione  per  il  risarcimento  del  danno  all'immagine
(potendo la Procura disporre l'archiviazione del fascicolo,  anziche'
emettere  l'atto  di  citazione,  dopo  aver  vagliato  le  deduzioni
dell'interessato); 
    al riguardo, va riconosciuto che gli atti  «Istruttori»,  vale  a
dire gli atti dell'indagine amministrativo-contabile, non sono di per
se'  nulli  solo  perche'  sviluppati  su  una   notizia   di   danno
all'immagine (in quanto orientati, in ipotesi, proprio alla  verifica
della sussistenza di tutti i presupposti  di  legge  per  l'esercizio
della conseguente azione  risarcitoria,  presupposti  che  di  regola
possono essere vagliati solo  dopo  e  non  prima  di  aver  compiuto
l'istruttoria); 
    peraltro, anche  in  riferimento  alla  concreta  fattispecie  in
esame, deve tenersi in considerazione  che  l'invito  a  dedurre  non
costituisce un semplice atto d'indagine,  ma  e'  uno  speciale  atto
istruttorio avente natura «pre-processuale», univocamente preordinato
all'esercizio di un'azione di  responsabilita'  dai  contenuti  ormai
gia' delineati (l'art. 5, citato, recita: «prima di  emettere  l'atto
di citazione in  giudizio,  procuratore  regionale  invita...»);  per
giurisprudenza pacifica, infatti, l'invito a dedurre  e'  considerato
«figura processuale del  tutto  peculiare  nel  panorama  processuale
dell'ordinamento italiano, la quale  si  inserisce  in  un  processo,
quello contabile, altrettanto peculiare; in particolare, l'invito  si
colloca nella «fase prodromica processuale, quella delle indagini del
procuratore  regionale,  il  quale  vi  provvede  quando  abbia  gia'
riscontrato elementi di danno e di responsabilita' tali da  escludere
l'archiviazione» (cosi  sezioni  riunite,  sent.  14/QM/1998  del  19
giugno 1998); 
    l'invito  a  dedurre,  in  altri  termini,  «chiude»   una   fase
d'indagine e si pone quale necessario momento di transizione verso la
fase processuale, preannunciando l'intenzione del pubblico  ministero
(salva   rimeditazione   alla   luce   delle   deduzioni    difensive
dell'interessato) di esercitare  un'azione  di  responsabilita'  gia'
definita nei suoi tratti essenziali; 
    ne discende che, con riguardo alla concreta fattispecie in esame,
l'invito  a  dedurre  rientra  senz'altro  nel  novero   degli   atti
istruttori o  processuali  posti  in  essere  «in  violazione»  delle
neo-introdotte disposizioni, in quanto non  ha  altro  scopo  se  non
quello di preludere all'esercizio di un'azione di responsabilita' per
danno  all'immagine  a  dispetto  dell'avvenuta   archiviazione   del
corrispondente procedimento penale (archiviazione data per nota dalla
Procura nello stesso atto impugnato); nella specie, quindi,  l'invito
a dedurre,  nel  prefigurare  un'azione  di  danno  all'immagine  che
palesemente prescinde dai «casi» e dai «modi» di cui all'art. 7 della
citata legge n. 97, del 2001,  si  pone  in  radicale  ed  intrinseca
violazione del comma 30-ter in discorso, non  essendovi  ragione  per
rinviare la declaratoria di nullita' alla conseguente citazione; 
    le eccezioni pregiudiziali e preliminari svolte dalla Procura non
possono quindi essere accolte; 
    Considerato che: 
    nel merito dell'istanza di  nullita',  viene  necessariamente  in
rilievo l'applicazione  del  richiamo  art.  17,  comma  30-ter,  del
decreto-legge 1° luglio 2009, n.  78  (convertito  con  modificazioni
dalla legge 3 agosto  2009,  n.  102,  e  contestualmente  modificato
dall'art. 1, comma 3, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103, a  sua
volta convertito con modificazioni dalla legge  3  ottobre  2009,  n.
141), nella parte in cui stabilisce che «le procure della  Corte  dei
conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno  all'immagine
nei soli casi e nei modi previsti dall'art. 7  della  legge  2  marzo
2001, n. 97»; 
    al riguardo, la sezione ritiene non manifestamente  infondate  le
numerose questioni di legittimita' costituzionale  prospettate  dalla
Procura  regionale,  peraltro  gia'  sollevate   da   altre   sezioni
giurisdizionali della Corte dei conti,  con  particolare  riferimento
agli artt. 2, 3, 24, 25, 77, 81, 97, 103, 111, 113 della Costituzione
(v. sez. Calabria, ord. n. 121/2009; sez. Campania, ord. n. 369/2009;
Id., ord. n. 377/2009; Id. ord. n. 436/2009; sez. Lombardia, ord.  n.
209/2009; Id. ord. n. 237/2009; sez. Sicilia, ord. n. 218/2009;  sez.
Umbria, ord. n. 20/2009; sez. Prima d'Appello, ord. n. 6/2010); 
    deve darsi atto, in generale, che la formulazione legislativa non
e' tra le piu' felici: testualmente, infatti,  la  norma  sembrerebbe
operare solo sul piano processuale, inibendo semplicemente «l'azione»
delle Procure contabili senza pero' escludere la  risarcibilita'  del
danno all'immagine sul piano sostanziale (senza, cioe', incidere  sul
diritto, azionabile dinanzi  ad  altro  Giudice  dall'amministrazione
stessa); non aiuta l'interprete, inoltre, il  rinvio  tout  court  al
citato art. 7 della legge n. 97  del  2001  (che  all'ultimo  periodo
sancisce, a sua volta, la salvezza di quanto previsto  dall'art.  129
disp. att. c.p.p.); 
    ad ogni modo, l'interpretazione maggiormente  piana  ed  aderente
all'intenzione del  legislatore,  salvo  ipotizzare  impraticabili  e
comunque insoddisfacenti forzature «abrogative» della  norma,  sembra
da ricostruire nel senso di voler circoscrivere la risarcibilita' del
«danno all'immagine» alle sole fattispecie in cui consti una condanna
penale irrevocabile per i delitti dei pubblici  ufficiali  contro  la
pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del  libro
secondo del codice penale (segnatamente:  peculato,  malversazione  a
danno dello Stato, indebita percezione di erogazioni  a  danno  dello
Stato, concussione, corruzione e istigazione alla  corruzione,  abuso
d'ufficio,  utilizzazione  d'invenzioni  o  scoperte  conosciute  per
ragioni d'ufficio, rivelazione ed utilizzazione di segreti d'ufficio,
rifiuto  e  omissione  di  atti  d'ufficio,  rifiuto  o  ritardo   di
obbedienza commesso da  un  militare  o  da  un  agente  della  forza
pubblica,  interruzione  di  un  servizio  pubblico  o  di   pubblica
necessita',  sottrazione  o  danneggiamento  di  cose  sottoposte   a
sequestro  disposto  nel  corso   di   un   procedimento   penale   o
dall'autorita' amministrativa, violazione colposa di doveri  inerenti
alla custodia di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un
procedimento penale o dall'autorita' amministrativa); 
    al riguardo, lasciando sullo sfondo  gli  altri  aspetti  di  pur
forte perplessita' suscitati dalle ricordate disposizioni, la sezione
dubita dell'intrinseca ragionevolezza e non arbitrarieta' della norma
da applicare, nella misura in cui essa  subordina  la  risarcibilita'
del danno all'immagine (quale delineato  nel  diritto  vivente  dalla
giurisprudenza della Corte dei conti e  della  Corte  di  cassazione)
alla sussistenza di  una  condanna  penale  relativa  ai  soli  reati
suindicati,    senza    alcuna    plausibile,    apparente    ragione
dell'esclusione di fattispecie delittuose ben  piu'  gravi  (anche  a
livello di  allarme  sociale  o  comunque  di  incidenza  lesiva  sul
prestigio della pubblica amministrazione) o comunque  di  fattispecie
anche prive di rilievo penale che siano,  gravemente  pregiudizievoli
per l'immagine della p.a.; 
    a titolo di mero esempio, appare di non agevole  comprensione  la
ragione per cui sarebbe fonte di danno all'immagine la condanna di un
funzionario pubblico per peculato o per omissione di atti  d'ufficio,
ma non lo sarebbe quella di un sindaco,  di  un  dirigente  o  di  un
magistrato per  delitti  di  mafia,  come  pure  non  danneggerebbero
l'immagine pubblica l'insegnante pedofilo o quello che spaccia  droga
tra gli alunni,  il  medico  che  abusa  sessualmente  dei  pazienti,
l'impiegato che organizza una truffa a  danno  dei  cittadini  o  che
compie falsificazioni, il  poliziotto  che  partecipa  ad  una  banda
armata o ad una cellula terroristica, l'autista «pirata» che causa la
perdita di vite umane alla guida di un mezzo  pubblico,  il  militare
che in missione internazionale i  commette  violenze  gratuite  sulla
popolazione inerme, e cosi' discorrendo; 
    e'  incomprensibile  per  questa  Corte,   ancora,   la   mancata
inclusione dei reati di favoreggiamento e  omissione  di  denuncia  o
referto, tanto piu' se riferiti proprio ai reati  di  cui  al  citato
art.  7  (sicche'  il  funzionario  che  compie  il  peculato   lede,
l'immagine della pubblica amministrazione, mentre non la lede il  suo
diligente  sebbene  condannato  per  favoreggiamento  o  per   omessa
denuncia di quello stesso peculato); 
    ancor meno comprensibile risulta, ad avviso di questa sezione, la
mancata inclusione dei reati  militari  previsti  al  libro  secondo,
titolo IV, capo I del codice militare di pace nel  novero  dei  reati
considerati dannosi per  l'immagine  della  pubblica  amministrazione
(sicche'  il  peculato  commesso  dal  militare  non  sarebbe  lesivo
dell'immagine delle forze armate, mentre lo sarebbe  quello  commesso
dall'impiegato civile); 
    paradossale ed abnorme, poi, pare alla sezione  l'esclusione  del
risarcimento  del  danno  pur  a  fronte  di  fattispecie  di   reato
gravissime, anche e soprattutto  sul  piano  dell'immagine  pubblica,
quali  i  delitti   contro   la   personalita'   dello   Stato,   sia
internazionale sia interna, come pure i delitti commessi  contro  gli
Stati esteri, i loro capi e i loro rappresentanti  (trattandosi,  per
inciso, proprio delle fattispecie penali poste a  presidio  e  tutela
dell'onore delle istituzioni o dei loro esponenti); 
    non si  afferra,  infine,  la  ragione  sottesa  alla  scelta  di
subordinare la configurabilita'  o  comunque  la  risarcibilita'  del
danno all'immagine all'esistenza ovvero agli esiti  di  un  eventuale
procedimento penale, ben potendosi configurare fattispecie lesive, in
punto  di  «immagine»  pubblica,  che  per  loro  natura  prescindono
dall'ambito penale (ma che spesso comportano l'applicazione di severe
sanzioni disciplinari, compreso il licenziamento): anche sotto questo
profilo, la realta' osservata da questa  sezione  supera  sovente  la
fantasia,  come  ad   esempio   nel   caso   degli   infermieri   che
intrattenevano   rapporti    sessuali    nelle    camere    mortuarie
dell'ospedale,  con  pubblico  scandalo  (Sez.  Piemonte,  sent.   n.
191/2008), dei medici pubblici che svolgevano «al  nero»  l'attivita'
inframoenia dimenticando di riversare  le  somme  all'ospedale  (Sez.
Piemonte, sent. sent. n. 3/2009), della proverbiale pinza dimenticata
nella pancia del paziente non senza risonanza mediatica dell'episodio
di «malasanita'» (Sez. Piemonte, sent. n. 238/2008), del  funzionario
dell'agenzia delle  entrate  che  svolgeva  «al  nero»  attivita'  di
consulenza fiscale in favore di contribuenti (Sez Piemonte, sent.  n.
144/2009); 
    ulteriori motivi di perplessita',  con  riguardo  a  quest'ultimo
aspetto, derivano dal coordinamento del comma 30-ter in rassegna  con
l'art. 55-quinquies del decreto legislativo 30  marzo  2001,  n.  165
(introdotto dall'art. 69 del decreto legislativo 27 ottobre 2009,  n.
150, in attuazione della delega di cui all'art. 7 della legge 4 marzo
2009, n. 15): quest'ultima norma sancisce  l'obbligo  del  dipendente
pubblico  assenteista  di  risarcire   il   danno   all'immagine,   a
prescindere dagli eventuali risvolti penali, rendendo di  non  facile
percezione il criterio cui si sarebbe informato il legislatore, nella
sua pur ampia discrezionalita',  salvo  l'arbitrio,  per  individuare
tra, le varie fattispecie lesive  dell'immagine  dell'amministrazione
quelle  che  meritano  la  tutela  risarcitoria  dinanzi  al  giudice
contabile (sfuggendo,  ancora  una  volta,  la  ragionevolezza  della
scelta  di  obbligare  il  dipendente  assenteista   non   condannato
penalmente  a  risarcire  l'immagine  della  p.a.  di   appartenenza,
esonerando nel contempo il dipendente che commette reati comuni o  il
dipendente che  commette  altre  gravissime  infrazioni  disciplinari
senza assentarsi dall'ufficio); 
    ne' si comprende la  ragione  per  cui,  qualora  constino  prove
inconfutabili della commissione di un  reato,  ricadente  nell'ambito
del citato art. 7 e quindi ritenuto  «per  legge»  foriero  di  danno
all'immagine, il proscioglimento  per  prescrizione  in  sede  penale
debba impedire il risarcimento del danno all'immagine in sede  civile
o amministrativa, posto che in simili eclatanti fattispecie l'assenza
di  una  condanna  penale  potrebbe  perfino  aggravare  la   lesione
d'immagine delle istituzioni o la percezione di essa da  parte  della
collettivita', a causa della patente di pubblica impunita' attribuita
ai colpevoli; sul  punto,  in  verita',  ci  si  dovrebbe  seriamente
interrogare se lesiva dell'immagine  sia  la  commissione  del  reato
oppure la condanna del colpevole; 
    non pochi dubbi di  ragionevolezza  involge,  anche,  l'implicito
esonero  da  responsabilita'  dei  dirigenti  o  funzionari  pubblici
appositamente preposti a vigilare sull'altrui operato, di  guisa  che
il danno  all'immagine  conseguente,  ad  esempio,  ad  un  reato  di
peculato,  magari  accertato  con  sentenza   irrevocabile,   sarebbe
addebitabile solo al reo ma non anche (a  titolo  di  responsabilita'
sussidiaria) al dirigente o all'ispettore  o  al  revisore  contabile
che, con gravissima colpevole trascuratezza, non si sia avveduto  del
reato commesso sotto i propri occhi o lo abbia  di  fatto  consentito
dimenticando» di farne denuncia; 
    analoga considerazione vale per  l'ipotesi  in  cui  il  pubblico
dipendente (o, peggio,  un  pubblico  diligente)  con  gravissima  ed
imperdonabile negligenza abbia, di fatto, impedito  l'identificazione
degli  autori  del  reato  o  l'acquisizione  delle  relative  prove,
validamente utilizzabili in sede  penale,  per  tal  via  precludendo
l'accertamento della responsabilita' penale  (e,  per  effetto  della
disposizione in  rassegna,  il  conseguente  risarcimento  del  danno
all'immagine in favore dell'amministrazione); 
    le suesposte considerazioni,  per  inciso,  assumono  particolare
rilievo  nella   valutazione   preliminare   dell'invocata   nullita'
dell'invito a dedurre oggetto del presente procedimento,  in  cui  la
Procura regionale (dopo aver ricordato che l'archiviazione penale  e'
stata disposta dal g.i.p. per essere rimasti ignoti  gli  autori  del
reato,  sembrandogli  peraltro  confermata  dallo  stesso  g.i.p.  la
commissione   di   violenze   ingiustificabili   anche   «in    senso
tecnico-penalistico») prospetta una corresponsabilita' del  dirigente
di Polizia per avere in qualche misura favorito o comunque  non  aver
impedito gli asseriti reati (prospettazione sulla cui  correttezza  e
fondatezza, peraltro, questa sezione esprime ogni cautela e  riserva,
trattandosi di questione attinente al merito); 
    a margine delle  osservazioni  fin  qui  svolte  si  pongono,  da
ultimo,   gli    ulteriori    molteplici    profili    di    sospetta
incostituzionalita' della norma in analisi con riguardo agli artt. 2,
3, 24, 25, 77, 81, 97, 103, 111, in della  Costituzione,  per  quanto
rilevanti in questa sede, quali posti in luce dalla Procura regionale
come pure da altre sezioni della Corte dei conti nelle  ordinanze  in
precedenza ricordate; questi ultimi profili, peraltro,  appaiono  per
cosi' dire collaterali o sintomatici rispetto alla questione centrale
della  sospetta  arbitrarieta'  ed  irragionevolezza  dell'intervento
legislativo in discorso, invero estemporaneo e poco meditato (come si
evince,  del  resto,  dall'iter   parlamentare   del   provvedimento,
introdotto in sede di conversione  di  un  decreto-legge  riguardante
tutt'altra  materia  e   poi   corretto   «in   corsa»,   con   altro
decreto-legge, il giorno stesso della sua entrata in vigore); 
    da ultimo, ai fini del vaglio di non manifesta infondatezza della
questione,  cade  opportuno  ricordare  che  la  nozione  di   «danno
all'immagine», nell'elaborazione giurisprudenziale, non si identifica
semplicemente con il «danno morale», ma include in se' voci di  danno
patrimoniale o  comunque  suscettibili  di  valutazione  patrimoniale
(come,  ad  esempio,  le  spese  sostenute  o  da  sostenere  per  la
comunicazione istituzionale ai sensi della legge 7  giugno  2000,  n.
150, recante la «disciplina delle  attivita'  di  informazione  e  di
comunicazione delle pubbliche amministrazioni», e della direttiva del
7 febbraio 2002, in materia  di  «attivita'  di  comunicazione  delle
pubbliche amministrazioni», emanata  dal  Ministro  per  la  funzione
pubblica); 
    appare    quindi    assai    labile    (nell'attuale     societa'
dell'informazione, della comunicazione e  dell'immagine)  la  ragione
per cui le  istituzioni  pubbliche  dovrebbero  meritare  una  tutela
risarcitoria del proprio prestigio e della propria immagine ben  piu'
limitata rispetto alle istituzioni private; 
    sul punto, la ratio della legge e' imperscrutabile: con singolare
ossimoro, infatti, l'ordinamento da un lato viene a  negare  piena  e
generale  tutela  risarcitoria  all'immagine  e  al  prestigio  delle
pubbliche  istituzioni  mentre,  dall'altro  lato,  con  i   apposite
fattispecie di reato (vilipendio della Repubblica, delle  Istituzioni
costituzionali, delle Forze armate,  della  nazione  italiana,  della
bandiera o altro emblema dello Stato) offre addirittura protezione di
rango  penale  ai  suddetti  beni,  creando   una   bizzarra   quanto
contraddittoria divaricazione  logico-giuridica  (tutela  penale  si,
tutela risarcitoria no); 
    invero, per quanto si tenti di interpretare o «forzare» il  testo
della norma, come pure e' stato  fatto  in  alcune  pronunce,  sempre
residuano   dubbi   di   ragionevolezza   ed    arbitrarieta',    non
manifestamente infondati (quanto meno sotto il profilo del riparto di
giurisdizione); la disposizione non  sembra  quindi  riconducibile  a
legittimita'    costituzionale    (neppure    mediante     interventi
interpretativi,  additivi  o  manipolativi)  fintanto  che  in   essa
permanga il riferimento all'art. 7 della legge n. 97 del 2001; 
    quest'ultima  norma,  ad  avviso  di  questi  Giudici,  per  come
richiamata dal comma 30-ter, al di la' di una  mera  suggestione  non
sembra avere nessun ragionevole, collegamento concettuale o giuridico
con il tema del danno all'immagine: l'art.  7,  piuttosto,  trova  la
propria ratio nell'esigenza di rafforzare (e non limitare) la tutela,
delle finanze pubbliche, creando un canale stabile, ma non esclusivo,
di raccordo,  istituzionale  tra  la  magistratura  penale  e  quella
amministrativo-contabile in relazione a talune fattispecie delittuose
(purtroppo ancora  molto  diffuse)  «tipicamente»  foriere  di  danno
patrimoniale,  in  quanto  in  esse  l'amministrazione  pubblica   e'
ontologicamente parte offesa  dal  reato  e,  quindi,  verosimilmente
danneggiata nel patrimonio; 
    l'art. 7, si noti, agevolando le azioni della Corte dei conti per
il danno  patrimoniale  conseguente  a  reati  contro  la  p.a.,  non
preclude  affatto  la  risarcibilita'  di  altre  voci  di  danno  in
fattispecie diverse; ma se  l'art.  7  risponde  a  una  sua  precisa
logica, riferita appunto «in positivo» al danno patrimoniale,  questa
logica diventa i perversa se riferita  «in  negativo»  al  danno  non
patrimoniale (e, in particolare, al danno all'immagine) in quanto  il
prestigio delle istituzioni ben puo' essere  leso  maggiormente,  nel
sentire  comune,  allorche'  il  pubblico  ufficiale  abusando  della
propria funzione  commetta  reati  nei  quali  parte  offesa  sia  il
cittadino anziche' l'amministrazione; 
    sfugge, in altre parole,  il  motivo  per  cui  l'immagine  delle
istituzioni sarebbe lesa solo dalla commissione di un reato  «contro»
la pubblica amministrazione e non anche dalla commissione di un reato
comune «della» pubblica amministrazione (recte, dei soggetti che  per
essa operano e di cui essa risponde  verso  i  terzi)  in  danno  del
cittadino; ove si applicasse lo stesso principio agli  enti  privati,
ad esempio, si giungerebbe al paradosso per cui  una  banca  potrebbe
chiedere  il  risarcimento  del  danno  d'immagine  solo  al  proprio
cassiere che abbia sottratto il denaro della  banca  stessa,  ma  non
anche  al  cassiere  che  abbia  rubato  sistematicamente  denaro  ai
clienti,   truffandoli   (fattispecie   quest'ultima   che    appare,
all'evidenza, assai piu' lesiva sul piano dell'immagine); 
    e' fuor  di  dubbio  che  il  legislatore,  nella  propria  piena
discrezionalita', possa stabilire specifici criteri e  condizioni  di
risarcibilita' del danno, ma e' altrettanto pacifico  nella  costante
giurisprudenza costituzionale che  detti  criteri  e  condizioni  non
possano essere arbitrari o irragionevoli, meno che mai in una materia
di simile delicatezza e rilevanza; 
    nella  specie,  per  quanto  in  precedenza  si  e'  cercato   di
esemplificare, appare di assai dubbia  ragionevolezza  la  scelta  di
subordinare  la  risarcibilita'  del  danno  all'immagine  azionabile
dinanzi alla Corte  dei  conti  alla  sussistenza  di  una  condannai
irrevocabile  per  alcune  prefissate   tipologie   di   reato   (che
sicuramente non  sono  ne'  le  piu'  gravi,  sul  piano  della  pena
edittale, ne' quelle piu'  lesive  dell'immagine  delle  istituzioni)
anziche' al superamento di una soglia generale  di  «offensivita'»  o
altri parametri  oggettivi  di  valutazione  della  lesione  che  non
necessariamente debbono  ricercarsi  in  una  fattispecie  a  rilievo
penale, tanto  piu'  ove  si  tenga  conto  dei  principi  da  ultimo
affermati in tema di danno non patrimoniale (e,  in  particolare,  di
danno «esistenziale») dalle sezioni unite della Corte  di  cassazione
con la nota sentenza n. 26972 dell'11 novembre 2008; 
    con  quest'ultima  imprescindibile  pronuncia,  in   particolare,
proprio in ossequio a fondamentali valori di rango costituzionale, e'
stata riconosciuta e confermata piena legittimita'  del  risarcimento
dei  danni  «non  patrimoniali»,  a  prescindere  dal   nomen   iuris
concretamente utilizzato  dal  Giudice,  a  fronte  di  illeciti  sia
contrattuali sia extracontrattuali, anche al di fuori  delle  ipotesi
«tipiche» previste dalla legge (cfr.  art.  2059  c.c.),  purche'  si
tratti di danni conseguenti alla lesione di diritti  fondamentali  ed
inviolabili della persona e che superino comunque una  soglia  minima
di offensivita' (nel senso  di  serieta'  ed  intollerabilita'  della
lesione), fermo restando che il danno non patrimoniale va  ricondotto
non  alla  categoria  del  «danno-evento»,  bensi'   a   quella   del
«danno-conseguenza» (che quindi deve essere congruamente  allegato  e
provato), ed evitando  in  ogni  caso  effetti  moltiplicativi  della
stessa voce sostanziale di danno mediante nomina iuris diversi; 
    per tutti i motivi fin qui esposti, in  conclusione,  la  sezione
ritiene rilevante e non  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale del citato comma  30-ter,  per  contrasto
con gli artt. 2 e 3 della Costituzione, sotto il  profilo  assorbente
dell'irragionevole nonche' arbitraria limitazione ai soli casi e modi
previsti dal citato art. 7 della legge n. 97 del  2001  della  tutela
risarcitoria  dell'immagine  delle  istituzioni  ed   amministrazioni
pubbliche; 
    il presente giudizio deve essere quindi doverosamente sospeso con
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per le  conseguenti
valutazioni, ai sensi della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    la statuizione sulle spese va riservata all'esito del giudizio; 
 
                               P.Q.M. 
 
    Con pronuncia non definitiva; 
    Ravvisata  la  non  manifesta  infondatezza  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.   17,   comma   30-ter,   del
decreto-legge 1° luglio 2009, n.  78  (convertito  con  modificazioni
dalla legge 3 agosto  2009,  n.  102,  e  contestualmente  modificai»
dall'art. 1, comma 1,  del  decreto-legge  3  agosto  2009,  n.  103,
convertito a sua volta con modificazioni dalla legge 3 ottobre  2009,
n. 140 nella parte in cui prevede che «le  procure  della  Corte  dei
conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno  all'immagine
nei soli casi e nei modi previsti dall'art. 7 della  legge  27  marzo
2001, n. 97» e, conseguentemente, che «a tale ultimo fine, il decorso
del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell'art. 1 della legge
14 gennaio  1994,  n.  20,  e'  sospeso  fino  alla  conclusione  dei
procedimento penale», per  contrasto  con  gli  artt.  2  e  3  della
Costituzione; 
    Ordina  l'immediata  trasmissione  degli  atti,  a   cura   della
segreteria, alla Corte costituzionale; 
    Sospende il giudizio fino alle conseguenti decisioni della  Corte
costituzionale, con onere di riassunzione a carico  delle  parti  nei
termini di legge; 
    Dispone che, a cura della segreteria, la presente  ordinanza  sia
notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e  alle  parti  e
sia comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e  del  Senato
della Repubblica ai sensi dell'art. 23, ultimo comma, della legge  il
marzo 1953, n. 87. 
    Riserva all'esito del giudizio la statuizione sulle spese. 
    Manda alla segreteria per gli adempimenti di competenza. 
    Cosi' deciso in Torino nella camera di consiglio del  7/8  aprile
2010. 
 
                       Il Presidente: D'Aversa